Destra di Popolo.net

LA LEGA E I FURBETTI DEL LATTICINO: CHI DOBBIAMO RINGRAZIARE PER LE NUOVE MULTE IN ARRIVO SULLE QUOTE LATTE

Ottobre 26th, 2017 Riccardo Fucile

GLI ITALIANI DEVONO PAGARE IL CONTO DELLE MULTE NON PAGATE DAGLI ALLEVATORI PROTETTI DALLA LEGA NORD… AUTONOMI, MA NON QUANDO DEVI PAGARE 4,5 MILIARDI DI EURO: E’ BELLO COSI’, VERO ZAIA?

L’Italia ha perso il ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea contro la decisione della Commissione che imponeva al nostro Paese di recuperare integralmente gli aiuti di Stato relativi alle quote latte decisi dall’Italia nel 2003 per gli sforamenti della produzione negli anni dal 1995 al 2002.
Ora la Commissione Europea dovrà  calcolare a quanto ammontano gli interessi sulle multe che la stragrande maggioranza degli allevatori non ha mai pagato perchè sono state pagate dallo Stato italiano (ovvero dai cittadini).
Grazie alla Lega gli italiani hanno pagato le multe degli splafonatori
La questione delle quote latte è iniziata nel 1984 quando la UE decide di stabilire e imporre dei limiti nella produzione del latte ai vari paesi.
Il limite era di 105 milioni di quintali, e da più parti si sollevò la contestazione nei confronti di Bruxelles per quello che molti hanno considerato un regalo nei confronti dei produttori dei paesi del Nord Europa. Il problema è che se una legge è ingiusta generalmente si deve lottare per farla cambiare, ma intanto bisogna rispettarla.
In Italia come sappiamo le cose sono andate diversamente. Un partito politico in particolare — la Lega Nord — ha apertamente sostenuto coloro che sforavano le quote latte. Per convenienza politica ed elettorale, perchè non è mica da oggi che la Lega è contro la UE.
Il risultato della difesa degli “splafonatori” è sotto gli occhi di tutti.
Anzi, nei conti pubblici, visto che lo Stato italiano ha sborsato 4,5 miliardi di euro (75 euro per ogni cittadino) per coprire le spese di quelli che per la legge (e per l’Europa) sono dei truffatori.
Ad aiutare gli allevatori fu l’allora ministro delle politiche agricole ed oggi voce del Nord che rivendica l’autonomia da Roma Luca Zaia.
Nel 2009 Zaia firmò su un provvedimento che consentì la comoda rateizzazione da 10 e più anni delle sanzioni per i titolari di quote pur sapendo che era già  stata avviata la procedura d’infrazione. Un piano di rateizzazione però deciso in modo unilaterale, ovvero senza il consenso dell’Unione Europea.
Zaia all’epoca disse anche che era lo Stato e non le Regioni a doversi occupare della ripartizione delle nuove quote latte perchè «se fossero assegnate dalle Regioni come prevede la legge 119 queste 640 mila tonnellate in più diventerebbero nuova mungitura, a noi invece interessa regolarizzare il latte che è prodotto in Italia e finire di pagare le multe europee».
Leggendo le cronache del periodo si nota come le Regioni — che avevano espresso parere negativo unanime sul decreto Zaia — si lamentassero di non essere state abbastanza ascoltate dal Ministro.
Evidentemente per la Lega vale il detto “quando sei a Roma comportati da centralista, quando sei a Venezia chiedi l’autonomia”
La Lega Nord e i furbetti del latticino
Le sanzioni rateizzate da Zaia però non sono mai state pagate perchè pochissimi allevatori hanno chiesto di poterne usufruire e poco più di 100   hanno effettivamente rateizzato il debito.
Anche perchè un paio di anni dopo nel 2011 Giancarlo Galan, un altro veneto anche lui “governatore” e ministro delle Politiche Agricole, tolse ad Equitalia il potere di riscuotere le multe per le quote latte (utilizzando un Regio Decreto del 1910) consentendo così agli “splafonatori” di farla franca.
Pensate un po’: in tutti questi anni tutti avevano il terrore di Equitalia e molti cittadini lamentavano di essere ingiustamente vessati. Non gli allevatori che avevano sforato le quote latte; loro, seppur colpevoli potevano tranquillamente evitare di pagare le multe.
A scanso di equivoci al governo con Berlusconi all’epoca c’era sempre la Lega. Lo stesso partito che un paio d’anni dopo avrebbe iniziato le giaculatorie contro l’Europa che imponeva all’Italia misure draconiane.
Eppure le responsabilità  della Lega nella vicenda sono evidenti.
Gli allevatori tra il 2004 e il 2006 hanno aggirato le multe per lo sforamento delle quote latte dell’ Ue, vendendo il prodotto “extra” a una serie di cooperative fittizie.
Nel 2011 arrivò una condanna per associazione a delinquere, e vale la pena leggerne le motivazioni:
Quella dei cosiddetti Cobas del latte non era soltanto una truffa da oltre 200 milioni. Dietro il meccanismo che faceva sparire agli occhi dello Stato e dell’ Unione europea ettolitri ed ettolitri di prodotto c’ era una vera associazione a delinquere. Per questo motivo la corte d’ appello di Torino ha reso ancora più aspre le condanne già  emesse in primo grado dal tribunale di Saluzzo. All’ ex europarlamentare della Lega Nord Giovanni Robusti è stata inflitta la pena più elevata, ossia quattro anni e mezzo di carcere, uno in più rispetto alla sentenza precedente.
Altre 19 persone, ritenute il cuore del meccanismo fraudolento, sono state condannate ad almeno un anno di galera, mentre ad altri due agricoltori sono state inflitte pene minori.
Il perno della maxitruffa erano le cooperative Savoia, una serie di scatole cinesi che consentivano a questi allevatori di far svanire nel nulla il latte prodotto in più rispetto al limite massimo imposto dall’ Unione europea. Obiettivo: evitare le multe e, al tempo stesso, guadagnare dalla vendita di quanto prodotto fuori quota. Un meccanismo che funzionò alla perfezione dal 1998 al 2006, tanto da eludere all’ erario più di 200 milioni di euro, e che coinvolgeva 54 persone. Per 32 di esse, che facevano parte del sistema prima del 2003, è scattata la prescrizione
Nel 2015 l’Europa ha detto addio alle quote latte ma non alle multe nei confronti degli allevatori italiani.
Già  a luglio di quest’anno l’avvocato generale della Corte Ue Eleanor Sharpston aveva ricordato al nostro Paese rischiava una multa per aver operato una distorsione della concorrenza tra gli allevatori che hanno pagato le multe e quelli che non lo hanno fatto. Un’operazione che la Corte dei Conti italiana ha giudicato iniqua anche per i contribuenti che in ultima istanza hanno pagato le multe degli splafonatori.
Ci troviamo così oggi, a più di trent’anni di distanza dall’introduzione delle quote latte a dover affront
La Corte ha infatti stabilito che dovranno essere recuperati gli interessi sull’intera somma dovuta, dal 2003, e non solo su una parte.
In attesa di sapere a quanto ammonterà  il conto (intorno ai due miliardi di euro secondo la Commissione) la Lega e Zaia potranno continuare a chiedere la restituzione del residuo fiscale per le regioni del Nord.
§E se nel frattempo gli italiani chiedessero alle Regioni del Nord di restituire i soldi pagati per salvare gli splafonatori?

