Febbraio 26th, 2018 Riccardo Fucile
IL 69% DELLE FRASI RAZZISTE PRONUNCIATE DA ESPONENTI DEL PARTITO DI SALVINI
Sono soprattutto i migranti — ma non solo loro — nel mirino di certi partiti che sui migranti e sull’odio stanno costruendo un’intera campagna elettorale. Una campagna spesso basate su dati e notizie false usate però per cavalcare la rabbia di certe persone e trovare un capro espiatorio per ciò che non va bene.
Su questa campagna elettorale ha acceso i riflettori Amnesty International Italia che ha lanciato Conta fino a 10, un’iniziativa di sensibilizzazione per contrastare i discorsi violenti, aggressivi e discriminatori che prevalgono nel confronto politico in questo periodo.
“C’è chi l’odio, anzichè contrastarlo, lo semina, favorendolo e persino giustificandolo — ha dichiarato il presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi-
L’associazione per i diritti umani ha creato un osservatorio che monitorerà ogni giorno fino al 2 marzo l’odio in rete diffuso dai partiti politici, raccogliendo l’uso di stereotipi, dichiarazioni offensive, razziste, discriminatorie e di incitamento alla violenza nei confronti di migranti e rifugiati, ma anche di persone lgbti, donne, minoranze religiose, rom.
A controllare sarà una task force specializzata, la rete di attivisti, coordinamenti e volontari di Amnesty International Italia che rileveranno eventuali dichiarazioni discriminatorie e di odio — divise tra offensive, gravi e molto gravi — pubblicate sui social di un campione rappresentativo di candidati alle politiche.
Le dichiarazioni raccolte verranno rese pubbliche solo alla fine del monitoraggio, quando verrà presentato il rapporto finale.
I primi risultati del monitoraggio
Non è una sorpresa, ma la Lega è il partito che diffonde più spesso di tutti messaggi violenti o discriminatori. E probabilmente il partito di Matteo Salvini resterà in testa alla fine di questo monitoraggio.
Dall’8 febbraio, quando è partito il monitoraggio dell’associazione per i diritti umani, sono state individuate già 89 frasi razziste e xenofobe.
La Lega è il partito che le ha usate di più, per il 69% delle volte. Seguono Forza Italia, Fratelli d’Italia e il Movimento 5 stelle.
Dieci, invece, sono le dichiarazioni islamofobe — da offensive a molto gravi — tutte riconducibili alla Lega (90%) e a Forza Italia (10%).
Tra le dichiarazioni discriminatorie ce ne è una anche contro le donne pronunciata da Forza Italia.
(da agenzie)
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Febbraio 26th, 2018 Riccardo Fucile
DAL MAI IN TV A SEMPRE IN ONDA… DOPO AVER ROTTO PER MESI SUL PD E RENZI, ORA AL SUD RICORDA QUANDO SALVINI INSULTAVA I TERRONI
Il leader del Movimento 5 stelle si chiuderà letteralmente in studio, evitando il gelo che sta
flagellando l’Italia. Da martedì a venerdì sono ben sedici gli appuntamenti previsti. Quattordici in televisione più due in radio. Ma non è escluso che ne spuntino altri last minute.
Si parte con Di Martedì, su La7. Un crocevia che sarà importante, a quanto si apprende da ambienti vicini al candidato premier. Si prosegue mercoledì: Matrix, Tagadà , tre interviste ai telegiornali più due appuntamenti radiofonici. E così via: cinque volte sul piccolo schermo giovedì, tre venerdì, prima del gran finale previsto per il tardo pomeriggio a piazza del Popolo a Roma.
Una vera full immersion, pianificata con largo anticipo. Da tempo l’agenda pubblica di Di Maio segnava tre caselle vuote per il 27 e 28 febbraio e per il primo marzo. Fatto salvo per l’evento di presentazione della squadra dei ministri, fissato in agenda per giovedì alle 15 nel quartiere Eur di Roma, tale è rimasta.
Gli spazi sono stati riempiti interamente da una massiccia presenza sul piccolo schermo. Una strategia mirata. Dopo un mese in giro per l’Italia, l’obiettivo è quello di affidarsi — ironia della sorte per un Movimento che ha fatto del web il proprio totem — al più tradizionale dei mezzi di comunicazione di massa per cercare di sfondare tra gli indecisi.
