Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile
PER FORTUNA LA CITTA’ NON E’ RAPPRESENTATA DA UNA MINORANZA DI RAZZISTELLI SEMINATORI DI ODIO: E’ ORA CHE LA QUESTURA RIPRISTRINI LA LEGALITA’
Ancora fiaccole e un’altra processione: contro dodici richiedenti asilo. Non si ferma, la
Multedo del no: anzi, si prepara a scendere di nuovo in piazza.
A un giorno dall’arrivo dei primi profughi, scortati da don Giacomo Martino nell’ex asilo Govone, il comitato non si dà pace e convoca, per martedì 24 ottobre, un’altra marcia nel quartiere.
Ma dopo gli insulti ai profughi decide di reagire compatto il mondo delle onlus dell’accoglienza: e si prepara, guidato dal Ceis, il Centro di solidarietà di Genova, a una doppia iniziativa: un incontro di benvenuto per non far sentire soli i migranti e don Martino in un quartiere ostile (“perchè Genova non può essere questa”, si indigna il presidente del Ceis Enrico Costa).
E un confronto pacifico con i residenti di Multedo, per raccontare loro le esperienze di integrazione che in altri centri come quelli di via Edera, via Venti Settembre, Coronata, Struppa e Campo Ligure, dopo l’iniziale resistenza dei cittadini, hanno funzionato senza problemi.
Intanto, il comitato Genova Solidale appena costituito – che riunisce diverse anime, Cgil, Logos e l’associazione per i diritti umani, ha presentato un esposto alla Prefettura: “Per segnalare atti di discriminazione nei confronti dei giovani profughi accolti presso l’ex asilo Govone di Multedo”.
Nel documento, a firma di Roberto Malini dell’organizzazione per i diritti umani EveryOne, membro del comitato nato con l’assemblea pubblica dell’altro ieri sera, vengono segnalati alla prefetta Fiamma Spena “atteggiamenti di razzismo e forme di intimidazione da parte di un gruppo di cittadini di Multedo”.
“Stiamo lavorando, con gli strumenti giuridici e civili, per dare loro supporto in un momento difficile – spiega Malini – in cui l’intolleranza fa la voce grossa oltre i limiti della civiltà e delle norme”.
Nell’esposto vengono riportate parola per parola “alcune delle espressioni pronunciate dal capannello di persone che si sono espresse contro i giovani migranti. – si legge – I ragazzi sono molto turbati da queste manifestazioni di rifiuto e manifesto sentimento di ostilità , che trascende la semplice avversione o antipatia, sfociando in odio verso le persone discriminate”.
Da qui, l’appello “affinchè l’autorità intervenga nei confronti dei facinorosi”.
Cosa che finora non ha fatto.
Si propone come inedito soggetto di mediazione il nuovo comitato Genova Solidale: Sulle ultime cronache da Multedo, Troccoli scuote la testa. “La situazione si è incarognita, si sta esagerando. Ma quando trovi un assessore leghista che va alle manifestazioni e alle fiaccolate di chi non vuole accogliere, e si esprime con frasi tipo quella di prendere le persone a calci nel sedere, vuol dire che c’è un problema. Dobbiamo ricordarci che la nostra città perde cittadini e si sta impoverendo, senza i migranti come farebbe? La gente deve capire che sono una risorsa, se no, belin, Genova muore”.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile
COME SPUTTANARE 64 MILIONI PER L’ORGANIZZAZIONE, 5 MILIONI PER L’ORDINE PUBBLICO QUANDO BASTAVA UNA RACCOMANDATA DI 5 EURO
La sceneggiata del referendum per l’autonomia di Veneto e Lombardia è pronta. Domani, dalle 7 alle 23, i cittadini governati da Roberto Maroni e Luca Zaia avranno l’ebbrezza di scoprire quanto è bello spendere 64 milioni di euro per una consultazione che non vale nulla allo scopo di attivare una procedura che si attiva con una raccomandata che costa cinque euro.
In pratica, il referendum per l’autonomia spiega (ed è il peggior spot possibile) come spenderebbero i soldi i governatori leghisti se avessero l’autonomia
Ieri i leghisti hanno riconsegnato i 54 miliardi che sarebbero frutto del residuo fiscale che reclamano: li hanno simbolicamente riconsegnati alla Regione Lombardia davanti alla sede milanese dell’Agenzia delle Entrate.
