Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
VENTIMIGLIA: LA RISORSA ARIANA ARRESTATA
La polizia del commissariato di Ventimiglia ha fatto scattare le manette ai polsi di un
65enne italiano residente a Ventimiglia, per violenza sessuale.
Anche in questo caso la vittima è una donna, una giovanissima residente a Bordighera che è stata avvicinata su un autobus di linea nell’ora di punta, dall’uomo che complice la confusione, l’affollamento e i movimenti bruschi del veicolo durante la corsa, si è avvicinato alla donna e l’ha molestata.
Provvidenziale è stato l’intervento di un passeggero, uno straniero seduto poco distante dalla ragazza che ha allontanato l’uomo.
La ragazzina è scesa subito dal bus e ha telefonato al padre che si è messo all’inseguimento del mezzo.
Raggiunto dopo pochi minuti il mezzo pubblico, la ragazza, in lacrime raccontava tutto agli operatori di una pattuglia della polizia già presente nelle immediate vicinanze.
Gli agenti sono intervenuti bloccando l’autobus e salendo a bordo hanno fermato l’uomo. Il 65enne ha tentato di sfuggire agli agenti cercando di nascondersi dietro i tanti studenti che affollavano il bus ma è stato preso in consegna dalla polizia e portato in commissariato per gli accertamenti di rito.
L’uomo dopo aver inizialmente negato ogni responsabilità ha poi ammesso in parte le sue colpe e dopo la convalida del provvedimento di arresto, il ventimigliese si trova agli arresti domiciliari.
La polizia intanto lancia un appello allo straniero che è intervenuto per proteggere e difendere la giovane, testimone di questo increscioso fatto a presentarsi negli uffici della caserma Bligny.
“In qualità di testimone – spiegano dal commissariato di Ventimiglia – diretto dei fatti le sue dichiarazioni avrebbero certamente un peso importante nel processo penale che dovrà subire l’arrestato”.
(da “il Secolo XIX”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
GROSSO SUCCESSO DEL CORTEO A ROMA: “SIAMO UNA MAREA”… A MONTECITORIO LA BOLDRINI A 14OO DONNE: “LA VIOLENZA SULLE DONNE E’ UNO SFREGIO ALLA NOSTRA COMUNITA'”
“Non basta denunciare, bisogna rimuovere le cause“. Questo il messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
“La violenza sessuale non riguarda soltanto le donne ma tutti noi perchè riguarda episodi ricorrenti gravissime violazione dei diritti umani e questo coinvolge tutti in egual misura”.
Mattarella ha incontrato al Quirinale la presidente della Camera Laura Boldrini assieme a una rappresentanza di donne che hanno partecipato all’evento #InQuantoDonna, la manifestazione organizzata in mattinata a Montecitorio che ha accolto 1.400 donne arrivate da tutta Italia.
Tra le iniziative promosse per dire basta alla violenza sulle donne c’è il corteo organizzato dall’associazione “Non una di meno”: oltre 150mila le adesioni secondo le organizzatrici.
E proprio nella giornata contro la violenza sulle donne è nato il fondo per gli orfani di femminicidio. L’emendamento alla legge di bilancio è stato approvato all’unanimità dalla commissione Bilancio del Senato.
Mattarella: “Fenomeno oscuro e incomprensibile”
“Le considerazioni che avete svolto nell’aula di Montecitorio sono state coinvolgenti — ha detto Mattarella durante l’incontro — Vi ringrazio per le testimonianze perchè siamo di fronte a un fenomeno oscuro e incomprensibile. Gli episodi di violenza sono in numero elevatissimo, ed è gravissimo che avvengano in società che si dichiarano civili, sviluppate ed avanzate culturalmente. Non basta quindi denunciare gli episodi di violenza, comportamento indispensabile e prioritario, ma bisogna impegnarsi a rimuovere le cause, le condizioni che danno luogo a questo stato di soggezione e di violenza. Va sviluppato un impegno di carattere culturale, educativo, di civiltà ”. In occasione della giornata per dire no alla violenza di genere era arrivato anche il messaggio del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: “L’Italia civile — ha detto — si unisce per dire basta alla vergogna della violenza sulle donne“.
“La violenza sulle donne sfregia la nostra comunità ”
La presidente della Camera Laura Boldrini ha parlato a Montecitorio durante l’evento #InQuantoDonna: “Sbaglia chi pensa che la violenza riguarda esclusivamente le donne. Il problema riguarda tutto il Paese e sfregia la nostra comunità . Quindi, se su questo tema vogliamo fare sul serio, non può esserci solo la risposta delle vittime o delle altre donne, come in gran parte avviene ora: sono quasi sempre le donne a protestare, a ribellarsi, a promuovere mobilitazione.
La Camera dei Deputati oggi ha accolto oltre 1.400 donne che hanno preso parte all’iniziativa promossa dal Governo: “Una presenza così imponente ha un senso che non può sfuggire a nessuno: le donne italiane hanno bisogno di attenzione e ascolto. Per raccontare la violenza subita ma anche per raccontare la loro storia di riscatto”.
