Luglio 13th, 2015 Riccardo Fucile
DEGLI 82 MILIARDI PROMESSI L’80% ANDRA’ AL PAGAMENTO DEL DEBITO PREGRESSO E ALLE BANCHE.. SOLO 10 MILIARDI POTRANNO ESSERE UTILIZZATI DAL GOVERNO PER CREARE INVESTIMENTI
Oltre l’80% degli 82-86 miliardi di nuovi aiuti alla Grecia sarà destinato al saldo o al
rifinanziamento del debito pregresso (53%) e alla ricapitalizzazione delle banche (30%), mentre al governo resteranno da gestire solo 10 miliardi e gli investimenti per il rilancio dell’economia saranno ipotecati al buon esito delle cosiddette privatizzazioni.
Con dei paletti molto stretti.
Restano i tempi talmente da record da rendere estremamente ardua l’approvazione delle riforme, ma anche il “pignoramento” dei beni pubblici da vendere per ridurre i debiti e il ritorno della Troika ad Atene.
Il tutto condito da un colpo di spugna sulla legislazione introdotta dall’esecutivo greco in contrasto con il memorandum con i creditori.
Scompaiono, anche perchè illegali, solo la sede estera del trust a cui verranno affidati i beni pubblici ellenici “pignorati” e la minaccia di espulsione dall’euro.
Inutile a dirsi, infine, che di taglio del debito non c’è neanche da parlarne.
Insomma, non solo Alexis Tsipras non ha abbandonato il vertice con i leader politici della zona euro come gli chiedeva domenica notte il popolo di twitter cinguettando a squarciagola #TspirasLeaveEUSummit (Tsipras abbandona l’Eurosummit), ma ha anche firmato un’intesa che si discosta molto poco dalla criticatissima proposta originaria dell’Eurogruppo.
La stessa, cioè, che nella notte tra domenica e lunedì aveva fatto parlare Atene di condizioni “umilianti e disastrose” e che il premio Nobel per l’Economia, Paul Krugman, dalle colonne del New York Times ha attribuito a una “follia vendicativa”, evocando una “completa distruzione della sovranità nazionale” e un “grottesco tradimento di tutto quello che significa il progetto europeo”.
Impossibile sapere se a guidargli la mano sia stata la disperazione o il waterboarding mentale di cui il Guardian accusa Tusk, Merkel e Hollande, ma è innegabile che il premier greco sia entrato al vertice dicendosi pronto per un “compromesso onesto” e ne sia uscito compromesso.
PRIMA LE RIFORME POI I NEGOZIATI SUL PIANO DI AIUTI
I punti dell’accordo dell’accordo approvato all’unanimità dai leader politici della zona euro lunedì mattina a valle di un Eurosummit dalla durata record di oltre 17 ore, del resto, parlano chiaro.
Per poter avviare un negoziato sul terzo piano triennale di finanziamenti internazionali, questa volta da 82-86 miliardi, Atene ha innanzitutto 48 ore per varare le riforme dell’Iva, delle pensioni e dell’Elstat (l’istituto nazionale di statistica), oltre a introdurre tagli semi-automatici alla spesa in caso di deviazioni dall’obiettivo del surplus primario.
“Solo conseguentemente alla implementazione legale delle prime quattro misure su menzionate — recita il documento — così come alla assunzione di tutti gli impegni inclusi in questo documento dal Parlamento greco, verificato dalle istituzioni e dall’Eurogruppo, potrà essere presa la decisione di dare mandato alle istituzioni di negoziare un memorandum di intesa”.
LE BANCHE POSSONO ASPETTARE FINO AL 22 LUGLIO
Nove, invece, i giorni a disposizione per adottare la riforma del codice di procedura civile e recepire la direttiva Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive) sul fallimento degli istituti di credito per introdurre il nuovo sistema europeo di salvataggio delle banche, il cosiddetto bail in, che affianca l’intervento esterno (bail out) ad appunto quello interno, cioè il contributo a vario titolo di azionisti e correntisti con depositi al di sopra dei 100mila euro.
Questione non da poco, quest’ultima, visto che un intervento sulle banche greche sembra ormai inevitabile, ma senza il recepimento della direttiva sarebbe tecnicamente difficile.
E che è stata curiosamente postposta, quando invece sarebbe prioritaria date le condizioni degli istituti ellenici che secondo i ministri delle finanze della zona euro dovrebbero avere la disponibilità immediata di una decina di miliardi.
LA RESTAURAZIONE DELLA TROIKA CON LA CANCELLAZIONE DEL NORME IN CONTRASTO
Tra gli impegni sicuramente più sgraditi ai greci, spicca il ritorno del commissariamento da parte dell’odiata Troika.
Quest’ultima non riavvierà solo le sue ispezioni in loco per “normalizzare pienamente i metodi con le istituzioni, incluso il necessario lavoro sul campo, per migliorare l’implementazione e il monitoraggio del programma”.
D’ora in avanti, si legge infatti nel documento, “il governo necessita di consultarsi e accordarsi con le istituzioni (Commissione Ue, Fmi e Bce, appunto, ndr) su tutte le bozze di legge in aree rilevanti, con un anticipo di tempo adeguato, prima di sottoporle alla consultazione pubblica o al Parlamento”.
A scanso di equivoci quella più rilevante è già messa nero su bianco e riguarda il lavoro: la Grecia recita il testo, deve “intraprendere riesami rigorosi e la modernizzazione della contrattazione collettiva, dell’azione industriale e, in linea con la direttiva e le migliori prassi pertinenti dell’Ue, dei licenziamenti collettivi secondo le scadenze e l’approccio convenuti con le istituzioni”.
Il passato, invece, va scordato. Anzi, cancellato: “Fatta salva la legge sulla crisi umanitaria, il governo greco riesaminerà , per modificarla, la legislazione introdotta in contrasto con l’accordo del 20 febbraio retrocedendo dagli impegni del precedente programma, o individuerà chiare misure di compensazione equivalenti per i diritti acquisiti creati successivamente”.