Altrettanto può dirsi dei 20 miliardi reclamati dalla Regione Veneto. Richieste avanzate in nome di uno slogan che si sente ripetere da decenni in quelle due regioni, e non solo dai leghisti: «Non vogliamo fare più gli eterni donatori di sangue, non vogliamo veder sparire i nostri avanzi fiscali per finanziare le regioni che sprecano».
In realtà , fa notare oggi Marco Ruffolo su Repubblica, quei numeri sono molto ballerini:
Quei dati vengono da Eupolis, che è un istituto di ricerca e statistica della stessa Regione Lombardia, e dall’ufficio studi della Cgia di Mestre. Ci sono però altre ricerche che abbassano notevolmente le due stime, pur ammettendo che le tasse di lombardi e veneti sopravanzano i servizi ricevuti. Il problema è che non esiste alcuna valutazione ufficiale che possa chiudere la controversia. E questo perchè mentre è piuttosto semplice capire quanto i contribuenti di una regione danno ogni anno al fisco, non è altrettanto facile sapere quanta spesa pubblica finisce poi in quella regione.
«E’ così — spiega Paolo Balduzzi, ricercatore di scienza delle finanze all’Università Cattolica e collaboratore della Voce.info — ci sono spese pubbliche che sono difficilmente attribuibili alle singole regioni, come quelle per la difesa, o quelle destinate agli organi costituzionali. E poi bisognerebbe tener conto dell’età media: dove è più alta, si spende sicuramente di più per la sanità . Per queste e altre ragioni, esistono stime molto diverse sull’entità dei residui fiscali regionali».
E allora capita di imbattersi in ricerche come quella dell’Università Cattolica, che valuta l’avanzo fiscale lombardo intorno ai 35 miliardi e quello veneto in 9 miliardi circa. E altri studi danno stime ancora più basse.
Ma questi sono dettagli per i governatori di Veneto e Lombardia, pronti a sfruttare un’occasione di propaganda che serve loro anche a livello di dibattito politico interno contro la Lega “nazionalista” di Matteo Salvini.
In un contributo per Lavoce.info, Fabrizio Tuzi, dirigente tecnologo dell’istituto sui sistemi regionali, ha pubblicato una tabella del Cnr-Issirfa su dati Istat e Cpt, nella quale sono indicati i valori medi pro-capite del residuo fiscale per gli anni che vanno dal 2013 al 2015.
Se da un lato c’è la conferma che il conto del dare è superiore di 5.600 euro rispetto al conto dell’avere per ogni singolo cittadino lombardo, dall’altro è altrettanto vero che gli abitanti del Lazio sono poco da meno.
Versano nelle casse dello Stato 3.672 euro pro-capite in più di quello che ricevono. Sono secondi nella classifica del residuo fiscale.
Ma questi dati non sono tra i pensieri dei fautori del referendum. Che se ne fregano anche dei 5 milioni di euro totali che Veneto e Lombardia dovranno spendere per assicurare l’ordine pubblico durante il voto, che si vanno ad aggiungere ai 64 milioni totali di costo per la manifestazione, funestata anche dall’acquisto di tablet che non sembrano nemmeno il massimo della sicurezza.
Ma soprattutto non è automatico che ad un’eventuale vittoria dei Sì (i voti in Veneto e in Lombardia verranno ovviamente conteggiati separatamente) ai due quesiti referendari il Governo possa concedere l’autonomia fiscale alle due Regioni a guida leghista.
Zaia e Maroni sono convinti che la maggior parte dei loro concittadini si esprimerà a favore di una maggiore autonomia, anche in virtù degli schieramenti emersi in Consiglio Regionale Veneto dove assieme al Centrodestra anche il MoVimento 5 Stelle ha votato a favore per l’approvazione dell’istituzione del referendum (il PD si è astenuto).
L’ostacolo maggiore non è quindi la vittoria dei sostenitori dell’autonomia fiscale, dell’indipendenza degli schei, ma quello che succederà dopo.