Una problematica che difficilmente può risolversi soltanto rifugiandosi dietro a nuove normative: “Le leggi non bastano, il problema è culturale. È questo il punto decisivo — sostiene la Boldrini — Agli uomini è richiesto di fare un balzo in avanti: uscire finalmente da una cultura che per anni ha ridotto la donna a una proprietà . È fondamentale impegnarsi sul piano educativo già in tenera età , insegnando ai bambini e alle bambine la parità di genere, il rispetto per le donne e per la loro libertà ”.
“Denunciate le molestie sul lavoro”
La presidente della Camera ha poi parlato del caso Weinstein, cogliendo l’occasione per ricordare a tutte le donne di non restare in silenzio e trovare il coraggio di parlare: “Il caso Weinstein ha scoperchiato la vergogna delle molestie nel luogo di lavoro. Nel nostro Paese questo tema fatica ad affermarsi. Mi farebbe piacere se ciò accadesse perchè non ci sono molestatori, ma ho paura che non sia così“.
Una realtà che è emersa anche dall’inchiesta pubblicata dal fattoquotidiano.it. “Le donne tendono a non denunciare le molestie perchè temono di non essere credute e di perdere il lavoro. Sanno che in questo Paese c’è un forte pregiudizio contro di loro, quasi che debbano giustificarsi di aver denunciato. Ma è il momento di non stare più zitte. Siamo la maggioranza, non una sparuta minoranza — conclude la Boldrini — Sappiamo trovare la forza di rialzarci e parlare pubblicamente delle violenze subite. E il Paese non può ignorarci più”.
Dopo la presidente, prendono la parola dagli scranni dell’Aula diciassette donne vittime di stupro, violenza domestica e di stalking.
Tra le donne che hanno parlato anche alcune madri di ragazze uccise dai loro compagni, come la mamma di Sara Di Pierantonio, la ragazza strangolata e data alle fiamme perchè rifiutava di riconoscere il suo ex come padrone.
“Ho deciso di mostrarmi dopo la mia terribile esperienza per la prima volta oggi, riesco a farlo perchè sono viva — esordisce così Serafina Strano, la dottoressa stuprata da un paziente nell’ambulatorio dove lavorava — A tutt’oggi non è cambiato nulla per la sicurezza delle guardie mediche e i presidi sanitari pubblici, mancano sistemi elettronici anti aggressione e di video sorveglianza da remoto. Lui mi umiliava — racconta con la voce rotta dall’emozione — Ma nonostante le percosse riuscivo a rimanere lucida per cercare una via d’uscita e sono riuscita a scappare. “.
“Almeno 150mila presenze”
A Roma intanto ha avuto grandissimo successo il corteo organizzato dall’associazione “Non una di meno” per dire basta alla violenza sulle donne. “Siamo una marea, almeno 150mila presenze” hanno dichiarato le organizzatrici dell’evento.
“Siamo ancora all’anno zero sul riconoscimento dei diritti delle donne, ma siamo una forza e uomini e donne insieme batteranno la violenza” ha dichiarato Lella Palladino, presidente dell’associazione “Donne in rete contro la violenza”.
Una manifestazione durante la quale sono state esposti numerosi striscioni anche in cinese e in russo. Nell’ultimo anno, i centri anti violenza hanno accolto 20.351 donne, tra queste il 76% sono di origine italiana mentre il 27% arriva da Paesi stranieri.
Nasce il fondo per gli orfani di femminicidio
Nella Giornata contro la violenza sulle donna arriva l’annuncio di un fondo per gli orfani di femminicidio. La normativa è prevista da un emendamento inserito nella discussione sulla manovra di bilancio e firmato da Francesca Puglisi, presidente della commissione d’inchiesta sul femminicidio.
“È stato accolto con adesione immediata e molto solidale da tutti i gruppi”, ha commentato Magda Zanoni, relatrice del provvedimento che deve essere ancora votato dalla commissione Bilancio del Senato.
L’emendamento prevede lo stanziamento di 2,5 milioni di euro all’anno per il triennio 2018-2021, per un totale di 7 milioni. Per quanto riguarda il fondo, il 70% — si legge nel testo dell’emendamento — sarà destinato “a interventi in favore dei minori”. Il resto, “ove ne ricorrano i presupposti, agli interventi in favore di soggetti maggiorenni economicamente non autosufficienti“.
A spiegare meglio la proposta sono Marcello Gualdani, altro relatore alla manovra, e la capogruppo di Alternativa Popolare al Senato Laura Bianconi, che raccontano come verranno distribuiti i fondi: “L’emendamento prevede un aumento significativo che sarà erogato attraverso borse di studio, spede mediche assistenziali in favore di orfani di crimini domestici, orfani di madri a seguito di reati di femminicidio. Il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di mafia, racket e reati intenzionali violenti sarà ampliato appunto anche a chi è vittima di femminicidio”. “Presentare un emendamento di questo tipo in una giornata come questa — dice Gualdani — assume un carattere particolarmente significativo, la risposta concreta della politica e non le solite vuote celebrazioni”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
SITI COMPLOTTISTI COLLEGATI A QUELLI DI SALVINI PER DIFFONDERE BUFALE… UN EX M5S HA AIUTATO A COSTRUIRE LE PAGINE LEGHISTE
Il New York Times ha pubblicato ieri un articolo in cui si racconta che “con elezioni
politiche decisive a pochi mesi di distanza, cresce l’ansia che l’Italia sarà il prossimo obiettivo di campagne di destabilizzazione con fake news e propaganda, tanto da portare il leader del partito di governo (Matteo Renzi) a chiedere a Facebook e agli altri social media di vigilare sulle loro piattaforme”, per scongiurare possibili interferenze — di cui si sono già viste le prime avvisaglie (la finta foto del sottosegretario Maria Elena Boschi al funerale di Totò Riina).
