Ottobre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
POSSEDEVA UNA DECINA DI FUCILI D’ASSALTO MA DAL PASSATO NON EMERGE NULLA DI STRANO… L’ISIS SOSTIENE CHE SI FOSSE CONVERTITO ALL’ISLAM MA NON CI SONO ELEMENTI PER RITENERE ATTENDIBILE QUESTA TESI
Il nome dell’autore della strage di Las Vegas è Stephen Paddock.
A darne notizia è il dipartimento di polizia di Mesquite, in Nevada, dove il 64enne viveva. Nella stanza d’albergo di Paddock al 32esimo piano del Mandala Bay, dove Paddock era arrivato il 28 settembre scorso, gli inquirenti hanno trovato un vero e proprio arsenale: almeno 10 fucili. Paddock alloggiava nella stanza numero 135 dell’hotel dal 28 settembre e non è chiaro se il personale dell’albergo abbia tentato di fermarlo.
Secondo quanto ha detto al Guardian il portavoce del dipartimento di polizia di Mesquite (una cittadina a 50 Km da Las Vegas) non ci sono molte informazioni sull’uomo
«Abitava nella nostra città , ma non abbiamo avuto alcun contatto con lui, in passato. Non risulta nulla nella banca dati della polizia: nessun arresto, nessuna telefonata contro di lui, nemmeno una multa stradale. Mesquite è una tranquilla cittadina di circa 20.000 abitanti, un posto “di pensionati e golfisti”, con tre grandi casinò e circa un omicidio all’anno».
Secondo il Telegraph Paddock prima di trasferirsi a Mesquite nel 2016 ha vissuto a Reno dal 2011 al 2016 ma dal 2013 al 2015 pare avesse un indirizzo a Melbourne, in Florida.
Negli anni Novanta ha invece abitato a Henderson — sempre in Nevada — e in California. Nel novembre 2003 Paddock aveva conseguito la licenza di volo per condurre monomotori.
Paddok è rimasto ucciso la scorsa notte quando gli agenti hanno fatto irruzione nella sua stanza d’albergo.
Non è chiaro al momento se si sia suicidato o se sia stato colpito a morte dalla polizia. Secondo le autorità di Las Vegas l’uomo potrebbe essersi suicidato: “È stato colpito, non sappiamo se si è sparato o se è stato colpito dalla polizia”.
Riguardo il movente che ha spinto l’uomo a sparare su una folla di decine di migliaia di persone le autorità hanno dichiarato che non è ancora stato possibile risalirvi.
Si è appreso che Paddock aveva fatto causa al “Cosmopolitan hotel and casino” di Las Vegas nel 2012.
I dettagli non sono per ora disponibili ma gli atti mostrano che fu intentata per “negligenza/responsabilità ” della proprietà . L’azione legale fu respinta senza possibilità di appello e le parti raggiunsero un accordo tramite un arbitrato. Il fratello di Paddock, Eric Paddock, lo ha descritto come “una persona che viveva a Mewsquite e a cui piacevano i burrito”.
A Las Vegas Paddock ha ucciso 50 persone ferendone più di 400, ma per lo sceriffo Joe Lombardo è ancora presto per definire il massacro del Route 91 Harvest Festival un episodio di terrorismo interno.
A chi gliene chiedeva il motivo Lombardo ha risposto: «dobbiamo stabilire prima quale fosse il movente, ci sono delle moventi diversi legati al terrorismo diversi dall’azione di una persona disturbate che vuole fare un massacro».
Circola però anche la notizia che Paddock abbia agito in nome dell’ISIS. A dirlo è Amaq l’agenzia di stampa del gruppo Stato Islamico che rende noto che Stephen Paddock si sarebbe invece convertito all’Islam mesi fa.
A tirare in ballo l’ISIS è il SITE che ha riportato due distinti comunicati dello Stato Islamico.
In un primo viene rivendicato l’attacco mentre nel secondo comunicato di Amaq riferito da Rita Katz — direttrice del Site — si fa invece riferimento alla recente conversione di Paddock all’Islam scegliendo il nome Samir Al-Hajib.
Non ci sono però conferme ufficiali sulla veridicità di quanto detto da Amaq.