Negli ultimi dieci giorni d’altronde, il mood è completamente girato.
Il Partito Democratico è completamente sparito dai radar. “Matteo Renzi è fuorigioco”, è la convinzione del leader. Un’affermazione che contiene un po’ di convinzione e un po’ di opportunità . Perchè un Pd uscito con le ossa rotte dalle urne, e con un segretario fortemente indebolito, al momento è il partner più potabile per un “governo di convergenza” — come lo ha definito Di Maio — con i 5 stelle.
Molto più del centrodestra. Il candidato premier ha ribadito più volte di non fidarsi dei vari Berlusconi, Meloni e Salvini. E a quest’ultimo ha riservato gli attacchi più duri. L’ultimo ieri: “Io sono di Napoli, non mi scordo i cori ‘Vesuvio lavali con il fuoco’”.
C’è una questione di opportunità politica.
A meno di clamorosi stravolgimenti, un asse populista M5s-Lega sarebbe lontanissimo dai numeri necessari per governare.
E l’attenzione dimostrata in questi giorni nei confronti del Quirinale (che non sembra lanciare segnali di apprezzamento nei confronti di quella soluzione) testimonia che, se pur c’è stata, la tentazione di provare a mettere quel tipo di governo al momento è stata scartata.
E poi c’è una questione di tenuta interna. Perchè con Forza Italia probabilmente i seggi per formare una maggioranza basterebbero. Ma un’intesa con il tanto vituperato ex Cavaliere non sarebbe retta dalla base e dal gruppo parlamentare.
Così Di Maio ha eletto il centrodestra a principale avversario: “È un ballottaggio fra noi e loro”. E contemporaneamente la “strategia della disattenzione” è ritenuta il miglior modo per impedire al Pd di dettare l’agenda politica e farlo scivolare il più indietro possibile nella foliazione dei giornali.
La narrazione su cui punta il Movimento 5 stelle per mobilitare gli indecisi degli ultimi giorni è, se vogliamo, quello che è stato appannaggio della sinistra per due decadi: siamo noi l’unico argine al ritorno del Caimano.
Una vera e propria mobilitazione sulle parole d’ordine del “voto utile”, per radicalizzare lo scontro e fare appello a pance e teste di chi ancora non ha scelto per chi votare.
E il terreno di battaglia è quello su cui si sta cimentando anche Berlusconi. Una battaglia campale senza esclusione di colpi, nella quale, per tre giorni, i leader si rincorreranno senza soluzione di continuità di canale in canale.
Fino al 2 pomeriggio. Quando Di Maio si riunirà a Beppe Grillo e Alessandro Di Battista per il gran finale. Da tenere d’occhio il palco, perchè al momento non è esclusa qualche sorpresa. E il candidato premier potrebbe riservarsi per quel giorno un’ultima carta, fino a quel momento tenuta coperta, per un ultimo colpo di reni.
Ma a quel momento il più sarà fatto. E le ultime, forse decisive, oscillazioni, passeranno per l’all-in finale degli ultimi giorni sul tubo catodico. Per dimostrare che sono cambiati i tempi. Quelli del divieto di andare in tv.
Quelli nei quali, parafrasando una vecchia canzone, “il video uccideva le star del web”
.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 26th, 2018 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA E M5S SI GIOCANO IL FUTURO CONTENDENDOSI POCHI COLLEGI
La battaglia finale tra centrodestra e M5S si gioca in Campania.
In 10 collegi alla Camera e 5 al Senato si sta svolgendo una battaglia che per un pugno di voti potrebbe consentire a Berlusconi, Salvini, Meloni e ai centristi di Noi con l’Italia di avere una maggioranza parlamentare autosufficiente.
Un centinaio di voti in più ai 5 Stelle in ognuno di questi collegi darebbe invece a quello di Di Maio la palma di primo partito: la base di partenza per ricevere da parte del Capo dello Stato l’incarico di formare un nuovo governo.
Il paradosso dei paradossi è che Di Maio deve sperare che il Pd in questa regione crolli per beneficiare del travaso di consensi, mentre il centrodestra sta pregando San Gennaro affinchè i Democratici tengano attorno al 22-25%.