Con chi tratteranno Maroni e Zaia? Con il Governo Gentiloni (se ci sarà ancora) o aspetteranno di vedere chi vincerà le elezioni politiche se si andrà a scadenza naturale della legislatura, quindi nel 2018?
Le richieste delle due Regioni sono chiare ma in una trattativa dovranno cedere qualcosa per portare a casa il risultato.
Dulcis in fundo: per rendere concreta l’autonomia di Veneto e Lombardia sarà necessaria una modifica costituzionale, quindi una legge costituzionale.
È abbastanza evidente che in questa Legislatura il Parlamento non potrà fare alcuna legge di modifica della Costituzione (l’articolo 116 richiede che l’intesa tra lo Stato e la Regione venga approvata dalla maggioranza assoluta in entrambe le Camere), ed è da vedere se nel prossimo la maggioranza avrà i numeri e la capacità di trovare un accordo. Di questo però nulla si sa e non si parla ancora, meglio cullare sogni di gloria (e di vittoria) che sicuramente verrebbero usati dalla Lega Nord per darsi una grande spinta in vista delle prossime elezioni politiche.
E forse è tutto qui il senso dell’operazione autonomista di Zaia e Maroni, dare una mano al Salvini Nazionale ad arrivare al Governo.
C’è quindi da chiedersi, ha senso far pagare ai cittadini (veneti o lombardi) il costo della propaganda leghista?
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile
LA MEDIA E’ DUE ANNI SUPERIORE A QUELLA UE
L’Italia ha la popolazione lavorativa più anziana d’Europa. 
Nel 2016, afferma la Cgia di Mestre, l’età media degli occupati in Italia era di 44 anni, contro una media di 42 registrata nei principali paesi Ue.
Negli ultimi 20 anni, inoltre, l’età media dei lavoratori italiani è salita di 5 anni, un incremento che in nessun altro paese è stato così rilevante.
A seguito del calo demografico, dell’allungamento dell’età media e di quella lavorativa, contiamo nei luoghi di lavoro pochissimi giovani e molti over 50.
Se, infatti, nel nostro paese l’incidenza dei giovani (15-29 anni) sul totale degli occupati è pari al 12%, in Spagna è al 13,2, in Francia al 18,6, in Germania al 19,5 e nel Regno Unito al 23,7%.
Per contro, nel nostro Paese l’incidenza degli ultra 50enni sul totale degli occupati è del 34,1%. Solo la Germania registra un dato superiore al nostro e precisamente del 35,9%, mentre in Spagna è del 28,8, in Francia del 30 e nel Regno Unito del 30,9%.
La diminuzione della presenza degli under 30 nei luoghi di lavoro è un fenomeno che, come dicevamo più sopra, è in atto da parecchi anni.Tra il 1996 e il 2016, sebbene lo stock complessivo dei lavoratori occupati in Italia sia aumentato, i giovani presenti negli uffici o in fabbrica sono diminuiti di quasi 1.860.000: in termini percentuali nella fascia di età 15-29 anni la variazione è stata pari al -40,5 per cento,contro una media dei principali Paesi Ue del -9,3 per cento.
Sempre in questo arco temporale, tra gli over 50 gli occupati sono aumentati di oltre 3.600.000 unità , facendo incrementare questa coorte dell’89,8 per cento. Un boom che, comunque, ha interessato tutti i principali paesi dell’Ue presi in esame in questa analisi, con punte che in Spagna hanno toccato il +103,8 per cento e in Francia il +105,1 percento.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile
LA GIUNTA SI SPACCA E SLITTANO I DIVIETI ANNUNCIATI, CHIESTO IL SILENZIO STAMPA… SI SCONTRANO LA LINEA LEGHISTA DEL COPRIFUOCO E QUELLA BUCCIANA PIU’ LIBERALE
Movida, si cambia. Anzi, no.
La “rivoluzione” dell’era Bucci per ridisegnare le regole di convivenza nel centro storico dovrà attendere.
La nuova ordinanza del Comune, che era stata annunciata per ieri dagli assessori nella sua versione definitiva, ancora non c’è.
La giunta, infatti, ieri non ha trovato un accordo su regole e divieti da adottare per far convivere senza scontri chi nel centro storico vive e chi lo frequenta di sera e di notte per incontrarsi e divertirsi e, quindi, la decisione è stata rinviata.