(da “NextQuotidiano”)

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“NON HAI VOTATO AL REFERENDUM? NIENTE AIUTI DAL COMUNE”: IL DELIRIO LEGHISTA APPRODA A CASORATE

Ottobre 26th, 2017 Riccardo Fucile

NEL VARESOTTO SIAMO ALLE RITORSIONI PADAGNE: PRIMA SI CONTROLLA SE HAI VOTATO, ALTRIMENTI TI SCORDI OGNI AIUTO… IN UN PAESE CIVILE SAREBBERO GIA’ STATI COMMISSARIATI

Non sei andato a votare al referendum? Peggio per te: da ora in poi, se avrai bisogno di qualcosa in Comune, il sindaco si guarderà  bene dal darti ascolto.
O meglio: controllerà  le ricevute del “voto” per l’autonomia della Lombardia, e se il tuo nome non compare – prova tangibile che hai disertato i seggi – puoi scordarti l’aiuto delle “istituzioni”.
Sembra roba di un altro mondo. Invece succede in Lombardia: a Casorate Sempione, 5.700 abitanti in provincia di Varese. Ma anche in altri Comuni.
Una sorta di ritorsione post voto, tipo “lista di proscrizione” , che divide i cittadini “buoni” da quelli “cattivi”: i “buoni” sono quelli che sono andati a votare (possibilmente Sì), i “cattivi” sono quelli rimasti a casa.
Evidentemente scontento per l’affluenza, il sindaco di Casorate, Dimitri Cassani, lista civica di centrodestra, lui ex Udc, martedì ha scritto un post più che eloquente, con il quale ha “avvisato” i cittadini.
“Grazie alle ricevute – spiega a chiosa di un commento sull’esito referendario – si potrà  mappare   chi ha effettivamente votato, così tanto per rispondere a chi, già  da questa mattina, verrà  a chiedere aiuto alle istituzioni!”.
I casoratesi che non hanno votato, in buona sostanza, sappiano che il Comune sarà  meno bendisposto nei loro confronti.
Il sindaco Cassani ce l’ha anche con chi ha messo la “sordina” alla consultazione voluta dai governatori leghisti. “L’informazione. Più che di Stato, direi quasi di regime. L’ordine prioritario era SILENZIO, non parlarne, nessun dibattito, nessuna informazione, derubricato a un mero evento locale – scrive su Fb -. Basti pensare che l’unica diretta ieri sera (domenica scorsa, ndr) era su Sky”. Poi una frecciata alla sinistra: “Ha cercato di condizionare l’esito, facendo credere che si chiedeva la secessione, modello Catalogna e che era un’iniziativa elettorale della Lega”.
E di chi è stata? verrebbe da chiedere al primocittadino di Casorate.
“Le dichiarazioni di Cassani sono il segno di una situazione grave e paradossale – attacca il piddino Tiziano Masson, consigliere di minoranza con la Lista civica democratica – si sta tornando alle liste di proscrizione. Chiedo: ma il referendum l’hanno fatto per contarsi loro e avere il talloncino del riscontro? Se la finalità  era questa, il referendum perde di senso”.
La “ritorsione” di Cassani ha sollevato un polverone.   “Frasi inaccettabili, soprattutto se pronunciate da un uomo delle istituzioni”, lo ha attaccato Samuele Astuti, segretario provinciale Pd varesino.
“Un’uscita improvvida e imbarazzante”, taglia corto il deputato dem Daniele Marantelli. Lui, Cassani, si difende parlando di   “una frase estrapolata”.
Lo stesso primo cittadino ricorda poi di non essere il solo amministratore a esprimere un simile punto di vista. Sì, insomma, a ricordare ai cittadini che il voto era “mappato”…
Una posizione simile, anche se più sfumata, è stata esplicitata in un post dal suo quasi-omonimo collega di Gallarate, Andrea Cassani: la frase   – accompagnata da critiche agli stranieri neocittadini italiani, che avrebbero disertato le urne – rientra nel campionario di uscite provocatorie alle quali il Cassani di Gallarate ha abituato i suoi cittadini.
A ogni modo: la reprimenda con tanto di utimatum sfornata dai due sindaci varesotti fa il paio con le parole di un’altra donna delle istituzioni: la consigliera regionale bergamasca Lara Magoni. Che l’altro giorno ha postato queste parole: “Da oggi prima di chiedermi qualsiasi tipo di supporto mostratemi la RICEVUTA di voto che vi è stata rilasciata sul Referendum”.
Più chiaro di così.

