Dicembre 18th, 2017 Riccardo Fucile
USCITO DALLA PORTA DOPO LE DIMISSIONI PER LO SCANDALO DELLA MULTA FATTA TOGLIERE A UN AMICO, PARE RIENTRATO DALLA FINESTRA
Paolo Giordana ha dovuto rassegnare le dimissioni da capo di gabinetto della sindaca di Torino Chiara Appendino dopo la vicenda della multa da levare a un suo amico. Eppure, scrive oggi il Corriere della Sera, secondo il Partito Democratico torinese il buon Giordana sarebbe ancora il Rasputin — o, come ha detto lui, la segretaria — di Chiara Appendino:
«Siamo proprio sicuri che il capo di gabinetto non sia più capo di gabinetto?».
Sembra bizzarra, ma la domanda a cui oggi la sindaca di Torino Chiara Appendino dovrà rispondere, è molto seria.
L’interpellanza presentata dal Pd riguarda l’effettivo ruolo di Paolo Giordana, l’ex braccio destro della prima cittadina.
Dimessosi dopo la pubblicazione di un’intercettazione in cui chiedeva al presidente di Gtt, l’azienda pubblica dei trasporti, di togliere una multa a un suo amico, il «Rasputin» della Appendino continua a frequentare il suo vecchio ufficio. Ed è in lizza anche per un aumento di stipendio.
Mente della sua strategia elettorale, attento stratega delle apparizioni della sindaca in Aula, regista delle tante operazioni della giunta, come quella sull’impegno a non utilizzare gli oneri urbanistici per finanziare la spesa corrente ma il caso REAM-Westinghouse è la cristallizzazione della parola rimangiata da parte della sindaca, Giordana era stato costretto a un passo indietro dall’intercettazione uscita nella vicenda di GTT.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 18th, 2017 Riccardo Fucile
IN 13 ISTITUTI DI CREDITO AL VERTICE SEMPRE GLI STESSI NOMI, CON RUOLI TRAMANDATI DI PADRE IN FIGLIO
Mezzo millennio per tredici cognomi: in Italia tredici piccoli banchieri locali – a
volte, con l’aiuto delle loro dinastie – esprimono per la precisione 446 anni di potere sull’allocazione del credito a famiglie e imprese.
Se solo la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche non si occupasse quasi solo di regolamenti dei conti politici, scoprirebbe forse che le cause profonde delle perdite subite dai risparmiatori non vanno cercate in qualche incontro riservato o complicità fra alte cariche istituzionali.
La pistola fumante è sotto gli occhi di tutti: sono i rapporti di potere locali, ossificati e debilitati dai conflitti d’interesse resi endemici dal tempo, che congelano per decenni il governo di gran parte delle banche finite in dissesto e di molte altre.
Quando per esempio nel luglio del 2015 lascia travolto dal naufragio dell’azienda e dai suoi stessi abusi, Vincenzo Consoli guida Veneto Banca da 17 anni.
Quando tre mesi dopo si dimette dalla presidenza della Popolare di Vicenza, affondato dal dissesto e dalle inchieste, Gianni Zonin ha 77 anni e gli manca poco per completare vent’anni di potere nell’istituto.
A Carige Giovanni Berneschi ha regnato per un quarto di secolo – direttore generale, poi amministratore delegato – prima di lasciare a 76 anni una banca in ginocchio e subire a una condanna per associazione a delinquere.
I banchieri-matusalemme d’Italia ovviamente non finiscono qui.
Sembra quasi un principiante Massimo Bianconi, che guida Banca Marche (verso il crac) per appena undici anni e mezzo.
Lo sembra a confronto di Denis Verdini, per vent’anni presidente del Credito cooperativo fiorentino e di recente condannato in primo grado a 9 anni per bancarotta.