Secondo qualcuno a una data che potrebbe anche non essere molto vicina.
Secondo le indiscrezioni filtrate da palazzo Tursi, la discussione ieri pomeriggio è stata molto accesa e ha visto posizioni nettamente contrapposte in giunta, tanto da indurre il sindaco Marco Bucci a chiedere agli assessori il “silenzio stampa”.
Da una parte c’era la posizione più rigida, soprattutto su alcuni divieti, sostenuta dall’assessore leghista al Commercio, Paola Bordilli, e quella più liberale sostenuta in particolare nella discussione dall’assessore alla Cultura e al Turismo, Elisa Serafini (lista Bucci) e anche dal sindaco Bucci.
E si dice che a favore di un atteggiamento più “elastico” si sia espresso nei giorni scorsi anche il governatore della Liguria Giovanni Toti.
(da “il Secolo XIX”)
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Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile
PER OTTO ANNI HA VIOLENTATO LA BAMBINA, LA DAVA ANCHE AL SUO “BRANCO” DEL BAR… NON LUOGO A PROCEDERE PER PRESCRIZIONE
Per otto anni ha violato il suo corpo di bambina. 
L’uomo, che era suo padre e avrebbe dovuto proteggerla, era diventato l’orco che ha segnato per sempre la sua vita.
Per questo è stato condannato in primo grado a una pena di 10 anni. Per i giudici del tribunale di Treviso è colpevole di averla stuprata da quando ne aveva 8, di anni, arrivando anche a cederla in «prestito» per le smanie degli amici al bar.
Una colpevolezza che è stata riconosciuta anche dalla Corte d’Appello di Venezia che, però, giovedì ha dovuto decretare il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Così l’orco, difeso dall’avvocato Francesco Longo, per quelle violenze alla figlia non farà un solo giorno di prigione, grazie a una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che ha reso meno pesante una delle aggravanti.
Questo ha ridotto i tempi di prescrizione, salvandolo dal carcere.
Anche se, come per il primo grado anche i giudici d’appello, ne hanno riconosciuto la colpevolezza confermando la condanna civile al risarcimento alla parte offesa.
Una nuova ferita per la figlia
La prescrizione è uno schiaffo per la figlia, che ancora cerca di superare quel trauma. Per lei è impossibile dimenticare le violenze.
Era appena una bambina quando il papà , che da poco si era separato dalla madre, ha iniziato ad abusare di lei, trascinandola in un baratro di violenza e minacce. Lo ha raccontato lei stessa in aula, durante il processo di primo grado, ricostruendo senza mai contraddirsi gli anni di violenze subite nei fine settimana che trascorreva con il padre. L’uomo, all’epoca 46enne, beveva e quando era ubriaco diventava violento.
Andava a prenderla e le diceva: «Andiamo alle giostre». Invece la portava a casa e la stuprava. Il 31 ottobre del 1995 la prima violenza. Lei aveva otto anni e il suo mondo crollò.
E’ riuscita a denunciare solo da adulta
Parlarne con qualcuno è stato impossibile per molto tempo, perchè il padre le intimava di non dirlo a nessuno. Così ha subito per anni non solo i suoi abusi, ma anche quegli degli amici del bar al quale il padre «la cedeva».
Lasciava che la toccassero e si spingessero oltre. Un incubo finito quando l’uomo si è risposato, nel 2003.
Per la figlia è così iniziato un percorso di elaborazione che l’ha portata, pian piano, ad aprirsi quindi con il fidanzato, poi con la madre e i fratelli che l’hanno convinta a denunciare il padre.
Al processo, assistita dall’avvocato Aloma Piazza, ha raccontato tutto e i giudici l’hanno ritenuta credibile, condannando l’uomo a 10 anni di carcere. Ma in cella l’orco non ci andrà . Una storia triste che diventa ancora più amara alla luce della sua evoluzione giudiziaria e che potrebbe non essere l’unica.