«La Campania è l’Ohio d’Italia – spiega l’onorevole Paolo Russo, grande conoscitore del territorio – ma il rischio è che il Pd in liquefazione scenda sotto il 20% e porti i grillini a oltre il 35%.
“Qui – aggiunge Russo – due su tre ex elettori dei Democratici oggi votano 5 Stelle. Il punto è che al Nord noi abbiamo un alleato, la Lega, molto forte. Al Sud invece la massa d’urto elettorale è soprattutto Forza Italia. Così i grillini spadroneggiano in Puglia, in Abruzzo, in Calabria, in Sicilia. In Campania noi teniamo botta. Solo adesso molti nostri portatori di voti, professionisti, amministratori e militanti si sono svegliati. Finora la campagna elettorale non era stata percepita».
E infatti gli azzurri e gli alleati, in queste ultimissime giornate, stanno cercando di recuperare terreno, con un certo affanno.
I sondaggi più recenti, che non si possono pubblicare, raccontano che i grillini sarebbero a un passo dall’aggiudicarsi quei collegi di frontiera in bilico. Sono in vantaggio a Napoli, città che elegge 4 deputati e 2 senatori, proprio dove il Pd crolla. Non sfondano invece a Salerno dove il governatore De Luca tiene in piedi l’ultima diga di contenimento dell’«onda anomala» grillina.
Ma già appena sposti lo zoom nell’entroterra di Salerno, nell’agro nocerino-sarnese, il centrodestra deve vedersela con i candidati di Di Maio che registrano un vantaggio di 2-3 punti.
Nel Nolano, alle porte di Napoli, la coalizione guidata da Forza Italia allunga il vantaggio, così come nella zona di Caserta e Benevento.
Si tratta di vantaggi concentrati soprattutto nelle province, nei piccoli comuni. Ma nessuno nel partito di Berlusconi dorme sonni tranquilli.
E fanno il tifo per il Pd e la tenuta dei candidati Dem per coprirsi il fianco dalle slavine che andrebbero ad alimentare il fiume M5S.
Dice Mara Carfagna: «In molti collegi veramente ce la giochiamo sul filo dei cento voti. Il Pd poi si è dissolto e ha fatto scelte incredibili.
Forza Italia e gli alleati, che non portano grossi numeri, di fatto inseguono in questa regione che, come l’Ohio negli Stati Uniti, può far pendere il risultato nazionale da una parte o dall’altra.
Guarda caso dalla Campania possono arrivare quei dieci deputati e cinque senatori in più che in questo momento mancano al centrodestra per non avere la necessità di fare campagna acquisti in Parlamento.
Di Maio è convinto di sbarrare ai principali avversari l’ultimo miglio, ma Berlusconi sta facendo di tutto per non farsi fregare. Non è andato a Napoli in questi giorni perchè non ha ritenuto utile parlare in una sala dove sono già tutti convinti. Ai dirigenti di Forza Italia ha spiegato che la sua presenza in tv vale molto di più.
«È come potete vedere – ha spiegato – il mio messaggio è prevalentemente concentrato ad aiutarvi nella battaglia». Promesse di condoni fiscali ed edilizi in effetti hanno molta presa in Campania.
E non solo, per la verità , ma «l’anziano usato e garantito», come si è definito lo stesso Cavaliere, da quelle parti ha ripreso macinare voti.
Gli basteranno?
(da “La Stampa”)
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Febbraio 26th, 2018 Riccardo Fucile
E’ ACCUSATO DI TURBATIVA D’ASTA, FALSO, ABUSO D’UFFICIO E OMISSIONE D’ATTI D’UFFICIO
La Procura di Termini Imerese ha chiesto il rinvio a giudizio del sindaco del M5S di Bagheria
Patrizio Cinque.
Cinque, come previsto, è accusato di turbativa d’asta, falso, abuso d’ufficio, rivelazione di segreto d’ufficio e omissione di atti d’ufficio.
L’udienza preliminare è stata fissata per l’11 aprile. Cinque, dopo la notizia dell’apertura d’inchiesta, si era autosospeso dal Movimento 5 stelle.
A settembre a Cinque venne notificata la misura dell’obbligo di firma che il gip revocò dopo l’interrogatorio di garanzia a cui il sindaco venne sottoposto. Nell’indagine sono state coinvolte altre 21 persone tra imprenditori, funzionari comunali e un dirigente della Regione.