E a sua volta il senatore del gruppo Ala viene battuto dal cardiologo Leopoldo Costa, per 25 anni uomo forte della Banca padovana di Campodarsego salvata in extremis ad opera della Bcc di Roma (il cui presidente, l’ottantenne Francesco Liberati, è ai vertici da quando trent’anni fa diventò direttore generale).
Quasi banale in questo quadro è poi il curriculum del dentista Amedeo Piva, che nel 2014 si dimette dalla Banca del Veneziano in dissesto dopo vent’anni al timone.
Non tutti i poteri interminabili finiscono in rovina, anche se spesso coincidono con situazioni delicate.
Al Credito Valtellinese, che ha in corso un maxi-aumento di capitale essenziale alla sopravvivenza, il 79enne Giovanni De Censi è ai vertici da 36 anni: direttore generale, amministratore delegato, quindi presidente e dal 2016 presidente onorario.
Alla Popolare di Sondrio, più robusta, Piero Melazzini ha operato ai vertici per 45 anni prima di lasciare a 84 anni, pochi mesi prima di morire.
E Enrico Fabbri ha presieduto la Popolare di Lajatico (Pisa) dal primo choc petrolifero fino a dopo la crisi dell’euro.
Spiccano poi i fenomeni dinastici del Sud. La Banca Popolare Pugliese nelle varie incarnazioni viene guidata per 80 anni da un Primiceri, il padre Giorgio o il figlio Vito.
La Popolare di Bari dopo 57 anni è alla terza generazione di leadership della famiglia Jacobini. Interessante anche il caso di Banca Popolare Etica: il fondatore di 19 anni fa è l’attuale presidente Ugo Biggeri, un ingegnere ambientale che da allora ha quasi sempre ricoperto cariche di vertice nel gruppo e oggi (in potenziale conflitto d’interessi) guida anche la società di gestione del risparmio a esso collegata.
In tutto fa quasi mezzo millennio di potere, e la lista potrebbe continuare. Alcune di queste aziende si trovano in un passabile stato di salute, ma nel complesso il nesso fra la lunghezza dei mandati al vertice e i dissesti bancari sembra evidente.
Il passare del tempo radica reti di clientele locali, scambi di favori fra politici, notabili e manager e credito concesso a progetti improbabili.
Spesso – non sempre – ciò avviene in istituti popolari o di credito cooperativo, dove una testa vale sempre un voto e la tendenza dei presidenti a concedere prestiti facili ai propri (ri)elettori in assemblea porta poi ai default bancari.
Così in Italia la ricchezza si è trasferita dai risparmiatori a certi debitori insolventi. Non a caso uno studio recente di Fabiano Schivardi, Enrico Sette e Guido Tabellini rivela ciò che era legittimo sospettare: nel Paese durante la crisi le imprese-zombie, quelle improduttive, hanno ricevuto relativamente più credito di quelle sane.
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 18th, 2017 Riccardo Fucile
CHI HA ORECCHIE PER INTENDERE, INTENDA … QUANDO IL GIOCO SI FA DURO, L’EX MINISTRA NON SI TIRA INDIETRO
Nell’intervista rilasciata oggi a Barbara Jerkov sul Messaggero, Maria Elena Boschi pronuncia una serie di frasi piuttosto sibilline riguardo sms che avrebbe ricevuto non solo da Vegas, come si era detto, ma anche da altri esponenti del mondo del credito e del giornalismo.
Nel colloquio con il Messaggero, MEB fa anche sapere di essere pronta a venire a testimoniare in Commissione Banche dopo l’uscita di Giuseppe Vegas che l’ha riportata al centro dei riflettori e la notizia di un suo colloquio con il vicedirettore generale di Bankitalia Fabio Panetta, che lei conferma durante il colloquio:
Vegas ha parlato di un suo interessamento diretto per Etruria.
