Novembre 6th, 2017 Riccardo Fucile
AZZURRI TRAINATI DAGLI IMPRESENTABILI E IL CROLLO DI RENZI NON LO RENDE FELICE
Al netto della scontata (e ostentata) soddisfazione per la vittoria, e dell’orgogliosa rivendicazione del suo apporto decisivo, che Silvio Berlusconi affida a un post su facebook, al netto di tutto di questo il voto siciliano, letto anche dalle parti di Arcore, è assai più complesso di come appare.
Perchè è certo una vittoria politica, ma non un plebiscito elettorale per il centrodestra. E non è un caso che quella vecchia volpe del Cavaliere si limita a sottolineare il ruolo di Forza Italia, determinante nel mobilitare i moderati, e nulla più.
Senza nominare alleati e cucinare ricette per l’osteria dell’avvenire.
Il voto siciliano, che sarà materia di analisi dell’infallibile Alessandra Ghisleri nei prossimi giorni, apre una dinamica politica nuova. E non del tutto positiva, letta con gli occhi del vincitore.
Vediamo perchè: la volta scorsa il centrodestra andò diviso, Nello Musumeci (sostenuto dal Pdl) che prese il 25,73 e Gianfranco Miccichè il 15,41. Rispettivamente 521.022 voti, l’altro 312.112. Totale: oltre 833mila voti.
Questa volta, a sostegno di Musumeci c’è tutta la coalizione, la somma non fa il totale. Il candidato presidente, alla fine, raccoglie oltre 750 mila voti. Dunque, meno della somma delle liste della volta scorsa.
Significa che il centrodestra sta nelle sue dimensioni fisiologiche, anche se con una flessione e ben lontano dai fasti di un tempo quando il Pdl viaggiava tra il 40 e 50 per cento nell’Isola.
E nell’ambito di queste dimensioni fisiologiche va molto bene Forza Italia, trainata però dal voto di notabili, signori delle preferenze e “impresentabili”.
Un esempio su tutti, in attesa dei dati definitivi, il dato di Messina, dove Luigi, pargolo di Francantonio Genovese, è il primo degli eletti e la lista di Forza Italia traina coalizione verso record regionale, con Musumeci al 50 per cento circa.
Nel complesso Forza Italia raccoglie il 16 per cento. In termini assoluti circa 270 mila voti, cifra superiore al dato del Pdl la volta scorsa: 247 mila.
Ed è il primo partito della coalizione, egemone rispetto agli alleati sovranisti. Anche se, da quelle parti, c’è una differenza non irrilevante tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
La lista Alleanza per la Sicilia (Fdi e Lega) supera di poco il quorum del 5 per cento, confermando la grande difficoltà per il leader della Lega di sbarcare al Sud.
Il paradosso di questa storia è: certo il contesto siciliano aiuta il Cavaliere, con quel robusto esercito di notabili e voto clientelare — a proposito: i Popolari e autonomisti di Saverio Romano, eredi del cuffarismo si attestano al 7,2, oltre 120 mila voti — ma lo proietta sul piano nazionale su un pianeta del tutto nuovo, senza più le antiche certezze del Nazareno.
Il pianeta in cui crolla Renzi, partner di un Nazareno di governo, e in cui però il suo crollo viene intercettato non dalla destra (moderata o radicale che sia) ma dai Cinque Stelle.
Ecco l’elemento nuovo, ragionando su un piano nazionale: quello dei pentastellati è il vero exploit.
La volta scorsa Cancelleri raggiunse il 18 per cento, ovvero 368mila voti. Questa volta la sua lista ha raccolto oltre 442mila voti, ma come candidato presidente sono oltre 600mila i siciliani che hanno messo la croce sul nome.
C’è voto di opinione, radicalizzato, frutto della crisi del renzismo e più in generale della sinistra che considera “utile” andare verso i Cinque stelle, per tanti motivi: per punire Renzi, per fermare l’avanzata della destra, per protesta, insomma per tante ragioni, ma comunque si restringe il perimetro della destra.
Astensionismo alto, voto verso i Cinque Stelle: proiettati sul piano nazionale i dati configurano una debolezza del Cavaliere lì dove era forte, proprio nel voto di opinione, quando era un campione dell’anti-politica.