Cinque è accusato di avere concordato illegalmente con l’ex commissario della città metropolitana Manlio Munafò e Salvatore Rappa, legale rappresentante della società sportiva Nuova Aquila Palermo, l’affidamento del Palasport a Comune e società in partnership.
Il sindaco si è difeso sostenendo di aver da sempre puntato alla gestione comunale del palazzetto e di aver per questo presentato la domanda di affidamento col privato fuori termine.
Altri capitoli dell’inchiesta riguardano la gestione irregolare della raccolta dei rifiuti e l’avere rivelato al cognato l’esistenza di un procedimento penale avviato sulla sua casa abusiva.
Procedimento di cui aveva saputo da un vigile urbano, pure indagato. Una strana vicenda nata da una falsa autodenuncia presentata a nome del familiare, ma di cui questi nulla avrebbe saputo.
(da agenzie)
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Febbraio 26th, 2018 Riccardo Fucile
IL GOVERNO: “CI SIAMO SBAGLIATI”, MA VA AVANTI LO STESSO
Dicono che il tempo è galantuomo. Forse è così.
Un esempio è quello che emerge dalla lettura di un recente documento dell’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino — Lione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri: “Non c’è dubbio che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione europea, siano state smentite dai fatti, soprattutto per effetto della grave crisi economica… Lo scenario attuale è, quindi, molto diverso da quello in cui sono state prese a suo tempo le decisioni”.
Scusateci, sembrano dire i tecnici dell’Osservatorio, ma dieci anni fa era impossibile prevedere quanto sarebbe emerso in seguito.
Verrebbe da domandarsi il perchè, allora, fare delle previsioni.
Ma la realtà è molto diversa da quella narrata nel documento. A più riprese, fin dal 2005, ben prima dunque del manifestarsi della recessione economica, sono stati pubblicati numerosi contributi di economisti dei trasporti che mostravano come le previsioni di crescita dei traffici fossero del tutto irrealistiche.
Vediamo alcuni numeri: in base alle previsioni governative, nel 2035 lungo il corridoio di progetto del Tav avrebbero dovuto transitare oltre 43 milioni di tonnellate di merci su strada e 15 su ferrovia; a metà secolo i flussi su strada avrebbero dovuto superare gli 80 milioni di tonnellate.
Tali previsioni erano incoerenti con l’evoluzione storica dei traffici.
La strada aveva conosciuto una rapida crescita fino alla prima metà degli anni ’90 dello scorso secolo per poi declinare, anche in ragione del forte aumento dei pedaggi praticati lungo i trafori del Monte Bianco e del Frèjus, nella decade successiva e ulteriormente in quella immediatamente alle nostre spalle.
Il traffico su ferrovia ha oscillato tra gli 8 e i 10 milioni di tonnellate tra il 1980 e il 2000. Tra il 2003 e il 2011 la galleria è stata ammodernata con forte limitazione della circolazione dei convogli.
Nel periodo successivo alla conclusione dei lavori non si è registrata alcuna ripresa dei flussi che si attestano attualmente intorno ai 3 milioni di tonnellate (lo stesso valore registrato a fine anni ’60).
Seppure in clamoroso ritardo, sono ora gli stessi proponenti del progetto a porsi l’interrogativo. Leggiamo ancora nel documento: “La domanda che i decisori devono farsi è invece un’altra: ‘Al punto in cui siamo arrivati, avendo realizzato ciò che già abbiamo fatto, ha senso continuare come previsto allora? Oppure c’è qualcosa da cambiare? O, addirittura, è meglio interrompere e rimettere tutto com’era prima?’ ”.
Purtroppo, la risposta che viene data all’interrogativo sembra dare ragione a quanto scrisse Henry Kissinger: “Quando un ragguardevole prestigio burocratico è stato investito in una politica è più facile vederla fallire che abbandonare”.
Si riesuma la retorica dell’anello mancante della rete ferroviaria europea, si ripropongono le già più volte confutate motivazioni ambientali a favore del trasferimento modale dalla strada alla ferrovia.
La qualità dell’aria, a Torino, in Valsusa come in tutta Europa è in miglioramento da decenni. Tale tendenza proseguirà in futuro grazie alla progressiva sostituzione dei mezzi più inquinanti: dieci veicoli pesanti a standard Euro VI emettono come uno solo Euro 0.
