Aprile 1st, 2016 Riccardo Fucile
I TIMORI DEL MINISTRO, LA PAURA DELL’INCHIESTA: MA IL GOVERNO SAPEVA QUALCOSA?
Federica Guidi aveva il timore delle conseguenze politiche della sua azione a favore di Gianluca Gemelli.
Lo si evince dalle telefonate dell’ex ministro dello Sviluppo economico con il compagno, colloqui in cui Gemelli “rimproverava al ministro di non avergli dato il supporto richiesto”, ma anche altri in cui i due sembrano sapere dell’inchiesta a carico di Gemelli e fanno riferimento alle possibili “conseguenze politiche indirette” per il ministro.
Intercettazioni che risalgono a gennaio scorso e che non chiariscono se il Governo fosse a conoscenza dei timori di Federica Guidi e del possibile conflitto di interessi in capo alla sua persona.
“Sta circolando corrispondenza interna, dove si dice che la persona interverrà a nostro favore verso Total”. La ‘persona’ in questione è l’ormai ex ministro Federica Guidi e a parlare del suo interessamento verso l’azienda petrolifera per la questione di Tempa Rossa è uno dei protagonisti della vicenda, Franco Broggi, dirigente di Tecnimont, la società che ha concesso in subappalto dei lavori per 2,5 milioni al compagno del ministro, Gianluca Gemelli. Broggi fa riferimento ad un incontro tra Guidi e uno dei rappresentanti dell’azienda; un incontro fondamentale per lo stesso Broggi visto che giorni prima, in una telefonata intercettata proprio con Gemelli – in cui quest’ultimo era interessato ad un affare nel quale il dirigente avrebbe potuto intervenire – diceva al compagno del ministro: “si non ti preoccupare, tu fai. Se c’è quell’incontro a breve, tra chi tu sai e chi tu sai…tutto si fa nella vita”.
Gemelli rispondeva così: “tu sei un mafioso siciliano”.
Di quell’incontro, però, il compagno del ministro afferma di non aver saputo nulla visto che quando Broggi gli racconta l’esito, rimane sorpreso.
“Io di sto fatto dell’incontro, quella…non me l’ha detto”.
Il tema dell’interessamento del ministro sulla vicenda torna in diverse telefonate tra la stessa Guidi e il compagno, riportate nelle informative agli atti dell’inchiesta di Potenza.
Gli investigatori annotano ad esempio due telefonate nelle quali Gemelli “rimproverava al ministro di non avergli dato il supporto richiesto”, “di non averlo agevolato in generale nella conclusione dei suoi affari” e di “non avergli procurato contatti utili in riferimento ai risultati non positivi che la Guidi aveva ottenuto in occasione di un incontro a Torino”.
‘NON DEVONO ESSERCI DANNI’
Altre due telefonate significative tra Guidi e il compagno sono quelle del 22/23 gennaio 2015.
I due sembrano sapere dell’inchiesta e affrontano la questione dei “problemi – scrivono gli investigatori – cui si era esposto il Gemelli proprio in relazione agli affari intrapresi a Corleto e alle possibili indagini che lo avrebbero riguardato”.
Sia il ministro sia il compagno fanno “espliciti riferimenti al probabile coinvolgimento del Gemelli in una certa vicenda ed alla possibilità di conseguenze politiche indirette anche per lo stesso ministro”.
Ad un certo punto Guidi dice al compagno: “non ci devono essere danni per entrambi”. Il giorno successivo è ancora Guidi a chiedere se Gemelli “stesse andando ad acquisire notizie sulla vicenda” e ad informarsi su eventuali assunzioni: “hai preso gente del posto?”.
Gemelli risponde di si e poi aggiunge: “comunque la cosa su cui devi stare più che tranquilla è che è tutto ipertrasparente, tutto antecedente, quindi non…cioè tu mi hai detto ‘non lo trovo una cosa seria farlo’ e basta, e io non la faccio stop'”.
A quel punto il ministro stoppava la conversazione: “però adesso basta dai…non stiamo qui a parlarne adesso”.
‘A ME BRUCIA L’ORECCHIO’
La paura delle intercettazioni torna una settimana dopo, ma stavolta è Gemelli a mostrarsi preoccupato.
Guidi racconta dei problemi “per quella roba lì su Total e Tecnimont’, facendo esplicito riferimento ad un colloquio richiestole da entrambe le aziende e di una lettera formale nella quale Tecnimont chiede di tutelarla di fronte a Total, in quanto azienda italiana.
“Non mi interessano queste cose qua – risponde Gemelli – io già sto facendo che non lavoro dove ci sei tu, basta, non me le raccontare, non mi interessano, punto, basta…non ne voglio sapere proprio, non so come dirtelo”. Il ministro sembra non capire: “ma sei normale, oppure ogni tanto ti…?”.
Nella successiva telefonata allora Gemelli è più esplicito. Appena lei nomina Tecnimont, infatti, reagisce così: “a me mi brucia l’orecchio con il telefono!”
FACCIAMO UN PO DI SHOW
il 28 ottobre del 2014, pochi giorni prima del convegno a Roma in cui ha invitato i vertici di Total e Tecnimont, Gemelli chiama la compagna. “Allora guarda che io vengo al convegno…ho inviato anche il numero due di Total, l’ho fatto invitare… e me lo faccio sedere vicino così facciamo un pò di show”.
Il convegno va benissimo tanto che Gemelli se ne vanta con il suo socio, Salvatore Lanzieri. “C’erano questi qua di Total…ringraziamenti, alliccamenti che non ti dico, questi ce li abbiamo, ce li abbiamo, cioè secondo me abbiamo un rapporto molto forte, il rapporto è buono hai capito?”.
E in un’altra telefonata, sempre con Lanzieri: “dai che sta andando come volevano noi, perfetto!…gioia mi pare che stiamo andando nella direzione giusta dai!…”.
‘LA DOLCE META’ E LA SHELL”
Guidi, stando a quanto rivela il compagno in una telefonata con l’imprenditore Pasquale Criscuolo, avrebbe interceduto per lui anche nei confronti della Shell. “Mi ha appena chiamato la mia dolce metà – dice Gemelli – mi diceva che è stata a colloquio con Brun (Marco Brun, Ad di Shell Italia, ndr)…e gli ha parlato di te…mi dice muoviti con Brun attraverso Pasquale…quindi se riusciamo ad organizzare un appuntamento per la prossima settimana ci andiamo a trovarlo”.