C’è però chi, come la giornalista dell’ABC Demetria Obilor†fa notare che Isis o no in base alle leggi del Nevada il crimine commesso da Stephen Paddock è già di per sè un atto di terrorismo. Si riaccende così la polemica sul fatto che negli USA le forze dell’ordine siano sempre molto restie a parlare di terrorismo di fronte a stragi perpetrate da cittadini bianchi e che si preferisca sempre parlare di “lupo solitario” o di “persona con problemi mentali”.
Quella di Las Vegas è la più sanguinosa strage commessa sul suolo degli Stati Uniti d’America. Ma dal momento che l’autore è un bianco in pochi vogliono parlare di terrorismo.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
IL GIOCO DELLE PARTI: LA BECERO DESTRA PROVOCA E ISTIGA, QUALCHE IGNORANTE MANIFESTA, IL PRETE E IL PREFETTO VENGONO MINACCIATI, CHI BLOCCA LE STRADE NON VIENE DENUNCIATO E MINNITTI SE NE FOTTE
Era entrato a Gerusalemme tra rami d’ulivo e palme, aveva salito il Golgota tra la folla diventata
ostile. Ma mai, al buon Gesù, era capitato di avanzare tra striscioni di contestazione, neanche fosse un qualsiasi ministro o un presidente di una squadra di pallone.
Una terra in preda a convulsioni, quella di Multedo, dopo la scelta di ospitare cinquanta migranti nell’ex asilo Govone. Dove anche la processione in onore di Nostra Signora del Rosario diventa motivo di divisione.
Accade ieri, mentre le preghiere si snodano dalla chiesa di Santa Maria e Santi Nazario e Celso, in via Monte Oliveto e scendono verso via Antica Romana per poi proseguire verso via Reggio. La folla non è quella delle grandi occasioni, e così i contestatori conquistano visibilità col minimo sforzo. Basta una manciata di striscioni. Il senso è chiaro: i preti che accolgono non ci piacciono. E pensiamo pure che lo facciano per soldi.
Il comitato “ufficiale” di Multedo si era dissociato preventivamente, ma i distinguo, in questo momento, si perdono nel magma della confusione.
Caos in cui Lega, Fratelli d’Italia e Casa Pound, alzano la voce, tra solidarietà con un quartiere con pochi santi in Paradiso e richiami alla purezza della razza.
Chi non grida, ma non riesce più neppure a tacere, è don Giacomo Martino, direttore dell’Ufficio della Pastorale Diocesana che si occupa di migranti e che gestirà il nuovo centro.
L’idea di rinunciare alla struttura non lo sfiora neppure, ma il messaggio, destinato a sindaco Marco Bucci, è diretto e inequivocabile: basta nascondersi. «Non possiamo affrontare da soli questa situazione — ha spiegato don Martino — Serve un incontro urgente con il sindaco e la prefettura».
Perchè, sostiene ancora il direttore dell’ufficio Migrantes, lo scontro non conviene a nessuno: serve sedersi a un tavolo, tutti insieme e studiare un percorso condiviso. Certo, le pie intenzioni sono lastricate di trabocchetti.
A cominciare dalle questioni sanitarie avanzate dal fratello d’Italia Matteo Rosso, consigliere regionale sotto processo per peculato,che sabato ha cercato di contare personalmente il numero dei bagni dell’ex asilo perchè, giura, seriamente preoccupato per la qualità della vita dei profughi.
Peccato che Salvini ieri sera alla festa della Lega abbia detto che “i profughi non li vogliamo da nessun parte”, e che “o il prefetto lo capisce o glielo facciamo capire noi”.
Piu’ moderato del suo assessore alla presunta sicurezza di Genova che aveva detto “altrimento lo mandiamo affanculo”.
Lo avesse detto un comune cittadino avrebbe già avuto la notifica della denuncia da parte dei carabinieri, al triste figuro è tutto permesso.
Come è stato permesso a 50 abitanti del quartiere (o presunti tali) di insultare il parroco adombrando chissà quali interessi economici dietro la scelta dell’ex asilo e di bloccare il traffico all’uscita dell’autostrada al casello per oltre un’ora, senza alcuna denuncia o intervento del reparto celere.
Via libera a chi viola la legge, fino a che qualche cittadino non si romperà i coglioni e la ripristinerà in assenza dello Stato.
