Settembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
TRA I NUOVI MITI DI SALVINI E MELONI ANCHE SOSTENITORI DI HITLER, COMPLOTTISTI, RAZZISTI E SPIE
Negazionisti, sostenitori del Fà¼hrer, membri di formazioni identitarie, persino ex collaboratori della
Stasi, la polizia segreta del regime della Germania Est.
È un curriculum piuttosto variopinto quello dei neodeputati di Afd, Alternative Fà¼r Deutschland, il partito populista di destra che ha preso il 12,6% dei voti alle elezioni, ottenendo 94 seggi al Bundestag. Il partito, nato come espressione di alcuni professori di Amburgo nell’ottica di portare in Germania una differente visione economica, è stato pian piano scalato da personaggi discutibili e da ex membri di formazioni identitarie apertamente xenofobe.
Un’avvisaglia di quello che sarebbe avvenuto si ebbe quando nel 2015 Bernd Lucke, fondatore del partito, lasciò la formazione dichiarando che la strada intrapresa si era spostata troppo a destra.
Un secondo indizio è arrivato con l’annuncio di Frauke Petry, la leader del partito, di non correre come candidata cancelliera al Bundestag.
L’ultimo, il giorno dopo le elezioni, quando la stessa Petry ha dichiarato che non farà parte del gruppo parlamentare di Afd al Bundestag: l’ennesimo segnale della lotta intestina in corso all’interno del partito tra l’ala moderata e quella più radicale, con quest’ultima che si sta affermando sempre di più.
E proprio all’ala radicale appartiene Alice Weidel, il membro più controverso dello schieramento populista, nonchè Spitzenkanditatin (candidata cancelliera) insieme ad Alexander Gauland.
La trentottenne è famosa soprattutto per le sue grandi contraddizioni: lesbica, risiede a Biel in Svizzera, dove la sua compagna originaria dello Sri Lanka cresce i due figli della coppia aiutata da una profuga siriana.
Non ci sarebbe nulla di male se poi pubblicamente Weidel non fosse apertamente contro l’immigrazione, contro i matrimoni omosessuali e sostenesse la famiglia tradizionale.
La candidata cancelliera, che ha ottenuto un dottorato in Economia e ha lavorato per Goldman-Sachs, è nota per il suo cosmopolitismo. Ma ha acquistato notorietà quando è diventato pubblico il contenuto di una mail privata in cui sosteneva che la Germania sarà “inondata da popoli di culture straniere come arabi e zingari“, il che porterà una “sistematica distruzione della società borghese”.
Tutto questo spinto dai “nemici della Costituzione che ci governano”, mentre Angela Merkel e i membri del governo venivano definiti “maiali“.
Insieme a lei guida il partito Alexander Gauland, 76 anni, un trascorso nella Cdu, considerato il vero leader di Afd.
Famoso per il suo desiderio di eliminare la segretaria di Stato all’Immigrazione, Aylan à–zoguz, di origine turca, in passato ha difeso strenuamente Bjà¶rn Hà¶cke, membro di Afd nello stato della Turingia, secondo il quale “non tutto di Adolf Hitler sia da buttar via”, mentre il monumento berlinese all’Olocausto è “una vergogna”.
Se i capilista spiccano per le loro idee controverse, gli altri eletti non sono da meno. Un esempio è Sebastian Mà¼nzenmaier, che con i suoi 28 anni è uno più giovani neodeputati.
Ex membro del partito antislamico Libertà (Die Freiheit) e in attesa di giudizio per aver causato lesioni gravi: nel 2012 con gli hooligans del Kaiserslautern avrebbe malmenato alcuni tifosi della squadra del Mainz.
Sempre in Freiheit ha militato Bernhard Ulrich Oehme, candidato Afd in Sassonia. Sul fronte antisemita, invece, si trova Martin Hohmann del Land dell’Assia. Ex membro della Cdu, venne cacciato per aver sostenuto la presunta censura da parte della storia dello sterminio di migliaia di persone causato dagli ebrei durante la rivoluzione bolscevica.