(da agenzie)

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IL GENERALE PAPPALARDO SPIEGA CHE QUELLO DI IERI IN SENATO ERA UN PRANZO DI NECESSITA’ RIVOLUZIONARIA

Ottobre 26th, 2017 Riccardo Fucile

HA UN PENSIONE DI “APPENA” 3.000 EURO E PER ARRIVARE A FINE MESE VA A MANGIARE ALLA MENSA DEL SENATO

Il generale Antonio Pappalardo non ci sta.
Dopo la pubblicazione dello scatto che lo ritrae a pranzo in Senato da parte del senatore del Partito Democratico Stefano Esposito il principale esponente della rivoluzione dellagggente protesta in maniera maschia e decisa sulle strumentalizzazioni che ne sono seguite e spiega perchè si è adattato alla buvette:
Amici come già ‘vi ho comunicato,da qualche mese ho rinunciato al vitalizio per cui sto vivendo e facendo campagna elettorale con la mia pensione di generale di brigata,circa 3000 euro al mese, per risparmiare e per poter arrivare alla fine del mese vado a mangiare un piatto di pasta dove capita, alla camera, alla mensa del senato, alla mensa dei Carabinieri qui si paga 5 Euro e si mangia meglio del senato 10 E. Chi mi ha fotografato e divulgato questa squallida notizia pare sia un Piddino un ladrone che prenderà ‘ il vitalizio.
Sarebbe quindi uno stato di necessità  rivoluzionaria quello che ha spinto l’esponente del Movimento Liberazione Italia ad appropinquarsi modestamente al desco del Senato, al puro e precipuo scopo di risparmiare qualcosina per mettere insieme il pranzo con la cena, anche perchè, ricorda Pappalardo, ha rinunciato al vitalizio per coerenza.
Ma nel post c’è chi trova ancora qualcosa che non va: «Non mi sembra che una pensione da Generale sia così misera, anzi….. metterla sotto forma di un piatto di pasta, mi sembra di prendere in giro chi effettivamente non arriva a fine mese…. Io non commento mai, ma questa sembra troppo», dice ad esempio Andrea;
«Scusi Generale, io l’appoggio, però perchè deve dire che non prende il vitalizio da qualche mese quando ha annunciato in un video fatto ad ottobre che la sua rinuncia decorrerà  dal 1 novembre. Per poterla seguire abbiamo bisogno di chiarezza e autenticità ….anche in questi annunci che lei fa», ricorda Laura.
Insomma, il generale c’è anche se qualche insinuazione sul suo curioso status di rivoluzionario con vitalizio e adesso con pensione da 3000 euro al mese ancora gira.
Per il resto c’è da fare la rivoluzione, quindi tranquilli.