(da agenzie)
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Ottobre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
IN UN PAESE CIVILE SAREBBERO STATI COMMISSARIATI, SOLO IN ITALIA POSSONO CONTINUARE A FARE I SINDACI
Alla fine anche Canepa si ha dovuto innestare la retromarcia, revocando la contestata ordinanza “antiprofughi”, quella emanata nell’estate di due anni fa con cui il primo cittadino alassino imponeva il divieto di dimora o soggiorno ad Alassio ai cittadini stranieri che non ossero provvisti di un certificato medico che attestasse l’assenza di patologie contagiose o comunque pericolose per la cittadinanza.
Un’ordinanza che poi era stata “copiata” da altri sindaci, ma che era stata duramente contestata da parte di numerose organizzazione umanitarie che avevano presentato una raffica di ricorsi e denunce.
Ora quell’ordinanza, almeno sul piano amministrativo visto che procedimenti penali sono in corso, finisce nel dimenticatoio.
Lo stesso sindaco Enzo Canepa, infatti, la ha revocata 3 giorni fa per una sentenza del tribunale civile che a fine luglio aveva imposto non solo la revoca dell’ordinanza ma anche la pubblicazione sia della revoca che del dispositivo della sentenza sul sito del Comune.
Canepa è stato condannato per discriminazione razziale del tribunale penale a pagare un’ammenda di 3750 euro
Il sindaco carcarese Franco Bologna già un mese fa aveva pubblicato la sentenza (datata fine luglio) sul sito del suo Comune ed altri sindaci di comuni più piccoli avevano messo le ordinanze nel cassetto senza neppure attendere il pronunciamento dei giudici.
In qualsiasi Paese civile un sindaco condannato in sede penale per discriminazione razziale sarebbe commissariato di autorità dal Ministero degli Interni , solo in Italia continua a rimanere al suo posto.
(da agenzie)
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Ottobre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
IL BRANCO E’ STATO INDIVIDUATO, ARRESTATI TRE ITALIANI
Tre catanesi di 36, 34 e 23 anni, sono stati fermati dai carabinieri per violenza sessuale nei confronti
di un giovane di 25 anni violentata la notte tra sabato e domenica a Misterbianco.
Per i tre la Procura oggi presenterà richiesta di convalida del provvedimento.
La notte di violenza è iniziata in discoteca a Catania alla “Vecchia Dogana” sabato sera: uno dei tre uomini si è offerto di accompagnare la ragazza e in campagna, in contrada ‘Muscalora’ a Misterbianco alle porte della città , l’ha violentata insieme agli altri due uomini.
Un incubo vissuto all’alba di domenica per una ragazza della provincia di Catania che aveva deciso di trascorrere in discoteca la sera.
La 25enne, secondo quanto si apprende, si era recata in discoteca assieme a una persona che avrebbe conosciuto su un social network.
Abbordata da un altro giovane in pista la ragazza aveva accettato di essere riaccompagnata a casa ma appena salita nell’auto ha trovato gli altri due già dentro la vettura. I tre l’ahho portata nelle campagne di Mistrbianco e l’avrebbero ripetutamente violentata.
Poi l’avrebbero abbandonata sulla strada. Un passante che l’ha vista le ha dato i primi soccorsi e ha chiamato il 112.
Sul posto sono arrivati i carabinieri e la vittima è stata condotta con un’ambulanza nell’ospedale Garibaldi di Catania, dove è stata ricoverata in stato di shock.
I carabinieri hanno sequestrato i cellulari dei tre fermati: conterrebbero dei filmati girati durante la notte ‘brava’.
L’inchiesta è coordinata dal procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, dall’aggiunto Marisa Scavo e dal sostituto Fabio Regolo.
(da agenzie)
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Ottobre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
NESSUN TENTATIVO DI STUPRO A QUARTO OGGIARO DOVE GLI ABITANTI ERANO SCESI IN STRADA A DIFESA DELLA RAGAZZA CHE AVEVA SUONATO IL CLACSON…”PRIMA UN RAPPORTO CONSENZIENTE, POI LA LITE”
Per salvare la ragazza dall’uomo che sembrava le stesse usando violenza erano intervenuti i residenti del quartiere Quarto Oggiaro, a Milano.