Con lui fa coppia il capo di Afd a Lipsia, Siegbert Droese, tristemente noto per avere un auto targata “AH 1818”, dove A e H sono le iniziali Adolf Hitler e 18 è il simbolo dei circoli neonazisti per indicare il Fà¼hrer.
L’esponente della Sassonia è inoltre considerato vicino a Pegida, il movimento anti-islamizzazione della Germania che ha chiari richiami al nazionalsocialismo.
La lista è ancora lunga e tra personaggi discutibili entra c’è senza dubbio Wilhelm von Gottberg, 77 anni, poliziotto ormai in pensione, che definisce l’Olocausto come “un utile strumento per criminalizzare i tedeschi”. In una pubblicazione sul Titelseite des OstpreuàŸenblatts, Gottberg ha ripreso le tesi neofasciste dell’italiano Mario Consoli, secondo il quale “sempre più Stati stanno oscurando la verità sull’Olocausto”, definendo lo sterminio degli ebrei come “un mito, un dogma che rimane privo di qualsiasi ricerca storica libera”.
Oltre ai negazionisti, però, in Afd c’è anche altro. Per esempio i complottisti come Peter Boehringer, sostenitore della teoria del Nuovo Ordine Mondiale: in pratica una rete segreta starebbe assumendo il dominio del mondo.
Frank Magnitz, invece, difende la tesi della Germania assorbita come “paese preda” degli alleati. Lo stesso ha anche pubblicato una foto in cui i media sono presentati come un plotone di esecuzione che spara ad una donna chiamata “verità ”: l’ennesimo esempio che testimonia come in Germania sia tornata di moda la Là¼genpresse, cioè la retorica della delegittimazione della stampa, ideata a suo tempo da Joseph Goebbels.
C’è anche chi se la prende con la nazionale di calcio tedesca, come Beatrix von Storch della sezione di Berlino, che ha dichiarato di preferire una squadra formata da “tedeschi” a una composta da discendenti di migranti.
Il suo obiettivo al Bundestag? Abolire l’Ufficio dell’integrazione e avviare una “commissione d’inchiesta” contro Angela Merkel.
Ma c’è anche chi ha un passato insospettabile, come Jens Maier, ex membro di Spd. “Dichiaro il culto della colpa finalmente terminato” ha detto durante un’intervista, mentre in passato ha mostrato simpatia per gli estremisti di destra norvegesi e per l’assassino Anders Behring Breivik, autore della strage sull’isola di Utà¸ya.
Tra i più anziani una menzione speciale è per Detlev Spangenberg, 73 anni. Appartenente alla destra sassone di Afd, la sua vita correva tra l’est e l’ovest della Germania. Cresciuto nella Repubblica Democratica Tedesca è poi diventato membro di Cdu nel Land della Nordrhein-Westfalen.
Lasciato il partito democratico cristiano, è entrato nel gruppo di destra radicale “Lavoro, Famiglia, Patria” apertamente antislamico e per il ripristino delle frontiere del 1937.
Ultimamente è tornato al centro della cronaca per il suo passato: è stato informatore segreto della Stasi, con tanto di nome in codice, Bruno. Nella “Stasi-Connection” c’è anche Enrico Komming, ex membro delle guardie Oriente del reggimento tedesco Feliks Dzierzynski al servizio della polizia segreta della Germania Est, simpatizzante dei nazionalisti.
Si è fatto segnalare anche perchè su facebook cantava insieme alla figlia la prima strofa dell’inno tedesco, quella vietata visto che veniva utilizzata nella Germania nazista.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
IL SOLITO SCARICABARILE LEGHISTA: “E’ COLPA DEL GOVERNO”… LE ASSOCIAZIONI: “FAMIGLIE AL COLLASSO”
A farne le spese sono stati diversi malati gravissimi, per esempio affetti da Sla (sclerosi laterale amiotrofica). E per di più quelli con i redditi più bassi, che in Lombardia fino all’anno scorso potevano contare su un assegno di cura regionale da mille euro mensili più un bonus assistenziale del comune tarato sull’Isee che poteva raggiungere gli 800 euro.