(da “NextQuotidiano”)

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IL RAGAZZO DI SINISTRA LASCIA IL PD: “LA MISURA E’ COLMA”

Ottobre 26th, 2017 Riccardo Fucile

PESANO LE FIDUCIE SUL ROSATELLUM, MDP LO ASPETTA COME LEADER

Pietro Grasso, il “ragazzo di sinistra” come definì se stesso solo poche settimane fa alla festa di Mdp a Napoli, lascia il Pd.
Proprio oggi: giornata della forzatura sulla legge elettorale, della frattura a sinistra, dell’orgoglio di Verdini come azionista quasi sfacciato della maggioranza, di una fotografia finale di questa legislatura che è sembrata la prima della prossima. §
Ai suoi il presidente ha consegnato parole amare e contrariate: “La misura è colma, politicamente e umanamente”. Poi, l’iscrizione al gruppo “misto”.
Gesto eclatante, inaspettato, come testimoniano le reazioni del Pd, di Martina, Zanda, e tutti i big, in verità  neanche troppo addolorate.
Un gesto molto “politico”, nelle ragioni che lo animano, nell’impatto che determina, nelle aspettative che suscita.
Con tutto ciò (o quasi) che è a sinistra del Pd che lo aspetta, al momento opportuno, come leader. E che vede, nella mossa, un segnale, un giudizio comune e l’inizio di un percorso.
Il giorno dello strappo non è casuale. Pesa, innanzitutto, il senso dello Stato. Ieri Napolitano, presidente emerito.
Oggi il presidente del Senato: le 8 fiducie in dieci giorni, la compressione del Parlamento, rappresentano, al tempo, ferite per le istituzioni e precedenti pericolosi.
Il presidente del Senato, proprio come l’Emerito, aveva fatto capire e suggerito, nei giorni scorsi, che tutte queste fiducie erano evitabili e che, magari, si potevano limitare ad alcune parti favorendo la discussione sul resto.
Pesa lo snaturamento del Pd: “In questo Partito democratico non mi riconosco più — ha proseguito coi suoi — nel metodo e nel merito”.
Il distacco arriva da lontano, sin da quando chiese un Senato elettivo e criticò l’impostazione plebiscitaria, distacco in cui aspetto umano e politico si intrecciano, come in tutte le separazioni.
E il rifiuto di candidarsi in Sicilia ha scavato un nuovo solco di incomprensione col Pd renziano.
E c’era già  tutto quel che sarebbe accaduto nella risposta, quasi rabbiosa, data al senatore pentastellato Rocco Crimi, nella giornata di ieri: “Non ho accettato la candidatura in Sicilia per continuare a espletare la mia funzione in questa Aula. Può essere più duro resistere e continuare piuttosto che accettare una fuga vigliacca. Si può esprimere il malessere ma non è detto che, quando si ha il senso delle istituzioni, si debba obbedire ai propri sentimenti”.
Ecco: resistere, malessere, sentimenti.
Il “ragazzo di sinistra”, che più volte ha ricordato, in pubblico e in privato, l’entusiasmo di quando ha accettato la candidatura, e non si sbilancerà  sul suo futuro finchè resterà  nel ruolo di arbitro, sullo scranno più alto di Palazzo Madama.
Ma il corteggiamento verso di lui è più di una suggestione. E non è iniziato oggi: un volto istituzionale, di “governo” e anche affidabile, come frontman di un listone di tutto ciò che a sinistra del Pd, che funziona proprio perchè estraneo a una storia di scissioni, incomprensioni, rancori personali.
E capace di intercettare un mondo “di governo” che non crede più nel Pd.
E in parecchi già  ricordano il precedente Monti: “Scese in campo due mesi prima del voto e prese il dieci per cento. Se Grasso decide il minuto dopo che si sciolgono le Camere… I giochi veri si faranno allora”.
Ma forse sono già  iniziati.

(da “Huffingtonpost”)

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MULTEDO, DON MARTINO SMONTA LA BALLA DEI RAZZISTI: “LA DIFESA DELL’ASILO E’ UNA SCUSA”

Ottobre 26th, 2017 Riccardo Fucile

“TRA CHI PROTESTA C’E’ CHI AVEVA TOLTO DA ANNI I PROPRI BAMBINI DALL’ASILO FACENDO CALARE I NUMERI E CONTRIBUENDO ALLA CHIUSURA DELLA STRUTTURA”… “E’ STATO CHIUSO UN ANNO FA, ORA DIVENTA IL PRETESTO PER RESPINGERE DIECI GIOVANI PROFUGHI”