Insomma, lo schema cambia perchè il crollo di Renzi fa crollare il Nazareno, ma Berlusconi, a differenza di altri, non parla di un “modello Sicilia” da riprodurre.
Come non parlò di un modello Liguria dopo la vittoria di Toti, o di un modello Genova. Segno che, in definitiva, non ha gioito affatto della debacle di Renzi e del Pd.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 6th, 2017 Riccardo Fucile
NEL PD GLI ORLANDIANI VORREBBERO LANCIARE GENTILONI, MA FRANCESCHINI FRENA
A metà pomeriggio Matteo Renzi guarda il risultato di lista del Pd in Sicilia: 13,5 per
cento. Certo il dato non è ancora definitivo, ma gli basta per arginare quella sensazione di tracollo totale che ieri sera, sull’onda dei soli exit poll, lo ha portato a far dichiarare a Lorenzo Guerini: “Vero, abbiamo perso”.
Il 13,5 per cento, se venisse confermato, è pochissima roba, se paragonata al M5s, che veleggia oltre il 25 per cento. E’ una sconfitta e resta tale.
Ma a Renzi serve per far dire ai suoi che intanto il suo Pd, pur sconfitto e reduce dalla scissione di febbraio, ha fatto quanto il Pd di Bersani 5 anni fa alle regionali siciliane.
E da qui, raccogliendo cocci di una coalizione di centrosinistra mai nata ma sempre meno componibile, il segretario del Pd elabora il suo piano ‘alternativo’ per le politiche: ognuno corra con il suo candidato, dopo il voto si vede chi pesa di più.
Modello centrodestra, insomma: Berlusconi per Forza Italia e Salvini per la Lega. Anche se Berlusconi e Salvini alla fine si spartiscono i collegi del Rosatellum: non è questa la prospettiva cui pensa Renzi con Mdp.
La contempla solo con altri pezzi di centrosinistra. Giuliano Pisapia ed Emma Bonino, per dire, ma dopo il test siciliano non tira una bella aria nemmeno con loro due: non hanno gradito l’attacco renziano a Pietro Grasso, reo di non aver accettato la candidatura a governatore e dunque imputabile della sconfitta in Sicilia, secondo il siciliano Davide Faraone.
Le regionali in Sicilia di fatto mettono una pietra tombale sulla coalizione di centrosinistra, centrale nel discorso di Renzi alla conferenza Pd di Pietrarsa solo una settimana fa. Grasso risponde a tono: “Patetico imputarmi la sconfitta”. Pisapia gli va a esprimere solidarietà a Palazzo Giustiniani. A poco serve se a sera la linea renziana cambia. La esplita il capogruppo Ettore Rosato: “Grasso non va coinvolto…”.
E anche le alleanze col centro non sono in salute dopo il test siciliano.
Al Nazareno mettono nel conto che non tutto il Partito di Alfano potrebbe seguire il Pd in un’alleanza per le politiche. Ancora una volta Silvio Berlusconi potrebbe risultare alternativa più attraente, come è già successo alle regionali in Sicilia: molti potentati di Alleanza Popolare si sono spostati dal sostegno iniziale per il perdente Fabrizio Micari al vincente Nello Musumeci.
Ma soprattutto Renzi mette nel conto che una parte del partito ora partirà all’attacco sul suo ruolo di candidato premier.
Ed è a questo che guarda quando dice “ognuno corra col suo candidato, poi si vede”. All’indomani della debacle siciliana, la minoranza orlandiana lascia trapelare che l’ideale sarebbe se Renzi si facesse da parte come candidato premier, pur restando segretario del Pd.
Sarebbe meglio, è il ragionamento, se facesse spazio a personalità che sono più capaci di unire, tipo Paolo Gentiloni.
Il tutto al netto del fatto che il Rosatellum non contempla precisamente il ruolo di candidato premier: il punto comunque è il leader di riferimento della coalizione.
Senza coalizione, sostengono gli orlandiani, vince il centrodestra o il M5s: la vittoria se la contendono loro e il Pd resta a guardare, insieme a Mdp.