Ma dall’inizio dell’anno la giunta guidata da Roberto Maroni ha tagliato la cumulabilità dei due contributi.
E così quei malati che per vivere hanno bisogno di un assistente, ora, con i soli mille euro regionali, rischiano di non poterselo più permettere. “Eppure anche disabili gravi e gravissimi hanno diritto a poter vivere nella propria casa e non dentro una residenza sanitaria come polli in batteria”, protesta Marina Mercurio, referente in Lombardia del Comitato 16 novembre, un’associazione che riunisce malati di Sla e loro familiari.
Il Comitato 16 novembre è una delle associazioni che a maggio insieme ad Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica), Viva la vita e associazione Aldo Perini, hanno scritto al governatore Maroni chiedendo un incontro per risolvere la questione.
Ma per ora nessun appuntamento è stato messo in agenda.
E in una lettera firmata da Maroni la giunta ha scaricato ogni responsabilità sul governo: “I criteri ministeriali per l’annualità 2016 hanno ampliato le condizioni e le patologie per la qualificazione di ‘disabilità gravissima’, allargandone la platea dei potenziali beneficiari senza tuttavia adeguare proporzionalmente le risorse”.
Più persone di prima, insomma, hanno diritto ai contributi provenienti dal Fondo nazionale per le non autosufficienze, ma le risorse sono quelle di prima: “Alla nostra Regione sono assegnati 60.879.000 euro per il 2016, soltanto 234mila euro in più rispetto all’annualità precedente. L’incoerenza è stata segnalata al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali in più occasioni. Purtroppo senza esito. La giunta regionale non ha potuto far altro che mitigare gli effetti dell’intervento ministeriale destinando il 60% delle risorse nazionali assegnate — contro il 50% dell’anno precedente — alle persone con disabilità gravissime”.
Ma le associazioni non ci stanno. Perchè anche se la platea è aumentata a parità di fondi, nulla vieta alla Regione di metterci risorse proprie, magari introducendo una tassa di scopo: “Come è possibile che non si riescano a reperire ulteriori risorse dai fondi regionali da destinare ai disabili gravissimi così da permettergli di continuare a vivere con dignità a casa propria? — si chiede Mercurio -. Una famiglia che prima riusciva ad assumere seppur con fatica un assistente, ora collassa. Per gestire malati così complessi ci vogliono oltre 3mila euro al mese. I piani alti di Regione Lombardia non vogliono capire quanto sia faticoso e logorante per un coniuge, fratello, padre, madre, figlio assistere da soli il proprio caro”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
VINCENZO SPADAFORA, 41 ANNI: I RAPPORTI CON GLI ALTI PRELATI E LA SANTA SEDE
«Sono privo di laurea da esibire e non ho un lavoro stabile» ha rivelato ne «La terza Italia», il suo
libro dedicato al volontariato.
Ma i punti di contatto tra Vincenzo Spadafora 43 anni e Luigi Di Maio, 31, non finiscono qui.
Il primo è nato ad Afragola, il secondo è cresciuto a Pomigliano d’Arco, distante appena 11 chilometri. Vincenzo è stato il primo garante per l’infanzia d’Italia e il più giovane presidente dell’Unicef.
Luigi è il più giovane vicepresidente nella storia della Camera dei deputati e anche il più giovane candidato premier in assoluto (ha battuto pure Matteo Renzi).
Insomma, sembrava scritto nel destino che i due dovessero incontrarsi e fare un pezzo di strada assieme.