Quella sentenza delle Sezioni Unite, infatti, potrebbe graziare altri stupratori
(da “Il Corriere della Sera”)
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Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile
IL BAMBINO SE LA CAVA CON QUALCHE CONTUSIONE… NON E’ PIU’ REATO PENALE GUIDARE SENZA PATENTE, ANCHE SE STATA REVOCATA, IL SACERDOTE SE LA CAVERA’ CON UNA SANZIONE AMMINISTRATIVA
Gli era stata revocata la patente per una guida in stato di ebbrezza, ma si era messo al volante lo stesso.
E così un prete ha investito un bambino in bicicletta, dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo. Ora dovrà pagare una maxi sanzione amministrativa.
È successo verso le 14 di mercoledì scorso, a Mugnai di Feltre, quando un bambino di 6 anni gli è comparso improvvisamente davanti, in sella alla sua bicicletta.
L’ha travolto e il piccolo è stato trasportato al Pronto soccorso di Feltre.
Il religioso l’ha subito soccorso
Secondo la ricostruzione tracciata dai carabinieri, intervenuti sul luogo dell’incidente per i rilievi, il bambino sarebbe uscito improvvisamente da una stradina laterale proprio mentre su quella principale stava arrivando una Fiat Punto, alla cui guida c’era un uomo sulla sessantina.
L’automobilista, che poi si è rivelato un sacerdote, S.C., non è riuscito a evitare l’impatto e il bimbo è caduto a terra. Molto preoccupato per l’accaduto, il religioso è stato il primo a soccorrere il piccolo, mentre sono stati allertati i soccorsi, subito inviati dall’ospedale Santa Maria del Prato di Feltre. Per l’investitore sono scattati i controlli del caso: alcoltest e la consegna della patente e del libretto.
Patente già revocata per guida in stato ebbrezza
Ed è scattata la sorpresa. Il parroco si era rimesso alla guida anche se aveva bevuto.
E quel che ha destato ancora maggiore scalpore è che la patente non ce l’aveva nemmeno: gli era stata revocata dopo l’ultimo processo subìto per guida in stato di ebbrezza.
Per fortuna il bambino non ha riportato danni, è stato trattenuto in osservazione all’ospedale solamente in via precauzionale. Ha riportato qualche contusione.
L’auto, invece, è stata sequestrata dai carabinieri. provvedimento previsto in caso di denuncia per lesioni stradali superiori ai 40 giorni. Oppure se c’è la guida senza patente.
Niente processo
Questa volta il parroco non dovrà subire alcun processo penale: si procederà solo in via amministrativa. L’alcolemia accertata infatti era al di sotto dei valori che fanno scattare il penale (0,80 grammi di alcol per litro di sangue), ma al di sopra del massimo consentito per mettersi alla guida (0,50 grammi di alcol per litro di sangue).
Inoltre – stando alle ultime normative – non è più reato mettersi al volante senza aver conseguito il titolo per la guida e nemmeno se la patente è stata revocata.
Il reato è stato depenalizzato, quindi scatterà una sanzione amministrativa.
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile
INES ARRIMADOS GARCIA, 36 ANNI, GUIDA L’OPPOSIZIONE NEL PARLAMENTO CATALANO … LA LEADER DI CIUDADANOS: “SONO SPAGNOLA, CATALANA ED EUROPEA”
Nelle vicende spagnole seguite al referendum per l’indipendenza in Catalogna dello scorso
primo ottobre, quello di Inès Arrimadas Garcia non è il primo volto che viene in mente al pubblico italiano.
Eppure Arrimadas è una delle protagoniste della lotta a sostegno dell’unità del Paese.
A 36 anni guida l’opposizione all’indipendenza nel Parlamento della Catalogna e da mesi si distingue per le parole forti contro il presidente catalano Carles Puigdemont.
“Lei è solo, non avete sostegno”, ha detto a Puigdemont dopo il suo discorso del 10 ottobre. Già a metà settembre, aveva proposto una mozione di censura per il capo della Generalitat, non presentata per il mancato sostegno di tutti i partiti d’opposizione.
Nota per il suo volto da attrice, Arrimadas è stata eletta con la formazione di orientamento liberale Ciudadanos, guidata da un altro politico di belle apparenze, Albert Rivera.