La vicenda è la continuazione di quella raccontata da Buzzfeed su Direttanews.
Il Times scrive che “in un’atmosfera globale gravida di sospetti di interferenze russe nelle elezioni Usa (Russiagate, ndr), Francia e Germania, così come sul referendum sulla Brexit e l’indipendenza catalana, molti analisti considerano che l’Italia sia l’anello debole in un sempre più vulnerabile Ue”.
Alla richiesta di rafforzare la vigilanza sul voto italiano, “rappresentanti di Facebook hanno detto a funzionari italiani che stanno pensando di schierare un task-force italiana di fact-checkers per affrontare il problema delle fake news qui prima delle elezioni, secondo quanto riferisce un anonimo funzionario del governo presente alle trattative”. Dichiarazione che Facebook non ha voluto ufficialmente commentare.
Il Times cita poi un rapporto di Andrea Stroppa, ricercatore di “Ghost data” che è diventato un nuovo consigliere di Renzi in tema di cyber-security, il quale ha preparato un ‘dossier’ che “dimostra una connessione tra siti apparentemente non collegati che promuovono movimenti populisti critici di Renzi ed il governo di centro-sinistra. Rapporto che evidenzia come la pagina web ufficiale di un movimento filo Matteo Salvini, “leader del partito di estrema destra, la Lega”, condivida i codici Adsense di Google con una pagina di propaganda di un fan dei 5 Stelle.
Questi codici sono condivisi da una serie di siti, alcuni dei quali diffondo teorie complottiste, attaccano Renzi e inviano un chiaro messaggio di sostegno filo russo” Tra questi il Nyt cita “IoStoConPutin.info” e “mondolibero.org”.
Tutti “questi siti condividono lo stesso codice identificativo assegnato da Google Analytics, che monitora la quantità di traffico sui singoli siti, così come AdSense, che assegna una valore alla pubblicità postata su ogni singolo sito“.
Il ragionamento sviluppato dal New York Times è lineare: di solito i webmaster utilizzano uno stesso codice per poter monitorare su un solo strumento (come Google Analytics) tutti i siti di loro proprietà o quelli ai quali lavorano, così come il codice Adsense unico viene utilizzato da chi mantiene più siti su cui fa “girare” la stessa pubblicità .
Da parte sua “un portavoce dei 5 Stelle ha dichiarato che la pagina web citata che condivide i codice non è un sito officiale e potrebbe essere stata realizzata da attivisti indipendenti”. Francesco Zichieri, responsabile della pagina web “Noi con Salvini”, scrive il Nyt “si è dimostrato legittimamente sbigottito” a sapere che “i codici del suo sito sono condivisi con quello che promuove i 5 Stelle”.
La questione del medesimo codice Adnsense era stata peraltro sollevata da Lorenzo Romani che ne aveva poi parlato in un’intervista rilasciata ad Affari Italiani.
Ieri, poi, in serata, l’articolo è stato editato con le spiegazioni di Luca Morisi, il Casaleggio di Matteo Salvini che all’inizio, scriveva il NYT, non aveva risposto alle domande del quotidiano.
Morisi ha sostenuto che il problema è nato dal fatto che un ex “sostenitore dei M5S ha aiutato a costruire la pagina ‘Noi con Salvini’ e ha copiato ed incollato i codice dalla sua pagina di sostenitore dei M5S, così come quelli di ‘Io StoConPutin.info’” con quelle di Salvini.
“Ma noi non abbiano nulla a che fare con i siti pro-Putin o pro-5 Stelle” ha denunciato Morisi. Il Times ricorda che il partito di Salvini abbia “firmato un accordo di cooperazione a marzo con il partito Russia Unita di Putin, che è stato ripetutamente elogiato” dal leader della Lega.
Allo stesso modo il Nyt ricorda che i 5 Stelle hanno ospitato sui siti loro collegati “propaganda anti-Renzi proveniente da testate russe (considerate negli Usa espressione del Cremlino) come Sputnick e Rt”.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
ALL’ARS UN INDAGATO OGNI 4 GIORNI, PER IL GOVERNATORE CI SONO SEMPRE STATI… MA LE LISTE CON MAGGIORI INDAGATI, IMPUTATI E CONDANNATI ERANO LE SUE
Le liste per le elezioni siciliane piene zeppe di consiglieri indagati, imputati e condannati? “Da 70 anni le liste in Sicilia sono frequentate da personaggi chiacchierati“.
L’inchiesta su Luigi Genovese, il rampollo di Francantonio eletto a furor di popolo con Forza Italia e subito finito indagato per riciclaggio? “Io non l’avrei candidato”. Il problema dei candidati impresentabili che si ripropone a ogni tornata elettorale? “Serve una modifica della legge sulle candidature“.
Non lo dice di Rosy Bindi, presidente della commissione Antimafia chiamata a vigilare sulle liste con tempi stretti e normative poco agevoli.