Gli storici utenti del Frèjus e del Monte Bianco sanno molto bene come la qualità dell’aria nei trafori un paio di decenni fa fosse ben peggiore di oggi.
Si può aggiungere, tra parentesi, che la qualità dell’aria al confine italo-francese dove il 93% delle merci utilizza la strada è migliore rispetto a quella lungo il confine svizzero.
Si riafferma di voler proseguire lungo il percorso intrapreso senza peraltro fornire alcun nuovo elemento quantitativo a sostegno della fattibilità economica del progetto. Per molti decenni non si registrerà infatti alcun vincolo di capacità sulla rete stradale, unico fattore che potrebbe, a determinate condizioni, giustificare l’opera
I tunnel stradali sul versante occidentale delle Alpi sono infatti utilizzati all’incirca per un terzo ed è in fase di realizzazione una seconda “canna” del traforo del Frèjus che allontanerà ulteriormente la prospettiva di saturazione delle infrastrutture esistenti.
Come dimostra l’esperienza svizzera, neppure con il tunnel di base la ferrovia potrebbe diventare competitiva con la strada e dovrà continuare a essere pesantemente sussidiata.
Non solo, come ebbe a dire tempo fa l’ex presidente della Provincia di Torino, Antonio Saitta: “Toccherà al governo mettere in campo politiche di disincentivo economico del trasporto su gomma a favore di un trasferimento modale, specie delle merci, verso il ferro”.
Politiche di disincentivo economico significano un incremento artificiale dei costi del trasporto: è come se un’impresa incapace di contrastare un concorrente di maggior successo chiedesse al governo di incrementare il livello di tassazione che grava sui servizi prodotti da quest’ultimo per metterlo fuori mercato o, peggio, ne impedisse l’acquisto.
La conferma del progetto non può che essere giudicata un pessima scelta: costosa per i contribuenti che pagheranno prima per la costruzione e dopo per incentivare l’uso dei servizi, dannosa per l’economia come dimostrano le analisi costi-benefici indipendenti e irrilevante per l’ambiente.
Ma assai gradita dai costruttori e da un manipolo di operatori ferroviari che vorrebbero prosperare a nostre spese.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 26th, 2018 Riccardo Fucile
TRITON HA EFFETTUATO SOLO IL 27,4% DEI SALVATAGGI, IL 72,6% SONO STATI FATTI AL DI FUORI DI TRITON, SEGUENDO LA CONVENZIONE ONU CHE IMPONE DI PRESTARE SOCCORSO IN MARE E RAGGIUNGERE IL PORTO SICURO PIU’ VICINO… QUINDI E’ UNA POLEMICA SUL NULLA, COME SEMPRE
Sui soccorsi dei migranti in mare naufragano i conti di Silvio Berlusconi. 
Durante la puntata del 25 febbraio di Quinta Colonna, il leader di Forza Italia ha detto al giornalista Paolo Del Debbio: «Il governo Renzi, per ottenere dall’Europa la concessione di poter superare il 3% di deficit sul bilancio […], ha accettato che tutti i migranti salvati in mare dalle navi degli Stati che hanno avuto questa missione venissero sbarcati nei nostri porti».
Berlusconi denuncia dunque uno scambio tra la deroga delle regole europee sul bilancio e la concessione dei porti come approdo per le navi che soccorrono i migranti in mare. Il ragionamento dell’ex Cavaliere si ferma al semaforo rosso e non supera l’esame del fact-checking.
L’accordo europeo sul controllo delle coste al quale Berlusconi fa riferimento è Triton, entrato in vigore nel 2014.
Per ammissione dell’allora ministra degli Esteri Emma Bonino, quell’accordo conteneva effettivamente la clausola di approdo per le navi di soccorso nei porti italiani. Particolare non irrilevante, però è che, secondo i dati della Guardia Costiera Italiana, Triton ha effettuato nel 2016 solo il 27,4% delle operazioni di soccorso: nel 2016, il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto ha registrato il salvataggio di 178.415 persone.
Di queste, quelle che rientravano nell’ambito dell’operazione Triton, coordinata da Frontex, erano 48.800.