A Multedo c’è un muro che divide due mondi, ed è un muro fatto di peluche, grembiulini azzurri e rosa, e lettere.
Quei ricordi d’infanzia – inizialmente appesi in bell’ordine e ora abbandonati ai lati dell’ingresso dell’ex asilo Govone, sempre più sporchi -erano stati portati dagli abitanti del Comitato per Multedo , un modo per “segnare” il territorio.
Ora monsignor Giacomo Martino – il prete di Migrantes – chiede che siano rimossi.
«Basta invenzioni, quelle letterine a Babbo Natale servono a spostare il problema su qualcosa che non esiste – dice – e sono uno schiaffo per i nostri ragazzi. Come possono trovare la tranquillità , se rientrando la sera trovano pupazzetti che sono lì per far intendere che le suore abbiano cacciato i bambini per fare spazio a loro? Ma non è così, l’asilo era chiuso da più di un anno. E, tra chi contesta, ci sono persone che avevano tolto i loro figli dalla Govone ben prima di quest’autunno».
Rispetto ai tempi d’oro, che sono finiti attorno al 2010, l’asilo Govone di Multedo era passato da 92 a 58 alunni. E l’asilo è stato chiuso, come tante altre strutture cattoliche senza risorse.
Monsignor Giacomo Martino, nel suo ruolo di direttore di Migrantes, è anche legale rappresentante della chiesa del Santissimo nome di Maria e degli Angeli Custodi che ha preso in affitto i locali della suore della Neve.
«Le suore hanno tenuto quegli spazi vuoti per un anno, pagando l’Imu, perchè sui locali che non sono adibiti al culto la Chiesa paga le tasse, come è giusto. Non avrebbero mai interrotto l’attività  se non fossero state costrette dalla situazione che si era creata perchè le rette dei bambini non potevano più coprire i costi. E quando la prefettura ha cercato spazi per l’accoglienza dei richiedenti asilo, hanno solo detto che lì c’era un edificio vuoto. Punto. Il resto sono favole scritte a Babbo Natale per spostare il problema. E il problema è la paura di accogliere questi ragazzi».
Per questo don Martino chiede che gli stessi abitanti, se non l’Amiu, rimuovano ciò che resta di quel muro di giocattoli che divide in due – virtualmente e concretamente – il quartiere.
«Il problema non è l’asilo, è la paura. Chi protesta deve avere il coraggio di ammetterlo e, se ha ragioni concrete, io le ascolterò: come direttore di Migrantes e responsabile di questo progetto. Ma questi ragazzi non possono vivere assediati e scortati dalla Digos: oggi, quella che dovrebbe essere la loro casa è off limits anche per chi vorrebbe condividere con loro una merenda».

(da “il Secolo XIX”)

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LA DIFFERENZA TRA UN SUSSIDIARIO ITALIANO E UNO FRANCESE

Ottobre 26th, 2017 Riccardo Fucile

L’IMMIGRAZIONE SPIEGATA AI BAMBINI: IN ITALIA SONO “CLANDESTINI”, IN FRANCIA E NEI PAESI CIVILI SONO RICHIEDENTI ASILO E RISORSE

L’immigrazione può essere spiegata ai bambini in due modi.
Il primo è quello di affidarsi a un sussidiario italiano, dove ai bambini viene spiegato che gli italiani che emigrano all’estero sono “cervelli” in fuga, “persone capaci e preparate che potrebbero contribuire allo sviluppo dell’Italia” e invece contribuiranno allo sviluppo di un altro paese: “un danno per l’Italia”.
E che la definizione di cervelli in fuga e di persone capaci e preparate non si addice agli stranieri che emigrano in Italia.
Di questi, “molti” sono “Clandestini” — termine discriminatorio, come ha riconosciuto anche il tribunale di Milano che ha condannato la Lega Nord: “Molti vengono accolti nei centri di assistenza per i profughi e sono clandestini, cioè la loro permanenza in Italia non è autorizzata dalla legge”, si legge nel libro di testo delle edizioni Il Capitello: “Perciò la loro integrazione è difficile: per motivi economici e sociali, i residenti talvolta li considerano una minaccia per il proprio benessere e manifestano intolleranza nei loro confronti”.
Molti? Sicuro?
Dei sei milioni di stranieri immigrati in Italia, la stragrande maggioranza è regolarmente residente: 5 milioni e 29mila.
Sono persone che lavorano, studiano, pagano le tasse e — come amano ricordare il presidente dell’Inps, Confindustria, l’Istat, rappresentano una risorsa economica irrinunciabile perchè ci pagano le pensioni, fanno crescere il Pil, assicurano il ricambio generazionale, sono dunque, in termini economici e sociali, un netto vantaggio a riparo del “danno” inferto dalla fuga dei cervelli. A questi vanno aggiunti altri 410mila migranti   (fonte: Ismu) che, pur non essendo residenti, hanno un regolare permesso di soggiorno.
I “regolari” sul totale dei sei milioni sale quindi a cinque milioni e 439 mila.
Ci sono poi 174 mila stranieri (fonte: ministero dell’Interno) presenti nei centri del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), anch’essi regolari poichè — per legge — nel diritto di chiedere la protezione che la Costituzione assicura gli stranieri ai quali, nei paesi d’origine, venga negato l’esercizio delle libertà  democratiche.
Quanti di loro otterranno asilo? Le autorità  italiane impiegano uno o due anni per esaminare ogni singolo caso.
Per l’Eurostat, nel 2016, L’Europa ha però accolto la maggioranza delle richieste d’asilo: tre su cinque.   L’Italia, al contrario, una minoranza: il 39 per cento. Il 61 per cento dei richiedenti asilo in Italia rimarrà  un immigrato irregolare, la cui presenza totale sul territorio italiano è stimata dal Rapporto annuale sulle Migrazioni dell’Ismu in 435mila persone.
Gli irregolari sono dunque appena l’otto per cento sul totale degli stranieri presenti in italia, percentuale di parecchio inferiore a quella degli immigrati italiani irregolari che si sono stabiliti a Londra: solo la metà  di quelli che sono andati a lavorare nel Regno Unito da più di un anno si è iscritto all’Anagrafe degli Italiani all’estero, come richiederebbe la legge.
L’altro modo di spiegare l’immigrazione ai bambini è quello di aprire un sussidiario francese: “Nelle pagine dedicate alla spiegazione del fenomeno migratorio gli immigrati vengono descritti come risorse, si dà  conto del vantaggio economico che arrecano alla Francia e al paese d’origine attraverso i trasferimenti, si descrivono le sofferenze affrontate durante il viaggio e i motivi che inducono le persone alla fuga: i disastri ambientali, le guerre, i mutamenti climatici, le persecuzioni”.
Lo racconta un papà  italiano, che è balzato sulla sedia quando ha visto le pagine del sussidiario delle edizioni Il Capitello.
Ha immediatamente postato su Twitter quelle del libro delle medie di sua figlia, che vive in Francia: “Io lavoro a Bologna, faccio avanti e indietro con la Francia per stare con la piccola e spesso facciamo i compiti al telefono. Mi manda le pagine del libro, le leggo, poi ripete. Il sussidiario francese dà  conto di quanti migranti sono morti nel Mediterraneo (i morti alle frontiere triplicati dal 1993 al 2012, dato al quale fa riferimento il sussidiario francese: da duemila e seimila) e perfino di quanto spende l’Unione europea per Frontex o per il filo spinato per chiudere le frontiere”.
“Chiedo alla ministra Fedeli di convocare una tavola rotonda collettiva con esperti/e, scrittori/scrittrici, attivisti per creare una vera scuola interculturale”, interviene la scrittrice Igiaba Scego, impegnata nella battaglia contro i pregiudizi razziali: “Dobbiamo diventare meno eurocentrici e più globali. Perchè l’Italia merita di essere parte di un mondo che si mescola e produce bellezza”.
A chi non risiede in Francia suggerisco un viaggio a Roma questo fine settimana, con tutta la famiglia.
L’antirazzismo spiegato ai bambini è al centro di Impunita Fest, il festival della cultura critica dell’infanzia. L’apertura, venerdì 27, è dedicata al tema delle migrazioni, con un ricordo di Simonetta Salacone, preside della scuola Iqbal Masih. Sabato ci sarà  Eraldo Affinati, promotore come Igiaba Scego dell’appello per lo ius soli e fondatore della scuola gratuita di italiano per stranieri Penny Wirton che ha sedi in tutta Italia.