Più tardi Gemelli gli invia un sms: “se riesci fagli capire anche chi sono”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 1st, 2016 Riccardo Fucile
“BISOGNA PASSARE A UN SISTEMA MISTO: ASSISTENZA GRATUITA SOLO A CHI E’ DAVVERO INDIGENTE”
La Sanità come le pensioni? 
In un Paese sempre più vecchio e che cresce poco, un ripensamento del Servizio sanitario nazionale «sarebbe opportuno», dice Federico Spandonaro, docente di Economia sanitaria all’Università di Roma Tor Vergata.
Che avverte: «Bisogna fare molta attenzione: anche nel passaggio al sistema contributivo le pensioni Inps si sono ridotte, ma i sistemi complementari, in un momento di scarsa crescita finanziaria, non hanno fatto faville…».
Come si può intervenire nella sanità ?
«La cosa più equa sarebbe avere una redistribuzione della spesa sanitaria tra pubblico e privato. Dal punto di vista del cittadino è meglio pagarsi le 10-20 euro della scatola dell’antibiotico che serve a curare una bronchite (tanto più che circa il 28% della spesa sanitaria farmaceutica è per scatole che costano meno di 5 euro) ma avere dal sistema sanitario i 30 mila euro del farmaco quando si ha un problema serio. Questo però si scontra con un problema tipicamente italiano».
Quale?
«Tutto questo funziona bene se si ha un sistema fiscale che funziona altrettanto bene. Chi è davvero indigente dovrebbe avere tutte le prestazioni assicurate dal pubblico, gli altri potrebbero pagarsi una parte delle terapie. Il problema che non sempre si capisce dove sta la vera indigenza. In questo momento in Italia abbiamo esenzioni che sono ridicole da un punto di vista sociale: una persona dal reddito medio-alto se è iperteso ha diritto ad avere gratuitamente il beta-bloccante, che costa meno di 20 euro al mese. Mi chiedo: ha ancora senso assicurare con fondi pubblici cose del genere?».
L’ultimo rapporto dell’Aifa segnala che l’anno scorso abbiamo «sforato» il budget per la spesa farmaceutica per 1,7 miliardi. Come se ne esce?
«Ci sono due strade, ma sono poco praticabili. Se il nostro Pil crescesse di almeno il 2% l’anno i fondi ci sarebbero. Inoltre, ci sarebbe spazio per abbassare i prezzi dei farmaci più innovativi. La sensazione è che i prezzi non siano più giustificati dai costi della ricerca quanto da aspetti legati alla finanza: avere un farmaco ad alto costo contribuisce al valore dei titoli delle società farmaceutiche in Borsa. Non si può dimostrare, ma il sospetto c’è nel caso di farmaci come quelli per l’Epatite C. Come si vede, l’unico sistema è rimodulare la spesa tra pubblico e privato».
Ci sono modelli in altri Paesi a cui possiamo ispirarci per ridisegnare la sanità risparmiando?
«Direi di no, noi spendiamo un 30% in meno dei 14 principali Paesi Ue dove ci sono sistemi mutualistici. Là si spende di più, non per via di sprechi ma perchè vengono erogati servizi superiori ai nostri».
Noi invece spendiamo meno e abbiamo sempre di meno?
«Se si guardano le statistiche Eurostat sui cittadini che dichiarano di avere problemi di salute di lunga durata, dieci anni fa l’Italia stava messa molto meglio del resto d’Europa. Ora – nonostante siamo favoriti dalla dieta e dal clima – ci stiamo allineando ai Paesi del Nord».
Riterrebbe utile importare il sistema americano in Italia?
«Spero che non accada: la quota pubblica è talmente bassa che le disparità sono enormi. La suddivisione tra risorse pubbliche e private è del 50%. Non pensiamo però che in Italia la spesa sia completamente statale. Siamo al 70% di pubblico e al 30% di privato».
Che cosa non funziona, allora?
«Il punto è che in Italia, oggi, la spesa privata serve più che altro a saltare le liste d’attesa e coprire altre inefficienze. Servirebbe un sistema con una spesa meglio ridistribuita. Se chi ha maggiori disponibilità economiche avesse una sanità integrativa con strutture dedicate in cui lo Stato partecipasse solo in parte, questo sgraverebbe le liste d’attesa negli ospedali pubblici e creerebbe davvero un sistema complementare. La spesa prima ancora che cambiata, va riqualificata».
Francesco Spini
(da “La Stampa”)
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Aprile 1st, 2016 Riccardo Fucile
NEGLI OSPEDALI IL 50% DEI MACCHINARI E’ OBSOLETO… E SPENDIAMO 1 MILIARDO IN FARMACI GRIFFATI
I nuovi macchinari per la radioterapia che riescono a colpire con precisione chirurgica le cellule tumorali al punto da poter fare a meno del bisturi costano dai 2 ai 6 milioni di euro.
Restano un miraggio per gli ospedali d’Italia, dove la metà dei macchinari è obsoleta. Da Oltreoceano stanno sbarcando le super-pillole contro Aids, tumori, Alzheimer e altri gravi malattie. Il costo medio è di 100 mila euro a ciclo terapeutico.
Troppi per poterli garantire a tutti quelli che ne hanno bisogno.
E poi c’è una popolazione che invecchia ma mica tanto bene se, come afferma la relazione sullo stato sanitario del Paese, gli anni di disabilità che ci attendono sono ben 16. Ed anche questi sono costi.
Dopo aver fatto i conti con l’emergenza pensioni, per l’Italia sembra giunto il momento di mettere mano alla questione sanità .
«La selezione è già in atto non solo per i farmaci ma anche nella chirurgia. Nell’efficiente Lombardia abbiamo liste d’attesa di nove mesi perchè non ci sono soldi nè per i dispositivi chirurgici, nè per pagare gli anestesisti» dice Francesco Longo, economista sanitario della Bocconi, che di vie di uscita ne vede una sola: «Portare il livello di finanziamento al livello dei Paesi europei con i quali dovremmo confrontarci».