In questo contesto, altro punto ad alto sgradimento ellenico, resta confermato il ruolo centrale del Fondo Monetario Internazionale. “Lo Stato membro della zona euro che richiederà l’assistenza finanziaria dell’Esm rivolgerà , ove possibile, richiesta analoga al Fmi. Questa è una condizione necessaria affinchè l’Eurogruppo approvi un nuovo programma Esm. Pertanto la Grecia richiederà il sostegno continuo dell’Fmi (monitoraggio e finanziamento) a partire da marzo 2016″.
ALLE NECESSITA’ DEL GOVERNO SOLO 10 MILIARDI SU 80. LE GARANZIE IN NATURA
Gli 82-86 miliardi che, se i negoziati veri e propri andranno a buon fine, verranno stanziati dal nuovo fondo salva stati Esm, saranno spalmati su tre anni.
I primi 12 dovranno essere messi a disposizione della Grecia subito, con un prestito ponte: 7 entro il 20 luglio (quando scadranno obbligazioni in pancia alla Bce per 3,5 miliardi) e altri 5 entro metà agosto (quando ne scadranno altri 3,2 miliardi).
Considerando anche la rata già scaduta di 1,6 miliardi dovuti al Fondo Monetario e quella di 450 milioni in scadenza martedì, in pratica più di due terzi dell’ammontare del prestito ponte serviranno a ripagare il debito pregresso.
Complessivamente, del resto, oltre la metà dei fondi stanziabili con il nuovo piano servirà a rifinanziare i 46 miliardi di vecchi debiti della Grecia con Fmi e Bce.
Altri 25 miliardi, invece, sono destinati alla ricapitalizzazione delle banche.
E saranno garantiti con il discusso fondo ad hoc con sede ad Atene, unica concessione rispetto alla richiesta iniziale di aprirlo in Lussemburgo, mentre resta la gestione da parte delle “autorità greche sotto la supervisione delle competenti istituzioni europee”.
Qui verranno conferiti i beni pubblici greci da vendere. L’obiettivo piuttosto impervio della nuova creatura sarà raggiungere quota 50 miliardi.
Una volta superata la soglia dei 25 miliardi necessari per gli istituti, il resto andrà impiegato per metà in abbattimento del debito e per metà in investimenti.
In sostanza, per ottenere la possibilità di impiegare un miliardo di euro in investimenti, la Grecia dovrà cedere 27 miliardi di asset pubblici: i primi 25 andranno alle banche, un miliardo andrà all’abbattimento del debito pregresso e un altro miliardo andrà finalmente in investimenti.
A disposizione delle necessità del governo, quindi, resterà soltanto una decina di miliardi su 80. Ma tanto è bastato per far affermare a Tsipras, che pure nella notte si sarebbe tolto la giacca invitando i leader dell’Eurozona a prendersi anche quella, di aver “evitato il piano per uno strangolamento finanziario e per il collasso del sistema bancario” e aver ottenuto “finanziamenti a medio termine”.
Nonostante le premesse sulla gestione del fondo e sulla destinazione del denaro, il premier greco ha inoltre rivendicato di aver “evitato il trasferimento dei nostri beni all’estero” e “ottenuto l’alleggerimento del debito”, per altro subordinato al via libera a riforme ritenute soddisfacenti dai creditori.
“Abbiamo lottato duro” a Bruxelles ora lo faremo in Grecia contro “gli interessi” consolidati, ha chiosato mentre ministro dell’Energia e leader dell’ala radicale di Syriza, Panagiotis Lafazaris, definiva l’accordo “umiliante“.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 13th, 2015 Riccardo Fucile
LA GRECIA NON POSSIEDE BENI DA DARE IN GARANZIA PER UN TALE VALORE
“Quei 50 miliardi del fondo sono un sogno, prima ancora che un traguardo”.
Daniel Gros, presidente del Ceps, uno dei Think tank più autorevoli di Bruxelles, smonta così uno dei punti più importanti del sofferto documento congiunto approvato dall’Eurosummit.
Una sorta di maxi-cauzione chiesta dal Germania a garanzia del nuovo massiccio piano di finanziamenti che però esiste soltanto sulla carta.
“Non penso – aggiunge — che sarà mai possibile arrivare a questa cifra”.
Ci faccia capire, cosa non funziona nell’istituzione di questo fondo?
“Tanto per cominciare serve a poco. I 50 miliardi sono un sogno più che un traguardo. Si parlava della stessa cifra 5 anni fa e nel frattempo dalle privatizzazioni sono stati raccolti pochi miliardi. Secondo, dal punto di vista strettamente economico, non ha senso per il governo greco vendere attività che hanno un rendimento decente, che è più alto del costo del proprio debito”.
Cioè quello che dovrebbe vendere rende di più degli interessi sul debito che si spera di ridurre dalle cessioni di asset
“Esatto. Privatizzare serve per ottenere liquidità immediata, ma non è questo l’obiettivo di fondo”.
Ci aiuti a capirne la natura. È una sorta di fondo di garanzia sul nuovo prestito dell’Esm o un semplice veicolo per raccogliere i proventi delle privatizzazioni?
“Nell’accezione della proposta iniziale di Schaeuble era più simile al primo. Nel testo finale dell’Eurosummit somiglia più al secondo”.
Se i 50 miliardi sono “un sogno”, e non si tratta di un vero fondo di garanzia, perchè inserire questa clausola nell’accordo?
“Si tratta comunque di un modo per assicurare i tedeschi che esiste una forma di garanzia e di impegno di beni greci ai nuovi finanziamenti che verranno concessi dall’Europa”.
Nel testo finale della proposta si spiega che i primi 25 miliardi raccolti saranno destinati alla ricapitalizzazione delle banche. Crede sia una proposta valida per dare ossigeno agli istituti di Atene?