Non sono neanche le dichiarazioni di un magistrato antimafia come Nicola Gratteri, che ha recentemente rilanciato l’allarme sulla capacità delle organizzazioni criminali a infiltrarsi nella politica. Sono invece le parole scelte da Nello Musumeci, neoeletto governatore della Sicilia, alla sua prima uscita pubblica fuori dall’isola dopo la vittoria del centrodestra in Regione.
Peccato che lo stesso presidente sia sostenuto da candidati con gravi pendenze giudiziarie, come testimoniato dall’inizio di fuoco dell’Assemblea regionale siciliana: dalla data delle elezioni è finito sotto inchiesta un neoletto ogni quattro giorni.
Quei portatori di voti, però, hanno inciso in maniera fondamentale sulla sua vittoria, anche se rappresentavano la prima freccia dell’arco dei suoi avversari politici in campagna elettorale.
“I candidati li hanno scelti le liste: io i loro nomi li ho appresi dai giornali“, aveva sostenuto Musumeci — non senza imbarazzo — durante l’unico confronto televisivo con gli altri aspiranti governatore.
Una situazione delicata che — come ampiamente prevedibile — si è aggravata già nelle ore successive al 5 novembre quando le indagini in corso già in precedenza hanno fatto il loro corso.
Invece di fare mea culpa, però, il governatore dell’isola rilancia come se quello dei candidati sotto inchiesta non fosse un problema suo.
E da Milano invoca la richiesta che era stata fatta da più parti alla sua coalizione durante la campagna elettorale: le liste pulite.
Musumeci si appella al Parlamento per trovare una soluzione legislativa agli impresentabili proprio nel day after che ha travolto Luigi Genovese, rampollo di Francantonio eletto in consiglio regionale a soli 21 anni con più di 17mila voti. Preferenze fondamentali per far schizzare Musumeci nel collegio di Messina dove ha addirittura doppiato il diretto concorrente, cioè Giancarlo Cancelleri, del Movimento 5 stelle.
Il giovane Genovese era già “incluso” negli elenchi dei cosiddetti impresentabili a causa della condanna in primo grado a undici anni collezionata dal padre. “È incensurato e uno studente universitario di 21 anni. Se fosse mio figlio, prenderei a calci nel sedere chi dice che è impresentabile solo perchè è figlio di un condannato in primo grado”, dice il neogovernatore nonostante da poche ore anche il giovane Genovese sia finito nel mirino della procura di Messina.
Da ieri, infatti, è indagato per riciclaggio all’interno di un’inchiesta che ha portato a sequestrare beni per 100 milioni di euro alla sua famiglia.
L’inchiesta dei magistrati peloritani disegna i reati che sarebbero stati compiuti da tre generazioni della dynasty Genovese: era proprio necessario, dunque, candidare uno di quella famiglia?
Sul punto Musumeci se ne lava le mani: “Io non l’avrei candidato se fosse stato nel mio partito, il coordinatore del suo partito, però, se ne è assunto la responsabilità ”.
Ma non poteva l’aspirante governatore — cioè il frontman della coalizione — chiedere al coordinatore di Forza Italia — che è il redivivo Gianfranco Miccichè — di fare più attenzione ai candidati?
Soprattutto perchè la campagna elettorale per le elezioni siciliane è stata più di ogni altra segnata dalle polemiche — anche estreme — per la presenza di candidati noti alle procure di tutta l’isola.
“Io mi indigno di coloro che si indignano. Da 70 anni le liste in Sicilia sono frequentate da personaggi chiacchierati“, replica il governatore dal capoluogo milanese.
Facendo finta di non sapere che più di ogni altre, le liste frequentate da personaggi chiacchierati alle ultime regionali erano le sue.
Musumeci, infatti, ha vinto le elezioni grazie ai 108.266 voti in più rispetto a quelli raccolti da Giancarlo Cancelleri.
La differenza con le preferenze portate dai cosiddetti “impresentabili” è minima: undicimila voti. Già durante le elezioni, infatti, ilfattoquotidiano.it aveva acceso i riflettori su alcuni aspiranti consiglieri regionali: 18 correvevano con il centrodestra e hanno raccolto ben 93.236 preferenze.
Non erano solo indagati o condannati, ma anche quelli con legami familiari o trascorsi personali che sollevavano più di qualche dubbio. Molti di quei nomi — anzi, quasi tutti — sono finiti agli atti della commissione Antimafia, che però non ha ancora fornito gli elenchi di chi è in effetti un impresentabile e chi no.
Più repentina è stata invece la magistratura: solo per rimanere nelle liste di centrodestra, infatti, in pochi giorni sono finiti nei guai quattro candidati.
Cateno De Luca dell’Udc è stato il primo: gli hanno dato gli arresti domiciliari (revocati dopo 15 giorni) per evasione fiscale ma ha contribuito alla vittoria di Musumeci — e lo ha rivendicato più vote — con 5.418 preferenze.
Meno clamorosa l’indagine per peculato su un ente gestito fino a luglio da Tony Rizzotto, primo consigliere regionale eletto dalla Lega in Sicilia con 4.011 voti. Diverso è il caso di Riccardo Savona, tornato all’Ars con Forza Italia grazie a 6.554 elettori ma subito accusato di truffa e appropriazione indebita dalla procura di Palermo.