Come la Germania, dove la spesa sanitaria pubblica è di 2500 euro a cittadino contro i nostri 1800.
Di miliardi in più, secondo l’economista, ne occorrerebbero 10.
Di sicuro con una sanità integrativa ferma al palo e un sistema di ticket che esenta oltre la metà della popolazione i 111 miliardi di oggi sembrano non bastare più.
Se n’è accorta la Corte dei Conti, che vede nel 2015 un rosso da un miliardo nei conti della sanità , dopo anni di tenuta a suon di addizionali Irpef regionali.
E vede rosso anche l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco che indica in un miliardo e 700 milioni lo sforamento della spesa farmaceutica ospedaliera, quella dove finiscono i medicinali più innovativi e costosi.
E se il piatto piange oggi figuriamoci domani quando i super-farmaci saranno molti di più.
Bisognerebbe risparmiare sui medicinali più datati, quelli con il brevetto scaduto venduti come generici. Ma sarà la potenza del marketing farmaceutico o la diffidenza degli italiani, da noi il farmaco griffato la fa ancora da padrone.
Tant’è che in un anno abbiamo speso di tasca nostra quasi un miliardo di euro per pagare la differenza di prezzo tra il generico e la pillola «di marca», pur di restare fedeli a quest’ultima.
Contraddizioni che ritroviamo anche nel pianeta ospedali, dove si preferiscono spendere soldi per centinaia di reparti con più medici che pazienti, come dimostrano i rapporti dell’Agenas (l’Agenzia per i servizi sanitari regionali), piuttosto che acquistare tecnologia.
Le apparecchiature diagnostiche obsolete sono 6400, con il 72% dei mammografi e il 76% dei sistemi radiografici datati più di 10 anni, racconta un recente rapporto di Assobiomedica.
Del resto basta vedere la storia dei «chirurghi robot». Sbandierati come la nuova frontiera della chirurgia e capaci di abbattere la percentuale di errore, restano fuori dalla sale operatorie, se non per interventi a pagamento, visto che le tariffe di rimborso agli ospedali non tengono conto dei 9mila euro in media di costo aggiuntivo.
E non è che nel territorio le cose vadano meglio.
Secondo la Bocconi dei 2 milioni e mezzo di disabili, l’80% si arrangia da sè in assenza di assistenza domiciliare.
Scricchiolii sinistri di un pezzo del nostro welfare che continuiamo a chiamare universalistico ma che è già diventato selettivo.
A discapito dei più deboli.
Paolo Russo
(da “La Stampa”)
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Aprile 1st, 2016 Riccardo Fucile
IL WELFARE SANITARIO STA DIVENTANDO INSOSTENIBILE: ECCO PER QUALI RAGIONI
C’è una bomba sociale nel futuro degli italiani. Non è eventuale, come quella del terrorismo, perchè lo
scoppio è, purtroppo, inevitabile.
Non è percepita nella sua gravità , come quella dell’immigrazione, esasperata per motivi elettorali da una politica che, invece, preferisce ignorarla.
Ma è quella che rischia di sconvolgere di più l’esistenza di tanti nostri cittadini e delle loro famiglie: l’impossibilità , per i prossimi decenni, di assicurare a tutti la Sanità pubblica.
In tutto il mondo, il giudizio sull’assistenza che il nostro Stato fornisce a chi si ammala è molto positivo.
È vero, infatti, che la riforma del 1978, quella che istituì il Servizio sanitario nazionale, è tuttora un modello invidiato da molte nazioni, ma, con il passare del tempo, il rispetto del dettato costituzionale che prescrive il diritto alle cure per tutti i cittadini è rimasto sulla carta.
In concreto, già oggi è ormai largamente disatteso.
In futuro, sarà una garanzia inattuabile.
I motivi sono molteplici, ma, tutti insieme, costringeranno a prendere atto dell’insostenibilità di un sistema di welfare sanitario che si fondava su una situazione demografica, economica, sociale molto diversa dall’attuale.
I numeri non sono opinioni e le previsioni della demografia sono più attendibili di quelle meteorologiche.
Alla fine degli Anni 70 del secolo scorso, una grande moltitudine di giovani, nati nell’epoca del baby-boom, con il loro lavoro prevalentemente a tempo indeterminato e, quindi, con i loro contributi, poteva assicurare a un numero abbastanza ridotto di nonni e di genitori un futuro garantito da pensioni e cure sanitarie.
Quel futuro, purtroppo, non era molto lungo, perchè le aspettative di vita erano minori, i progressi della medicina non così promettenti, le condizioni economiche peggiori.
Ora le prospettive sono totalmente differenti: pochi giovani, in larga parte con occupazioni precarie, chiamiamole pure «flessibili» per pudore linguistico, dovranno mantenere generazioni numerosissime, longeve, per fortuna, ma costrette a lamentare quei tanti acciacchi che l’età comunque non risparmia.
È dunque inevitabile che i costi dell’attuale sistema sanitario siano destinati a un fragoroso e doloroso scoppio.
Non sono solo demografi ed economisti, però, ad accendere le micce a questa bomba.
Due sciagurate decisioni, a cavallo del secolo, hanno peggiorato ulteriormente la situazione.
Dal 1999, una serie di sentenze hanno fatto nascere in Italia un tale contenzioso giudiziario nel settore delle sanità da provocare la nascita della cosiddetta «medicina difensiva».
Sono circa 300 mila, infatti, le cause pendenti nei confronti dei medici, per un costo stimato di 10-14 miliardi di euro, cioè quasi il 10% del fondo sanitario nazionale.
L’ovvio risultato è quello di un aggravio sensibile sia sul sistema giudiziario italiano, considerato, poi, che il 97 % dei procedimenti si conclude con un proscioglimento, sia sui costi di quello sanitario, perchè non c’è argine alla valanga di cure, medicine, esami diagnostici non necessari, ma utili per evitare denunce che nascono dalla falsa convinzione, ormai diffusa, che il «diritto alla cura» equivalga al «diritto alla guarigione».
Su questo fronte, bisogna dare atto che è stata approvata dalla Camera, e lo sarà pure dal Senato entro l’estate, una legge che modifica la normativa, in modo da assicurare ai malati una doverosa tutela e un doveroso risarcimento negli effettivi casi di «malasanità », ma che riduce i rischi di speculazione, le cosiddette «liti temerarie».