«I ricordi di Vegas mi sono sembrati stranamente selettivi. Chi ha seguito la sua audizione potrebbe stupirsi davanti a certi “Non ricordo” anche su episodi molto recenti. Ma è stupefacente che l’azione del capo della Consob di questi sette anni faccia notizia per il pranzo che mi ha offerto al ristorante a Milano e non per tutto il resto. Sette anni alla Consob e quali anni: di tutto pare restare soltanto qualche incontro con la Boschi. Chissà perchè…».
Lei ha detto di avere degli sms in cui Vegas le proponeva di incontrarsi in orari e luoghi, come dire, poco istituzionali. Come mai li ha conservati tutto questo tempo? E cosa pensò, all’epoca di questo tipo di invito?
«Non cancello spesso gli sms. Ne ho quindi molti in memoria, anche con altri esponenti del mondo del credito e del giornalismo. Non solo quelli con Vegas. Dal momento che mi sembrò insolita la richiesta di vederci a casa sua alle 8 del mattino, chiesi che l’incontro si svolgesse al ministero o in Consob. Non sta a me dire perchè Vegas lo propose, certo io non accettai. Quanto alla serietà istituzionale di Vegas ricordo che già indicato come capo dell’Autorità di vigilanza partecipò al voto di fiducia al governo Berlusconi. E non aggiungo altro».
Insomma, quando il gioco si fa duro l’archivio sms entra in gioco.
Chi ha orecchie per intendere, intenda.
(da “NextQuotidiano“)
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Dicembre 18th, 2017 Riccardo Fucile
PROVE DI LARGHE INTESE PD-FORZA ITALIA
Il nuovo tetto all’affollamento pubblicitario della Rai doveva essere il regalo di
Renzi a Mediaset (e Berlusconi) all’indomani del Referendum costituzionale dello scorso anno.
La sconfitta delle urne e le dimissioni di Renzi hanno cambiato lo scenario e fermato l’intraprendenza del Pd.
Un anno dopo, però, il piano è tornato di prepotente attualità : con il voto a marzo e i sondaggi che mostrano il Pd in caduta libera, l’obiettivo dei Dem è rinsaldare l’asse con Berlusconi per restare al governo.
A tirare le fila della partita è l’attivissima Gina Nieri, la lobbista di Mediaset che grazie al silenzio assenso del premier Paolo Gentiloni ha messo a punto una manovra a tenaglia capace di portare nelle casse di Cologno tra i 30 e i 70 milioni di ulteriori incassi pubblicitari a costo zero.
Per evitare di creare problemi al presidente del Consiglio — che è un esperto del settore radiotelevisivo -, la partita si è spostata sul doppio binario della Commissione vigilanza Rai e dell’Agcom, l’authority delle comunicazioni. E dopo mesi di trattative è arrivata la settimana decisiva.
La vigilanza Rai, arrivata alle battute conclusive per il rinnovo del contratto di servizio di Viale Mazzini, si troverà a discutere su uno dei tanti emendamenti presentati del senatore Gasparri, ma il più importante è quello che da un lato impone alla Rai di non vendere spot “a prezzi inferiori a quelli del mercato” (per non danneggiare Mediaset) e dall’altro chiede “l’applicazione su ogni singola rete, e non cumulativamente per le tre reti generaliste, del limite del 4 per cento di affollamento pubblicitario settimanale di cui all’articolo 38, comma 1, del TUSMAR”.
Oggi la Rai ha per legge un doppio limite all’affollamento pubblicitario: uno orario fissato al 12% e un altro settimanale al 4% per il quale però si considerano Rai1, Rai2 e Rai3 nel loro insieme. In sostanza si possono trasmettere fino a 432 secondi di pubblicità all’ora, ma la media settimanale delle tre reti non può superare i 144 secondi l’ora.
Con l’emendamento Gasparri, invece, ogni canale avrebbe il proprio tetto da rispettare e di conseguenza Viale Mazzini dovrebbe svuotare di spot Rai1 (oggi intorno al 6%), ricaricando Rai3 (che è vicina 3% di affollamento, ma ha tariffe più basse per gli inserzionisti).