Dall’aprile scorso Spadafora è diventato responsabile delle relazioni istituzionali di Di Maio. E adesso che dal palco di Rimini le web primarie a 5 Stelle hanno incoronato il «più democristiano tra i grillini», il nome di Vincenzo Spadafora torna a circolare come quello del suo scudiero più affidabile e potente. «Se vinceremo le elezioni, Luigino lo farà ministro» giura qualche pentastellato in preda all’entusiasmo.
Ma chi è veramente Vincenzo Spadafora?
«Sono figlio della terra dei fuochi, i miei primi 18 anni di vita si sono consumati tra Afragola, Cardito e Frattamaggiore – si racconta lui – A Cardito mamma ci barricava in casa perchè la puzza dei roghi tossici rendeva l’aria irrespirabile».
Un bambino molto sensibile che a dieci anni vuole entrare in seminario a Frattamaggiore.
La precoce «chiamata» durerà pochi giorni, poi il piccolo Vincenzo tornerà agli affetti familiari. Ma la chiesa resta una presenza costante nella sua vita.
«C’è un prete importante – spiega – don Ottavio de Bertolis, gesuita, studioso poliglotta, è il mio padre spirituale».
Forse è proprio lui che gli fa maturare il desiderio di occuparsi degli altri, dei fanciulli bisognosi sparsi in ogni angolo della terra. A 21 anni, dopo il liceo classico e qualche momento di crisi personale, ritroviamo Vincenzo Spadafora missionario laico dell’Unicef.
«Mi aveva chiamato a Roma l’allora presidente Arnoldo Farina». Sono gli anni dei viaggi in Sierra Leone, Guinea Bissau e Ruanda. Ma anche quelli dell’impegno politico. P
rima come segretario particolare di Andrea Losco (Udeur) nel ’98 presidente della Regione Campania. Poi come verde con Alfonso Pecoraro Scanio.
Nel 2006 un riconoscimento importante: Francesco Rutelli, ministro per i Beni culturali lo mette a capo della sua segreteria. Vincenzo è un giovane brillante e preparato, con conoscenze che contano nel mondo dell’Unicef ma anche tra i gesuiti del Vaticano. Nel 2008 a fine giugno viene nominato presidente di Unicef-Italia.
Insomma, una carriera in rapidissima ascesa. Al governo c’è Silvio Berlusconi. Ma non importa.
Spadafora riesce a intessere eccellenti rapporti con Mara Carfagna, ministra per le Pari opportunità . Nel novembre 2011 viene istituita in Italia la figura del garante per l’infanzia.
Lui è lì, già pronto per il nuovo e prestigioso incarico. «Sono una testa dura – scrive ancora nel suo libro – convinto che in certe situazioni siano le persone a fare la differenza».
Uno che non molla e che non ha mai nascosto il suo interesse per la politica che conta. Con qualche piccolissima disavventura: il nome di Spadafora finisce infatti nelle intercettazioni sulla cricca degli appalti romana (per carità , non è mai stato indagato). Solo che gli inquirenti annotano numerose conversazioni tra lui e Angelo Balducci, l’ex provveditore alle opere pubbliche del Lazio ed ex «gentiluomo» di Sua Santità in Vaticano, finito nei guai con il costruttore Diego Anemone.
Il figlio di Balducci ottiene anche uno stage pagato all’Unicef. Poi tutto passa.
Nel 2010 il Pd indica Spadafora presidente delle Terme di Agnano e lui torna per un po’ a Napoli.
Ma gli ultimi anni lo vedono sempre più vicino al Movimento 5 Stelle e a Di Maio in particolare. Spadafora diventa l’uomo ombra del numero due della Camera. Lo accompagna all’Università di Harvard; lo «scorta» a Londra nell’aprile 2016 nel «pranzo con i vertici della Trilateral» che provoca le proteste dei duri e puri del Movimento.