Come, d’altra parte, si è riconosciuta la pericolosità di restrizioni burocratiche, dettate puramente da esigenze finanziarie, al libero giudizio dei medici sulle necessità dei loro pazienti.
L’altra decisione, questa volta di natura politica, che ha reso di fatto inevaso il dettato costituzionale sul diritto dei cittadini alle cure è la pessima riforma federalista del 2004, quella che ha prodotto 21 modelli diversi di sistema sanitario sul territorio nazionale.
Si è prodotto un infernale circolo vizioso fondato sulla mancata eguaglianza degli italiani di fronte alla malattia.
Le regioni con una sanità di migliore livello attirano pazienti che arrivano dai territori più penalizzati. Con il risultato, non solo di maggiori disagi e costi per i malati «migranti», ma di impoverire sempre di più le regioni di provenienza, costrette a pagare rimborsi cospicui a quelle che hanno provveduto, in vece loro, alle cure dei loro corregionali.
Così le casse sanitarie più gonfie diventano sempre più ridenti, quelle più misere, sempre più piangenti.
Anche su questo federalismo «malato», per restare in tema, si sta cercando di porre qualche rimedio, perchè la riforma costituzionale che dovrà essere sottoposta a un prossimo referendum riduce le competenze delle Regioni nella sanità ai soli aspetti organizzativi e di programmazione, riservando al governo centrale il compito di stabilire gli indirizzi generali.
Così come la legge di stabilità dovrebbe garantire minori influenze politiche nella scelta dei direttori generali e dovrebbe porre un freno a quella scandalosa «gonfiatura» del personale amministrativo dovuta agli interessi clientelari ed elettorali dei partiti.
Provvedimenti, per carità , opportuni e che potranno essere utili a tamponare una situazione che si avvia al collasso e soprattutto che costringe molti italiani a rivolgersi o all’assistenza privata, per chi se lo può permettere, o a rinunciare, in molti casi, alle cure anche più necessarie.
Le lunghe, insopportabili, vergognose attese per una visita o per un intervento nei nostri ospedali pubblici sono la dimostrazione, più evidente e più clamorosa, che il modello della nostra sanità , concepito nel 1978, è ormai scaduto.
Luigi La Spina
(da “La Stampa”)
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Aprile 1st, 2016 Riccardo Fucile
NON SOLO GUIDI: DA LUPI ALLA BOSCHI, DALLA DE GIROLAMO ALLA CANCELLIERI, DA MASTELLA A DI PIETRO, DA BOSSI A FINI
Il leader politico ideale deve essere capace e onesto ma soprattutto single, senza prole, figlio unico e orfano: solo al mondo, senza affetti nè parenti, al massimo un cugino di terzo grado di cui, però, è meglio non possedere il numero di telefono.
Il catalogo di ministri e segretari e fino ai capicorrente inguaiati dai familiari comincia a farsi impegnativo, specie in questo governo che già ha perso Maurizio Lupi per un Rolex e un abito su misura promessi al primogenito da indagati poi ampiamente prosciolti.
Oltre ai figli ci sono i padri, e in particolare il babbo del premier Matteo Renzi e quello della ministra Maria Elena Boschi, uno sotto inchiesta per bancarotta e l’altro coinvolto nella caporetto di Banca Etruria.
Ora si fa gran speculazione sulle due vicende, un po’ per l’alto livello dell’obiettivo politico, un po’ perchè la disperazione degli investitori è materia molto maneggiabile; ma anche l’esecutivo precedente ha avuto le sue controversie domestiche: Nunzia De Girolamo si è dimessa da ministro dell’Agricoltura per la conduzione della Asl di Benevento, comprensiva di gestione del bar del Fatebenefratelli ottenuta da zio Franco, e Annamaria Cancellieri ha lasciato il ministero dell’Interno in seguito a una telefonata con mamma Ligresti, cara amica, a cui prometteva un’interessamento per la figlia Ligresti, appena arrestata, quando l’intera famiglia Ligresti era stata datrice di lavoro in Fondiaria Sai di Piergiorgio Peluso, a sua volta figlio della ministra.
Un groviglio. E lo spirito dimostrato da opposizione e mitica opinione pubblica ha i presupposti nella contestazione della colpa ontologica contestata al presidente, Enrico Letta, e cioè di essere nipote di Gianni, ambasciatore planetario del berlusconismo.
E fin qui parrebbero sciocchezze se paragonate alla caduta del governo di Romano Prodi, nel 2008, in ragione dell’arresto per tentata concussione di Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella ministro della Giustizia.
Altre indagini finite in fumi vari (e vari proscioglimenti), ma la rabbia di Mastella era soprattutto contro il collega Antonio Di Pietro che, affine alla magistratura, diciamo così, picchiava su questioni morali e altre consuetudini.
E sì che pure a Tonino era toccato di rispondere delle consulenze che la moglie ebbe da un indagato della procura milanese e persino della carriera politica del figlio, così brillante da concludersi nel consiglio regionale molisano.
Livello al quale si è conclusa, in Lombardia, la carriera di Renzo Bossi che ha contribuito al tramonto del padre con la presentazione di estrosi rimborsi spese: bibite, gomme da masticare, sigarette, patatine e – genio! – una macchinetta per individuare gli autovelox. Ma il capolavoro inarrivabile è di Gianfranco Fini che mollò la consorte Daniela Di Sotto per certi casini combinati nella sanità laziale; poi si fidanzò con Elisabetta Tulliani, la quale Elisabetta ha un fratello, Giancarlo, che sognava una casa a Montecarlo…
Mattia Feltri
(da “La Stampa“)
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Aprile 1st, 2016 Riccardo Fucile
L’EX SINDACO PD DI CORLETO PERTICARA AVEVA MESSO SU UN POTENTATO… “NOI SINDACI? SIAMO UN UFFICIO DI COLLOCAMENTO”
Aveva messo su un “potentato” nonostante fosse il sindaco di un paesino di poco più di 2500 abitanti
della Lucania.
Rosaria Vicino, 62 anni, ex sindaco Pd di Corleto Perticara, finita ai domiciliari nell’inchiesta che ha travolto il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, è un personaggio centrale nell’inchiesta.