Un travaso che sarebbe in buona parte a beneficio della rete ammiraglia di Mediaset, Canale5: non trovando spazio su Rai1 gli investitori migrerebbero verso il canale della tv commerciale con il target più simile.
Una mossa del genere toglierebbe alla Rai fino a 120 milioni di euro di pubblicità che verrebbero trasferiti in larga parte a Mediaset.
Soprattutto se l’esecutivo sfruttasse a proprio uso e consumo la nuova direttiva sui media in arrivo da Bruxelles che per far fronte allo strapotere di Facebook e Google ha intenzione di togliere il tetto all’affollamento pubblicitario per le televisioni. E anche in questo caso a beneficiarne sarebbe Mediaset che potrebbe allocare più spot sul prime time, sforando l’attuale tetto del 18% orario, e meno negli orari a minor ascolto che valgono di meno.
Michele Anzaldi, deputato Pd in Vigilanza Rai, è convinto che l’emendamento non passerà “perchè abbiamo un parere legale secondo cui il contratto di servizio non può modificare una norma primaria. Il vero regalo a Mediaset, però, è stato fatto con la programmazione dei palinsesti: il mercato ha già deciso dove investire e infatti la Rai neppure arriva a raccogliere quanto permesso dalla legge”.
Per evitare che qualche intoppo impedisca a Mediaset di passare un Natale migliore — anche in vista dell’accordo con i francesi di Vivendi -, martedì si pronuncerà sull’affollamento pubblicitario della Rai anche l’Agcom discutendo un ordine del giorno presentato dal commissario Antonio Martusciello, ex dipendente di Publitalia approdato in Parlamento tra le fila di Forza Italia. La proposta di Martusciello è la stessa di Gasparri: calcolare il tetto di affollamento settimanale sulle singole reti Rai anzichè sull’insieme delle tre generaliste.
Se l’ordine del giorno venisse approvato, sarebbe efficace da subito, senza bisogno di ulteriori passaggi parlamentari. L’authority per le comunicazione ha infatti il compito di vigilare sul rispetto dei tetti pubblicitari: la legge Gasparri che ha definito il 4% della Rai non specifica se il limite sia da intendersi per singola rete o meno e così l’Agcom si è autoregolata. E adesso è libera di cambiare idea.
Spostando decine di milioni di euro dalla Rai a Mediaset.
(da “Business Insider”)
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Dicembre 18th, 2017 Riccardo Fucile
LA PINOTTI HA OFFERTO UN VOLO DI STATO PER RIPORTARE INDIETRO LA SALMA
Un aereo dell’Aeronautica militare ha trasportato a Cuneo le spoglie di Vittorio Emanuele III. L’aereo, partito dal Cairo, è giunto all’aeroporto di Cuneo dopo aver fatto una sosta intermedia in Italia.
Ovvero, un volo di Stato è stato utilizzato per riportare in Italia la salma di colui che firmò la vergogna dell leggi razziali, portò il Paese al disastro della guerra al fianco dei nazisti e abbandonò vigliaccamente i suoi soldati fuggendo.
Una scelta incomprensibile da parte del governo italiano e della ministra della Difesa Roberta Pinotti, che ha avuto l’ideona di far pagare così il trasporto di una salma a tutti gli italiani nonostante la storia la sconsigliasse fortemente.
Carla Di Veroli, nipote di Sonia Spizzichino (unica donna tornata dalla retata del Ghetto di Roma) e di Angelo Di Veroli (partigiano), ha chiesto spiegazioni sulla pagina della ministra Pinotti, che sulla sua pagina Facebook tace riguardo la questione nonostante i molti interrogativi che suscita la spesa di soldi pubblici per un fatto che dovrebbe essere invece privato e che riguarda persone che di sicuro hanno la disponibilità economica per effettuarlo.