Ecco, ma Renzi non ci sta. “Chi vuole mettere in discussione la mia leadership si faccia avanti”, dice ai suoi.
Ma il segretario non è disposto a rinunciare al ruolo che gli è assegnato da statuto: e cioè che il segretario del Pd, eletto dalle primarie, sia anche il candidato premier.
E conta di avere ancora dalla sua parte anche Dario Franceschini, partner di maggioranza nel Pd che all’indomani delle elezioni in Sicilia assicura di non essere intenzionato ad aprire “alcuna resa dei conti interna”.
Un dato importante che potrebbe far recedere anche la minoranza orlandiana dall’ipotesi di aprire uno scontro diretto con il segretario nella direzione nazionale di lunedì prossimo.
Insomma, Renzi ha lasciato trapelare l’intenzione di farsi da parte, nei retroscena di stampa, se fosse servito a stringere un’alleanza con gli ex Pd di Mdp. Ma realisticamente non ha mai creduto alla possibilità di una ‘reunion’ con Bersani e D’Alema.
Così come, trapela dal Nazareno, non c’è alcuna apertura sulle primarie di coalizione.
Da qui, l’attacco dei suoi a Grasso: di fatto, l’accusa lanciata dal siciliano Davide Faraone in collegamento con la diretta di Mentana su La7 ieri sera è stato il calcio di inizio della campagna elettorale contro il presidente del Senato che i renziani hanno già inquadrato come il candidato premier di Mdp.
Vale a dire il candidato di chi ha espresso “l’esplicita volontà di una parte del centrosinistra di dividersi per perdere e così indebolire il Pd”, dice senza mezzi termini Matteo Orfini.
“Dunque a questo punto, ognuno corra con il suo candidato — ragionano al quartier generale renziano – Renzi è il candidato del Pd, eletto dalle primarie. Mdp correrà con Grasso? Bene: dopo il voto, ci si pesa.
Se Mdp prende più del Pd, allora avranno ragione a chiedere che il premier non sia Renzi”.
E per i renziani, a questo punto ma solo a questo punto, il nome potrebbe essere quello di Gentiloni. “Ma se il Pd prende di più di Mdp, allora avrà ragione Renzi a dire che il candidato premier sono io…”.
Naturalmente il vero dramma in casa Dem è che gli avversari veri sono sempre più agguerriti e imbattibili.
Il centrodestra unito dimostra di essere vincente, nonostante le mai sopite differenze programmatiche tra Salvini, Berlusconi e Meloni, emerse persino alla ‘cena dell’unità elettorale’ a Catania prima del voto.
Insieme non volano ma vincono e mettono a rischio l’ipotesi di una grande coalizione Pd-Forza Italia, mai esclusa a priori da Renzi.
E poi c’è il M5s che prende voti in uscita dal Pd e anche dalla destra, confermandosi primo partito in Sicilia e proiettandosi a gonfie vele sulle politiche.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 6th, 2017 Riccardo Fucile
IL PADRE CONDANNATO A 11 ANNI, LUI PRENDE PIU’ DI 17.000 VOTI A SOLI 21 ANNI… E MUSUMECI A MESSINA SUPERA IL 51%
Luigi Genovese, candidato di Forza Italia e figlio di Francantonio – condannato in primo grado a 11 anni di carcere nel processo sui corsi di formazione professionale, che coinvolge anche la moglie e altri parenti – è il più votato a Messina, dove è candidato nella lista di FI.
Genovese jr, 21 anni, ha ottenuto finora 17.026 voti (a scrutinio quasi completo: 740 sezioni su 780) e in campagna elettorale era annoverato tra gli “impresentabili” delle liste di Musumeci per via dei guai giudiziari dei genitori.
L’affermazione del centrodestra in Sicilia diventa trionfale a Messina e provincia, dove Nello Musumeci supera il 51%, doppiando il cinquestelle Giancarlo Cancelleri che si ferma al 25%; mentre le liste che sostengono il candidato governatore (FI, Diventerà Bellissima, Udc, Lega-FdI, Idea Sicilia-Popolari e autonomista) raggiungono il 55%. Messina offre un altro record al centrodestra: è l’unica provincia in cui Forza Italia supera la performance della lista cinquestelle, raggiungendo circa il 25%, contro il quasi 18% dei grillini.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 6th, 2017 Riccardo Fucile
I CENTRISTI FALLISCONO ANCHE LA SOGLIA DEL 5%, NESSUN SEGGIO IN SICILIA… LUPI E FORMIGONI PRONTI ALLA SPALLATA
Il raggiungimento della soglia del 5% poteva fare la differenza tra galleggiamento ed
implosione.