I salvataggi al di fuori del quadro di Triton, che costituiscono il 72,6% del totale, seguono le linee guida dei trattati internazionali in vigore, a partire dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare stipulata a Montego Bay nel 1982, che all’articolo 98 stabilisce l’obbligo di prestare soccorso in mare.
C’è di più.
Il 1° febbraio 2018 Frontex ha fatto partire Themis, il nuovo programma di controllo delle coste con il quale viene eliminata l’obbligatorietà per le navi del progetto europeo di fare riferimento ai porti italiani per l’approdo dopo le operazioni di ricerca e soccorso.
Questa informazione avrebbe completato ulteriormente l’argomentazione in modo più corretto per gli spettatori del talk show domenicale.
(da “La Stampa”)
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Febbraio 26th, 2018 Riccardo Fucile
ORNELLA BERTOROTTA AVREBBE ESERCITATO PRESSIONI PER OTTENERE LA ASSUNZIONE DI UNA GIOVANE DEL MOVIMENTO IN UNA COMUNITA’ DI RECUPERO
Tentata concussione: questa l’accusa che la Procura di Catania ipotizza nei confronti della senatrice del M5S Ornella Bertorotta, alla quale è stato notificato un avviso di conclusione indagine.
Alla parlamentare viene contestato di avere esercitato presunte pressioni per ottenere la assunzione di una giovane vicina al Movimento 5 Stelle in una comunità di recupero nel catanese e di avere utilizzato i suoi poteri ispettivi e di interrogazione nei confronti della struttura per condizionarne le scelte.
La Bertorotta ha ritirato la candidatura alle Parlamentarie del MoVimento 5 Stelle a causa dell’indagine.
La Bertorotta era quarta nel plurinominale proporzionale “Sicilia 2”, dietro, tra l’altro, Mario Giarrusso e Nunzia Catalfo. I vertici stavano pensando di candidarla all’uninominale.
Il caso di Catania era stato denunciato dal titolare della struttura di accoglienza; l’esponente grillina si è fatta anche interrogare nei giorni scorsi ma la procura diretta da Carmelo Zuccaro ha già notificato il provvedimento di chiusura delle indagini, che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio.
Il provvedimento di conclusione indagini è stato firmato dal procuratore Carmelo Zuccaro, dall’aggiunto Sebastiano Ardita e dal sostituto Fabio Regolo.
A far scoppiare il caso fu il titolare della comunità per minori che opera a Mascali, nel catanese. Il gestore della struttura aveva poi inviato una lettera alla senatrice per replicare alle sue osservazioni. In un passaggio, scriveva pure che non c’era i requisiti per l’assunzione della giovane, che e’ una militante del Movimento cinque stelle di Mascali. La Bertorotta da parte sua ha sempre negato tutto.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 26th, 2018 Riccardo Fucile
CHIESTO UN RAPPORTO DETTAGLIATO PER VALUTARE RESPONSABILITA’
Quando a metà pomeriggio Trenitalia diffonde il bollettino dei treni cancellati, ecco che dal
dicastero dei Trasporti trapela la forte irritazione del ministro Graziano Delrio, descritto come “molto arrabbiato” dopo una giornata di passione a causa dei forti disagi che i viaggiatori e i pendolari si sono ritrovati a subire con l’arrivo della neve. La rete ferroviaria in tilt: ritardi fino a 7 ore, convogli bloccati a lungo sui binari, stazioni affollate. Attesa e rabbia, senso di impotenza e passo di lumaca.
In costante contatto dalle prime ore del mattino con i vertici delle aziende che viaggiano sui binari, da Fs a Italo, Delrio non ha nascosto che tutto ciò che è successo si sarebbe potuto evitare dal momento che l’allerta meteo era prevista da giorni e le aziende di trasporto avrebbero dovuto mettere in atto le “corrette azioni manutentive”. La rabbia, con il passare delle ore, arriva a tal punto che secondo quanto riferiscono fonti del Mit, il ministro chiede a Rete ferroviaria italiana “un dettagliato rapporto al fine di poter valutare eventuali responsabilità “.
Tutto ciò perchè la stragrande maggioranza dei treni è stata cancellata.
Primi fra tutti gli Intercity con destinazione Roma o con partenza dalla Capitale. Alle 17.20 le agenzie di stampa fanno il resoconto di una giornata di caos: Trenitalia ha cancellato il 20% dei treni a lunga percorrenza e il 70% di quelli regionali. Lo scotto più alto lo pagano, ancora una volta, i pendolari.