“In linea di principio è un’idea giusta, ma in pratica è totalmente sbagliata”.
Perchè?
“Perchè per le banche serve una ricapitalizzazione immediata, entro due settimane. Con questo schema magari fra 5 anni ci saranno anche 5 miliardi, ma potrebbe essere troppo tardi per gli istituti”
Allora chi può iniettare liquidità fresca nelle banche in tempi così stretti?
“Lo abbiamo scritto oggi in un nuovo articolo. Con una gestione oculata, potrebbe essere l’Esm (Il fondo salva Stati ndr ).
Ma l’Esm ha tempi decisionali molto lunghi. Non può sbloccare sbloccare finanziamenti in due settimane
“Se c’è la decisione politica, i tempi tecnici nono sono più un problema”
Provando a prendere “sul serio” la proposta del fondo. 50 miliardi per la Grecia sono una cifra enorme. In rapporto al Pil è come se chiedessero 400 miliardi all’Italia. Che cosa può realmente vendere la Grecia per trovare questa somma?
“Gli asset in teoria, e solo in teoria, sono tantissimi. Ma i problemi sono altri. Faccio un esempio, si è parlato alcuni anni fa della cessione del terreno dell’aeroporto di Atene. Potrebbe avere un valore, ma alla fine non se n’è mai fatto nulla per il blocco dei vari governo Ci sono molto beni immobiliari, ma molti di questi sono difficili da vendere”.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 13th, 2015 Riccardo Fucile
CONTRARIA ANCHE LA PRESIDENTE DELLA CAMERA
Dalla festa di piazza alla depressione. In una sola settimana. 
Il premier greco Alexis Tsipras non fa nemmeno in tempo a tornare ad Atene, dopo la nottataccia di Bruxelles, che in patria già gli si scatena il processo per quell’accordo che, dicono nel suo partito e nella sua maggioranza di governo, “non doveva firmare”. Sono almeno 30-35 i deputati di Syriza pronti a votare no in Parlamento al pacchetto di misure imposte dalla Troika, perchè l’intesa di ieri decide anche il ritorno del controllo della Troika sulla crisi greca.
Anche i 13 deputati di Anel, partner di maggioranza sebbene di destra, annunciano il loro voto contrario.
La maggioranza di Tsipras conta su 162 voti: se le cose stanno così, il pacchetto di riforme potrà essere approvato solo con i voti del Pasok, Nea Democratia e To Potami, partiti che hanno già dato il loro via libera al premier.
Ma dopo? Syriza ribolle, il destino di Tsipras come presidente del Consiglio è appeso a un filo, mai così sottile.
Tanto per iniziare, non è affatto detto che il Parlamento ellenico riesca a rispettare al scadenza di mercoledì prossimo, imposta dagli interlocutori europei per l’approvazione delle misure decise in nottata.
Perchè la presidente del Parlamento, Zoe Konstantopoulou, amatissima dalla base di Syriza, non è d’accordo con l’intesa firmata da Tsipras.
Konstantopoulou, 39 anni, soprannome ‘Rambo’, figlia di Nikos (ex presidente del Synaspismos, embrione dell’aggregazione di partiti di sinistra che è Syriza), potrebbe essere la vera spina nel fianco di Alexis, insieme all’ala sinistra di Syriza, s’intende.
Già la settimana scorsa, la presidente, acclamatissima in piazza domenica notte nella festa per la vittoria dei ‘no’ al referendum, ha cercato di ritardare il voto sul mandato per il premier a trattare con Bruxelles.
Mandato che alla fine è passato a larga maggioranza con 251 voti (i deputati sono in tutto 300), ma lei, Zoe, si è astenuta.
E adesso smentisce le voci che la vogliono dimissionaria dalla presidenza.
Tutt’altro: sta pensando ad una ‘mozione di censura’ per ritardare l’approvazione del pacchetto imposto da Bruxelles. Per presentare la mozione servono solo 50 firme.
Se passasse, il governo ellenico non rispetterebbe la scadenza di mercoledì e sarebbe già in difetto con i creditori. Un vero caos.
Ed è questo il primo ostacolo che Tsipras incontra in patria.
Poi c’è il rebus dei numeri in aula, qualora la piattaforma riuscisse ad arrivare al voto. Vassilis Primikiris, ala sinistra di Syriza, prevede “almeno 30-35 defezioni nel partito”.
Cui vanno sommati i 13 di Anel, il partito del ministro della Difesa, Panos Kammenos, alleato di governo di Tsipras, profondamente scontento dell’intesa raggiunta in nottata.
Certo, Tsipras può contare sui 106 voti delle tre forze disponibili a dire sì: Nea Democratia (conservatori, 76 parlamentari), To Potami (liberali, 17 parlamentari) e Pasok (socialisti, 13 parlamentari).
Con i loro voti, l’intesa passerebbe. Ma Alexis potrà restare premier con una maggioranza diversa?
Su questo punto che le diverse anime di Syriza sono paradossalmente d’accordo: no.
Argiris Panagopoulous, che considera l’accordo di Bruxelles “difficile ma da accettare”, è sicuro che, comunque vada in Parlamento, “Syriza non darà i suoi voti per un governo di unità nazionale o tecnico”.
Al limite, ci dice al telefono da Atene, “si può anche pensare ad un governo di minoranza. E se tutto casca, si va al voto a settembre e Tsipras vincerebbe di nuovo perchè Syriza non ha concorrenti sulla scena politica greca: è l’unica forza che ha tentato di combinare qualcosa, gli altri si sono arresi subito ai dictat della Troika.
E ora non hanno voti sufficienti per sostenere un governo tecnico senza Syriza”.
Il che, sulla carta, è vero. Gli unici disponibili ad un’operazione del genere sarebbero i soliti Nea Democratia, To Potami e Pasok: 106 voti, non bastano.