Alla fine, sebbene il lento scrutinio avesse lasciato accesa l’ultima speranza, il verdetto è impietoso: per Alternativa popolare le elezioni siciliane sono una debacle. Un disastro soprattutto per Angelino Alfano e quell’area più filo governativa che ha voluto l’alleanza con il Pd a sostegno di Fabrizio Micari.
Il leader centrista non nasconde il “risultato negativo”, ma rivendica: “Anche se non abbiamo ottenuto i risultati sperati, non abbiamo rimpianti perchè abbiamo fatto la scelta giusta”.
Una scelta che, però, fu fatta a dispetto dell’ala nordista, guidata da Maurizio Lupi, che guardava al centrodestra e – anche a fronte del veto di Salvini – avrebbe comunque preferito una corsa solitaria.
Una decisione che dunque si è rivelata fallimentare e che brucia ancora di più sulla pelle del ministro degli Esteri che nella natale Agrigento ha, o a questo punto aveva, il suo piccolo feudo. E che ora corre il rischio di ritrovarsi minoranza nel partito che lui stesso ha costruito.
Non superare il 5% vuol dire infatti non avere nemmeno un seggio, dunque neanche una briciola di potere contrattuale quando Nello Musumeci andrà a cercare “rinforzi” per formare il governo.
Perchè è esattamente questo lo scenario che prefiguravano molti notabili locali di Ap che in numerosi comizi, spudoratamente, chiedevano il voto per i propri candidati in lista, ma poi suggerivano di votare per il governatore del centrodestra.
I dati lo confermano: il sostegno di Alfano ha portato a Micari poco e niente, al centro è risultata assai più credibile la proposta dell’Udc di Lorenzo Cesa per Musumeci.
Ed ecco che sotto quella soglia, reale e psicologica allo stesso tempo, è già partito quel processo di disgregazione in realtà strisciante da tempo.
I big per ora scelgono la strada della prudenza, Maurizio Lupi approfitta del provvidenziale viaggio a New York per la maratona, e sfrutta il fuso rinviando ogni commento.
Ma il dado sembra ormai tratto e la linea che emergerà è: basta alleanza con il Pd, bisogna guardare al centrodestra.
Lo “sfogatoio” è già pronto: per sabato a Roma è in programma una conferenza organizzativa di Ap, e i “critici” già affilano le armi.
Esplicitamente ne parla Roberto Formigoni: “C’è un’unica cosa che Alternativa Popolare non deve fare dopo le elezioni siciliane: riproporre a livello nazionale – sostiene – l’alleanza con il Pd. È questa l’indicazione chiara che ci viene dai nostri elettori, sia pure a risultati non definitivi”. L’ex hovernatore lombardo invita anche a mollare il governo, già a cominciare dalla legge di bilancio.
Lupi, che proprio per scongiurare scollamenti Alfano ha nominato qualche mese fa coordinatore del partito, per il momento continua a dire che la strada di Ap dovrebbe essere quella di andare da soli alle Politiche.
Ma l’ex ministro sa bene che con il Rosatellum questo percorso è poco praticabile. E, infatti, c’è chi giura che in realtà ormai da tempo abbia stretto un accordo con Silvio Berlusconi per tornare nel centrodestra.
E a quel punto l’implosione sara inevitabile: si tratta solo di capire se i filo governativi – due nomi tra tutti Fabrizio Cicchitto e Beatrice Lorenzin – se ne andranno di loro spontanea volontà o se saranno accompagnati alla porta.
Nè sarebbe un problema il veto che da tempo il leader della Lega ha posto su un ritorno di Ap. Il modo per superare questa impasse sarebbe già pronto: “sacrificare” Angelino Alfano, non candidarlo, lasciarlo al suo destino, magari a cercare un “salvacondotto” con il Pd.