È a lei che sono contestati la gran parte dei reati che si leggono nelle oltre 800 pagine dell’ordinanza firmata dal gip di Potenza Michela Tiziana Petrocelli.
Sì perchè la Vicino, abile a raccogliere e convogliare voti anche sugli esponenti del Pd candidati ed poi eletti al Parlamento europeo come Pittella, Paolucci e Picierno, incurante delle proteste del capo dei vigili che non voleva usasse l’auto di servizio per andare dal parrucchiere, era imbattibile nell’imporre alla società , compresa la Total che avevano bisogno di autorizzazioni, le assunzioni dei suoi protetti e amici.
Anche a scapito della sicurezza, per esempio quella dei pozzi.
L’unica cosa che contava erano le assunzioni. “E se un pozzo scoppia?” chiede Rocco Carone, il manager della Maersk H2S Safety Service Italia che riferisce di avere problemi con la Total proprio per l’affidamento del servizio di sicurezza all’interno della costruzione del pozzo: “None, a noi la sicurezza non ce ne fotte niente… Ma non ci pensassero proprio, io gli blocco tutto”.
“Il sindaco? Ormai è l’ufficio di collocamento”
Per questo il giudice di lei scrive: “Figura di assoluto spicco che … ha fornito concreta dimostrazione di una singolare capacità di piegare o condizionare la volontà degli imprenditori che si interfacciavano con la medesima, al fine di conseguire il risultato delle assunzioni di questo o quel nominativo e nell’intento unico di consolidare il proprio consenso elettorale in spregio a qualsiasi criterio di meritocrazia oltre che in violazione dei parametri prefissati dal Local Content”.
Era lei stessa, come si legge in una delle intercettazioni, a indicare i nomi: “Perchè insomma deve essere chiaro: il nostro ruolo dei sindaci è cambiato, è diventato l’ufficio di collocamento (…). E voi a me mi dovete tenere contenta”
La sindachessa a volte blandiva, ma soprattutto minacciava o addirittura corrompeva. Per questo il gip argomenta: “Ha evidenziato una indole di estrema pericolosità essendo stata appurata, attraverso le espletate indagini, l’operatività di un vero proprio protocollo adottato dalla indagata per conseguire i propri fini, protocollo che si è visto essere variegato e diversificato spaziando esso da condotte di mera induzione ad autentiche forme di prevaricazione intimidatoria fino a raggiungere condotte di carattere corruttivo”.
“Ho già detto a Total… nessuna autorizzazione”
“Il nostro concetto, la nostra filosofia è questa — diceva la Vicino — piena apertura però nessuno deve dimenticare che questa è la sede del Centro Olii, che questa è la sede di tutti i pozzi, e che quindi… la maggiore occupazione, il comune che va attenzionato prima è Corleto. E poi tutti gli altri…”.
Così chi voleva le autorizzazioni doveva pagare pedaggio a lei: “Vi servono due persone? Noi vi mandiamo due persone… No questi me li devi pigliare, bello. Senza se e senza ma” e giù l’elenco dei nomi.
E se non andava come voleva, la Vicino sapeva già come fare: “Ho già detto a Total: se dobbiamo stare a guardare noi, starete a guardare tutti, non esce una carta da qua! Nessuna autorizzazione, niente! Se i nostri devono stare a guardare, non vogliamo lavorare!”.
E la donna non voleva sentire ragioni anche quando doveva essere raggirato il requisito dello stato di disoccupazione. E in altri casi alcuni lavoratori dovevano essere “levati” per far spazio ai suoi nominativi.
Il gip: “Nessuna motivazione filantropica, pensava alle elezioni”
Ma perchè la sindaca era così attiva? Non certo per generosità o per attenzione ai livelli occupazionali di una delle regioni più povere d’Italia.
“Detto sistema era ben lungi dall’essere sorretto da motivazioni di natura filantropica o umanitaria: — spiega il giudice per le indagini preliminari — dando ed offrendo soluzioni lavorative alle persone che la interessavano, la donna sapeva di realizzare una rete di relazioni di totale riconoscenza nei suoi confronti da spendersi poi in occasione di competizioni elettorali”.
Senza trascurare gli affetti perchè come il gip ricorda ci sono anche attività “intraprese a vantaggio della figlia farmacista”.
“None, a noi la sicurezza non ce ne fotte niente”
E così presa dall’attività di piazzare amici e parenti, comunque, la Vicino non poteva anche pensare alle questioni riguardanti la sicurezza.
Quando Carone, il manager di Maersk, dice: “Ho capito, ma stiamo lavorando con le risorse che sono … erano a Tempa Rossa 2, che da Tempa Rossa 2 sono passate là . ( … ) L’attività dove … ( … ) E sono persone che devon0 avere cinque anni di esperienza.; e spiega ancora: … è che noi, al cancello, ci fermiamo. Se scoppia il …. pozzo e il gas va alle campagne … ( … ) … noi alle campagne non ci andiamo. ( … ) Nemmeno sotto … sotto tortura.( … ) Io, per farvi capire … la situazione come è”.
La sindachessa replica di aver intanto provveduto a mettere la “pulce” all’orecchio dell’ingegner Cobianchi, il manager Total che interloquiva con Gialuca Gemelli compagno dell’ormai ex ministro Guidi.
All’affermazione di Carone circa la reale intenzione della Total, vale a dire di risparmiare soldi (…”che voglion0 risparmiare soldi. Mò è arrivata la spending review pure…”), la risposta della Vicino è chiara:”None, a noi la sicurezza non ce ne fotte niente. Ma non ci pensassero proprio, io gli blocco tutto”.
Carone stesso però ribadisce di voler sfruttare l’opportunità legata alla sorveglianza dei pozzi per poter inserire anche chi non ha “esperienza elevata”.
La Vicino mostra di comprendere, però, chiede comunque l’assunzione immediata delle persone da lei segnalate: “Eh va bè, Rocco, abbiamo capito tutto. Comunque mo’ questi ragazzi abbiamo dato una parola e teniamola alle prime occasioni”.
Anche se un pozzo dovesse scoppiare.