Ma quella di Panagopoulous è la versione soft.
Primikiris invece è fuori di sè dalla rabbia. Non si capacita di come sia potuto accadere. “Mi chiamano tutti e mi chiedono perchè Tsipras ha firmato”, ci dice al telefono.
E prova a darsi una spiegazione: “Non basta dire che avevamo la pistola alla tempia, che abbiamo le banche chiuse con un problema enorme di liquidità . Questo non basta. Abbiamo commesso errori, anche come governo”.
Quindi sbotta: “Non si può andare a trattare senza un piano B. E il nostro piano B era l’uscita dall’Eurozona. Invece Tsipras è partito dal presupposto che bisogna rimanere nell’Eurozona ad ogni costo. Così non poteva andare bene”.
Che è un po’ l’idea di Yanis Varoufakis, l’ex ministro dell’Economia sacrificato sull’altare della trattativa con i creditori la sera stessa del referendum.
Primikiris era d’accordo sull’idea di chiedere a Varoufakis un passo indietro: “Così eliminiamo gli alibi della Merkel”, ci diceva ad Atene all’indomani della consultazione referendaria. Eppure ora è furioso.
“Stanotte a Bruxelles — continua – c’è stato un colpo di stato politico contro la volontà di un intero popolo che solo una settimana fa ha votato ‘no’ con più del 60 per cento dei voti. Così facendo, si è messa in discussione la stessa idea di Europa. Sono 5 anni che provano con la stessa medicina e ancora insistono. Ora ci chiedono anche di svendere un patrimonio di 50 miliardi di euro: significa che dobbiamo svendere anche isole e chiese! Se questa intesa passa, tra un anno la gente non sarà in grado di pagare le tasse. C’è un problema di sovranità popolare che questa Europa non ha rispettato: non lo ha fatto Merkel. Francia e Italia hanno tentato di prendere le distanze ma nè Renzi, nè Hollande hanno la forza di reagire…”.
Il governo Tsipras è appeso ad un filo.
La settimana si annuncia lunghissima: nel weekend si riunisce anche il comitato centrale di Syriza e lì i dissidenti potrebbero aumentare, rispetto ai parlamentari.
Al ritorno da Bruxelles, il premier vede i ministri delle Finanze, Euclid Tsakalotos, il fedelissimo ministro Nikos Pappas, un altro ministro Alekos Flaburaris e il ministro dell’Interno Nikos Voutsis.
Non incontra il ministro dell’Ambiente Panagiotis Lafazanis: il primo ad alzare il cartellino rosso contro l’intesa, sia la scorsa settimana che oggi.
Anche lui come Zoe Konstantopoulou.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 13th, 2015 Riccardo Fucile
NUOVE ELEZIONI IN AUTUNNO… “A CHE SERVE ANDARE A VOTARE SE LA UE CI IMPONE PURE IL PRIMO MINISTRO?”
Dopo il Fmi anche la Germania (come testimonia il quotidiano Bild) esce allo scoperto e chiede il suo pedaggio in questa surreale crisi greca: la testa di Alexis Tsipras.
E’quello lo scalpo che due terzi dei creditori internazionali, più di avanzi primari e rimodulazione di piani, pretendono sul tavolo di un europoker che potrebbe ancora trasformarsi in Grexit.
Governo di unità nazionale ora ed elezioni in autunno, scrive la testata tedesca.
Il passo politico sarebbe, per metà , già compiuto: dentro i centristi di Potami guidati dal giornalista televisivo Stavros Theodorakis, nuovo frontman senza cravatta e protetto dal mondo degli oligarchi ellenici, rimpasto ministeriale con tecnocrati come fatto nel 2011 con Lukas Papademos, uomo Goldman Sachs.
Il tutto per decretare la fine dell’esperienza syrizea, così come hanno lasciato intendere, pochi giorni fa, le parole dell’arcigno Schauble: la moneta più preziosa è la fiducia e Tsipras se l’è giocata.
“Prima hanno fatto fuori il ministro delle Finanze, ora ci impongono persino un cambio di premier: tanto vale non andare più a votare” dice amaramente un funzionario di Syriza.
Il partito è spaccato a metà : da un lato gli integralisti legati al cenacolo culturale di Iskra, guidato dal ministro dell’Economia Panagiotis Lafazanis.
Hanno votato paròn (astensione) l’altro giorno in Aula mentre Varoufakis preferiva il sole di Aegina, spingono per aprire a Oriente piuttosto che sottostare a Occidente, tengono il punto del discorso di Salonicco, ovvero la piattaforma programmatica di Tsipras nel frattempo andata in frantumi.
Dall’altro chi pensava, forse a torto, che sarebbe stato sufficiente piegarsi oltremodo a Berlino per ottenere un altro lasciapassare e andare al terzo memorandum.
Merkel vale Schaeuble, è il ragionamento che solo oggi si fa nella sede di Syriza a Koummoundourou.
Non c’è mai stata una frizione tra i due, “hanno giocato al poliziotto buono e a quello cattivo e oggi la Bild chiarisce tutto”.
“Vogliono distruggerci” certifica a tarda notte il ministro della Difesa Panos Kammenos, che tra l’altro ha il suo bel daffare con le continue provocazioni degli F16 turchi nell’Egeo.
Nelle stesse ore Tsipras faceva il gesto di togliesti la giacca: “Volete anche questa?” ha chiesto alla Troika (che non ha mai smesso di essere tale) attovagliata all’Eurosummit.
Il resto è cronaca spicciola, con l’Aula di Atene in piazza Syntagma presto chiamata a votare in tre giorni le riforme su pensioni, Iva e privatizzazioni per far ripartire il negoziato.