La sua carriera è stata rapida: nel 2011 accompagna un collega a un incontro del partito e resta affascinata da quello che sente. Nel 2012 viene eletta al Parlamento catalano e nel 2015 diventa portavoce e presidente del gruppo di Ciudadanos.
Ha una storia personale divisa fra due appartenenze.
È nata a Jerez de la Frontera, vicino Cadice, in Andalusia ma dal 2006 vive in Catalogna e ne ama la lingua e la cultura. Avvocato, ha studiato legge all’università di Siviglia. I suoi genitori sono originari di Barcellona e ha sempre tifato per il Barà§a. Ma di indipendenza non vuole proprio sentir parlare.
Tanto da essere riuscita anche a convincere il marito Xavier Cima, ex deputato del partito indipendentista Convergenza Democratica di Catalogna, a ritirarsi dalla politica.
Almeno, così si dice in Spagna, anche se gli interessati non hanno mai parlato in pubblico dell’argomento.
Inès Arrimadas Garcia vede nell’indipendenza una perdita economica grave per la Catalogna, con la fuga di imprese e banche e la possibile diminuzione di posti di lavoro. Sul suo account Twitter ha sottolineato le partenze di CaixaBank e Aguas de Barcelona e dell’industria simbolo della regione Codornìu, storica casa produttrice di vino.
Odia il nazionalismo perchè lo ritiene per natura aggressivo in quanto per avere successo ha bisogno di crearsi un nemico esterno.
È critica verso le politiche del governo spagnolo degli ultimi anni. Il primo ministro Mariano Rajoy, con il quale Ciudadanos ha stretto un patto su alcuni punti di programma dopo le elezioni nazionali del 2016, non ha promosso le riforme con il vigore necessario. Sono mancati in particolare provvedimenti per migliorare il funzionamento della giustizia e per sviluppare le infrastrutture e i cittadini sono rimasti scontenti.
Questo, secondo Arrimadas, ha scatenato una frustrazione collettiva che in Catalogna si è espressa attraverso le richieste di indipendenza ma è sentita in tutta la Spagna.
“Se parlassimo di istruzione, salute, lotta alla corruzione, tutto il Paese sarebbe d’accordo”, ha detto al giornale interviù.
Anche il sistema sanitario dovrebbe essere cambiato, in senso più unitario. Arrimadas ricorda spesso di quando si trasferì in Catalogna dall’Andalusia e non poteva a usare la sua tessera sanitaria perchè il chip era diverso.
Come Albert Rivera si proclama spagnola, catalana e europea. Come Rivera, nei giorni dopo il referendum ha ricevuto minacce di morte sui social network e su diversi graffiti apparsi sui muri di Girona e di altre città .
In Catalogna Ciudadanos ha più sostegno che a livello nazionale. Dopo le ultime elezioni del 2015 le liste indipendentiste Junts pel Sì con 61 seggi e l’ala di sinistra Cup con 10 seggi hanno la maggioranza assoluta, ma Ciudadanos è il primo fra gli altri partiti, con 25 seggi, più dei 16 del partito socialista e degli 11 dei popolari.
Nello stallo politico seguito al discorso sull’indipendenza di Puigdemont, i centristi sono stati la prima forza a parlare di elezioni anticipate nella comunità autonoma, considerate il modo più pulito per alleviare il conflitto attraverso il cambiamento degli interlocutori. Uno dei motivi dietro questa posizione sarebbe che la loro candidata Arrimadas ha rafforzato la sua posizione rispetto al 2015 e gode del favore di molti catalani, come dimostrato dal sostegno ricevuto durante la manifestazione degli unionisti a Barcellona.
(da “L’Espresso”)
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Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile
“DISOBBEDIENZA RIBELLE, SISTEMATICA, CONSAPEVOLE”… LE MISURE DECISE PER RIPRENDERE IL CONTROLLO DELLA REGIONE
Alla presenza di tutti i ministri del suo governo, Mariano Rajoy ha annunciato la decisione di applicare, per la prima volta nella storia della Spagna, l’articolo 155 della Costituzione.
“Non era nostro desiderio ma nessun governo può accettare che la legge venga violata”, ha spiegato il premier spagnolo che ha poi aggiunto: “Una situazione dovuta alla scelta da parte della Catalogna di cercare lo scontro avviando un processo unilaterale e illegale. Hanno obbligato così il governo ad accettare un referendum indipendentista che il governo non poteva accettare”.