Giovanna Trinchella
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 1st, 2016 Riccardo Fucile
DALLA NOTTE DEL 16 OTTOBRE IN CUI VENNE BOCCIATO AL VOTO DI FIDUCIA CON LA LEGGE DI STABILITA’
È una storia notturna quella dell’emendamento a favore del progetto petrolifero Tempa Rossa che ha messo nei guai l’ex ministro Federica Guidi per via dei lavori di subappalto nel sito che interessavano il suo compagno.
La prima notte è quella tra il 16 e il 17 ottobre 2014, quando le commissioni Ambiente e Attività produttive di Montecitorio stanno discutendo il decreto Sblocca Italia: quel testo rende, tra le altre cose, molto più facile costruire impianti petroliferi (e inceneritori) visto che li dichiara “infrastrutture strategiche per l’interesse nazionale”.
Si procede a tappe forzate ed è notte quando la deputata M5S Mirella Liuzzi si accorge di uno strano emendamento che rende “strategiche” pure tutte le opere connesse all’attività estrattiva: gasdotti, porti, siti di stoccaggio.
Proprio quello che serve al progetto Tempa Rossa, come vedremo.
Più interessante, adesso, è notare che quell’emendamento era stato consegnato alle commissioni dal capo di gabinetto del ministro Federica Guidi e portava la sua firma: la rivolta delle opposizioni, e forse l’imbarazzo del Pd, causano una irrituale dichiarazione di inammissibilità per quel testo (un Gronchi rosa per un emendamento governativo).
Va meglio con la legge di Stabilità .
La notte è quella tra il 12 e il 13 dicembre 2014 e siamo in commissione Bilancio in Senato. L’emendamento viene consegnato — come da prassi — dal ministero dello Sviluppo economico a Maria Elena Boschi, titolare dei Rapporti col Parlamento e gestore del traffico delle proposte governative.
Stavolta il testo passa e viene recepito nella manovra poi approvata con la fiducia: non è chiaro, finchè Boschi non ce lo spiegherà , con quale motivazione sia stata convinta dalla collega a inserire “l’emendamento Tempa Rossa” tra quelli da approvare.
Pochi minuti dopo, comunque, Guidi avverte il fidanzato e s’inguaia.
Detto delle modalità notturne d’intervento della ex ministra, resta da spiegare cos’ha fatto in pratica.
Breve riepilogo: il progetto Tempa Rossa ha il suo cuore nel giacimento lucano la cui concessione è appannaggio di Total (al 50%), Shell e Mitsui.
I sei pozzi in Basilicata (più 2 da autorizzare) a regime dovrebbero produrre 50 mila barili al giorno, aumentando del 40% la produzione nazionale di greggio.
Questo progetto ha già ottenuto una Valutazione di impatto ambientale positiva nel 2011. Qual è il problema allora?
Quello che si fa col petrolio una volta estratto: bisogna portarlo a Taranto, stoccarlo e raffinarlo. È una vera fortuna che Eni disponga di un impianto proprio nella martoriata città dell’Ilva.
E qui, però, cominciano i guai: cittadinanza, movimenti e (fino a un certo punto) pure i politici locali si oppongono a potenziare la capacità inquinante dell’impianto del Cane a sei zampe.
Il motivo lo spiegò Arpa Puglia nel 2011: “L’esercizio di questi impianti comporterà un aumento delle emissioni diffuse pari a 10 tonnellate/anno che si aggiungeranno alle 85 tonnellate/anno già prodotte (con un incremento del 12%)”.
C’erano insomma problemi a fare i lavori al punto di approdo del petrolio estratto nel giacimento di Total e soci di Gorgoglione, in Basilicata: due siti di stoccaggio, un prolungamento del pontile e altre cosette.
È qui che arriva l’ex ministro Guidi: l’emendamento prevede che l’autorizzazione unica per le opere “strategiche” valga anche “per le opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali” anche lontano dal giacimento.
E se gli enti locali si oppongono? C’è il secondo comma: lo Sblocca Italia prevede che, in quanto strategiche, su queste opere alla fine decida il governo.
Il via libera definitivo ai lavori a Taranto è arrivato il 19 dicembre 2015, quattro mesi fa.
Lo ha firmato il ministro Federica Guidi. Non si sa se poi abbia avvertito il fidanzato.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 1st, 2016 Riccardo Fucile
DOPO LA MARCHETTA IN ISRAELE, OGGI IL SISTEMAMOGLI A SAN CARLO CANAVESE CON UN MISERO SEGUITO PER RACCONTARE LE SOLITE BALLE
L’appuntamento per i sostenitori torinesi del Carroccio era alle 12,30 a San Carlo Canavese, in piazza
Cantù. Tutti lì, tenuti dalla polizia a trecento metri dalla casa dell’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero, per protestare contro la contestata riforma delle pensioni firmata dalla docente universitaria torinese quando era nel governo Monti. A dir la verità il segutio è ben poca cosa, solo un centinaio di nullafacenti.
Salvini, atterrato a Malpensa alle 11,50 di ritorno dalla marchetta in Israele, è arrivato in piazza un quarto d’ora prima dell’una, giusto in tempo per cambiare la felpa con una con la scritta “Stop Fornero”, e arringare la piccola folla.
Attacchi che l’interessata non avrebbe comunque potuto sentire nemmeno se il sit-in si fosse tenuto sotto le sue finestre, visto che la professoressa torinese in questi giorni è a Parigi per lavoro (quello che Salvini non ha mai cercato).
La polemica sul sit-in a casa dell’ex ministro Fornero già correva da giorni.
La prima a reagire è stata la vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli, del Pd: “Salvini si fermi, no alla politica che crea odio. Quella riforma che noi vogliamo correggere e correggeremo, porta il nome di Elsa Fornero, sì, ma la responsabilità di un Parlamento e di un governo intero da cui mi aspetterei una maggiore solidarietà . Chi oggi è colpito da quella riforma, i lavoratori, ha bisogno di una legge che cambi, di una politica che risolva i problemi e non seminando pericoloso odio verbale. Salvini ha deciso di fare altro: il solito show, questa volta però è più di cattivo gusto del solito”. A ruota Gianfranco Librandi, deputato di Scelta Civica, che invita il leader leghista “a fare crociate contro le baby pensioni e non buffonate utili a istillare odio e rancore contro una persona che con la sua riforma ha salvato invece l’Italia e garantito le pensioni alle prossime generazioni”.