L’uomo di origini sudamericane finito in carcere sabato scorso con l’accusa di aver cercato di violentare una 21enne in macchina, è tornato libero.
Il fermo era stato disposto da pm di turno, Sergio Spadaro, che però non ha chiesto la convalida del provvedimento nè la misura cautelare per l’uomo, un tassista abusivo di 54 anni, accusato di violenza sessuale e bloccato da alcuni cittadini della zona che, nel tentativo di bloccarlo, avevano preso a sprangate l’auto.
Dalle indagini non sono infatti emersi riscontri sul presunto tentativo di violenza.
I due, secondo a quanto emerso, avrebbero infatti avuto un rapporto consenziente, senza nessuna costrizione da parte dell’uomo.
Quando gli abitanti del quartiere sono intervenuti, sempre da quanto si è potuto apprendere in ambienti giudiziari milanesi, la coppia stava litigando violentemente per un video ripreso dalla donna con il cellulare
Tra gli elementi acquisiti agli atti, infatti, c’è il videoche mostrerebbe un rapporto consenziente tra i due.
L’uomo era stato fermato dagli agenti della polizia locale. Alcuni abitanti del quartiere popolare di Quarto Oggiaro erano scesi in strada dopo essere stati svegliati dal suono di un clacson proveniente da un’auto parcheggiata e dentro cui un uomo stava cercando di tenere ferma una ragazza.
Di fronte alle urla della 21enne, seminuda, gli abitanti del quartiere hanno pensato a un tentativo di stupro e alcuni di loro hanno iniziato a prendere a sprangate l’auto e altri anche a lanciare tazze e piatti dalle finestre delle abitazioni.
L’uomo è poi fuggito a bordo dell’auto riuscendo a buttare fuori dalla macchina la giovane. Lei ha raccontato di aver passato la notte in discoteca, in un locale nella zona est di Milano e che uscendo, intontita un po’ dalla musica e dall’alcol, era salita sull’auto.
Nel pomeriggio di sabato il suv è stato rintracciato in una carrozzeria e alcune ore dopo gli agenti hanno rintracciato il 54enne.
Dalle indagini, coordinate dal pm Sergio Spadaro, sono però emerse alcune contraddizioni nel racconto della ragazza ed è venuto a galla che i testimoni, ossia gli abitanti del quartiere, hanno pensato ad un tentativo di stupro ma si sarebbe trattato di una lite tra i due: la donna avrebbe graffiato l’uomo.
(da agenzie)
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Ottobre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
LA CONSIGLIERA CHE CHIEDE LIBERTA’ PER UN ARRESTATO, IL VICESINDACO CHE APPOGGIA LE PROTESTE E LA APPENDINO CHE NON CONDANNA GLI AUTORI DEGLI SCONTRI, QUATTRO CONSIGLIERI M5S SONO LEGATI AI CENTRI SOCIALI
“Sembra impossibile. Andrea libero subito”. È il tweet diffuso da Francesca Frediani, consigliere
regionale del Movimento 5 Stelle, in Piemonte, alla notizia dell’arresto di Andrea Bonadonna, uno dei leader del centro sociale torinese Askatasuna.
L’uomo è stato preso in consegna sabato sera dalla polizia al termine del corteo di protesta contro il G7. Proprio ieri un centinaio fra attivisti dei centri sociali e No Tav si sono radunati nel quartiere delle Vallette per un presidio davanti ai cancelli del carcere in solidarietà alle due persone arrestate ieri in occasione del corteo anti-G7 a Venaria: Anthony Pecoriello, di Pesaro, e il torinese Bonadonna.
Ma l’uscita della consigliera, che su Twitter alle critiche ha risposto con un significativo “Ho le spalle larghe, non temete”, non è passato inosservato.
Anche perchè è finito nel calderone delle accuse del Partito Democratico al MoVimento 5 Stelle piemontese dopo la vicenda dei manichini di Renzi e Poletti bruciati in piazza.
Sullo sfondo c’è Torino, che ha schivato per una manciata di chilometri il vertice internazionale organizzato a Venaria anzichè al Lingotto, spostando anche il baricentro geografico della protesta.