Quattro gli obiettivi della scelta: “Tornare alla legalità , recuperare la normalità e la convivenza, continuare con la ripresa economica e andare a nuove elezioni in Catalogna”.
E la prima misura richiesta al Senato per l’applicazione dell’articolo riguarda proprio il raggiungimento delle elezioni in Catalogna che, secondo la volontà del governo, dovrebbero avvenire entro un massimo di sei mesi.
“Intendiamo richiedere al Senato, come previsto dall’art. 155, di autorizzare il governo ad adottare queste decisioni: procedere alla rimozione del capo della Generalitat, dei consiglieri e dei vicepresidenti che formano il governo della Catalogna”.
“Il parlamento della Catalogna eserciterà la sua funzione rappresentativa ma per garantire che tutto avvenga nella legalità non può proporre nessun candidato alla Generalitat”.
E ha poi concluso: “Con queste iniziative non si sospende l’autonomia nè l’autogoverno della Catalogna ma si sospendono le persone che hanno messo la Catalogna fuori dalla legge”.
In sintesi sono quattro le misure richieste:
– La facoltà di sciogliere il Parlamento della Catalogna passa al presidente del Governo. Verranno convocate nuove elezioni entro un massimo di sei mesi.
– Si chiede al Senato l’autorizzazione di destituire il presidente Carles Puigdemont e il suo governo; l’esercizio delle loro funzioni verrà assunto dai ministeri corrispondenti.
– La Generalitat continuerà a funzionare e a svolgere l’amministrazione ordinaria della comunità autonoma.
– Il Parlament manterrà la sua funzione rappresentativa ma non potrà proporre il candidato alla Generalitat, nè portare avanti iniziative contrarie alla costituzione o al Estatut.
LE REAZIONI
Il governatore della Catalogna, Carles Puigdemont, rilascerà una dichiarazione ufficiale alle 21, intanto ha deciso di partecipare alla manifestazione indetta per oggi dal gruppo di associazioni Mesa por la Democracia per chiedere la scarcerazione dei due leader indipendentisti Jordi Sanchez di Asamblea nacional catalana (Anc) e Jordi Cuixart di Omnium Cultural.
Alla notizia delle misure prese dal governo di Rajoy è ferma la reazione del partito Catalunya en Comu del sindaco di Barcellona Ada Colau che ha denunciato “l’offensiva autoritaria contro tutta la Catalogna” e un “grave attacco” ai diritti e alle libertà fondamentali.
“Siamo un solo popolo contro l’oppressione ora dobbiamo rappresentare a livello politico questa unità “, ha aggiunto.
Intanto Podemos, attraverso il numero due del partito viola Pablo Echenique, si dichiara “sotto shock” davanti alla “sospensione della democrazia non solo in Catalogna ma anche in Spagna”.
“E’ il peggior attacco del secolo” replica il Pdecat, il partito del presidente Carles Puigdemont, che con la coordinatrice Marta Pascal spiega: “A Madrid dicono che non vogliono l’indipendenza, ma solo loro che oggi si sono resi indipendenti dal popolo di Catalogna”. Per il deputato Josep Lluis Cleries la misura è “un colpo di Stato contro il popolo della Catalogna, misure che sanno di franchismo, è un ritorno al 1975”. Il leader di Ciudadanos Albert Rivera ha chiesto che elezioni siano convocate in Catalogna sotto commissariamento di Madrid il 28 gennaio.
COSA SUCCEDE ADESSO
Le misure decise dal governo verranno trasmesse a una commissione del Senato, che si riunisce oggi stesso. Questa commissione deciderà i tempi della seduta plenaria del Senato, che deve decidere a maggioranza assoluta.
Il voto è previsto per il 27 ottobre, venerdì, ed entrare in vigore già da sabato 28. Questo non esclude che il presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, possa sciogliere il parlamento catalano e convocare le elezioni.
Con il voto, il governo di Puigdemont e lo stesso capo della Generalitat saranno ufficialmente destituiti. Le questioni catalane verranno avocate dai ministri competenti per i diversi settori.