L’esperienza lombarda del governo Maroni che tiene tutti assieme aiuterebbe. Silvio Berlusconi avrebbe già dato il suo benestare: ok al ritorno dei “figlioli prodigi”, tutti – appunto – tranne il suo ex delfino.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 6th, 2017 Riccardo Fucile
OVVIAMENTE HA FATTO BENE PERCHE’ “NON SI PUO’ PERMETTERE A RENZI DI METTERSI SULLO STESSO LIVELLO DI UN GRANDE LEADER COME LUIGI”
Luigi Di Maio ha deciso che dopo la sconfitta del PD in Sicilia Renzi non è più il leader del Centrosinistra e non sarà il candidato premier del Partito Democratico.
Evidentemente il livello di democrazia interna del MoVimento 5 Stelle è così avanzato da consentire a Di Maio di poter stabilire anche chi sarà il suo avversario politico.
Per questo motivo domani a Di Martedì non ci sarà il tanto atteso duello televisivo tra Renzi e Di Maio.
Chi ci andrà ? A quanto apprende l’Adnkronos domani sera alla trasmissione condotta da Giovanni Floris potrebbe andarci Alessandro di Battista.
Non sarà un vero confronto però, perchè stando alle ultime indiscrezioni, Renzi e Di Battista risponderanno in due momenti distinti alle domande del conduttore.
Un duello a turni insomma, come nella migliore tradizione delle interviste apparecchiate del M5S.
Nel frattempo però tutti si interrogano sulla fuga di Di Maio dal confronto con Renzi, anche perchè era stato proprio il pentastellato a sfidare Renzi non più di una settimana fa.
Per il candidato premier del MoVimento 5 Stelle il PD è “politicamente defunto. Il nostro competitor non è più Renzi o il PD”.
Certo, il risultato siciliano di Micari si profila come l’ennesima batosta del PD renziano ma che le cose sarebbero andate così male lo si sapeva anche quando Di Maio aveva chiesto il confronto con Renzi.
Tanto più che la spiegazione di Di Maio ricorda un po’ troppo quel “siete morti” urlato da Grillo una decina di anni fa durante i suoi spettacoli.
Niente di nuovo sotto il sole del MoVimento.
C’è chi ipotizza che Di Maio abbia avuto paura di non poter rinfacciare a Renzi la sconfitta in Sicilia per sentirsi replicare che nemmeno il 5 Stelle ha vinto.
Con l’aggravante che Di Maio in Sicilia ci ha messo la faccia con un lunghissimo tour elettorale, mentre Renzi se ne è stato ben lontano.
In mancanza di alternative Di Maio torna a fare quello che sa fare meglio: fuggire.
C’è anche chi va direttamente dal Garante Beppe Grillo per chiedergli di fare lui un confronto con Renzi mentre a Di Maio spetterebbe il compito di affrontare Berlusconi.
Gran parte del popolo pentastellato sta con Luigi Di Maio e approva la sua decisione di sottrarsi al confronto televisivo.
Sembra di essere tornati ad inizio legislatura quando i grillini neoeletti in Parlamento non volevano mischiarsi con la ka$ta.
Ora che i 5 Stelle fanno ufficialmente parte della tanto odiata casta devono trovare il modo di differenziarsi e ribadire la propria superiorità morale.
Non sui temi e sugli argomenti che stanno a cuore agli italiani ma sulla leadership del PD.
Dopo essersi lamentati per mesi che sui giornali si parlava solo di chi dovesse essere il nuovo Segretario del Partito Democratico i 5 Stelle decidono di avere il diritto di aprire la crisi del PD e stabilire che Renzi non sarà più il loro avversario. Ma questo lo decideranno al limite gli iscritti del PD e non i 5 Stelle.
Nel frattempo attivisti e simpatizzanti del MoVimento stanno prendendo con la consueta sportività e il solito senso del rispetto per un’elezione democratica il risultato siciliano.
Il leit motiv è quello dei siciliani che non vogliono cambiare e della Sicilia che “delude” il M5S: andassero tutti a cagare.