E ancora, in un altro viaggio strategico in Israele. Infine, gli apre le porte del Vaticano e lo presenta al clero che conta: Di Maio partecipa prima alla messa di Pasqua, poi al forum «Laudato sii» sull’ambiente.
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
L’AVVOCATO BESTIA NERA DEI GRILLINI: “LE REGOLE CONFLIGGONO CON IL “NON STATUTO””
Luigi Di Maio è stato appena nominato candidato premier con quasi 31mila voti di attivisti sul web. Un’elezione funestata da problemi tecnici e tentativi di intrusione di hacker, caratterizzata da una scarsa affluenza (solo 37mila click complessivi su 140mila iscritti al blog di Beppe Grillo) che ora rischia anche di essere invalidata.
Ad adombrare questa possibilità è l’avvocato Lorenzo Borrè, bestia nera dei 5 Stelle, legale della maggior parte dei dissidenti e dei fuoriusciti che hanno fatto causa al M5S nel corso degli ultimi mesi.
È stato lui, ex attivista deluso, a incassare la vittoria nel ricorso sulle Regionarie siciliane che sta mettendo in difficoltà il candidato governatore Giancarlo Cancelleri. Ed è stato sempre lui a seguire il caso di Marika Cassimatis a Genova e a ottenere la riammissione al Movimento di 23 iscritti che erano stati espulsi a Roma e a Napoli.
Intervistato a Un giorno da pecora, su Radio 1, ha spiegato che le primarie che hanno incoronato sabato a Rimini Di Maio candidato premier e “capo politico” del M5S potrebbero essere invalidate: “In primo luogo perchè ogni volta vengono promulgate nuove regole che confliggono con quello che dice lo statuto, il quale prevede che per partecipare alle primarie sia necessario non avere condanne penali e credere nel movimento. L’ultima volta è stata introdotto, implicitamente, il concetto di casta”.
Ma l’altro elemento riguarda i casi di esclusione alla corsa per la premiership: “Due espulsi si sarebbero voluti candidare ma al momento non vogliono pubblicità e quindi non faccio i nomi”.
Secondo Borrè “ci sono le stesse possibilità di invalidare le primarie che c’erano per invalidare le Regionarie in Sicilia. Ci sono buone probabilità , sono sicuro”, afferma Borrè.
Un elemento di preoccupazione che si aggiunge alle tensioni interne che hanno caratterizzato le ultime settimane. E che non sembra si siano placate.
Fonti vicine a Davide Casaleggio hanno spiegato all’Ansa che non è previsto “alcun mini-direttorio” che affianchi Di Maio. Non ci sarà , dunque, una sorta di riedizione del gruppo (sciolto un anno fa dopo i pasticci della giunta romana) che ‘reggeva’ il Movimento. “Programma, programma, programma, dobbiamo seguire quello, non ci serve il mini-direttorio”, spiega in Transatlantico Danilo Toninelli.
Un messaggio all’ala cosiddetta ‘ortodossa’ contraria (seppur silente) alla formula che assegna al candidato premier anche il ruolo di capo politico del M5S. “Dev’essere un esecutore del programma”, insiste il deputato Luigi Gallo, vicino alle posizioni di Roberto Fico, il punto di riferimento degli ‘ortodossi’.
(da agenzie)
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Settembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
LO STUDIO-SIMULAZIONE DI FORNARO: PENALIZZATI QUELLI CHE VANNO DA SOLI
Se sarà approvato il cosiddetto Rosatellum 2 (il sistema elettorale 1/3 maggioritario e 2/3
proporzionale), l’unico scenario futuro sarà la grande coalizione.
Un trappolone meraviglioso, dove la somma dei numeri di Renzi, Berlusconi e Alfano potrebbe garantire la maggioranza assoluta (seppure risicata) sia alla Camera che al Senato.
E a confermarlo oggi è Tommaso Rodano sul Fatto, che pubblica un modello frutto del lavoro di Federico Fornaro, senatore bersaniano di MDP, esperto di sistemi elettorali e di analisi statistiche.