Delrio attacca. A sei giorni dal voto l’immagine di un’Italia prigioniera delle sue infrastrutture pesa.
Ma il destinatario della richiesta del ministro non ci sta a passare come il colpevole del black out.
I tre amministratori delegati di Rfi, Fs e Trenitalia – viene spiegato dal gruppo – risponderanno a Delrio, difendendo il lavoro messo in campo e sostenendo che “rispetto a quelle che erano le previsioni è stato fatto tutto quello che si doveva fare”. Di chi è, allora, la colpa dei disagi? Delle previsioni che si sono rivelate di fatto sbagliate.
Perchè il bollettino della Protezione civile, preso come base per l’offerta dei treni messa in campo oggi, aveva previsto una nevicata di minore durata e intensità . E invece – è la linea di Fs – la nevicata è durata di più e “in alcune tratte c’erano anche 50 centimetri di neve”.
Nel dettaglio, i vertici del gruppo replicheranno a Delrio sottolineando che la nevicata a Roma si è prolungata di tre ore rispetto alla previsione iniziale, determinando una situazione diversa rispetto a quella che ha fatto da base all’attivazione dei piani neve e gelo di Rfi e Trenitalia negli scorsi giorni. “È stato necessario rimodulare in corso d’opera le attività sia sul fronte del personale per le attività sulla rete ferroviaria sia l’offerta commerciale”, spiegano dal gruppo.
Altro elemento, sempre secondo Fs, che ha reso il caos ancora più frenetico: un treno Italo che si è bloccato sulla direttissima Roma-Firenze, nei pressi della stazione di Orte, in provincia di Viterbo. Paralisi per ore e possibilità di usare un solo binario, con la circolazione a senso alternato. Così i ritardi sono cresciuti, arrivando in alcuni casi a sfiorare le sette ore.
La rete ferroviaria non ha retto e non l’hanno fatto in particolare le scaldiglie, quei sistemi installati negli scambi ferroviari che permettono di sciogliere la neve.
La scaldiglia, viene spiegato, lavora fino a una certa quantità di neve: superata una certa soglia è necessaria una manutenzione straordinaria, di fatto l’intervento di un operaio che toglie l’accumulo di neve che si crea sia con la caduta della neve ma anche con il passaggio dei treni, che nel sottocassa trasportano neve e ghiaccio.
La giornata di passione delle ferrovie si accende nella rabbia dei passeggeri, ma anche nel rimpallo tra Delrio, il gruppo Fs, con tutti i suoi sottoinsiemi, e Italo. Per evitare una nuova odissea domani si viaggia a velocità molto ridotta: Rfi garantisce l’80% dei treni ad alta velocità e il 50% dei convogli del trasporto regionale nel Lazio. Livello 2 di una scala a tre gradini: l’ultimo step è la chiusura delle tratte ferroviarie.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 26th, 2018 Riccardo Fucile
TRENI CANCELLATI, RITARDI FINO A 7 ORE… NEL 2018 SI BLOCCANO ANCORA GLI SCAMBI PER UNA NEVICATA?
Il Frecciarossa 9603, diretto a Napoli centrale, è partito dalla stazione Termini di Roma alle 15.33, con un ritardo di 7 ore e 38 minuti. I passeggeri del treno 9518 hanno aspettato sulla banchina del binario 12 della stazione Tiburtina dalle 9.29 alle 15.30: dopo 6 ore sono saliti a bordo.
Nell’Italia paralizzata da Burian scoppia l’emergenza treni: ritardi fino a 7 ore (con una media di 150 minuti), 46 convogli (38 di Trenitalia, 8 di Italo) soppressi, 2 cancellati parzialmente.
I disagi più pesanti li pagano i pendolari, quelli che non viaggiano sull’alta velocità : Trenitalia ha cancellato il 20% dei treni a lunga percorrenza e il 70% dei convogli del traffico regionale. Tutti gli Intercity in partenza o con destinazione Roma Termini sono stati soppressi.
Roma è il centro dei disagi, ma da Nord a Sud la neve e il gelo hanno mandato la circolazione ferroviaria in tilt.