A tenere banco per ora è l’hashtag #gigginoscappa con cui sui social si prendeno in giro la fuga del candidato Premier del MoVimento 5 Stelle e le sue pretese di affibbiare un patentino di attendibilità agli avversari.
C’è chi ricorda il numero di voti che hanno consentito a Renzi di essere eletto segretario e li mette a confronto con le poche migliaia di click (e con le regole truccate) dell’incoronazione di Di Maio.
Renzi invece coglie la palla al balzo per evitare di parlare dei risultati siciliani (grande assist di Di Maio, non c’è che dire) e gli ricorda che era stato il 5 Stelle a scegliere giorno, luogo e conduttore per il confronto.
Renzi non perde l’occasione per stuzzicare Di Maio — che ha detto che la Direzione del PD sta per mettere in discussione il ruolo del Segretario PD — dicendo che “da giorni sapevamo che stavano litigando al loro interno dopo i precipitosi tweet dell’onorevole campano”.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 6th, 2017 Riccardo Fucile
IL SOLITO SPETTACOLO DEI CINQUESTELLE ALLE PRESE CON LA DEMOCRAZIA… PRIMA GLI APPELLI DISPERATI A “PRESIDIARE I SEGGI DURANTE LA NOTTE”, POI I SOSPETTI SENZA PROVE DI BROGLI E LE ACCUSE A “QUEI MAFIOSI DEI SICILIANI”
Non sono bastati i mesi di tour incessante di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista
per convincere la maggioranza dei siciliani ad andare a votare per Giancarlo Cancelleri.
La sempre lucida e pacata analisi del voto degli elettori del MoVimento 5 Stelle conferma che la Sicilia è ancora acerba e che non si merita il governo degli onesti a 5 Stelle.
Già ieri — con la diffusione dei primi exit poll — i pentastellati hanno iniziato a lamentarsi e lanciare l’allarme su possibili complotti ai loro danni.
Questa volta non c’erano matite da ciucciare ma seggi da presidiare durante la notte.
In Sicilia infatti — in virtù di una legge del 2012 — lo spoglio delle schede elettorali non è iniziato dopo la chiusura dei seggi ma solo questa mattina alle otto.
Ed è anche per questo motivo che oggi, lunedì pomeriggio, non sappiamo ancora chi ha vinto.
Sulla pagina di Cancelleri, tra mille speranze ed anatemi contro gli astenuti si faceva ieri strada la preoccupazione che qualcuno nottetempo mettesse “innumerevoli schede false e crocette su Musumeci“.
Qualcuno ha chiesto a Manlio Di Stefano come mai nessuno ha organizzato i presidi dei seggi durante la notte. I 5 Stelle sono troppo tranquilli, stanno nascondendo qualcosa? Perchè fidarsi della Polizia e delle Forze dell’Ordine quando c’è Berlusconi a piede libero?
Tutto può succedere e c’è chi parla apertamente di “odore di broglio”.
Si potrebbe tranquillamente scaricare la colpa di queste affermazioni sui singoli attivisti, ma faremmo un torto ai vertici del MoVimento che nelle scorse settimane sono arrivati a chiedere l’invio degli osservatori dell’OSCE per sorvegliare lo svolgimento delle operazioni di voto. Quasi fossimo in Nigeria, a Lagos, e non in Sicilia.
Altri, improvvisamente esperti di come si svolgono le operazioni di voto e si allestisce un seggio notavano particolari inquietanti: perchè le cabine del seggio dove ha votato Cancelleri erano confinati? Qualcuno potrebbe sfruttarle per scambiare le schede.
In che modo non è chiaro perchè se due elettori entrano con una scheda ciascuno per forza di cose devono uscire con una scheda ciascuno.
Il timore è che qualcuno possa utilizzare la contiguità per “controllare” se l’elettore ha votato nel modo “corretto”.
Ma generalmente è più semplice attendere lo spoglio e guardare quanti voti ha ottenuto ciascun candidato.
O davvero pensate che “il cattivo di turno” accompagni ogni singolo elettore al seggio?
La situazione e i commenti fanno sorridere, visto che nessuno dei pentastellati sembra essersi posto il problema della trasparenza nelle varie cliccarie del Blog, alcune annullate d’imperio da Grillo in contrasto con la volontà popolare.