Senza i 30 duri di Syriza, Tsipras dovrà ricorrere ancora ai 100 voti delle opposizioni. Ieri sera il capo del Potami, Theodorakis, ha invocato un governo di unità nazionale dopo aver incontrato Juncker nei giorni scorsi: è il candidato numero uno.
Ha appoggi anche in Francia come il commissario Moscovici, ha candidato nel suo partito intellettuali, storici e giornalisti alla prima esperienza politica, e soprattutto ha alle spalle gli ottimi rapporti con il suo ex editore a Mega Channel, Bobolas.
Ha interessi nell’edilizia, nell’energia, nell’editoria.
Ha fondato il quotidiano Ethnos, la Pegasus Publishing, possiede la piattaforma satellitare Nova e soprattutto il canale televisivo Mega Channel. Bobolas l’ha fondato nell’anno della caduta del Muro di Berlino assieme ai veri re di Grecia: Alafouzos, Tegopulos, Vardinoyannis , Lambrakis.
Fu la prima azienda in Grecia dotata della licenza per operare come stazione televisiva privata, come in Italia Canale 5.
Tsipras, eletto per cambiare il governo socialisti-conservatori, è a un passo dal baratro e sarà costretto a lasciare, anche per suoi errori come la gestione del referendum, il caso Varoufakis e le promesse in campagna elettorale.
Certo, poi ci sarebbe la questione relativa al fondo dove conferire asset ellenici a garanzia degli aiuti: la Grecia può arrivare fino a 17 miliardi, il Fmi ne chiede meno della metà , Germania e Finlandia pretendono 50.
Ma già si scommette che, con un nuovo premier, quelle differenze saranno appianate in un secondo.
Francesco De Palo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 13th, 2015 Riccardo Fucile
“AVEVO UN PIANO DIVERSO DOPO IL NO AL REFERENDUM, MA ALEXIS HA PREFERITO FARE NUOVE CONCESSIONI”
La notte in cui in Piazza Syntagma sventolavano le bandiere del “No”, dopo la vittoria al
referendum, si è consumata la frattura definitiva tra Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis.
È l’ex ministro delle Finanze ellenico, in una intervista a New Statesman, a raccontare il retroscena di quelle ultime ore delicate.
All’origine della rottura tra il premier e il ministro ci sarebbe stata una diversa visione sul da farsi dopo il responso delle urne.
Varoufakis, all’indomani della chiusura forzata delle banche, aveva in mente un piano: mettere in atto tre misure shock per fare pressione sui partner europei.
Una sorta di minaccia simulata di Grexit per convincere i creditori a tornare al tavolo perchè, ha spiegato Varoufakis, “solo rendendo la Grexit possibile avremmo potuto negoziare un accordo migliore”.
Una mossa di rottura non condivisa però da Tsipras e dalla maggioranza di Syriza.
“Emettere i cosiddetti IOU (promesse di pagamento, l’equivalente di buoni di credito ndr), tagliare il rimborso dei bond detenuti dalla Bce, riprendere controllo della Banca di Grecia sottraendolo a quello della Bce”.
Queste, spiega Varoufakis, le tre proposte che la Grecia avrebbe dovuto mettere in atto una volta, tanto più alla luce del no dei cittadini greci.
Le ore immediatamente successive al voto, il gabinetto ristretto di Syriza, riunito per decidere le mosse successive, ha però bocciato 4 a 2 il “piano Varoufakis”.
Una volta sconfitto in quella sede, l’addio al governo è parso così inevitabile.
“Quella notte – rileva l’ex ministro – è stato deciso che il fragoroso No del popolo greco non sarebbe stata la spinta decisiva per il mio piano, ma anzi avrebbe dovuto condurre ulteriori concessioni: l’incontro con gli altri leader politici in cui il nostro primo ministro ha accettato il fatto che qualsiasi fosse stata la posizione dei creditori lui non li avrebbe sfidati. E ciò avrebbe significato cedere, smette di negoziare”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 13th, 2015 Riccardo Fucile
SULLA STAMPA INTERNAZIONALE DURE ACCUSE AL CINISMO TEDESCO: “GIOCO ATROCE DELLA MERKEL” TITOLA LO SPIEGEL
Germania sotto accusa per il trattamento «umiliante» inferto alla Grecia .
I media europei sono critici nei confronti dell’atteggiamento durissimo assunto dalla coppia Merkel-Schaeuble nei confronti di Atene prima durante l’Eurogruppo dei ministri delle Finanze e poi nel vertice dei leader.
E Berlino finisce nel mirino anche di Twitter.
«L’Europa si vendica di Tsipras», è il titolo scelto dal quotidiano inglese The Guardian per il giornale in edicola lunedì.
«A che gioco sta giocando la Germania?», si chiede invece in prima il francese Liberation sullo sfondo di una foto di Angela Merkel.
Mentre il tedesco Spiegel, sul suo sito, parla di «catalogo di atrocità » in riferimento alle misure invocate dai ministri delle Finanze dell’Eurozona.
«È un’umiliazione voluta della Grecia», scrive ancora lo Spiegel.
#TspirasLeaveEUSummit (“Tsipras abbandona il vertice”) e #ThisIsACoup (“Questo è un colpo di Stato”) sono i due hashtag che stanno spopolando in queste ore tra gli utenti greci (e non solo) su Twitter. #ThisIsACoup è addirittura il secondo hashtag più ritwittato al mondo.
Durissima la condanna anche del premio Nobel per l’Economia Paul Krugman, che sul New York Times scrive: le richieste avanzate dall’Eurogruppo alla Grecia sono una «follia vendicativa», una «completa distruzione della sovranità nazionale» e «un grottesco tradimento di tutto quello che significa il progetto europeo».
«Il progetto europeo, che ho sempre elogiato e sostenuto, ha appena ricevuto un colpo terribile, forse fatale – osserva Krugman -. E qualunque cosa voi pensiate di Syriza o della Grecia, non sono stati i greci a darlo».