I “voti” sono calcolati sulla media dei sondaggi dei principali istituti.
Le cifre, ripetiamo, vanno prese con le molle, anche perchè questo sistema elettorale aggiunge ulteriori difficoltà di calcolo (e conseguente approssimazione nei risultati): sia perchè non si conosce ancora l’esatta delimitazione dei collegi, che sarà delegata al governo, sia perchè i risultati dipenderanno anche dalla capacità attrattiva dei singoli candidati, sia perchè le alleanze andranno definite nel dettaglio (nel Rosatellum bis le soglie di sbarramento sono al 3% ma contribuisce alle fortune della coalizione anche chi prende solo l’1, sono incentivate quindi “liste civetta”).
La simulazione è costruita su questa base di sondaggi medi: Pd 27,8%, M5S 27,7%, Lega 14,8%, Forza Italia 13,4%, Fratelli d’Italia 4,7%, Lista Sinistra (Mdp + Pisapia + Civati e Si) 5,0%, Alternativa Popolare 3,0%.
All’interno delle coalizioni, i seggi uninominali attribuiti ai singoli partiti sono stati calcolati regione per regione, sulla base di tendenze territoriali consolidate.
Il risultato è il seguente: il centrodestra — Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia — otterrebbe 249 seggi alla Camera e 115 al Senato.
Il centrosinistra — Pd, Alternativa Popolare di Alfano e alleati minori come Svp —ne otterrebbe 207 alla Camera e 109 al Senato. Nessuna delle due coalizioni si avvicinerebbe alla maggioranza nei due rami del Parlamento.
Con questi numeri l’unica ipotesi possibile il giorno dopo le elezioni è la “fuga”di Forza Italia dal centrodestra per formare una coalizione con Pd e Ap.
Renzi, Alfano e Berlusconi avrebbero una dote di 319 seggi alla Camera (la maggioranza assoluta è 316) e 166 al Senato (maggioranza assoluta 158).
Insomma, con questi numeri Forza Italia e Partito Democratico sfrutterebbero i voti di Lega e FdI per la coalizione elettorale per poi portarne avanti un’altra in Parlamento. Penalizzati quelli che vanno da soli, ovvero M5S e sinistra.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER NON ESCLUDE UNA SUA CANDIDATURA ALLE PROSSIME POLITICHE
Massimo D’Alema, in un’intervista a tutto campo sul Corriere della sera, boccia senza mezzi termini la proposta di riforma elettorale che si discuterà a breve in Parlamento, il cosiddetto Rosatellum
“Quella legge è un’indecenza assoluta: forse il punto più basso della legislatura. Spero venga spazzata via. Ha aspetti aberranti, a mio giudizio palesemente incostituzionali, con il rischio che la Consulta bocci la terza legge elettorale di fila. Ed è incredibile che a proporre una legge fondata sulle coalizioni sia il Pd: un partito che non è in grado di formare coalizioni.
Alla domanda su che legge elettorale preferisca, D’Alema risponde:
“Noi abbiamo sempre proposto la legge Mattarella. Ma, se non è possibile, è inutile fare pasticci, tanto vale votare con una legge proporzionale – sbarramento, collegi piccoli, voto di preferenza – che restituisca il quadro reale del Paese. Non sono un fan delle preferenze, però la nomina dei parlamentari da parte dei partiti è intollerabile.”
L’ex premier dice no a un’eventuale alleanza con il Pd:
“Non mi pare ci siano le condizioni per andare alle elezioni insieme. C’è distanza sul programma e nel giudizio su quel che è accaduto in questi anni. Nessuno capirebbe un accordo in queste condizioni e gli elettori non ci seguirebbero. Presentarsi uniti nei collegi potrebbe essere un disastro.”