Poi c’è voluto un servizio delle Iene per fare aprire un’indagine dalla procura di Catania: una donna ha raccontato di avere ricevuto una offerta di 50 euro in cambio del voto per il candidato di Forza Italia, Antonio Castro, non eletto nonostante abbia portato alla coalizione 1.437 voti.
Quindi è stata la volta di Genovese junior: è il quarto consigliere eletto dal centrodestra a finire sotto inchiesta a 18 giorni dalle elezioni, il quinto se si considera che nel centrosinistra Edy Tamajo si è visto recapitare un avviso di garanzia per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale.
Vanno ad allungare una lista che comprende altri due consiglieri di centrodestra con procedimenti penali pendenti già prima delle elezioni: sono Marianna Caronia di Forza Italia, che ha preso 6.370 voti nel collegio di Palermo ed è indagata nell’inchiesta sugli appalti del trasporto marittimo regionale, e Giuseppe Gennuso eletto a Siracusa dall’Udc con 6.557 voti nonostante un’indagine per truffa.
Il giorno dell’insediamento del nuovo Parlamentino regionale, quindi, a Palazzo dei Normanni ci saranno già sette consiglieri con problemi giudiziari (sei soltanto nella maggioranza): in pratica il 10% dell’intero consiglio appena eletto.
“Il problema è che manca una centrale unica dei carichi pendenti“, allarga le braccia Musumeci. Che forse davanti a qualche nome avrebbe semplicemente potuto dire quattro parole ai leader dei vari partiti: o io o loro.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
RAZZI, GASPARRI & CO : “BERLUSCONI PREMI LA FEDELTA'”
Mai mollare la poltrona. Con la legislatura quasi terminata e le urne ormai all’orizzonte,
anche in casa centrodestra, tra Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia e “cespugli”, nessuno intende farsi sfuggire un nuovo mandato in Parlamento.
Imitare il 5stelle Di Battista e saltare un giro? Pura utopia. Almeno in casa azzurra.
Altro che casting berlusconiani per rinnovare la classe dirigente.
Se il leader di Forza Italia da tempo ormai si scaglia contro i “professionisti della politica”, tra Camera e Senato, nessuno sembra invece voler fare un passo indietro.
Ma non solo: è proprio verso Arcore che guardano fiduciosi peones, “colonnelli azzurri”, big e parlamentari di medio e lungo corso.
Così come quegli scissionisti pentiti — ex fittiani, verdiniani e alfaniani riconvertiti al “verbo” berlusconiano — in cerca di un posto in lista alle prossime politiche.
Tradotto, così come in casa centrista, la caccia al seggio è partita. Tutti contro tutti. E non è un caso che, dentro Forza Italia, da tempo i gruppi parlamentari siano in fibrillazione. Anche perchè, con l’Opa salviniana in vista e la paura di lasciare il passo nei collegi al Carroccio, i posti sicuri per FI si ridurranno.
Allo stesso tempo, l’intenzione di Berlusconi è invece quella di blindare i suoi fedelissimi, per poi fare “pulizia” in quei gruppi che si sono rivelati a dir poco litigiosi e tutt’altro che controllabili.
In fondo, il serbatoio per rendere più “verde” la lista c’è già , tra giovani amministratori cresciuti per la penisola e scalpitanti outsider. Nomi e possibili candidati che lo stesso Berlusconi vaglierà e deciderà insieme al fedele Nicolò Ghedini e con Gianni Letta.
Un trio che dovrà però fare i conti con le ambizioni e le pressioni dei vecchi “colonnelli” azzurri.
Perchè tutti avanzano già la ricandidatura: da ex “responsabili” come Antonio Razzi al “ripescato” Amedeo Laboccetta, passando per dirigenti storici come Maurizio Gasparri e l’ex governatrice del Lazio Renata Polverini.
E come dimenticare i vertici, a partire dal capogruppo al Senato Paolo Romani: “Se mi ricandiderò? Suppongo di sì”, taglia corto quest’ultimo, ai microfoni del Fatto.
Per poi rivendicare: “Casting? Le nostre sono scelte”. Di certo, c’è che tutti si stanno già facendo avanti. E chi ha deciso di restare in FI, senza seguire le scissioni (in ordine) di Alfano, Fitto e Verdini, ora aspetta di passare all’incasso: “Silvio premi la fedeltà ”, è il mantra ribadito da Razzi & Co.
“Da troppo tempo ormai in Parlamento? Veramente mi stanno cercando per una pluralità di incarichi, pure come candidato governatore del Lazio, che non anelo. Ma io non sono un professionista della politica, sono un militante”, si difende Gasparri. Non è il solo. “Per quattro volte ho dimostrato fedeltà a Berlusconi, senza promesse in cambio. Riconoscenza? Sono abbastanza vecchio per sapere che in politica la gratitudine è il sentimento del giorno prima”, replica invece amaro il senatore Francesco Aracri.
Anche chi ha due, tre o più legislature alle spalle, è convinto di “avere ancora qualcosa da dare”: “Questa è la mia quarta legislatura. Troppi 17 anni? Dipende se hai fatto bene o male. Ma io non sono un professionista della politica, sono un avvocato”, è la risposta di Saverio Romano. Uno di quelli che a Roma ha seguito Verdini con la sua Ala alla corte di Renzi, per poi tornare in orbita centrodestra alle ultime Regionali in Sicilia, con Musumeci.
