RENZI PENSA ALLE POLITICHE: “IO CANDIDATO PD, MDP PENSA A GRASSO, DOPO IL VOTO SI VEDE”
NEL PD GLI ORLANDIANI VORREBBERO LANCIARE GENTILONI, MA FRANCESCHINI FRENA
A metà pomeriggio Matteo Renzi guarda il risultato di lista del Pd in Sicilia: 13,5 per cento. Certo il dato non è ancora definitivo, ma gli basta per arginare quella sensazione di tracollo totale che ieri sera, sull’onda dei soli exit poll, lo ha portato a far dichiarare a Lorenzo Guerini: “Vero, abbiamo perso”.
Il 13,5 per cento, se venisse confermato, è pochissima roba, se paragonata al M5s, che veleggia oltre il 25 per cento. E’ una sconfitta e resta tale.
Ma a Renzi serve per far dire ai suoi che intanto il suo Pd, pur sconfitto e reduce dalla scissione di febbraio, ha fatto quanto il Pd di Bersani 5 anni fa alle regionali siciliane.
E da qui, raccogliendo cocci di una coalizione di centrosinistra mai nata ma sempre meno componibile, il segretario del Pd elabora il suo piano ‘alternativo’ per le politiche: ognuno corra con il suo candidato, dopo il voto si vede chi pesa di più.
Modello centrodestra, insomma: Berlusconi per Forza Italia e Salvini per la Lega. Anche se Berlusconi e Salvini alla fine si spartiscono i collegi del Rosatellum: non è questa la prospettiva cui pensa Renzi con Mdp.
La contempla solo con altri pezzi di centrosinistra. Giuliano Pisapia ed Emma Bonino, per dire, ma dopo il test siciliano non tira una bella aria nemmeno con loro due: non hanno gradito l’attacco renziano a Pietro Grasso, reo di non aver accettato la candidatura a governatore e dunque imputabile della sconfitta in Sicilia, secondo il siciliano Davide Faraone.
Le regionali in Sicilia di fatto mettono una pietra tombale sulla coalizione di centrosinistra, centrale nel discorso di Renzi alla conferenza Pd di Pietrarsa solo una settimana fa. Grasso risponde a tono: “Patetico imputarmi la sconfitta”. Pisapia gli va a esprimere solidarietà a Palazzo Giustiniani. A poco serve se a sera la linea renziana cambia. La esplita il capogruppo Ettore Rosato: “Grasso non va coinvolto…”.
E anche le alleanze col centro non sono in salute dopo il test siciliano.
Al Nazareno mettono nel conto che non tutto il Partito di Alfano potrebbe seguire il Pd in un’alleanza per le politiche. Ancora una volta Silvio Berlusconi potrebbe risultare alternativa più attraente, come è già successo alle regionali in Sicilia: molti potentati di Alleanza Popolare si sono spostati dal sostegno iniziale per il perdente Fabrizio Micari al vincente Nello Musumeci.
Ma soprattutto Renzi mette nel conto che una parte del partito ora partirà all’attacco sul suo ruolo di candidato premier.
Ed è a questo che guarda quando dice “ognuno corra col suo candidato, poi si vede”. All’indomani della debacle siciliana, la minoranza orlandiana lascia trapelare che l’ideale sarebbe se Renzi si facesse da parte come candidato premier, pur restando segretario del Pd.
Sarebbe meglio, è il ragionamento, se facesse spazio a personalità che sono più capaci di unire, tipo Paolo Gentiloni.
Il tutto al netto del fatto che il Rosatellum non contempla precisamente il ruolo di candidato premier: il punto comunque è il leader di riferimento della coalizione.
Senza coalizione, sostengono gli orlandiani, vince il centrodestra o il M5s: la vittoria se la contendono loro e il Pd resta a guardare, insieme a Mdp.
Ecco, ma Renzi non ci sta. “Chi vuole mettere in discussione la mia leadership si faccia avanti”, dice ai suoi.
Ma il segretario non è disposto a rinunciare al ruolo che gli è assegnato da statuto: e cioè che il segretario del Pd, eletto dalle primarie, sia anche il candidato premier.
E conta di avere ancora dalla sua parte anche Dario Franceschini, partner di maggioranza nel Pd che all’indomani delle elezioni in Sicilia assicura di non essere intenzionato ad aprire “alcuna resa dei conti interna”.
Un dato importante che potrebbe far recedere anche la minoranza orlandiana dall’ipotesi di aprire uno scontro diretto con il segretario nella direzione nazionale di lunedì prossimo.
Insomma, Renzi ha lasciato trapelare l’intenzione di farsi da parte, nei retroscena di stampa, se fosse servito a stringere un’alleanza con gli ex Pd di Mdp. Ma realisticamente non ha mai creduto alla possibilità di una ‘reunion’ con Bersani e D’Alema.
Così come, trapela dal Nazareno, non c’è alcuna apertura sulle primarie di coalizione.
Da qui, l’attacco dei suoi a Grasso: di fatto, l’accusa lanciata dal siciliano Davide Faraone in collegamento con la diretta di Mentana su La7 ieri sera è stato il calcio di inizio della campagna elettorale contro il presidente del Senato che i renziani hanno già inquadrato come il candidato premier di Mdp.
Vale a dire il candidato di chi ha espresso “l’esplicita volontà di una parte del centrosinistra di dividersi per perdere e così indebolire il Pd”, dice senza mezzi termini Matteo Orfini.
“Dunque a questo punto, ognuno corra con il suo candidato — ragionano al quartier generale renziano – Renzi è il candidato del Pd, eletto dalle primarie. Mdp correrà con Grasso? Bene: dopo il voto, ci si pesa.
Se Mdp prende più del Pd, allora avranno ragione a chiedere che il premier non sia Renzi”.
E per i renziani, a questo punto ma solo a questo punto, il nome potrebbe essere quello di Gentiloni. “Ma se il Pd prende di più di Mdp, allora avrà ragione Renzi a dire che il candidato premier sono io…”.
Naturalmente il vero dramma in casa Dem è che gli avversari veri sono sempre più agguerriti e imbattibili.
Il centrodestra unito dimostra di essere vincente, nonostante le mai sopite differenze programmatiche tra Salvini, Berlusconi e Meloni, emerse persino alla ‘cena dell’unità elettorale’ a Catania prima del voto.
Insieme non volano ma vincono e mettono a rischio l’ipotesi di una grande coalizione Pd-Forza Italia, mai esclusa a priori da Renzi.
E poi c’è il M5s che prende voti in uscita dal Pd e anche dalla destra, confermandosi primo partito in Sicilia e proiettandosi a gonfie vele sulle politiche.
(da “Huffingtonpost”)
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