Ma una volta chiariti questi problemi “procedurali” si può passare all’analisi dei risultati propriamente detta.
E se il verdetto delle urne tarda ad arrivare l’analisi pentastellata non si fa certo attendere. Sono infatti sufficienti gli exit poll e i dati sull’affluenza per iniziare a dare addosso a quei mafiosi dei siciliani.
È già successo altrove: quando il risultato delle urne (ma qui non stiamo parlando nemmeno di quello) non è sorride ai 5 Stelle allora anathema sit. I siciliani non meritano di essere “salvati” da Cancelleri o dal M5S, hanno deciso di non cambiare e di dare fiducia ai soliti noti.
I siciliani sono “un popolo di coglioni” che preferisce la solita minestra al vento del cambiamento che spira impetuoso su Roma, Torino, Livorno e tante altre città a 5 Stelle.
Città dove i cittadini sono finalmente contenti dell’operato della loro amministrazione, anche se non fa niente, anche se fa quello che facevano “quelli di prima”. È la logica della tifoseria applicata alla politica e ai beni comuni.
Anzi, visto che “delinquenti, mafiosi e tutti i privilegiati d’oro vanno sempre a votare” se Cancelleri ha perso la colpa è tutta di chi si è astenuto.
E Manlio Di Stefano sembra essere d’accordo quando dice che “lo scarto dei voti reali al momento è di circa 20mila voti, guarda caso i voti che potrebbe portare Francantonio Genovese (padre di Luigi, candidato della coalizione di Musumeci, ndr). Siamo preoccupati dal fatto che questo voti possa essere ricordato come quello dei grandi brogli”.
Insomma le ipotesi di complotto non sono appannaggio degli attivisti ma vengono fatte proprie anche dai vertici.
Ma c’è di peggio, non solo i brogli paventati da Di Stefano direttamente dalla sede del comitato elettorale di Cancelleri. C’è chi ritiene che gli onesti si siano astenuti o non siano andati a votare “perchè minacciati”.
I pentastellati sentono ovunque puzza di broglio. Non è possibile che la democrazia, quel concetto così malamente applicato sul Blog con mille correttivi (occulti e non), fallisca quando c’è da far vincere davvero il MoVimento in una regione importante come la Sicilia. Qualcosa deve essere andato storto, ma cosa?
È tutta colpa del siciliano medio, quello che ci gode a stare “nella merda” e non si sa perchè invece che votare chi potrebbe aiutarlo preferisce votare altro. Il dubbio a questo punto è che anche se il M5S fosse il partito unico non riuscirebbe a conquistare la maggioranza dei voti.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 6th, 2017 Riccardo Fucile
I COMPAGNI DI MERENDA DI MINNITI FANNO ROVESCIARE IL BARCONE DEI DISPERATI…LA ONG SEA WATCH: “TRAGEDIA CAUSATA DAL COMPORTAMENTO VIOLENTO DEI LIBICI”
Un altro naufragio nel Mediterraneo: cinque migranti morti, tra i quali un neonato, un altro bambino disperso e un forte atto d’accusa di una Ong contro la Guardia costiera libica.
La nuova tragedia segue di un giorno l’arrivo a Salerno di una nave con a bordo i cadaveri di 26 giovani donne.
A darne notizia è la ong Sea Watch, tornata da poco in mare con l’imbarcazione Sea Watch 3, al suo primo soccorso. In condizioni meteo poco favorevoli, con mare mosso e pioggia, la Sea Watch stava soccorrendo un gommone quando – secondo il loro racconto – il “comportamento violento e sconsiderato della guardia costiera libica” avrebbe provocato cinque vittime, tra le quali un neonato, mentre un altro bambino sarebbe scomparso in mare.
Ancora poco chiara la dinamica dell’incidente di cui sarebbe stato testimone anche un elicottero della Marina Militare italiana che – sempre stando al racconto dei volontari tedeschi – avrebbe evitato con la sua presenza altre vittime.