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 13th, 2015 Riccardo Fucile
C’E’ CHI ANCORA RIESCE A REGALARCI UNA FAVOLA
Da Cuneo a Loano, dalle montagne al mare, sbattendo le ali con una fatica infinita, seguendo per
sei ore una invisibile traccia nel cielo.
Invisibile agli umani, perchè il gabbiano Jonathan quella traccia la vedeva eccome. E l’ha riportato diritto a casa, dal suo amico bagnino. Come in una favola.
La storia di Jonathan e Valerio inizia un anno fa, di questi tempi .
Il bagnino accoglie in casa propria un cucciolo di gabbiano, lo alleva come un papà amorevole, fino a diventare il suo amico “per le piume” e lo porta con sè sul trespolo della spiaggia dove lavora.
Trascorrono l’estate insieme ai bagni “Istituto San Giuseppe – Suore d’Ivrea”. Insieme in mare, insieme sul trespolo, insieme in ogni momento della giornata.
Poi arriva l’inverno, Valerio Tovano, cinquant’anni, decide di accogliere sul terrazzo di casa il giovane gabbiano.
Jonathan durante il giorno vola tra i suoi simili ma alla sera torna sempre a casa. Di recente, però, Valerio decide di trasferire Jonathan al centro di recupero per animali selvatici di Bernezzo, in provincia di Cuneo.
Per questioni di sicurezza, perchè non a tutti va bene che un gabbiano viva a così stretto contatto con gli esseri umani.
«Quest’inverno — racconta Valerio — Jonathan ha avuto una disavventura: è stato avvelenato. Per fortuna lo abbiamo soccorso in tempo. È stato in convalescenza per tre giorni. Lo tenevo nella cesta in cui è cresciuto. Dormivo accanto a lui sul divano. Il quarto giorno ha dato segni di miglioramento, ma non si è mai ripreso del tutto. Non si muoveva bene e il volo non era regolare come prima. L’ho riportato in spiaggia. È volato via. Non si è fatto vedere per otto giorni e ho pensato fosse andato a morire da qualche parte. Ma poi è tornato a cercarmi. Credo che quello che gli è successo ci abbia unito ancora di più».
Nonostante il legame, però, Valerio ha deciso di trasferire l’animale nel centro di accoglienza per animali: qui gli specialisti si sarebbero presi cura di lui e sarebbe stato al sicuro da altre brutte avventure.
«Al centro — racconta Valerio — i responsabili gli hanno accorciato le piume per impedirgli di volare, dato che la struttura non dispone di voliere nè di gabbie. In teoria, quindi, Jonathan non era in grado di scappare dal centro».
E invece ecco la sorpresa: dopo qualche giorno di separazione, Valerio si è ritrovato Jonathan davanti casa.
Alle dieci e mezza del mattino il gabbiano è scappato dal centro e alle quattro e mezza del pomeriggio era di nuovo in Riviera.
«Non potevo crederci — confessa Valerio — La sola frase che mi è uscita è stata: “Tu che ci fai qui?”.
Nemmeno il responsabile del centro ci credeva». Passata la sorpresa, Valerio ha riportato il suo amico alato in Piemonte: «L’ho portato via per la sua e la mia sicurezza — spiega — Ora sta bene. Per un po’ non potrà volare affatto, dato che gli hanno accorciato ulteriormente le piume, ma almeno avrà la possibilità di socializzare con i suoi simili. Entro novembre dovrebbe aver completato la muta e allora potrà spiccare di nuovo il volo. Spero potrà trovare una compagna e formare una famiglia». E Valerio?
«A fine stagione andrò a trovarlo senza farmi vedere. Mi manca molto, ma per il suo bene è giusto così. Ora potrà davvero volare libero, perchè lui è uno spirito libero. Fare il bagno e giocare insieme è stato fantastico. Io lo ricorderò per sempre».
Luca Berto
(da “il Secolo XIX“)
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Luglio 13th, 2015 Riccardo Fucile
A SEI ANNI DAL SISMA TRA RITARDI NEI PAGAMENTI DA PARTE DELLO STATO, APPALTATORI FALLITI E C.A.S.E. DI BERLUSCONI IN VIA DI DEMOLIZIONE
Aquila giace ancora in sala operatoria. Intubata da ogni parte, sorretta da ponti di acciaio, fili, pannelli di calcestruzzo e polvere.
Fratturata non più dal terremoto, lontano ormai, in quel drammatico aprile del 2009, ma dalle sue stesse ricuciture.
Ci sono stradine, come via del Falco, equamente divise a metà : da una parte, facciate belle e lisce, appena levigate e rimesse a nuovo, dall’altro lato della strada palazzi dimessi, puntellati come alberi morenti.
In via Roma è lo stesso: scendendo lungo uno degli assi che formano la croce centrale della città -l’altro è corso Vittorio Emanuele — sulla destra si staglia il colore arancione e lindo del palazzo fresco di nuovo.
A sinistra, invece, solo lo spigolo del Rettorato, che sembrava stesse per gettarsi sulla strada e ora è come incollato al resto dell’edificio, offre la sensazione di un intervento. Per il resto è una linea continua di sassi vecchi accartocciati sulle porte, di insegne divelte e di ponteggi, tanti ponteggi.
Addobbata dai tubi innocenti
L’Aquila è la città più transennata d’Italia. I tubi innocenti, quasi tutti costruiti dalla Marcegaglia — ogni giunto costa 30 euro e ce ne sono a centinaia di migliaia — costituiscono l’arredo urbano che si staglia sotto il sole di luglio.
Avvolgono il Convitto, opera rimasta sospesa e immobile, al centro del quadrivio, subito dietro la grande e bella piazza inagibile, risparmiano il palazzo comunale che è puntellato da ponteggi in legno, sbarrano l’accesso alle vie laterali dove il tempo sembra sospeso. Addobbano la chiesa dei Gesuiti e sovrastano via San Martino, all’imbocco del quartiere, solo e silenzioso, di San Pietro, abbandonata da un’impresa che è fallita.