Con le leggi razziali che il Re firmò agli ebrei venne proibito di prestare servizio militare, esercitare l’ufficio di tutore, essere proprietari di aziende, essere proprietari di terreni e di fabbricati, avere domestici “ariani”, di fare matrimoni misti.
Gli ebrei vennero anche licenziati dalle amministrazioni militari e civili, dagli enti provinciali e comunali, dagli enti parastatali, dalle banche, dalle assicurazioni e dall’insegnamento nelle scuole di qualunque ordine e grado.
Infine, i ragazzi ebrei non potevano più essere accolti nelle scuole statali.
La ministra Pinotti dovrebbe far sapere agli italiani se tutto questo è stato per caso dimenticato e chi lo ha deciso.
Altrimenti si potrebbe porre lo stesso interrogativo alla Corte dei Conti.
Sperando che da quelle parti alberghi ancora la memoria che al ministero scarseggia. Anche se il ministero della Difesa fa sapere che tutto ciò che ha riguardato esumazione, trasferimento e inumazione delle salme in Francia, in Egitto e in Italia è stato a carico dei Savoia.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 18th, 2017 Riccardo Fucile
A BOLOGNA VERSO LO STADIO INNEGGIANEDO AL DUCE: AI SUOI TEMPI SAREBBERO FINITI A SPACCARE LE PIETRE PER DIECI ANNI
Una marcia fascista su via Porrettana: due minuti di “me ne frego della galera,
camicia nera trionferà “, con braccio teso e sfilata a ranghi compatti di cinquanta ultrà bianconeri, ben consapevoli di formare un corteo organizzato, forse non del fatto che a due passi da loro la curva ospiti è dedicata ad Arpad Weisz, l’allenatore ebreo ungherese ucciso ad Auschwitz nel 1944.
La scena, sotto gli occhi delle forze dell’ordine che stavano scortando i pullman di altri tifosi della Juventus, s’è consumata un’ora prima del fischio d’inizio della sfida tra il Bologna e i bianconeri.
Impossibile stabilire l’appartenenza a un gruppo preciso di questi nostalgici: vestiti di nero, ma senza vessilli riconoscibili, salvo qualche bandiera italiana, hanno intonato i loro canti a braccio teso, occupando tutta la carreggiata di via Porrettana, che prima di tutte le partite viene chiusa al traffico e si trasforma in uno dei punti più presidiati della città .
Non abbastanza, però, per impedire a cinquanta ultrà di inneggiare alla camicia nera, in ranghi disciplinati, proprio come una marcia.
(da agenzie)
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Dicembre 18th, 2017 Riccardo Fucile
IN TEXAS L’INSEGNANTE AVEVA CHIESTO AI SUOI ALUNNI COSA VORREBBERO DA BABBO NATALE… IL MESSAGGIO POSTATO SUI SOCIAL SCATENA UNA GARA DI SOLIDARIETA’
«Per Natale vorrei qualcosa da mangiare e una coperta». Tutto si aspettava, la maestra di una scuola elementare di Edinburg, Texas, tranne di trovare scritto questo quando ha chiesto ai suoi alunni di mettere nero su bianco quello che desideravano da Babbo Natale.
E invece è successo proprio questo, Ruth Espiricueta ha postato sui social la foto della letterina scritta da una bimba di sette anni, di prima elementare. «Vorrei una palla, non una bambola, così io e mio fratello possiamo giocare insieme – ha spiegato la piccola all’insegnante, che ha letto il bigliettino – E un uovo, da mangiare, e una coperta». «Avevo il cuore a pezzi – spiega l’insegnante – nessuno dovrebbe avere fame o freddo nelle sere d’inverno. E non mi aspettavo che questa bambina sempre sorridente stesse passando un momento così difficile».
La letterina ha convinto la maestra e la scuola, la Monte Cristo Elementary School, a dare il via a una raccolta benefica: in Rete tantissimi si sono offerti di aiutare la piccola e tutti gli altri bambini in difficoltà .
Sono state raccolte 724 coperte, una per ogni studente.