E su Renzi:
“Renzi è in difficoltà e a me piace prendermela con i potenti, non con chi è in difficoltà . Feci così anche con Craxi. Dalla parte di Berlinguer sono stato ferocemente anticraxiano; ma quando è cominciata la disgrazia di Craxi sono stato generoso con lui.”
D’Alema non esclude poi un suo eventuale ritorno all’impegno politico:
“Sono uno dei pochi che dal Parlamento è uscito di propria iniziativa. Non potrei però non prendere in considerazione una richiesta se venisse dai cittadini di dare una mano a una campagna elettorale attraverso la mia candidatura.”
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
CINQUE ANNI DA “BATTITORE LIBERO” PER POI SUBENTRARE A DI MAIO COME LEADER
Alessandro Di Battista, uno dei deputati più celebri del MoVimento 5 stelle, medita di non
candidarsi per un secondo mandato alla Camera dei deputati. Lo riporta un articolo pubblicato sul quotidiano la Stampa.
“Ragazzi non so se mi candiderò di nuovo a questo giro. Ho voglia di fare tante altre cose. Ho voglia di tornare a scrivere”.
La nuova vita di Alessandro Di Battista potrebbe ricominciare da un figlio, Andrea, e da un nuovo libro. Fuori dal parlamento, dai rituali lenti di commissioni, aule, regolamenti
Intanto a metà novembre uscirà il suo secondo libro.
Sarà un memoir sulla paternità , un’esperienza personale a cui annodare una riflessione politica e sociale.
Durante il suo videomessaggio a Italia 5 stelle a Rimini, molti hanno strabuzzato gli occhi quando il deputato ha detto: “È giusto non candidarsi, non è il mio ruolo. Mi sento un libero battitore. Ognuno ha il suo ruolo. Voglio essere totalmente libero di portare avantile battaglie in cui credo”
Sul futuro di Di Battista i deputati romani che lo conoscono da più tempo sono pronti a scommettere che alla fine non ci sarà nella prossima legislatura.
E non è solo questione di fare il papà .
Di Battista ha ricevuto diverse offerte editoriali che gli garantirebbero un reddito. “Farò politica, a modo mio” dice, ben consapevole, che tra cinque anni, quando Di Maio avrà finito i suoi due mandati, e a lui ne rimarrà ancora uno, il desiderio di tutti lo porterà ai vertici del M5S per acclamazione.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
IL PARTITO HA UN BUCO DA 9,5 MILIONI DI EURO E 184 DIPENDENTI IN CASSA INTEGRAZIONE
Il Partito democratico ha i conti in rosso, ma il treno di Matteo Renzi che vuole toccare tutte le province italiane costa 400mila euro. Lo riporta un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano.
In pieno stile renziano, pure stavolta si fa tutto all’ultimo momento. Oltre ai problemi organizzativi e strategici, la prima questione da affrontare sono i soldi, visto che il Pd ha 184 dipendenti in cassa integrazione e un bilancio in rosso di 9,5 milioni di euro, buco lasciato dalla campagna per il Sì al refernedum costituzionale di dicembre.
Ma come sarà il treno di Renzi?
Per adesso, si sa che il treno (arrivato a Roma nei giorni scorsi) sarà composto da 5 vagoni, tra cui uno adibito a sala stampa e uno come sala riunioni. E che non si tratterà di carrozze speciali, ma di quelle di un intercity appositamente riadattate per utilizzi charter.