Inoltre Madrid potrà convocare elezioni anticipate per la Catalogna. Inoltre l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione spagnola implica che il governo di Madrid, o l’organo che designerà , assumerà il comando dei Mossos d’Esquadra e consentirà all’esecutivo di destituire o nominare i responsabili delle emittenti TV3 e Catalunya Radio per garantire un’informazione vera e rispettosa del pluralismo politico.
È quanto emerge dal documento approvato dal Consiglio dei ministri.
IL TESTO DELL’ART.155
“Se una Comunità Autonoma non compie gli obblighi che le impongono la Costituzione o altre leggi, o agisce in forma che attenti gravemente all’interesse generale della Spagna, il Governo dopo avere interpellato il Presidente della Comunità Autonoma e nel caso in cui non ne conseguano risultati, con l’approvazione a maggioranza assoluta del Senato, potrà adottare le misure necessarie per poterla obbligare al compimento forzoso di tali obblighi o per la protezione dell’interesse generale. Per l’esecuzione delle misure previste nel precedente capoverso il Governo potrà dare istruzioni a tutte le autorità delle Comunità Autonome”.
LE MOTIVAZIONI DI MADRID
Per il governo spagnolo il president catalano Carles Puigdemont si è reso responsabile di una “disobbedienza ribelle, sistematica e consapevole” degli obblighi previsti dalla legge e dalla costituzione e ha “gravemente attentato” all’interesse generale dello stato. Lo affermano le motivazioni della richiesta di attivazione dell’articolo 155.
L’obiettivo dell’applicazione dell’articolo 155, si spiega in un documento di undici pagine diffuse dal governo durante la riunione straordinaria del Consiglio dei ministri durata oltre due ore, è quello di “ripristinare la legalità costituzionale e statutaria, assicurare la neutralità istituzionale, mantenere il benessere sociale e la crescita economica e assicurare i diritti e le libertà di tutti i catalani”.
Inoltre “le pretese secessioniste stanno già causando un serio peggioramento del benessere sociale ed economico” in Catalogna, denuncia sempre il documento dell’esecutivo di Madrid che ricorda poi come il governo di Carles Puigdemont ha rifiutato di rispondere una prima volta lunedì scorso e una seconda volta due giorni fa alla richiesta di chiaririmenti sulla proclamazione di indipendenza della regione.
Cosa prevede l’articolo 155 della Costituzione spagnola
Prima di oggi, la legge in questione presente nella Carta costituzionale iberica non era mai stato applicato. La norma recita testualmente: “Se una Comunità Autonoma non compie gli obblighi che le impongono la Costituzione o altre leggi, o agisce in forma che attenti gravemente all’interesse generale della Spagna, il Governo dopo avere interpellato al Presidente della Comunità Autonoma e nel caso in cui non ne conseguano risultati, con l’approvazione a maggioranza assoluta del Senato, potrà adottare le misure necessarie per poterla obbligare al compimento forzoso di tali obblighi o per la protezione dell’interesse generale. Per l’esecuzione delle misure previste nel precedente capoverso il Governo potrà dare istruzioni a tutte le autorità delle Comunità Autonome“. Secondo la stampa spagnola con l’attivazione dell’articolo 155 della costituzione, il governo spagnolo potrebbe decidere la destituzione di parte o di tutto l’esecutivo catalano del presidente Carles Puigdemont. El Pais, in particolare, scrive che sul tavolo del consiglio dei ministri ci sono due opzioni: la sostituzione del presidente Puigdemont e dei ministri dell’economia e degli interni, o di tutto l’esecutivo
Secondo un sondaggio Gesop pubblicato da El Periodico il 68,6% dei catalani è favorevole alla convocazione di elezioni per uscire dall’attuale crisi istituzionale, mentre il 66,5% è contro un commissariamento della regione da parte di Madrid con l’attivazione dell’art.155.
Alla domanda su che cosa dovrebbe fare ora il presidente Carles Puigdemont, il 29,3% risponde chiedendo la proclamazione immediata dell’indipendenza, il 24,8% la rinuncia all’indipendenza e il 36,5% un ritorno alle urne per evitare il commissariamento.
(da agenzie)
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