«La bimba – ha spiegato l’insegnante – è felice che anche i suoi compagni abbiano ricevuto una coperta per stare al caldo».
In Texas, secondo i dati del 2016, un bambino su cinque, il 22,4%, vive in condizioni di povertà .
(da “Il Corriere della Sera”)
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Dicembre 18th, 2017 Riccardo Fucile
L’IMPORTANTE E’ CHE L’ITALIA CONTINUI A FINANZIARE QUESTE BANDE DI ASSASSINI PERCHE’ I NOSTRI “BENPENSANTI” NON SIANO TURBATI DALLA VISIONE DELLA POVERTA’
Un assassinio politico molto pesante, un atto di violenza grave, che getta una luce
pessima su questa fase della vita politica in Libia.
Il sindaco di Misurata, Mohammed Eshtewi, un uomo mite e moderato, è stato rapito e ucciso domenica mentre rientrava in città dall’aeroporto dopo essere stato in Turchia con una delegazione della sua città . Eshtewi viaggiava in auto con il fratello, che è stato colpito alla testa da colpi di pistola e adesso è ricoverato nell’unita di terapia intensiva dell’ospedale della città .
*Il sindaco è stato fatto uscire dall’auto e portato via dai rapitori, che poco più tardi hanno scaricato il suo corpo di fronte all’ospedale di Safwa con tre proiettili alla schiena e uno alla testa.
Altre fonti parlano di sette ferite da proiettili sul corpo, diversi anche alle gambe, come ha riferito il portavoce dell’ospedale di Misurata, Akram Glewan. La sostanza non cambia: il sindaco è stato massacrato e abbandonato in strada, un messaggio politico micidiale ai leader poltiici.
Proprio a Misurata l’Italia ha schierato nel 2016 l ‘ospedale militare da campo che ha dato sostegno alle operazioni militari messe in piedi per sconfiggere l’Isis a Sirte; l’ospedale è ancora in funzione nonostante l’offensiva anti-terroristica a Sirte sia conclusa, e la presenza dei militari italiani è chiaramente un segnale del nostro sostegno politico alla città .
Il sindaco può essere considerato “filo-italiano” ma semplicemente perchè era un sostenitore del dialogo politico in Libia, lo stesso obiettivo che da anni persegue il governo di Roma nel tentativo di creare istituzioni libiche che siano in grado di tenere sotto contro le correnti islamiste più violente.
Eshtewi era un leader molto popolare a Misurata, città nota per una notevole forza politica e militare, ma anche per il fatto di racchiudere al suo interno fazioni politiche anche molto distanti una dall’altra.
Per esempio, a Misurata sono presenti gruppi politici e militari islamisti anche particolarmente estremisti, gruppi che secondo molti potrebbero essere dietro l’assassinio di un sindaco che era invece uno dei capifila dei moderati della città e di tutta la Tripolitania.
Il giornale on-line Libya Herald scrive che i primi ad essere sospettati dell’assassinio sono proprio gli islamisti vicini a Ibrahim Ben Rajeb, il capo del Consiglio militare di Misurata, che più volte aveva provato a scalzare Eshtewi dal suo posto.
Le accuse politiche che gli islamisti facevano al sindaco erano quelle di aver garantito il sostegno della città al Governo di accordo nazionale e al Consiglio di Presidenza di Tripoli, e soprattutto di aver sempre cercato un dialogo con le forze dell’est, della Cirenaica, guidate dal generale Khalifa Haftar.
C’è però chi punta il dito altrove. “Hanno cercato di rimuoverlo per mesi, ma ucciderlo non è il loro stile”, ha detto all’Herald una fonte locale, puntando l’indice su nostalgici del colonnello Gheddafi o del generale Haftar. “E non escluderei – ha aggiunto – l’Isis. Tutti e tre trarranno beneficio dalla morte di Eshtewi”.