Nessun passo indietro anche tra i vertici di Fratelli d’Italia: nel partito di Giorgia Meloni, da Ignazio La Russa a Fabio Rampelli, tutti i big si sentono al sicuro: “Mica vado in giro per il mondo io…”, replica ironico l’ex ministro della Difesa.
Al contrario, è nella Lega che si prepara la grande “epurazione”: quella del Senatùr Umberto Bossi. L’offerta al fondatore leghista, in caso di esclusione dal Carroccio, l’ha già fatta Berlusconi, pronto ad accoglierlo. Ma il diretto interessato per ora nicchia: “Se ci sarò? Non so, dipende…”. Soprattutto da Salvini, che sembra già avergli dato il benservito, senza nominarlo: “In lista con noi ci sarà chi sposerà in toto il progetto”. Quello in versione nazionale salviniana, senza più “Nord” nel simbolo: un affronto per lo stesso Bossi.
Ormai convinto che il segretario sia interessato soltanto a “prendere un po’ di voti in più, a tutti i costi”. Parole inascoltate: perchè Salvini tira dritto e punta al governo, evocando pure il notaio per evitare ribaltoni post-elettorali e nuove tentazioni nazarene da parte di Berlusconi.
Sulle sue liste, invece, prova a garantire: ”Massima attenzione a chiunque candideremo. Tanta gente si sta avvicinando. Ma noi diciamo anche dei no, non solo dei sì”. Altra provocazione diretta verso l’ “alleato” Berlusconi. Costretto alla “convivenza” forzata. Almeno fino al giorno dopo le urne.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
RENZI PROVA A RILANCIARE COI MILLENNIAL, MA TRA LA GENTE PREVALE IL REDUCISMO
Oddio come si è ristretta la Leopolda. Le file di sedie sono parecchie di meno, rispetto ai tempi dell’assalto al cielo, a quello del potere, a quando poi si trasformò nel bunker del sì. Leopolda senza effetti speciali, senza la regia di Simona Ercolani, senza nomi di successo, sfavillanti testimonial del nuovo che avanza: Alessandro Baricco, Oscar Farinetti, Davide Serra, Brunello Cucinelli, Luigi Zingales.
Ci sono i giovani, i millennials, quelli che vanno all’Università , nati quando Silvio Berlusconi era a palazzo Chigi nel 2001.
Sono loro i co-conduttori di questa edizione.
“Chi di voi era maggiorenne nel 2011? Che ricordate di allora?” chiede Renzi, nei panni del presentatore. Loro rispondono, come in una puntata di Amici. Domande incalzanti, risposte brevi: “I ristoranti che erano pieni”, “la disastrosa riforma Gelmini”.
Come in un format che celebra se stesso, partono le immagini delle scorse edizioni, peccato che la regia fa cilecca e i video non partono: “Ragazzi — scherza il segretario del Pd — siamo peggio di un tg di Mentana”.
Manca il pathos, la tensione, il nemico da rottamare, il plebiscito da vincere.
La Leopolda è insofferente, irriducibile ridotta del renzismo impaurito delle prossime elezioni. Monica, sindacalista per una vita, appena vede il giornalista, si ferma: “Voi giornalisti dovete raccontare la verità , dovete denunciare le fake news, smetterla di essere sempre contro. Noi comunque prenderemo il 40 per cento, altro che ‘arrivate terzi'”. Annuiscono quelli attorno: “Noi il programma ce l’abbiamo, quello dei mille giorni: il jobs act, gli ottanta euro, altro che Camusso, il peggior segretario che la Cgil ha mai avuto, peggio dei Cobas”
Ecco, le fake news, “la battaglia per la verità “. È questo l’unico titolo di giornata con Renzi che impugna il pezzo del NYT, per bollare come dire che quel che sta accadendo in Italia che è impressionante: “Un sito che sparge odio, veleno e falsità contro di noi. La Leopolda inizia per la lotta per la verità “.
C’è rabbia, non elaborata, per quel che è successo, timore, senso di sospensione in un finale di legislatura che è un viaggio verso l’ignoto.
Magone e malinconia, per ciò che è stato e non è più. “Non permettiamo ai rimpianti di superare i sogni”, è scritto nel panello al centro della sala di questa stazione dismessa dove tutto partì, otto anni fa.
È il messaggio che vuole dare Matteo Renzi, quando sale sul palco, consapevole che aleggia tra i suoi il rimpianto del passato: “Quello che abbiamo fatto nei mille giorni non ce lo porta via nessuno. Basta il ricordo dei mille giorni, dai tavoli una proposta concreta”.
Epperò il ricordo aleggia, vero collante di una comunità ristretta, compiaciuta dell’essere tale, avvolta dallo spirito reducista del “siamo meno ma siamo noi”. Parli con la gente e la sensazione è questa. Giancarlo, del Pd fiorentino, dice: “C’è rimpianto. Ma ce lo ricordiamo il paese come era prima dei mille giorni? La verità è che i nemici li abbiamo avuti dentro, in casa. Quelli del Pci, Pds, Ds e che ora hanno fatto la scissione”.