Il Pd lo prenderà in affitto da Trenitalia a prezzo di mercato. E dunque, per il calcolo dei costi complessivi il riferimento è proprio il listino della società . Per il quale il costo dell’affitto varia tra i 20 e i 44 euro a chilometro e dipende da una serie di parametri che concorrono a determinare il valore complessivo tra cui ad esempio: la tipologia di materiale rotabile, l’infrastruttura utilizzata (rete Alta velocità o convenzionale), la qualità dei servizi richiesti a bordo e in stazione, il numero di persone impiegato (…) Facendo un conto a spanne su una percorrenza media di 150 chilometri al giorno – a un prezzo intermedio (facciamo per comodità 33 euro a chilometro) per i 45 giorni del tour (durata minima ma potrebbe arrivare a 2 mesi) – si parte da poco meno di 250mila euro, prezzo che può lievitare facilmente se i chilometri percorsi e i giorni del tour aumentano (…) E i costi aumentano e possono arrivare facilmente a 400mila euro o anche più su.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI CENTRODESTRA DEI PROCLAMI PER LA LEGALITA’ DIVENTATO “ZERBINO” PER FAVORIRE I BOSS DELLA ‘NDRANGHETA
Antonino Lugarà , imprenditore immobiliare di 64 anni, calabrese di Melito Porto Salvo, «capitale
sociale» della ‘ndrangheta brianzola, già scampato a un attentato di rivali armati di kalashnikov contro la macchina blindata (sceso, aveva risposto con le pistole), era il «dominus» di Seregno e poteva comandare senza avere certezze.
«Non sapevo chi c… mettere» confidava al telefono, a elezioni avvenute nel giugno 2015. Voleva un uomo nel nuovo consiglio comunale e non aveva un nome pronto. Nessun problema.
Aveva obbligato a candidarsi l’impresentabile Stefano Gatti, suo prestanome in cinque società e privo d’una qualsiasi competenza. Gatti era stato eletto. Ma non bastava.
Quel Gatti andava premiato con la presidenza di una commissione. «C… ne so, può andar bene la cultura?» domandava a Lugarà l’avvocato civilista Edoardo Mazza. Lugarà , ovvero il «sindaco dell’anti-Stato»; e Mazza, il vero sindaco di questo comune di 45 mila abitanti tra i più produttivi del Nord Milano.
Classe ’77, sconosciuto fino a ieri (è ai domiciliari, quando sono arrivati i carabinieri è svenuto per la paura), Mazza s’era pubblicamente fatto notare per una foto dopo lo stupro di Rimini con le forbici in mano e per i proclami da difensore della legalità : «La mafia si combatte con i fatti».
Poi, nella realtà , come rilevato e scritto dagli inquirenti, Mazza era «lo zerbino», il «lacchè», era l’esecutore d’ogni ordine di Lugarà al quale permetteva d’entrare in Comune come fosse casa sua, sedersi nelle salette degli uffici, spazientirsi se la persona convocata tardava a venire.
L’inchiesta ha azzerato il municipio di Seregno e ha evidenziato l’assoluta convinzione di impunità : rimarranno imperiture le abitudini di un tecnico, in seguito suicida, che accoglieva in Comune prostitute dell’Est Europa.
Si potrebbe parlare per ore del resto della cricca, il vicesindaco Giacinto Mariani e il dirigente delle Politiche sociali Carlo Santambrogio, il geometra Antonella Cazorzi e l’assessore alla Protezione civile Gianfranco Ciafrone, tutti indagati, tutti che vedevano e tacevano, se lo facevano piacere e ne approfittavano.
Non dimenticando Giuseppe Carello, pubblico ufficiale traditore della Procura di Monza e fornitore di segreti.
Ma alla fine, a monte del «sistema», c’era sempre Mazza.
In cambio del sostegno elettorale («Ogni promessa è debito»), con stravolgimenti delle norme Lugarà aveva ottenuto la concessione di un’area per costruire un supermercato. Il sindaco s’inchinava e perdeva in adulazioni verso l’imprenditore: «Io e te siamo la stessa cosa».
Ignorava, anzi fingeva d’ignorare, che tanto non era lui a scegliere.
Il 22 giugno 2015 s’erano incontrati al bar Mimo’s di Seregno, fresco di nuova giunta. La conversazione, ascoltata dai carabinieri, evidenziò con due frasi chi fosse al guinzaglio. Lugarà : «Abbiamo vinto». Mazza: «Bravo».
(da “Il Corriere della Sera”)
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