«La città non ha avuto danni», gioisce la sindaca Appendino. E benedice la scelta della Reggia: «È stata la decisione corretta per poter garantire la sicurezza di tutti e per mostrare ai ministri una delle bellezze del nostro territorio»
L’ex premier ieri ha parlato della protesta a Venaria per il G7 e del suo manichino ghigliottinato per attaccare la sindaca Chiara Appendino e il vicesindaco Guido Montanari senza mai nominarli ma chiaramente riferendosi a loro.
«Torno a casa e in tv vedo che i manifestanti contro il G7 di Torino stanno decapitando due manichini, uno col mio volto, uno col volto del ministro del lavoro. Questi signori hanno installato una ghigliottina e pensano di essere simpatici ricordando le macabre esecuzioni del passato — ha scritto Renzi — Non mi fanno impressione le pagliacciate. Però in questa vicenda ci sono agenti di polizia, carabinieri, uomini delle nostre forze dell’ordine che vengono feriti sul serio, non a parole. Le botte le hanno prese davvero, loro: hanno prognosi fino a 40 giorni. E ci sono squallidi amministratori comunali che non hanno avuto la forza — o la voglia — di spendere una parola per prendere le distanze da certe formazioni anarchiche o presunti tali, da centri sociali, da persone abituate a vivere di violenza quantomeno verbale», ha sostenuto.
Il riferimento, trasparente, è alla sindaca e al vicesindaco Montanari. Proprio Montanari ieri era finito nelle polemiche per un post su Facebook, poi rimosso, in cui esprimeva apprezzamento per le riproduzioni giganti delle brioche — da lui evocate nei giorni scorsi per attaccare i ‘grandi’ del G7 — che ieri hanno sfilato in testa al corteo conclusosi con gli scontri con le forze dell’ordine. “Belle le brioche da portare i ministri del G7. Che sia un corteo pacifico colorato e gioioso”, scriveva il vicesindaco a commento di una foto degli enormi croissant.
Spiega oggi Paolo Griseri su Repubblica che c’è ormai una spaccatura nel M5S tra l’ala istituzionale e quella più vicina ai centri sociali torinesi nei quali militano almeno quattro dei 25 consiglieri comunali pentastellati.
Appendino sa che senza l’appoggio di quell’area la sua granitica maggioranza in municipio sarebbe a rischio. Così è costretta a barcamenarsi.
La luna di miele tra Appendino e i centri sociali torinesi, spiega sempre Repubblica, ha garantito per quasi un anno alla prima cittadina una navigazione relativamente tranquilla.
Ora però il movimento passa all’incasso e mostra di non gradire il prevalere del profilo «di governo» dell’amministrazione.
Le frasi pronunciate ieri da Di Maio, oltre allo scontato appoggio alla sindaca, dicono che nemmeno il candidato premier dei 5 Stelle appoggia la linea movimentista di una parte dei grillini torinesi.
La sottolineatura del fatto che «le violenze non fanno parte del Dna del Movimento 5 Stelle» e ancor di più l’affermazione che «non è giustificabile la macabra provocazione con i manichini di Renzi e Poletti» avrebbero potuto dare ad Appendino l’appiglio per affrancarsi dal commissariamento dell’ala dura del movimento.
Ma la Appendino non lo ha fatto.
E questo non può che dare in prospettiva ai nervi a Di Maio, che invece cerca di fare il giro delle sette chiese da anni per accreditarsi come leader di una forza tranquilla, pacifica, istituzionale.
Ora bisognerà capire se e quanto la doppia linea di pensiero tra i grillini peserà nei rapporti tra Regione e Comune, oltre il G7. E quali ripercussioni avrà a livello nazionale.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
TORNA LA MARETTA TRA ORTODOSSI ROMANI E IL CAMPIDOGLIO
Roberta Lombardi ricorda a Virginia Raggi e al resto del MoVimento 5 Stelle che le regole sono regole.
In un’intervista rilasciata ad Andrea Arzilli del Corriere della Sera la Lombardi torna a parlare della sua sindaca preferita, segnalando che il codice etico parla chiaro e in caso di condanna dovrebbe dimettersi:
Nel caso Raggi dovrebbe dimettersi?