Tutte le chiacchiere sulle alleanze, sulle aperture, sulle consultazioni di Fassino, franano nell’animus delle persone. C’è poco da fare, la ferita del 4 dicembre brucia ancora, ed è come se l’orologio politico fosse ancora fermo lì: “Io — dice Fabrizio, produttore cinematografico italo-canadese — se Renzi fa l’alleanza con D’Alema e compagni non lo voto più. D’Alema è più pericoloso di Berlusconi”. Un altro obietta: “Ma senza alleanze perdiamo”. Arriva Giancarlo da Pistoia: “C’è una zona silenziosa anche nei sondaggi. Noi il 40 per cento lo possiamo prendere, come alle europee”.
Leopolda 8, L8, che si legge “lotto”, come dire che la battaglia continua. E che c’è un futuro, non solo un passato: “Se leggo i giornali — dice Renzi – vedo associato alla nostra esperienza un sentimento quasi di rassegnazione, la Leopolda serve a metterci energia”. Già , l’energia.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
IL CENSIMENTO SULLE CASE POPOLARI ERA STATO AVVIATO DUE ANNI FA DALLA GIUNTA PRECEDENTE
«Guadagnare 700mila euro l’anno e pagare d’affitto per una casa di proprietà del
Comune, a due passi dal Colosseo, solo 174 euro al mese. È una delle ultime scoperte che abbiamo fatto. Storie che non devono essere più raccontate perchè vogliamo finalmente mettere fine alla #scroccopoli a Roma»: così scriveva ieri Virginia Raggi giustamente indignata per segnalare i furbetti dell’affitto che vivono in appartamenti del Campidoglio a poco prezzo.
Peccato che questa non sia “una delle ultime scoperte” della Giunta Raggi, ma frutto di un censimento che da anni è in Comune.
Lo racconta oggi Repubblica Roma in un articolo di Luca Monaco:
Peccato che il censimento dal quale emerge il caso al quale si riferisce la prima cittadina era stato avviato due anni fa dalla ex Giunta Marino: l’ex assessora alle politiche sociali, Francesca Danese, aveva approntato una task force dei vigili per il ripristino della legalità .
Il pallino passò poi nelle mani dell’ex commissario straordinario, Francesco Paolo Tronca, che diede impulso al riordino della gestione del patrimonio, affidando il dossier nella mani di Carla Raineri, allora a capo della segreteria tecnica composta da un pool di avvocati e di esperti militari provenienti da tutte le forze armate.
Arrivarono i primi sgomberi e le denunce in procura. Finchè, con l’avvicendamento ai vertici del Campidoglio e il successivo addio di Raineri, l’operazione si è arenata.
Adesso queste stesse liste risultano utili all’amministrazione per denunciare una serie di storture in realtà note da tempo. Paradossi come la vicenda del locatario in via Sapi 15, con un reddito che sfiora i 78mila euro l’anno e che paga appena 272 euro di affitto al mese.
Dal 2011 ha accumulato un debito di 6539 euro. Il secondo paperone nella speciale graduatoria organizzata in funzione dello stato patrimoniale degli inquilini: solo gli ultimi 58 risultano senza reddito.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
IL CONTRIBUTO DEL COMUNE E’ ZERO, LA SINDACA E’ ASSENTE
Il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, impegnato da qualche tempo in un tavolo per Roma con Virginia Raggi, accusa oggi la sindaca in un’intervista al Messaggero di essere uno spettatore assente nella vicenda: «Questo lavoro è stato fatto in gran parte dal Mise con la Regione, che ha avuto un atteggiamento di grandissima apertura sui progetti, con i sindacati e le associazioni. Il Comune di Roma, invece, a questo tavolo sembra uno spettatore assente».
In che senso,scusi?
«Noi, dopo un’analisi approfondita dei dati della città , abbiamo presentato le iniziative e abbiamo identificato le risorse insieme alla Regione. E questo ci sta pure, non è un problema».
Qual è il problema allora?
«Quello che non funziona è che nelle attività che vanno fatte perchè i progetti vedano la luce, il contributo del comune di Roma è zero».
La sindaca Virginia Raggi ieri uscendo dall’incontro è stata abbastanza fredda. Qualcosina, ha detto, c’è nei progetti, ma fondi nuovi non se ne vedono.
«Mettiamola così, su un miliardo e duecentocinquantasei milioni, il contributo del Comune è di 153 milioni. Come ho detto non è un problema. Sono soldi pubblici che vanno spesi per i cittadini è irrilevante da dove vengono. Quello di cui mi sono stancato è di aver messo a lavorare venti persone del mio staff, con una sindaca che viene alle riunioni come se fosse una turista per caso».
La sindaca Raggi una turista per caso?
«Sì. Guarda le cose e dice questo sì, questo forse, questo vediamo e comunque dateci più soldi. È inaccettabile. Le faccio un esempio concreto?».
Che ci dice?
«Le sembra normale che io contatto con il mio staff, Unindustria e Camera di Commercio, le prime cento imprese romane per capire quali sono i problemi e quali le opportunità , le riunisco, e la sindaca non c’è?».
A onor del vero va anche segnalato che le stesse imprese hanno fatto notare che per quanto riguarda il tavolo per Roma servirebbero “meno app e più soldi”, come spiegato in un articolo del Messaggero qualche giorno fa.