Sono le 7 quando Ferrovie dello Stato dirama un comunicato stampa per avvertire che la circolazione è “al momento fortemente rallentata, a tratti ferma, nel nodo di Roma, a causa delle precipitazioni nevose che stanno bloccando alcuni scambi nelle stazioni del nodo”. Tre ore dopo, i ritardi medi sono già di due ore.
Tra le 7 e le 10 la regolarità della circolazione è già compromessa. I treni alta velocità provenienti da Nord e in proseguimento verso Napoli fermano nella stazione di Roma Tiburtina e non a Roma Termini.
I collegamenti no stop del Leonardo express tra Roma Termini e l’aeroporto di Fiumicino vengono sospesi. Il traffico è fortemente rallentato anche su tutte le linee del Lazio che intrecciano Roma.
La situazione non cambia con il passare delle ore. Alle 13.30 una nuova nota di Fs: circolazione ferroviaria ancora fortemente rallentata nel nodo di Roma e “sulle linee che afferiscono alla Capitale”. Gli Intercity non reggono: cancellati i collegamenti da e per Roma.
Sui social partono le proteste dei viaggiatori.
La situazione è critica anche in Abruzzo. Corse cancellate e modificate sulle linee Pescara-Sulmona, Giulianova-Teramo, Ancona-Pescara, Terni-L’Aquila. Chiusa la linea Avezzano-Cassino. Alle 13.30 sono 18 i treni regionali cancellati sulla linea Pescara-Teramo, dodici sulla Pescara-Sulmona e quattro sulla Pescara-Ancona.
I ritardi dei treni iniziano ad accumularsi e alla stazione Termini scoppia il caos, con centinaia di persone che attendono informazioni.
Ci si mette anche un guasto ad un treno Italo sulla direttissima Roma-Firenze nei pressi di Orte, in provincia di Viterbo: si forma una lunga coda di convogli sia in direzione Nord che Sud perchè sulla linea diventa possibile usare solo un binario, con la circolazione a senso alternato. I ritardi di alcuni treni arrivano a sfiorare le 7 ore.
Rfi e Trenitalia spiegano che i piani neve e gelo sono stati attivati da ieri “per garantire la circolazione dei treni e ridurre gli eventuali disagi ai viaggiatori”.
Queste le azioni messe in campo da Rfi: presidiati con tecnici gli impianti nevralgici, con particolare attenzione ai nodi ferroviari urbani.
Per le linee ferroviarie è stato predisposto il piano di lubrificazione dei cavi elettrici e di corse raschiaghiaccio, per mantenere in efficienza i sistemi di alimentazione elettrica dei treni.
Nelle stazioni sono stati attivati sistemi di snevamento e riscaldamento degli scambi e sono stati approntati i mezzi spazzaneve per la pulizia dei binari nei punti nevralgici della rete.
Il Codacons attacca: “Si tratta – spiega il presidente Carlo Rienzi – di problemi del tutto ingiustificati dal momento che la neve era ampiamente prevista da giorni e le Ferrovie avrebbero dovuto adottare tutti gli accorgimenti utili per garantire la regolarità del servizio”.
Scatta la richiesta dei rimborsi. Trenitalia corre ai ripari e annuncia che chi ha rinunciato a viaggiare o chi è giunto a destinazione con un ritardo superiore alle tre ore sarà riconosciuto un rimborso integrale del biglietto. Italo sceglie di dare un indennizzo al 100% per ritardo superiore alle due ore o a chi ha rinunciato al viaggio.
Tra i passeggeri a bordo dei treni che viaggiano con forti ritardi c’è chi prova a prenderla con filosofia, come il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini.
Non la penseranno di sicuro così i passeggeri dell’Intercity 794: oltre 29 ore per arrivare da Reggio Calabria a Torino. Il treno ha lasciato la stazione sullo stretto in perfetto orario, alle 21.35 di ieri sera. Le nevicate della notte hanno però fatto accumulare al convoglio 9 ore di ritardo: sarebbe dovuto arrivare a Torino Porta Nuova alle 16.40 ed invece al momento l’arrivo è previsto attorno all’1 e 40 di domani.
La maggior parte del ritardo è stato accumulato prima dell’arrivo nella nella Capitale: era previsto alle 6.34, ma è avvenuto alle 14.12.
(da “Huffingtonpost”)
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