ALLA FINE DELLA SCENEGGIATA I SI’ AL REFERENDUM SONO SEMPRE IL SOLITO 40% DEI CATALANI
BASTAVA UN SONDAGGIO E SI SAREBBERO EVITATI TANTI FERITI… I QUATTRO POSSIBILI SCENARI
Gli ultimi sondaggi prima della tragica domenica di scontri in Catalogna davano i favorevoli all’indipendenza tra il 40% e il 42%, i contrari al 49%.
Tre anni fa un referendum analogo vide la partecipazione solo del 35% della popolazione catalana.
Sarebbero bastati questi dati per capire che non era il caso di forzare la mano, se non per interessi politici. Alla fine la sceneggiata è costata 800 feriti e l’immagine di una Spagna nel caos in tutti i media internazionali: ne valeva la pena?
Il governo della Catalogna ha diffuso dei dati sui votanti che valgono quanto le balle dei nostri partiti quando parlano di milioni di persone in piazze senza verifiche.
Comunque su 5,5 milioni di aventi diritto avrebbe votato la metà , e tra questi prevalgono i Sì con il 90%. Tradotto avrebbero votato Sì due milioni di catalani, pari al 42%.
Se questo è un successo, vedete voi…
Il presidente catalano Carles Puigdemont ha detto che la Catalogna ha conquistato il diritto all’indipendenza dalla Spagna dopo che “milioni” di persone sono andati ai seggi.
“Con questo giorno di speranza e sofferenza, i cittadini della Catalogna hanno conquistato il diritto a uno Stato indipendente” ha detto alle tv.
Per la giornata di martedì è stato annunciato da quattro sigle sindacali uno sciopero generale in Catalogna “contro la repressione e per le libertà “.
Il presidente catalano ha invitato la Ue ha smettere di “voltare la testa” di fronte alle violenze della polizia spagnola sugli elettori, in seguito alle quali oltre 800 persone sono rimaste ferite. Chi volta la testa è Madrid, con Mariano Rajoy che non prende atto del voto catalano, parlando di “sceneggiata”.
Le prime mosse sono state analoghe: il premier spagnolo Mariano Rajoy ha convocato una riunione con i leader di tutti i partiti spagnoli per “riflettere sul futuro” e per discutere il ritorno alla normalità in Catalogna.
Sull’altro fronte, il presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, ha convocato una riunione straordinaria del consiglio esecutivo a porte chiuse, mentre la presidente del Parlament, Carme Forcadell, ha convocato la giunta dei capigruppo per stabilire il giorno e l’ordine del giorno del prossimo plenum: “entro due giorni successivi alla proclamazione dei risultati ufficiali”, in caso di vittoria del sì, si legge nella legge del referendum, si terrà una “sessione ordinaria” nel Parlamento per “effettuare la dichiarazione formale di indipendenza, applicare i suoi effetti e cominciare il processo costituente”.
Diversi gli scenari politici che si aprono ora
Primo, la dichiarazione unilaterale di indipendenza è l’obiettivo dichiarato del “processo”, ma senza un accordo con Madrid appare la strada meno praticabile e quella con le maggiori insidie per l’ordine pubblico e la sicurezza.
Secondo, le elezioni regionali anticipate, con la rinuncia alla dichiarazione unilaterale di indipendenza: darebbero ai catalani la possibilità di rafforzare il peso del voto indipendentista, ma il fronte rischierebbe di spaccarsi tra Pdecat ed Erc, principali partiti catalani, fra cui potrebbe aprirsi una corsa fatta di calcoli elettorali e distinguo.
Terzo, le elezioni nazionali anticipate: Mariano Rajoy esce con le ossa rotte da questa vicenda, ha dato una pessima immagine all’estero con l’uso della forza e non è comunque riuscito a impedire il referendum.
Ma fra i partiti nazionali prevale la considerazione che non sia il momento di votare, nè il Ppe, nè il Psoe, nè Podemos sono pronti a una nuova consultazione e si sono trovati anche in imbarazzo nella gestione della vicenda catalana.
Quarto, la via diplomatica: non sembra la possibilità più concreta, al momento, viste le distanze politiche e le violenze di piazza, ma c’è il modello basco come riferimento per un progresso dell’autonomia catalana. La ricerca di un compromesso fra Madrid e Barcellona è tuttavia al momento estremamente difficile.
(da “Huffingtonpost”)
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