L’ennesimo paradosso dell’Aquila, il più grande cantiere d’Europa che incuba perdita di posti di lavoro, chiusura e fallimenti di imprese, vertenze giudiziarie che vengono via come le ciliegie.
La scuola elementare De Amicis, subito accanto alla bella basilica di San Bernardino, tirata a lucido e nuova, a dimostrazione che si può ricostruire, è l’emblema scelto dalla Fillea-Cgil, il sindacato degli edili, per denunciare la situazione del capoluogo abruzzese. Il cantiere è fermo da un anno, nonostante l’appalto da 10 milioni di euro e i 900 mila euro raccolti dal concerto (Amiche per l’Abruzzo , lo chiamarono) di Laura Pausini, Fiorella Mannoia, Gianna Nannini e Giorgia, tra le altre.
Solo pochi giorni fa l’impresa Mgm Spa che ha la sua sede a Latina — il cui amministratore è stato rimosso dopo l’arresto per frode, corruzione e turbativa d’asta — ha recintato il cantiere e strappato le erbacce sapendo della manifestazione di sabato.
Gli edili della Cgil, infatti, hanno rispolverato l’idea eretica di Danilo Dolci, “lo sciopero alla rovescia”, per attirare l’attenzione di stampa e istituzioni.
E così, davanti alla scuola dai ponteggi più eleganti del capoluogo — immancabilmente by Gruppo Marcegaglia — si sono radunati gli operai, con il caschetto giallo e gli attrezzi in vista per esibilire la voglia di lavoro. In mano cartelli a ostentare l’incredibile: “Sono stato licenziato due anni fa, non riesco a trovare un’altra occupazione. Chiediamo lavoro!”.
Buffo, il lavoro edile qui non dovrebbe mancare, eppure non è così.
“Dal 2008 al 2014, spiega Silvio Amicucci, segretario regionale Fillea, gli iscritti alla Cassa edile — l’ente di solidarietà e assistenza degli edili, ndr. — nella regione sono passati dal circa 23 mila a 18.500”.
Lo stesso per il numero di ore lavorate sceso da 21,7 milioni del 2008 ai 14,7 del 2014. L’agonia riguarda anche le imprese che sono passate da 4 .642 a 3.434.
Un tonfo clamoroso fatto di fallimenti, chiusure e lavoratori disoccupati.
“Nei nostri uffici — spiegano il segretario aquilano, Emanuele Varrocchi — abbiamo calcolato una media di 5 vertenze alla settimana. Vertenze che si concludono con una conciliazione, quindi fondate”.
Dal 2009 sono più di un migliaio. Con questi dati si entra nel vivo del problema sollevato dallo sciopero ispirato a Danilo Dolci.
“Le aziende prendono gli appalti — spiega Cristina Santelli, anch’essa della Fillea — ma spesso non hanno la forza e la solidità per sostenere il ritardo dei pagamenti pubblici. E così, dopo i primi ritardi, chiudono e i lavori si fermano”.
Ad alimentare questo circolo perverso sono state finora grandi aziende, alcune molto rilevanti.
La Mazzi di Verona, ad esempio, ha lasciato ferma la ristrutturazione del Convitto, la Taddei, che occupa circa cento dipendenti, è fallita abandonando buona parte del quartiere dietro via Roma.
La stessa Taddei figura tra le imprese che hanno vinto l’appalto da 150 milioni per la costruzione della Smart City, la città intelligente, dove i servizi idrici, elettrici e del gas passeranno sotto il tunnel.
Solo che anche in questo caso sono già scattati i primi avvisi di garanzia per turbativa d’asta recapitati al presidente dell’Ance aquilana (l’associazione dei costruttori), Gianni Frattale, a Danilo Taddei dell’impresa omonima ma anche al presidente dell’altra società appaltante, la ravennate Amcar, Alfredo Zaccaria.
Tornano i pilastri del sistema degli appalti in Italia, il malaffare, la corruzione e il relativo spreco da essi prodotto.
Il problema resta la mancanza di fondi
Il meccanismo della ricostruzione sembra sia un affare imponente per l’esile struttura burocratica italiana.
Il sindaco accusa i Beni culturali e le lungaggini degli uffici di passaggio. Nel sindacato non vengono però sottaciute le responsabilità del Comune quando si tratta di facilitare i pagamenti alle imprese.
Ma, soprattutto, e a monte, c’è un problema di soldi.
L’Ufficio speciale per la ricostruzione dei comuni del cratere (Usrc) voluto dall’allora ministro Fabrizio Barca — che ha rimesso in ordine la legislazione ordinaria dopo la fase emergenziale gestita dal governo Berlusconi — monitora e coordina la ricostruzione privata, assegnando i fondi ai cittadini, o ai consorzi che si vanno formando, per poi effettuare i lavori.
L’Usrc va molto fiero della propria efficienza vantando velocità e precisione nell’assegnazione dei contributi alle opere.
È appena uscito l’undicesimo elenco (la lista in cui sono dettagliati gli interventi da fare) con un finanziamento, deliberato dal Cipe, di circa 800 milioni. Ma il decimo elenco, uscito nell’agosto del 2014, ha visto l’attribuzione dei fondi solo venti giorni fa.
Il caso delle scuole è emblematico: come riporta l’Usrc, su 136 milioni di risorse complessive, da maggio 2014 sono stati approvati interventi per 52 milioni di euro, immediatamente cantierabili, trasferendo contributi agli enti attuatori per 18 milioni, il 15% del totale.
In ogni caso, si sta parlando di una quota ancora molto marginale di interventi di ristrutturazione.
Una fetta rilevantissima di risorse se n’è andata per le famose C.A.S.E. costruite da Silvio Berlusconi di cui però si inizia a parlare seriamente di demolizione, almeno parziale, perchè sono fatiscenti e in alcuni casi sono state anche evacuate.