Ps. Vita.it ha pensato di interpellare Livio Neri, avvocato esperto in materia e membro di Asgi, Associazione studi giuridici sull’immigrazione, chiedendogli un favore: riscrivere il paragrafo contestando usando una terminologia più corretta e restituendo meglio la realtà  delle cose. Eccolo:
Il numero di cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale è piuttosto stabile da alcuni anni. Sono tuttavia aumentati gli arrivi di profughi, persone in fuga da violenze e persecuzioni personali, che poi fanno domanda di “asilo politico” in Italia; tali domande sono presentate in particolare da chi arriva da Paesi dell’Africa Subsahariana, ma anche da Pakistan e Bangladesh. I richiedenti asilo hanno diritto all’accoglienza, offerta loro in strutture di varia natura. Non si tratta di irregolari o “clandestini”, senza documenti in regola. Le persone immigrate hanno spesso maggiori difficoltà  a reperire alloggi sul mercato, a volte anche per pregiudizi nei loro confronti, i quali possono condurre a discriminazioni che rischiano di compromettere la corretta integrazione tra popolazione straniera e locale

(da “il Fatto Quotidiano”)

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COME SI VINCONO LE ELEZIONI CON IL ROSATELLUM

Ottobre 26th, 2017 Riccardo Fucile

DUE SIMULAZIONI DIMOSTRANO CHE CI VORRA’ ALMENO IL 40% DI VOTI NEL PROPORZIONALE E IL 60% DEI COLLEGI UNINOMINALI PER ARRIVARE A UNA MAGGIORANZA RISICATA