«Abbiamo un codice etico molto chiaro, che prevede la sospensione dei condannati – risponde Lombardi. Ma sul rinvio a giudizio di Virginia sarà la magistratura a fare le opportune valutazioni. Il M5S ha profondo rispetto per il lavoro che le Procure portano avanti ogni giorno. E vorrei comunque sottolineare che sulle accuse per abuso di ufficio c’è stata una richiesta di archiviazione, ora ne resta in piedi una e saranno i giudici ad esprimersi, aspettiamo»
Nel Movimento c’è chi, come lei, chiede l’osservanza delle regole e chi il codice preferisce interpretarlo
«Dico solo che tutto questo gran parlare quando si è trattato di Sala non c’è stato, ma siamo abituati ormai…».
E sulla corsa alla Regione Lazio? Teme l’effetto Raggi sulla sua candidatura e sulla corsa del Movimento?
«Sarò schietta: degli errori sono stati commessi, lo ha ammesso la stessa sindaca in passato, ma sbagliare è umano, d’altro canto il lavoro avviato dalla giunta capitolina e dai consiglieri ha prodotto risultati positivi
In realtà , come abbiamo spiegato, se non bastasse il codice etico c’è la firma di Virginia sul regolamento degli eletti M5S a ricordare alla sindaca la necessità dell’addio in caso di condanna.
Al punto 9 il codice è chiarissimo: il sindaco, gli assessori e i consiglieri prendono l’impegno etico di dimettersi se durante il mandato saranno condannati in sede penale, anche solo in primo grado.
Il codice etico quindi costringe Virginia Raggi a dimettersi in caso di condanna. E la firma su quel codice, esibito anche in tribunale, è proprio la sua:
Intanto, quando l’intervistatore le ricorda i romani di Svizzera di Paola Taverna, anche la Lombardi dimostra una certa tendenza alla fabulazione del passato:
È bastato un tweet di Paola Taverna («Una domanda ai romani: ma prima abitavate in Svizzera?») a scatenare la protesta social dei cittadini. Quali sono i segnali di buon governo dalla giunta Raggi?
«Penso allo stadio, il cui progetto è stato adeguato alle esigenze e al rispetto della città e dell’ambiente. Ma penso anche alla nuova flotta di bus,oppure alla linea 720 che collega l’aeroporto di Ciampino al centro di Roma. Insomma ognuno è libero di fare le sue critiche, per carità , ma sul M5S a Roma vedo un certo accanimento»
La Lombardi invece dovrebbe ricordare che i famosi bus sono stati ordinati e pagati dalla Giunta Marino, mentre sullo stadio lei aveva chiesto di cancellare il progetto mentre lo stadio si farà a Tor di Valle.
Se è stata una vittoria di Raggi, quella, lo è stata contro quelli come lei.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
“UNA FIGURA PENOSA IN TUTTO IL MONDO”
Il giorno dopo il referendum sull’indipendenza della Catalogna, tutti sotto processo sulla stampa
spagnola.
Il quotidiano El Pais in un editoriale attribuisce la maggior parte delle responsabilità al governo catalano, ma non risparmia le critiche al governo centrale di Madrid. Rajoy è accusato di “passività e imperizia”. In sostanza, di non essere stato capace di gestire la crisi fin dall’inizio, facendo precipitare la Spagna in una spirale pericolosa per la democrazia.
Scrive El Pais
“Il governo centrale da un lato, e quello della Generalitat dall’altro, si sono precipitati ieri a cantar vittoria dopo la vergognosa giornata che i cittadini della Catalogna sono stati costretti a vivere a causa dell’arroganza xenofobica – in alleanza con le forze antisistema — rappresentata da Carles Puigdemont e dell’assoluta incapacità di gestire il problema da parte di Mariano Rajoy fin dall’inizio di questa crisi”.
La giornata di ieri — continua il quotidiano — “è stata una sconfitta per il nostro Paese, per gli interessi e i diritti di tutti gli spagnoli, sia catalani che di qualsiasi altro posto della Spagna, per il destino della nostra democrazia e per la stabilità e il futuro del sistema di coesistenza che ci siamo dati per quasi quarant’anni”.
E ancora:
“È chiaro che non siamo affatto equidistanti rispetto alle responsabilità che devono essere attribuite a coloro che hanno causato ieri questa distruzione monumentale della nostra democrazia, che avrà bisogno di anni per essere sanata. I principali colpevoli sono il presidente della Generalitat e il presidente del Parlamento […]. Ma nè i loro crimini flagranti nè la loro spavalderia possono giustificare la passività e l’imperizia del presidente Rajoy, la sua afasia politica, la sua inconsistenza nel dibattito pubblico” nè — prosegue il quotidiano — il fatto di aver delegato codardamente le responsabilità nell’amministrazione della giustizia.