E soprattutto: da secoli e secoli si indicono tavoli istituzionali su questo e su quell’argomento e i risultati, Raggi o non Raggi, sono solo gli occhi di tutti. Calenda ha parlato di situazione ridicola a proposito della scarsa collaborazione del Comune di Roma, ma a parte l’atteggiamento della Raggi, che da vera grillina penserà a questo tipo di occasioni come trappole, c’è poco da stare allegri per i risultati di questi “tavoli”.
Lo stesso Calenda elogia anche il primo municipio, non a caso a guida PD, per i tavolini selvaggi, e accusa ancora la sindaca di fare finta di niente.
Il punto rimane lo stesso: e i risultati?
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
LE PARENTELE CON CONDANNATI E SPACCIATORI, LO SCOOTER BRUCIATO E CERTE STRANE COINCIDENZE
Alessandro Bruno e Alessio Ferreri sono i due uomini gambizzati l’altra notte nel locale
Nuovo Discogiropizza a Ostia. È probabile che il primo obiettivo fosse proprio quest’ultimo, fratello di Fabrizio Ferreri alias Er Dentone, visto che entrambi sono nipoti di Terenzio Fasciani per parte di madre e di Rosario Ferreri, collegato alla mafia siciliana.
L’agguato è andato in scena giovedì sera verso le 21,50 in via delle Canarie.
Un uomo con il volto coperto da un casco ha esploso alcuni colpi di pistola ferendo al polpaccio Bruno, 50 anni, e il pizzaiolo 41enne Ferreri alla gamba e al gluteo. Poi è risalito dietro uno scooter portato da un’altra persona e se ne è andato.
A quanto pare la visiera del casco era alzata. La moto viene lasciata in via delle Baleniere ma le viene dato fuoco. Già in passato era stata lanciata una molotov contro la serranda del locale; poco tempo fa, invece, qualcuno ha bruciato la macchina della madre di Ferreri.
Michela Allegri sul Messaggero spiega che lo scorso maggio “Dentone” era stato arrestato dai carabinieri nell’ambito dell’operazione antidroga “Critical”.
Da quell’indagine era emerso che già nel 2015, qualcuno aveva osato sfidare le famiglie che a Ostia comandano, dando alle fiamme la macchina e la moto di Fabrizio Ferreri.
Il sospetto degli inquirenti è che si trattasse di un rivale vicino ai clan avversari, in lizza per gestire la piazza di spaccio.
Le carte di quell’inchiesta raccontano che nell’agosto 2015, “Dentone” e gli Spada stavano progettando insieme «un grave fatto di sangue»: una vendetta, per lo “sgarro” subito. L’azione era poi fallita per l’intervento dei carabinieri.
Per questo le ipotesi oggi sul tavolo sono due: che si tratti di una guerra tra clan rivali, che vedrebbe da una parte Spada e Fasciani e dall’altra una nuova entità che lavora sulla piazza di Ostia, oppure che la vicenda sia il risultato di una rottura dell’alleanza proprio tra gli Spada e i Fasciani.
Vincenzo Bisbiglia sul Fatto Quotidiano scrive che la figura di Bruno è soprattutto legata ai debiti contratti in passato per precedenti attività commerciali e al consumo di sostanze stupefacenti (oltre a una nota amicizia con alcuni membri della famiglia Fasciani), da non trascurare è il profilo del pizzaiolo ferito: Alessio Ferreri, imparentato con alcuni degli esponenti di spicco proprio dei Fasciani.
Sua zia, infatti, è la moglie di Terenzio, condannato a 5 anni e 8 mesi di reclusione per associazione a delinquere (ma in stato di libertà perchè i giudici della Corte d’appello di Roma hanno ritenuto non sussistano gli estremi per la misura detentiva).
Infine, Federica Angeli su Repubblica Roma racconta che nell’ordinanza Critical, che ha portato in carcere Fabrizio Ferreri, si racconta che quest’ultimo stava progettando un’esecuzione molto simile a quella avvenuta giovedì sera a Ostia, prima che gli arreti mandassero a monte tutto:
«Le intercettazioni ambientali e telesoniche – scriveva a maggio la gip Simonetta D’Alessandro nell’ordinanza con la quale convalidò gli arresti – hanno permesso di acquisire elementi circa l’organizzazione di un grave satto di sangue in danno di una persona, programmata dal Ferreri e dagli uomini della sua organizzazione».
A predisporre ogni cosa per poi assidare l’ultimo atto agli scagnozzi, secondo le intercettazioni, era stato proprio Fabrizio Ferreri: è lui a rivolgersi a Ottavio Spada per avere l’arma, una Taurus calibro 38 con 4 proiettili, lo scooter Yamaha Tmax e la benzina per bruciare gli indumenti ad agguato compiuto.
Ma prima riferisce al suo uomo che pur non dovendo chiedere il permesso a nessuno, ne ha parlato con Ro («identisicabile con Roberto Spada», scrivono gli investigatori) e che aveva approvato i suoi programmi di vendetta.
L’agguato avrebbe dovuto andare in scena nell’agosto 2015, ma i carabinieri sono intervenuti mandandolo a monte. Due anni e qualche mese dopo, ecco la pistola, lo scooter e i vestiti a cui dare fuoco dopo il colpo.
(da “NextQuotidiano”)
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