Una fonte diplomatica europea fa notare che il sindaco è stato ucciso il 17 Dicembre, data che il generale Haftar da settimane indicava come il giorno in cui sarebbero scaduti gli accordi politici di Shkirat, giorno in cui il presidente Serraj non avrebbe avuto più nessuna legittimità .
«Nella strategia della tensione che è andata crescendo in questi giorni questo omicidio politico è utile proprio a questo, ad accrescere ancora il livello della tensione, a far saltare il possibile dialogo politico”, dicono a Repubblica fonti europee.
Nelle ultime settimane i media vicini al genere Haftar avevano suonato la grancassa prospettando una sollevazione popolare dal 17 dicembre in poi contro il governo di Fajez Serraj. Domenica il generale è andato in televisione per rafforzare questo messaggio, per dire di essere pronto ad “assumersi la responsabilità ” di seguire le indicazioni del popolo contro il governo “illegale” di Serraj, una ulteriore sfida al governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
“RIMPIANGO I PANNELLA E I BERLINGUER, LORO NON ERANO OMETTI FIERI DELLA LORO IGNORANZA”
“Come si fa a scegliere fra Renzi, Di Maio e Berlusconi?”. Esordisce così Barbara Alberti, quando le chiedo dei leader italiani di oggi.
“È come se mi domandassi se preferisci spararti o buttarti dalla finestra. Se preferisci la Volpe o il Gatto” continua, con una voce netta, che tradisce un lontano accento umbro. “Io non scelgo nessuno. Io voglio vivere. Voglio Pannella, voglio Berlinguer, non degli ometti dannosi, fieri della loro ignoranza e votati al particulare”.
Inizia così — senza mezze misure e compromessi – l’intervista con una donna che nel corso della sua vita è stata, ed è tuttora, scrittrice, sceneggiatrice, drammaturga, giornalista, conduttrice radiotelevisiva e opinionista.
Magrissima, con degli occhi che sono spilli, Alberti ha un viso sottile e dei grandi orecchini dalle pietre violette. Quando la incontro, le sorrido: “Ha dei capelli bellissimi” mormoro, riferendomi alla treccia grigia che pare una corona e le incornicia il volto. Lei mi fulmina con lo sguardo: “Sono finti”.
Dunque i politici di oggi sono tutti bocciati.
Se mi citassi qualche galantuomo che ha una visione allora potrei rispondere. In quelli che hanno in mano la cosa pubblica mi stupisce la pochezza delle loro ambizioni, immaginare solo il proprio tornaconto, quando il gioco potrebbe essere così emozionante, guidare le sorti dell’Italia, potenziarne le possibilità , che avventura sarebbe, invece di quelle vitucce miserabili e corrotte. Dovranno morire anche loro, e l’unico modo perchè dispiaccia meno è aver fatto qualcosa di bello.
Andiamo in ordine: Berlusconi?
Berlusconi ha governato l’Italia con tristi risultati anche culturali, legittimando e scatenando il peggio degli italiani, volgarità e furberia.
I Cinque Stelle?
Ci avevo sperato, e tanti con me. Si ha nostalgia della purezza. Vivo a Roma, ho votato Raggi. Che non fosse un’aquila si capiva, ma pensavo avesse intorno una schiera di ragazzi pieni di slancio che la aiutassero, li confondevo con i radicali dei tempi eroici, inutile dirti come la città sia sprofondata.
Com’è Roma oggi?
La popolazione è esasperata, aggressiva, più incivile che mai. Come nell’esperimento di Laborit, i topi si azzannano fra loro. Cominciamo a somigliare a chi ci governa.
Come sta messa la sinistra italiana?
Come siamo messi noi, con una sinistra che usurpa il nome. Le battaglie della sinistra erano a favore degli oppressi. Questa sinistra è a favore degli oppressori.