Anche El Mundo, in un editoriale intitolato “Non un minuto da perdere di fronte all’indipendentismo”, dà la colpa per la “vergogna” che si è consumata ieri sia all’irresponsabilità della Generalitat che al “fallimento di un governo a lungo assente”. Un binomio che, insieme, ha prodotto soltanto caos.
“I massimi colpevoli” – sentenzia il quotidiano – sono le autorità catalane, responsabili di aver reso l’intera società ostaggio di un “progetto unilaterale di segregazione, vestito con design patriottico”. “Il loro comportamento non può essere giudicato da un editoriale, ma da un tribunale”.
Ma sulle spalle di Rajoy pesa un fallimento enorme: quello di “non essere stato in grado di impedire che immagini così drammatiche facessero il giro del mondo”. Quelle immagini, per El Mundo, non fanno che accrescere il capitale politico già accumulato dal separatismo, rafforzando e prolungando una ribellione che il premier si ostina a non voler considerare.
Di fronte a un’insurrezione che mina l’ordine legittimo, “il governo non può più ritardare l’adozione di misure per frenare i piani dei separatisti, compresa l’applicazione immediata dell’articolo 155 o la legge per la sicurezza dei cittadini, al fine di preservare la legalità e mettere i Mossos sotto il controllo dello Stato. Il governo non può perdere un minuto nè deve avere il polso tremante quando è ora di fronteggiare, con la legge in mano, i crimini dell’indipendentismo”.
A difendere l’uso della forza, giudicato inevitabile, è invece un editoriale di ABC Spagna, che scrive:
“L’intervento della Guardia Civile e della Polizia Nazionale ha risposto alla necessità inevitabile di ripristinare l’ordine giuridico, assicurare il primato della Costituzione e rispettare gli ordini giudiziari […]. L’uso della forza era legittimo, proporzionale e necessario. Le nostre forze di sicurezza hanno agito con una professionalità lodevole in uno scenario molto complicato”.
La Vanguardia, il principale giornale catalano, utilizza la parola “desolazione” per descrivere la giornata di ieri. Una desolazione che si sarebbe potuta evitare, e di cui sono responsabili entrambe le parti. “I governanti catalani non avrebbero mai dovuto forzare il cammino dell’unilateralismo […] e il governo spagnolo avrebbe dovuto creare un quadro di dialogo capace di creare nuovi consensi in Catalogna. Il governo spagnolo ha affrontato un atto di disobbedienza a un costo elevato. Ieri non c’è stato alcun referendum in Catalogna, prima i partiti lo riconosceranno e meglio sarà per tutti. Il governo di Mariano Rajoy, tuttavia, ha fatto più che garantire l’ordine costituzionale. Voleva inviare un messaggio di autorità a tutta la società spagnola: i catalani e il resto della società spagnola. Un gesto di autorità particolarmente pensato per i suoi elettori. Un gesto di fermezza davanti agli altri governi europei in un momento difficile per l’Unione. Il prezzo di questa politica di fermezza, mai accompagnato da una reale proposta di dialogo, è alto”.
“E adesso, cosa fare?”, si domanda il quotidiano catalano. “È necessario aprire immediatamente percorsi di dialogo reali. Dobbiamo avere il coraggio di proporre la creazione di una commissione indipendente composta da giuristi e personaggi di rilievo che in breve tempo possa offrire al governo spagnolo e al governo della Generalitat una via d’uscita che, una volta concordata, possa essere votata dalla società catalana, come primo passo […]”.
Quanto a Barcellona, “il Parlamento catalano dovrebbe affrontare la questione senza frenesie. Nella Generalitat sono necessarie nuove maggioranze. A questo proposito, vogliamo essere chiari. La dinamica politica catalana non può rimanere nelle mani di un partito con appena l’8% dei voti nelle ultime elezioni […]. Servono dignità , intelligenza, volontà di disinfiammare gli animi e ricerca di una via d’uscita che possa essere liberamente votata dai cittadini della Catalogna”, insiste il quotidiano catalano.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
BASTAVA UN SONDAGGIO E SI SAREBBERO EVITATI TANTI FERITI… I QUATTRO POSSIBILI SCENARI
Gli ultimi sondaggi prima della tragica domenica di scontri in Catalogna davano i favorevoli all’indipendenza tra il 40% e il 42%, i contrari al 49%.