Serve arrivare al 40% su scala nazionale e vincere nel 60% dei collegi uninominali per avere la maggioranza alla Camera con la nuova legge elettorale, il Rosatellum BIS che ha ricevuto in Senato l’ok.
Il conto è contenuto nelle simulazioni pubblicate oggi dal Messaggero, che in qualche modo sono più ” generose” rispetto allo studio del professor Roberto D’Alimonte di cui ha parlato una decina di giorni fa il Sole 24 Ore.
Il sistema elettorale delineato con la legge Rosato prevede 232 collegi uninominali per la Camera e 109 per il Senato, il 37% del totale, concentrati ovviamente nelle Regioni più popolose.
Per raggiungere la maggioranza dei seggi alla Camera occorrerà  conquistarne almeno il 55/60% da aggiungere almeno a quelli determinati dal 38/42% di quota proporzionale, spiega il quotidiano.
Favorito, ad oggi, è il centrodestra che unito riesce ad avvicinarsi alla soglia nella quota proporzionale, anche se invece nei collegi maggioritari sarà  più difficile. Determinante, per il meccanismo insito nel Rosatellum, sarà  il risultato delle piccole liste che porteranno —   o non porteranno — alcuni voti in più che potranno far scattare alcune soglie.
Di più: il Messaggero spiega che la partita per la nascita di una maggioranza alla Camera si giocherà  in Piemonte, Lazio, Campania e Puglia.
La coalizione che dovesse fare cappotto in queste regioni nei collegi maggioritari (ne distribuiscono ben 77) avrà  probabilmente i numeri per governare, anche se sarebbero comunque risicati e per ora stiamo parlando soltanto dei risultati alla Camera e non al Senato.
Il rischio batosta per il Partito Democratico e il valore dei candidati
Ieri abbiamo parlato di una simulazione fatta da un funzionario del Parlamento che allarmava i possibili candidati dei collegi uninominali per la Camera dei deputati. In Emilia Romagna, ad esempio, il Partito Democratico porterebbe a casa soltanto otto dei diciassette collegi disponibili, in Toscana andrebbe bene ma non benissimo (nove su quattordici) mentre quattro su sei arriverebbero nelle Marche e l’en plein arriverebbe solo in Umbria (tre su tre).
In più, dei 52 eletti dem nei 231 collegi uninominali a Montecitorio, neanche uno arriva dalle cinque regioni dell’asse del Nord. Conti per ora prematuri e che sono stati fatti partendo dai voti alle ultime amministrative.
La simulazione sui collegi del Rosatellum
L’ipotesi che il Partito Democratico si possa aggiudicare soltanto 52 collegi porterebbe il partito di Renzi ad arrivare “terzo” nella corsa con MoVimento 5 Stelle e centrodestra unito.
Forse per questo lo stesso Ettore Rosato oggi torna sull’idea di un’alleanza larga alla sinistra del PD con MDP, che giusto ieri ha annunciato per l’ennesima volta l’addio alla maggioranza che sostiene il governo Gentiloni
Il pronostico di D’Alimonte
Il professor Roberto D’Alimonte aveva invece pubblicato una tabella qualche giorno fa sul sito del Centro Italiano Studi Elettorali della Luiss in cui i calcoli rendevano ancora più difficile la conquista della maggioranza alla Camera da parte di uno dei tre poli: «Se anche immaginassimo che uno dei contendenti arrivi al 40 per cento dei seggi proporzionali dovrebbe pur vincere il 70% dei seggi maggioritari per ottenere una maggioranza risicata di 317 seggi totali. Se invece ipotizziamo che uno dei tre competitori vinca il 55 per cento dei seggi maggioritari dovrebbe ottenere la percentuale straordinariamente elevata del 50 per cento dei seggi proporzionali per arrivare a 321 seggi totali. Pur nell’incertezza che caratterizza in questa fase il comportamento degli elettori queste combinazioni appaiono decisamente poco credibili».
E quindi, spiegava D’Alimonte, «il prossimo governo dovrà  necessariamente nascere dalla scomposizione delle coalizioni che si presenteranno davanti agli elettori in campagna elettorale e dalla loro ricomposizione in una maggioranza di governo che non corrisponderà  alle solenni promesse fatte agli elettori al momento del voto».

(da “NextQuotidiano”)

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PRESTANOMI E MANAGER AL SERVIZIO DI PUTIN PER OCCULTARE 24 MILIONI DI DOLLARI

Ottobre 26th, 2017 Riccardo Fucile

DAL MACELLAIO AL JUDOKA, DAGLI AMICI AI PARENTI, TUTTI DIVENTATI RICCHI IMPROVVISAMENTE… E QUESTO SAREBBE IL MITO DEI SOVRANISTI ITALIANI DELLA DOMENICA