“La cosa ripugnante è che lui dica di essere di sinistra. Almeno Berlusconi non vuole essere di sinistra, è un vecchio pescecane e sappiamo chi è. Ma l’idea che Renzi pretenda di essere di sinistra è qualcosa di disgustoso. Io sogno che Gramsci esca da qualche foto e gli dia delle bastonate”. Parole sue rispetto a Renzi.
Parole che confermo.
Se i politici sono tutti bocciati, chi le viene in mente fuori dalla politica?
Travaglio, Enzo Bianchi, Luisa Muraro.
Lei è stata iscritta al partito radicale. Si iscriverebbe adesso?
Subito. È l’unico che potrei votare senza vergogna.
Lei non è andata dal medico per quarant’anni. E poi quando è andata a farsi visitare ha scoperto di essere malata. Perchè non ha fatto la chemioterapia?
Mi curo dal dott. Giovanni Barco, a Pisa, e i risultati sono sorprendenti. La sua cura è basata sull’ossigeno poliatomico. Lui è uno scienziato conosciuto nel mondo. Il governo cinese ha creato 200 centri di cura col suo metodo e i suoi macchinari.
A chi dice che l’omeopatia è inutile cosa risponde?
Niente. Non devo convertire nessuno. A me l’omeopatia ha sempre risolto molti problemi. Ma in questa disputa teologica fra diverse medicine sono politeista, ho anche medici allopatici. Ma il dott. Barco non è un omeopata, nasce biochimico, ed è un rivoluzionario medico tradizionale.
Il caso Weinstein, o Kevin Spacey, hanno mostrato storie di abusi. Ma anche qualcosa di altrettanto inquietante: l’ipocrisia. Tutti sapevano, tutti fingevano di non sapere. Lei conosce il mondo dello spettacolo da svariate decine di anni. Cosa ammanta adesso l’ipocrisia nel nostro Paese?
L’ipocrisia più brutta è quella degli indignati. Scandalizzati delle molestie, come se la donna fosse universalmente rispettata. Le molestie sono una delle tante facce della sudditanza femminile
Ovvero?
Se viene un marziano, davanti a questa dichiarazione collettiva di sdegno, dice: “accidenti come le rispettano le donne qui, guai a chi le tocca!”. Poi scopre che ne ammazzano una ogni due giorni nell’indifferenza generale, e che le pene per gli assassini sono a volte minori di quando vigeva il delitto d’onore. Scopre che le donne sono pagate meno, ma che reggono l’economia di un paese coprendo mille ruoli.
Il caso Brizzi ha rilanciato la gogna mediatica. Tornano in mente le parole di Larry Gelbart: “La televisione è un’arma di distrazione di massa”.
I pubblici processi sono già sentenze. Un’arma terribile. Lo spettacolo soppianta la legalità .
Ha definito le pene per chi stupra ridicole. Quale sarebbe secondo lei una pena equa per chi commette un femminicidio?
Bisognerebbe riconoscere lo stato di emergenza. È il tipo di delitto più frequente. Se fossimo noi ad ammazzare duecento maschi all’anno, fioccherebbero gli ergastoli. Uccidere è un atto titanico, un esorcismo dell’assassino verso la propria morte. È l’atto primario di chi rinnega il patto sociale. Il delitto è un atto estremo, e va onorato con una pena adeguata. Ho orrore della pena di morte quanto dell’indulgenza verso l’assassino. C’è dietro lo stesso disprezzo verso la vita umana, la stessa sorda immoralità .
La donna è ancora oggi il sesso debole?
No, la donna è un sesso fortissimo e oppresso. Ma più che mai capace di essere pienamente, di avere pietà , e la facoltà del sogno. Le donne ridono. È una ricchezza incalcolabile.
Che cosa è essere femministe oggi?
Essere femministe vuol dire essere tante altre cose. Vuol dire avere il senso della giustizia, e quello non puoi averlo solo verso le donne. E poi non ci possono rispettare solo se ci toccano il culo. C’è dell’altro.
(da “Huffingtonpost”)
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