Tre anni fa un referendum analogo vide la partecipazione solo del 35% della popolazione catalana.
Sarebbero bastati questi dati per capire che non era il caso di forzare la mano, se non per interessi politici. Alla fine la sceneggiata è costata 800 feriti e l’immagine di una Spagna nel caos in tutti i media internazionali: ne valeva la pena?
Il governo della Catalogna ha diffuso dei dati sui votanti che valgono quanto le balle dei nostri partiti quando parlano di milioni di persone in piazze senza verifiche.
Comunque su 5,5 milioni di aventi diritto avrebbe votato la metà , e tra questi prevalgono i Sì con il 90%. Tradotto avrebbero votato Sì due milioni di catalani, pari al 42%.
Se questo è un successo, vedete voi…
Il presidente catalano Carles Puigdemont ha detto che la Catalogna ha conquistato il diritto all’indipendenza dalla Spagna dopo che “milioni” di persone sono andati ai seggi.
“Con questo giorno di speranza e sofferenza, i cittadini della Catalogna hanno conquistato il diritto a uno Stato indipendente” ha detto alle tv.
Per la giornata di martedì è stato annunciato da quattro sigle sindacali uno sciopero generale in Catalogna “contro la repressione e per le libertà “.
Il presidente catalano ha invitato la Ue ha smettere di “voltare la testa” di fronte alle violenze della polizia spagnola sugli elettori, in seguito alle quali oltre 800 persone sono rimaste ferite. Chi volta la testa è Madrid, con Mariano Rajoy che non prende atto del voto catalano, parlando di “sceneggiata”.
Le prime mosse sono state analoghe: il premier spagnolo Mariano Rajoy ha convocato una riunione con i leader di tutti i partiti spagnoli per “riflettere sul futuro” e per discutere il ritorno alla normalità in Catalogna.
Sull’altro fronte, il presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, ha convocato una riunione straordinaria del consiglio esecutivo a porte chiuse, mentre la presidente del Parlament, Carme Forcadell, ha convocato la giunta dei capigruppo per stabilire il giorno e l’ordine del giorno del prossimo plenum: “entro due giorni successivi alla proclamazione dei risultati ufficiali”, in caso di vittoria del sì, si legge nella legge del referendum, si terrà una “sessione ordinaria” nel Parlamento per “effettuare la dichiarazione formale di indipendenza, applicare i suoi effetti e cominciare il processo costituente”.
Diversi gli scenari politici che si aprono ora
Primo, la dichiarazione unilaterale di indipendenza è l’obiettivo dichiarato del “processo”, ma senza un accordo con Madrid appare la strada meno praticabile e quella con le maggiori insidie per l’ordine pubblico e la sicurezza.
Secondo, le elezioni regionali anticipate, con la rinuncia alla dichiarazione unilaterale di indipendenza: darebbero ai catalani la possibilità di rafforzare il peso del voto indipendentista, ma il fronte rischierebbe di spaccarsi tra Pdecat ed Erc, principali partiti catalani, fra cui potrebbe aprirsi una corsa fatta di calcoli elettorali e distinguo.
Terzo, le elezioni nazionali anticipate: Mariano Rajoy esce con le ossa rotte da questa vicenda, ha dato una pessima immagine all’estero con l’uso della forza e non è comunque riuscito a impedire il referendum.
Ma fra i partiti nazionali prevale la considerazione che non sia il momento di votare, nè il Ppe, nè il Psoe, nè Podemos sono pronti a una nuova consultazione e si sono trovati anche in imbarazzo nella gestione della vicenda catalana.
Quarto, la via diplomatica: non sembra la possibilità più concreta, al momento, viste le distanze politiche e le violenze di piazza, ma c’è il modello basco come riferimento per un progresso dell’autonomia catalana. La ricerca di un compromesso fra Madrid e Barcellona è tuttavia al momento estremamente difficile.
(da “Huffingtonpost”)
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