Non è la prima volta che il deputato del Carroccio prende di mira l’ex ministro del governo Monti proprio nei luoghi delle sue origini.
Nel maggio 2014 Salvini si era presentato con una trentina dei suoi sotto la palazzina in cui la Fornero abita a Torino e si era lasciato andare a minacce: “Meno male che il ministro non è in casa, perchè mi prudono le mani”.
Però stavolta neanche tutta la Lega appare compatta dietro Salvini.
A cominciare dalla consigliere regionale e presidente della Lega Piemonte Gianna Gancia, che dice: “Considero un errore la personalizzazione delle cose. Non solo. Sono convinto che accada perchè la Fornero è donna. Innanzitutto per questo la difendo: ha fatto ciò che nessun uomo avrebbe avuto il coraggio”.
Anche la sociologa Chiara Saraceno che ha parlato di mobbing leghista è scesa in campo in difesa della “collega” Fornero pur sottolineando che forse sarebbe giusto che dall’ex ministro arrivasse anche un po’ di autocritica: “E’ pericoloso quando si punta a sollecitare la pancia della gente”.
(da agenzie)
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Aprile 1st, 2016 Riccardo Fucile
COSI’ COMBINO’ L’INCONTRO… NELLE CARTE LE MANOVRE DI GEMELLI PER AVERE COMMESSE DAL GRUPPO FRANCESE CON L’AIUTO DEL MINISTRO
Sembrava la solita storia di abusi e mazzette. Invece l’inchiesta partita da Corleto Perticara (Potenza)
paesino lucano con poco più di 2500 abitanti, tra un peculato e molte concussioni di cui è accusata l’intraprendente ex sindachessa Pd, è diventata materia così incandescente da bruciare Federica Guidi che ha presentato le dimissioni.
Il ministro dello Sviluppo economico compare e ricompare nelle oltre 800 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato all’arresto di sei dipendenti del centro Eni di Viggiano (Potenza) per traffico e smaltimento di rifiuti.
Il suo compagno Gianluca Gemelli, titolare della società I.T.S e della Ponterosso Engeneering, indagato nell’inchiesta, è il personaggio principale di una storia che racconta come la lobby del petrolio sia riuscita a ottenere un emendamento favorevole prima bocciato nello Sblocca Italia e poi resuscitato nella Legge di stabilità .
L’indagine potentina ha due filoni; quello sul Centro Olio in Val d’Agri (dove è stata sospesa la produzione di petrolio) e l’altro sull’impianto estrattivo della Total a Tempa Rossa.
Ed è per questa tranche d’inchiesta che Gemelli risponde per traffico di influenze ed è in alcune intercettazioni che viene citato il nome del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi.
È parlando con lui al telefono che l’ormai ex ministra della compagine di Matteo Renzi è intercettata.
Ed è grazie ai buoni uffici di Gemelli che l’ingegner Giuseppe Cobianchi, dirigente della Total, anche lui indagato per traffico d’influenze come Gemelli, la incontra a un convegno e riceve rassicurazioni per sbloccare una questione delicata: il progetto Tempa Rossa, cioè il potenziamento della raffineria Eni di Taranto che lavora il greggio estratto nell’omonimo campo lucano gestito da Total.
Contropartita per Gemelli, secondo l’accusa, l’affidamento di lavori per le infrastrutture del Centro Oli di Corleto Perticara, fulcro dell’attività della società petrolifera per il giacimento di Tempa Rossa.
L’emendamento da reinserire e gli amici da favorire
È il 5 novembre 2014 quando Gemelli parla con la compagna. È lei che gli racconta che sarebbe stato reinserito nella Legge di stabilità un “emendamento” (per inserire le opere relative al trasporto e allo stoccaggio di idrocarburi) bocciato venerdì 17 ottobre 2014 durante la discussione in commissione parlamentare. Un emendamento, come scrive il gip di Potenza Michela Tiziana Petrocelli, “che sarebbe stato di estremo interesse per la Total proprio in relazione al progetto Tempa Rossa”.
L’intercettazione: “Se riusciamo a sbloccare dall’altra parte si muove tutto”
Le parole della Guidi intercettata non lasciano dubbi sul suo interessamento: “… E poi dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato se.. è d’accordo anche “Mariaelena” (ovvero il ministro per le Riforme Boschi) la. .. quell’emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte, alle quattro di notte …! Rimetterlo dentro alla legge… con l’emendamento alla Legge di stabilità e a questo punto se riusciamo a sbloccare anche Tempa Rossa. .. ehm ..dall’altra parte si muove tutto!”. Ovvero gli appalti per il compagno che, a leggere un’altra intercettazione telefonica, aveva non pochi problemi economici. Alla domanda di lui se la cosa riguardasse pure i propri amici della Total, clienti di Tecnimont (“quindi anche coso … anche … va be’, i miei amici de … i clienti di Broggi”). Il ministro rassicura: “Eh, certo, capito? … certo … te l’ho detto per quello!”.
La lobby del petrolio e gli incontri
Ma cosa era successo poche settimane prima? Il 18 settembre Gemelli, che punta a ottenere appalti e subappalti per supervisione alle attività di costruzione sul Centro Oli Tempa Rossa, oltre due milioni e mezzo di euro, e vuole entrare nella bidder list (ovvero dei fornitori) delle società di ingegneria e partecipare alle gare di progettazione ed esecuzione dei lavori per l’impianto estrattivo, incontra Cobianchi.
Teatro è l’ufficio dell’allora sindaco Pd di Corleto Rosaria Vicino, finita ai domiciliari. L’ingegnere ascolta i progetti imprenditoriali di Gemelli e prospetta la contropartita la questione “Taranto”: dove le normative e i vincoli ambientali preoccupano molto per la questione del potenziamento della raffineria.
Il 23 ottobre c’è un incontro a Roma tra Gemelli e i vertici della Total. L’imprenditore ringrazia per la disponibilità : “… Io la volevo innanzitutto ringraziare perchè … è andata benissimo, di una disponibilità allucinante e sono veramente estremamente contento, ma non solo per la collaborazione .. “.