Il naufragio sarebbe avvenuto a trenta miglia a nord delle acque territoriali libiche, dunque in acque internazionali in cui – sottolinea Sea Watch – i libici non hanno nessuna giurisdizione.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 6th, 2017 Riccardo Fucile
“HANNO COLPITO CHI SALVAVA VITE UMANE, I MANDANTI DI QUESTI ORRORI SIEDONO AL GOVERNO”
“I 26 cadaveri di donne che sono arrivati a Salerno sulla nave militare spagnola
Cantabria carica di migranti sono la prova che la strategia per il controllo dell’immigrazione del ministro dell’Interno Minniti è stata un fallimento”: questa l’accusa di Roberto Saviano sui social.
“Negli ultimi mesi ci hanno fatto credere che la campagna anti-Ong fosse servita a porre fine all’emergenza immigrazione. Hanno colpito le Ong come fossero loro responsabili dell’immigrazione clandestina, mentre le Ong era solo responsabili di salvare vite umane. Sulle morti in mare e sulle torture ai confini dell’Europa, da cittadini europei se vogliamo che questa definizione abbia ancora un senso, dobbiamo chiedere ai mandanti di questi orrori che siedono nei palazzi dei governi europei di rispondere per la grave violazione dei principi fondamentali che l’Europa si è data, che non sono parole astratte, ma principi di umanità ”
(da agenzie)
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Novembre 6th, 2017 Riccardo Fucile
COME GESTIRE DUE ORE DI PIOGGIA ED EVITARE CHE LE STRADE DIVENTINO DEI FIUMI
A Roma piove, e la città va in tilt, di nuovo. Non che la pioggia di ieri fosse un evento eccezionale e imprevisto. In fondo siamo ad inizio novembre, mese notoriamente piovoso.
Ieri a Roma dopo il violento acquazzone del primo pomeriggio il copione era il solito: strade allagate, auto bloccate e stazioni della Metro chiuse. A farne le spese anche gli elettori del X Municipio dove ieri si votava per l’elezione del Presidente e del consiglio municipale uscito dal commissariamento.
Il nubifragio di domenica pomeriggio era stato ampiamente previsto. Sabato il Dipartimento della Protezione Civile della Regione Lazio ha emanato un bollettino di allerta di condizioni meteorologiche avverse.
Nell’avviso del Centro Funzionale Regionale si parlava di “precipitazioni diffuse anche a carattere di rovescio o temporale” accompagnati da “rovesci di forte intensità , frequente attività elettrica, e forti raffiche di vento”. Sulla base delle previsioni il CFR ha valutato “una Criticità codice giallo per rischio idrogeologico per temporali su: Tutte le Zone di Allerta della Regione Lazio”.
Insomma il Comune di Roma è stato informato per tempo delle condizioni climatiche della giornata di domenica 5 novembre. E senza dubbio il Comune era a conoscenza del fatto che ieri a Ostia si votava il primo turno delle elezioni per X Municipio.
Non si spiega quindi come mai ieri i cittadini romani che che si sono avventurati fuori casa per andare a votare abbiano dovuto assistere a scene come quelle dell’l’allagamento del sottopassaggio di via di Acilia o di strade rese impraticabili da un’ora di pioggia intensa.
Che il X Municipio abbia qualche problema quando piove forte è cosa nota. Anche perchè appena due mesi fa Ostia si era trovata in una situazione simile.
Se da un anno a questa parte a Roma il vento non fosse cambiato sapremmo subito a chi dare la colpa: a Marino. Ma oggi al Campidoglio c’è Virginia Raggi. Ed era proprio Virginia Raggi il 6 novembre 2014 — tre anni fa esatti — a parlare della necessità di “prevenzione opportuna” in seguito al blocco della città dopo “un fenomeno meteo catastrofico definito bomba d’acqua”.
La Raggi, all’epoca consigliera comunale d’opposizione suggeriva di “ripulire tombini e caditoie ostruite e di potare i rami degli alberi pericolanti“.
Ma sappiamo come vanno le cose nel MoVimento 5 Stelle: quando si è all’opposizione la ricetta giusta è sempre a portata di mano e sembra facilissimo rimediare ai danni di chi sta al governo.
Una volta però che il MoVimento diventa maggioranza la colpa è invariabilmente delle amministrazioni precedenti o addirittura del surriscaldamento globale.
(da “NextQuotidiano”)
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