Salvatore Cannavo’
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 13th, 2015 Riccardo Fucile
“L’AUSTERITA’ E’ UNA MAESTRA TEDESCA”…”NON SONO LE MASSE A FARE LA STORIA, MA LE PERSONALITA'”
«Coscienti o meno, stiamo andando verso un’Europa delle Nazioni, orientata dagli egoismi
nazionali. La migliore prova di questa tendenza è stata il comportamento degli Stati europei di fronte al problema dei rifugiati. Not in my backyard , non nel mio cortile, questa è la posizione di molti Paesi membri, Francia compresa, riguardo ai migranti. La nozione di solidarietà è estranea al dibattito di questi giorni. Questa è l’Europa delle Nazioni».
Apolide alla nascita in Francia nel 1945, tedesco a 14 anni, francese a 70 (dal 22 maggio scorso), Daniel Cohn-Bendit è uno di quegli europei che l’Europa ha davvero provato a farla, sulle barricate nel maggio ’68 e da leader ecologista sui banchi del Parlamento di Strasburgo.
In «Per l’Europa! Manifesto per una rivoluzione unitaria» (Mondadori), scritto assieme al liberale belga Guy Verhofstadt, Cohn-Bendit tre anni fa cercava di dare una scossa federalista. Oggi guarda deluso le sue capitali, Parigi e Berlino, dividersi sulla Grecia e quindi sul futuro del continente
Come spiega la rigidità della Germania verso la Grecia? Cosa c’è nella storia tedesca che porta a questa chiusura?
«Oggi la politica tedesca è tutta rivolta all’opinione pubblica, che è a sua volta concentrata sugli interessi della Germania. Una politica contabile ispirata a una ideologia rigida: solo risanando i conti pubblici l’economia può funzionare, e il prezzo di questo risanamento va pagato».
Ma perchè accade questo?
«Ci sono sicuramente delle ragioni storiche, la Germania del dopoguerra si è costruita sul Deutsche Mark, su una moneta forte, simbolo della sua rinascita. Ma se siamo arrivati fino a questo punto credo ci siano anche banalmente delle ragioni psicologiche, personali. I politici si comportano come dei bambini. “Ha cominciato lui, no lui, tu mi hai insultato, no sei stato tu”. Quel che i responsabili greci non hanno capito è che attaccando il ministro delle Finanze Schà¤uble hanno ottenuto l’effetto di mobilitare una parte dell’opinione pubblica tedesca contro di loro. C’è una parte di voglia di rivincita, il desiderio di dare una lezione, nella durezza e nella cattiveria della posizione del ministro Schà¤uble. “C’è un problema di fiducia”, dice, ma che vuol dire? Chi deve avere fiducia in chi? I francesi non hanno fiducia nei tedeschi quando si tratta, per esempio, di battersi contro l’integralismo islamico o contro l’Isis o quando si inviano truppe in Mali. Ogni Paese può dire ormai “non ho fiducia” in un altro Paese su un dato argomento».
Perchè la Francia è così vicina alla Grecia in questo momento, a costo di mettere alla prova l’asse franco-tedesco?
«Anche Franà§ois Hollande ha delle ragioni di politica interna. L’opinione pubblica francese è molto più filo-ellenica di quella tedesca».
Da cosa dipende questa differenza nelle opinioni pubbliche di Francia e Germania?
«Intanto prendere in contropiede la Germania piace molto a una parte dell’opinione pubblica francese, poi c’è da sempre in Francia questo lato di solidarietà con il più debole. La questione che si pone oggi è: Hollande, Renzi, Rajoy, Merkel e gli altri possono avere una visione storica, o una visione contabile? Se prevarrà una visione puramente contabile siamo perduti».
Renzi ha appena ripetuto appunto che l’Europa non può ridursi a una questione di conti e burocrazia.
«Ma allora Renzi si batta assieme a Hollande e Juncker, lotti duramente durante le riunioni. Negli incontri dei ministri delle Finanze l’Italia finora non ha fatto sentire abbastanza la sua voce».
Se la Germania è così severa, è perchè punendo la Grecia vuole educare Francia e Italia?
«È quel che sostiene Varoufakis nell’intervento che ha scritto per il Guardian . Il tono è sbagliato ma l’analisi giusta: Schà¤uble vuole dare un esempio a tutti, perchè i mercati sappiano che l’euro è una moneta forte, che l’Europa non ha paura di amputare un dito andato in cancrena affinchè la mano resista».
Così com’è l’Europa non funziona, è ormai evidente. Questa crisi potrà essere trasformata in un’occasione di rilancio?
«Mi pare molto difficile. Guardiamo per esempio ai finlandesi, che hanno nel governo il partito dei “veri finlandesi”, l’equivalente della Lega italiana. Come possiamo fare una nuova Europa se al governo ci sono partiti simili alla Lega? In momenti storici di questa gravità ci servirebbero uno Schumann, un de Gasperi, dei politici che in nome di un’idea e una visione dell’Europa fossero capaci di guidare i loro popoli. Ma se restiamo al rimorchio dei popoli… Queste occasioni dimostrano che la vecchia teoria della sinistra, cioè che sono le masse a fare la Storia, non regge. Sono le personalità che fanno la Storia, e se queste non sono all’altezza, i popoli sono destinati a mancare l’appuntamento».
Anche i capi di Stato che denunciano regolarmente i pericoli del populismo ne sono ormai condizionati?
«Esattamente. Hanno paura, vogliono guadagnare due punti nei sondaggi, Merkel non vuole irritare i contribuenti tedeschi, Hollande vuole posizionarsi per le prossime elezioni. Tutti hanno un’agenda nazionale. Solo questo conta».
Stefano Montefiori
(da “il Corriere della Sera“)
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