Vladimir Putin potrebbe essere non solo uno degli uomini più potenti al mondo ma anche uno dei più ricchi.
Un circolo ristretto di amici e parenti del presidente russo possiede infatti una fortuna di 24 miliardi di dollari, e a volte si tratta di soldi che sembrano letteralmente piovuti dal cielo: è quanto emerge da un’inchiesta del team giornalistico-investigativo Occrp e di Novaya Gazeta, secondo cui quei soldi «potrebbero essere davvero di Putin».
Sono tanti gli amici di Putin che si sono arricchiti dopo l’ascesa al potere di Vladimir Vladimirovich.
Molti hanno fatto affari nel settore del gas e del petrolio, largamente controllato dallo Stato, altri aggiudicandosi appalti pubblici con una certa regolarità .
Ci sono però alcuni personaggi che vivono nell’ombra e conducono una vita relativamente modesta. Eppure detengono centinaia di milioni di dollari, forse addirittura miliardi. Ma non sono capaci di spiegare da dove vengano: cosa che fa pensare che si tratti di prestanome.
Come Mikhail Shelomov. È il figlio di una cugina di Putin, Lyubov Shelomova. Lavora come «specialista capo» in una sussidiaria di una società  statale che si occupa del trasporto navale di prodotti petroliferi, la Sovcomflot.
Il suo stipendio ammonta ad appena 700 dollari al mese. Possiede però asset per 573 milioni di dollari.
Pare che abbia fatto fortuna con una società  di nome Platinum, connessa alla Banca Smp dei fratelli Arkady e Boris Rotenberg, amici di infanzia di Putin le cui aziende si aggiudicano spesso gare pubbliche.
Non a caso proprio una società  di Arkady Rotenberg, la Stroigazmontazh, sta realizzando il ponte che collegherà  la Russia alla Crimea che Mosca si è annessa tre anni fa.
Poi c’è Pyotr Kolbin, anche lui vecchio amico di Putin.
Pyotr ha un passato umile. Ha lavorato anche come macellaio. A un certo punto, improvvisamente, è diventato proprietario del 10% della Gunvor, una società  che commercia oro nero fondata da un altro intimo di Putin, Gennady Timchenko. Il grande salto in avanti lo fa nel 2011, quando vende per 526 milioni di dollari alla Novatek (controllata al 24% da Timchenko) la sua quota del 25,1% del progetto Yamal Lng per sfruttare un imponente giacimento di gas in Russia settentrionale.
Aveva comprato quelle azioni circa un anno prima a 81,8 milioni di dollari. Il profitto è di 445 milioni.
C’è poi Nikolai Shamalov: un ex dentista di San Pietroburgo, amico di vecchia data di Putin. Ora pare che ne sia anche il consuocero visto che suo figlio Kirill ha sposato la presunta figlia di Putin, Katerina Tikhonova.
Shamalov sarebbe coinvolto in uno schema per trarre profitto dalle forniture di attrezzature mediche ai centri sanitari statali. Alcuni ricchi oligarchi hanno finanziato l’acquisto delle attrezzature, ma solo una parte del denaro sarebbe stata in effetti usata, il resto del denaro sembra sia finito in compagnie offshore e con questi soldi sarebbe stata costruita anche una villa di Putin sul Mar Nero. Poi ceduta a privati.
Da dove arriva questo denaro? L’amministrazione Obama un anno e mezzo fa accusò Putin di essere corrotto.
E la Cia nel 2007 stimò il suo tesoro segreto in 40 miliardi di dollari. Non ci sono però documenti che riconducano esplicitamente a Putin.
Forse perchè – spiega un ex 007 a Novaya Gazeta – da buon ex agente del Kgb, il leader del Cremlino «non lascerà  mai tracce».

(da “La Stampa”)

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LA TOGA NON E’ SOLO UN ABITO, E’ UN SIMBOLO, UN IMPEGNO ETICO, NON L’OCCASIONE PER LA RIBALTA MEDIATICA

Ottobre 26th, 2017 Riccardo Fucile

CONSIDERAZIONI IN MERITO ALLE SCUSE, DOPO TRENT’ANNI, DEL PM CHE ACCUSO’ ENZO TORTORA DI ESSERE UN CAMORRISTA

Diego Marmo, il Pubblico Ministero che all’epoca, nell’ambito di un procedimento penale ancora inquisitorio, rappresentò la pubblica accusa contro EnzoTortora, accusandolo di essere un camorrista ed un “mercante di morte”, a trent’anni di distanza, ha chiesto scusa alla famiglia.
Ha dichiarato che si era sbagliato.
Che si era “fatto prendere dalla foga”: questo si legge oggi su alcuni giornali… Innamorarsi di una propria tesi accade a tutti.
È drammatico, però, quando questa cosa accade nell’esercizio di un potere, pubblico o privato che esso sia…
Il diritto ha un suo fascino esclusivo e molto seduttivo. Per farlo proprio ci vuole pazienza, costanza e tantissima umiltà . Perchè è come se fosse stato concepito sin dall’inizio, si’ come momento di regolamentazione, ma anche come momento di “riflessione” costante.
Perchè le norme non sono mai così astratte come si possa pensare. Si condizionano e si condizioneranno sempre a vicenda, le une con le altre.
Fanno e faranno sempre parte, di un ordinamento. Non vivono, e non vivranno mai, soltanto sulla carta, ma nelle sentenze dei giudizi e negli atti giuridici variamente posti in essere a qualsivoglia livello, sia esso politico, “istituzionale” o nella vita di ogni giorno.
Il diritto non attribuisce soltanto poteri o doveri. Assegna ed attribuisce anche responsabilità .
Lo farà  anche sulla scorta di un assioma generale ed astratto. Ma lo fa e non accade “tanto per”… Nessuno potrà  mai essere considerato legibus solutus in un sistema democratico, soprattutto laddove esso sia basato sulla divisione dei poteri.
Un potere, anzi, per meglio dire, l’esecuzione di un potere giuridicamente dato, non sarà  mai legittimo se condizionato dalla foga o dalle lusinghe della ribalta mediatica, perchè un potere, conterrà  anche delle pregnanti facoltà , ma ad esso non sarà  mai estranea, non mancherà  mai, insomma, il senso della direzione funzionale verso la “dimensione del servizio”.
Una toga non è un mero abito. È un simbolo.
È un “impegno materiale ed etico”.
Forse, in certi casi, chiedere scusa, non è abbastanza…

Salvatore Castello
Right BLU – La Destra liberale

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