Gemelli si informa e chiede se le autorizzazioni già ottenute dalla Total rientrino o meno nello Sblocca Italia e evidenzia come in quest’ultimo caso non ci sarebbero stati grossi problemi.
A Cobianchi però preme la Taranto, “questione complessa… So che anche a livello centrale coi i ministeri, insomma i colleghi di Roma hann0 dei contatti continui, frequenti, quindi mi auguro che quello che viene dichiarato a livello governativo poi possa trovare applicazione insomma”. Gemelli quasi non lo lascia finire di parlare: “Ci stanno provando, ci stanno provando, mi creda, c’è da leggere, ci sarà da leggere lo Sblocca Italia che dovrebbe andare oggi alle sei hanno messo la fiducia e quindi speriamo che esce fuori, perchè ci sono le correzioni fino all’ultimo secondo, non si sta capendo niente, mi creda, non si sta capendo nulla…”.
Quindi le rassicurazioni: “Io poi su questa cosa qua l’aggiorno, e poi lei su qualsiasi cosa lei mi dica… dove… perchè ad esempio se quello là diventa veramente Presidente della Regione… cioè è una persona imprenditoriale, imprenditoriale nel cervello, mi segue?”). Infine l’invito a fare una “chiacchierata più approfondita” anche a Roma e a “fare la cortesia” di interessarsi all’eventuale “ok al subappalto” da parte della Tecnimont in favore della sua società .
“Pare che ci sia l’accordo con Boschi e compagni … è tutto sbloccato”
Il 31 ottobre Gemelli invita Cobianchi a partecipare ad un incontro previsto l’11 novembre: “C’è un ambiente interessante che le può servire, perchè c’è il ministro dello Sviluppo economico… perchè una volta che c’è sto Sblocca Italia e c’è il ministro lì mi è venuto subito in mente lei…”, ottenendo di risposta l’informazione che l’azienda di Gemelli avrebbe avuto l’appalto.
Ed è così che il 5 novembre Gemelli, parlando con la Guidi, ottiene la rassicurazione che l’emendamento sarebbe stato reinserito.
Un attimo dopo l’imprenditore è pronto a dare la buona notizia su Tempa Rossa: “…La chiamo per darle una buona notizia…ehm… si ricorda che tempo fa c’è stato casino che avevano ritirato un emendamento ragion per cui c’erano nuovi problemi su Tempa Rossa pare che oggi riescano a inserirlo nuovamente al Senato… ragion per cui se passa…e pare che ci sia l’accordo con Boschi e compagni … ( … ) se passa quest’emedamento … che pare … siano d’accordo tutti… perchè la Boschi ha accettato di inserirlo… ( … ) È tutto sbloccato … Volevo che lo sapessi”.
E l’emendamento fu poi approvato nella legge di Stabilità a fine dicembre 2014.
“Gli ho presentato Fede… tutto a posto”
Tra il 4 e il 5 la buona notizia è per Gemelli: perchè le sue due società sarebbero rientrate nella bidder list della Total. L’imprenditore è euforico e chiama il socio: “Minchia ti informo che siete già entrati…”, ricorda che c’è il convegno (promosso dalla fondazione Italiani Europei di Massimo D’Alema) in programma a Roma “dove ci sono tutti quelli che contano”, fa i conti: “… stiamo andando nella direzione giusta… dai quant’era sette milioni?”.
L’11 novembre, ad affare concluso, Gemelli presenta Cobianchi alla Guidi.
Al telefono ne parla con un collaboratore di nome Diego: “A posto! Ieri è andato tutto bene, benissimo, è venuto pure Cobianchi, il suo … un collega… gli ho presentato a “Fede”, tutto a posto, tutti contenti! … Hanno capito un po’ meglio”.
Al socio Salvatore Lantieri poi Gemelli racconta i particolari…. “Quando c’è stato il convegno e c’erano questi qua della Total sì, minchia sì, lui…lui, quello del capo delle relazioni esterne… minchia compare… ringraziamenti, alliccamenti che no ti dico, quelli ce li abbiamo ce li abbiamo cioè secondo me, abbiamo un rapporto molto forte, il rapporto è buono… Hai capito!”
L’incontro ufficiale. “Il ministro si è ricordata”
Il 18 c’è anche un incontro ufficiale cui prende parte il presidente della Basilicata Marcello Pittella.
Ed è Cobianchi a raccontarlo a Gemelli: “… no io sono stato a Roma…l’incontro con il ministro, c’era il sottosegretario… dovremmo tornare il 26 perchè è stato confermato da parte del ministro del governo le intenzioni di procedere c’era anche il presidente della Regione… omissis il ministro si è ricordata, un attimo, che c’eravamo visti la settimana prima e devo dire che abbiamo positivamente verificato, insomma l’intenzione del governo di..di andare avanti ecco. Quindi io la ringrazio, anche a nome dei … della nostra società , un po’ per… intanto per averci fatto conoscere direttamente il ministro Guidi e poi insomma per l’interessamento che ha avuto!”. E Gemelli: “Assolutamente a disposizione! Ce lo siamo detti dal primo giorno”.
L’sms: “L’emendamento è stato inserito”
A questo punto proseguono le trattative. Total però sembra intenzionata a rallentare i lavori. Quindi chiama Cobianchi e lo rassicura nuovamente. “Se lei ha bisogno di una mano lo sa, a disposizione per quello che posso”. Il manager della Total però appare sicuro: “… Da quello che ho capito quindi adesso si cercherà di far passare nella legge di Stabilità un po’ quello che è necessario far passare”.
Il 13 dicembre Gemelli manda un sms a Cobianchi: “Buonasera dott. Cobianchi, Le confermo che Tempa Rossa è stata definitivamente inserita come emendamento del governo nella legge di Satbilità . Buon we Gianluca”. Messaggino che viene immediatamente inoltrato anche all’ad di Total.
Nel registro degli indagati sono stati iscritti 60 nomi, la procura aveva chiesto misure cautelari per 23 persone, tra cui Gemelli. I reati, stando al capo di imputazione, sono stati commessi in Basilicata e a Roma.
Ora c’è da capire chi sono tutti gli altri e se è avvenuta, come potrebbe essere, una trasmissione al Tribunale dei ministri.
Giovanna Trinchella
(da “il Fatto Quotidiano”)
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