Destra di Popolo.net

SI SALVA SOLO LUI: E’ L’UNICO CHE SI ASSUME RESPONSABILITA’ E SFIDA I PARTITI

Maggio 7th, 2018 Riccardo Fucile

L’INDEGNA GAZZARRA DI CHI PENSA SOLO AGLI INTERESSI DI PARTITO E NON AL BENE DEGLI ITALIANI … STAVOLTA SONO GLI OPERATORI TURISTICI A INCAZZARSI CON SALVINI E DI MAIO

Si schianta in una clamorosa gazzarra il richiamo alla responsabilità  del capo dello Stato, o meglio la sfida, sobria e puntigliosamente corretta, a mettere in piedi in governo di “tregua”.
Ed è la prima volta, in questo susseguirsi di unicum nella storia repubblicana, che non viene concessa dai partiti neanche una nottata di rispettosa riflessione prima di una rispettosa risposta al presidente della Repubblica.
Salvini, Meloni, i Cinque Stelle con Di Battista suonano le fanfare della propaganda anti-istituzionale in diretta social, travolgendo ciò che resta di una antica grammatica istituzionale e spalancando le porte del voto a luglio.
Colpisce la distanza culturale, intesa come cultura della democrazia e delle sue istituzioni, che rende oggi il Quirinale una istituzione sola, senza un Parlamento pronto, se non ad accogliere, a valutare serenamente la sua riflessione e con i due “vincitori dimezzati” delle scorse elezioni passati in una notte da un “patto per il governo” a un “patto per il non governo”, che addirittura si incontrano per stabilire la data delle elezioni l’8 luglio, prima ancora che il Quirinale faccia le sue valutazioni: partiti, incapaci di indicare uno sbocco possibile, e imprigionati in un cieco cupio dissolvi, trascinano nel loro gorgo la principale istituzione del paese, la presidenza della Repubblica, che per la prima volta non riesce, come sempre avvenuto nella storia, ad avviare la legislatura e a mettere in piedi un governo, anche ricorrendo a formule fragili e fantasiose.
È un passaggio drammatico, uno di quei momenti in cui la storia gira pagina.
Si sarebbe detto una volta, Mattarella nel suo discorso inchioda i partiti alle loro responsabilità , o almeno ci prova, senza la pretesa di voler imporre soluzioni, ma con lo spirito di chi invita a scegliere tra la via della ragionevolezza (un governo) e l’avventurismo (le urne): elenca le esplorazioni naufragate di queste settimane, senza alcuna polemica su veti e puntigli dei partiti, esorta, di fronte alla mancanza di accordi politici, alla responsabilità  di un governo di “tregua” fino a dicembre che eviti l’aumento dell’Iva e magari metta mano a questa sciagurata legge elettorale, con spirito rispettoso della volontà  delle forze politiche.
Attenzione, non un’imposizione dell’alto, ma un governo che, nel caso i partiti trovassero un accordo, si dimetterebbe il minuto dopo per favorire una soluzione politica.
Qualora invece venisse bocciato, tale governo, avrebbe il compito di portare il paese al voto, a luglio o, preferibilmente a settembre, perchè c’è un motivo se non si è mai votato sotto gli ombrelloni, con mezzo paese in vacanza e le scuole chiuse.
Motivo, diciamo così, “democratico”, perchè è chiaro che non favorisce la partecipazione degli elettori al voto.
Parole travolte nell’ordalia pre-elettorale che trasforma il governo di tregua in un prosaico governo “elettorale”, col compito esclusivo di portare il paese al voto. Compito che, per Mattarella, non può essere assolto dal governo Gentiloni, espressione di una precedente legislatura, che non ha le caratteristiche della neutralità  soprattutto se, alle prossime elezioni, il premier uscente sarà  il candidato di uno schieramento politico.
Non è la prima volta di un governo di questo tipo. Nel 1979 il quinto governo Andreotti fu creato apposta per portare l’Italia alle urne, e così il sesto gabinetto Fanfani, nel 1987.
L’incarico per questo governo potrebbe essere conferito nei prossimi tre giorni, probabilmente mercoledì, e già  circolano i primi nomi.
All’inizio della prossima settimana andrà  in Aula. È un esecutivo che nasce già  sfiduciato sotto i colpi dei partiti che, ad esclusione del Pd, hanno iniziato la loro campagna elettorale.
Compresa Forza Italia che si dice pronta al voto, anche se “è meglio settembre”.
Anzi, hanno trasformato questo passaggio, e questa contrapposizione al capo dello Stato, nel primo passo della marcia che porterà  al voto a luglio.
Voto su cui al Quirinale già  circolano le prime date, dopo attenta verifica. La più probabile è il 22 di luglio, con scioglimento alla fine della prossima settimana, perchè tra scioglimento e voto passano circa una sessantina di giorni.
Un record anche questo, in questa crisi senza precedenti di una legislatura morta sul nascere, di un governo che nasce sfiduciato e di un capo dello Stato che, al primo discorso, diventa bersaglio polemico nello spazio di un tweet.
A proposito, leggete i commenti: colpisce quanti siano favorevoli al capo dello Stato. Forse, tra loro, ci sono albergatori, bagnini e operatori del settori che avvertono il potenziale danno economico per un paese che vive di turismo più che l’eccitazione da urne.

(da “Huffingtonpost”)

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LA CARTA ROSA DI MATTARELLA: PREMIER ELISABETTA BELLONI O MARTA CARTABIA PER IL GOVERNO NEUTRALE

Maggio 7th, 2018 Riccardo Fucile

LA BELLONI E’ DOCENTE ALLA LUISS E PRIMA DONNA SEGRETARIO GENERALE ALLA FARNESINA, LA CARTABIA E’ VICE PRESIDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE E ALLIEVA DI ONIDA… IL PARADOSSO CHE A VOTARE CONTRO DUE ECCELLENZE SARANNO DUE FUORICORSO NULLAFACENTI CHE NON HANNO MAI PRESO UNA LAUREA (E LAVORATO)

Sergio Mattarella sarebbe pronto a giocare la ‘carta rosa’ per la premiership del suo governo neutrale, annunciato oggi dopo l’ennesimo giro di consultazioni con i partiti. Una scelta evidentemente inedita nella storia della Repubblica, tesa a convincere i partiti a non buttare a mare il voto espresso dagli italiani il 4 marzo.
Premier donna, dunque. Chi?
In lizza, ci sarebbe anche Elisabetta Belloni, romana, 60 anni, prima donna segretario generale della Farnesina, nominata da Paolo Gentiloni, docente di cooperazione allo sviluppo alla Luiss di Roma, con buoni rapporti con il M5s tanto che girò il suo nome quando in campagna elettorale Luigi Di Maio doveva scegliere i ministri del suo eventuale governo.
E poi gira il nome di Marta Cartabia, milanese, 55 anni, vicepresidente della Corte Costituzionale, nominata alla Consulta da Giorgio Napolitano nel 2014, allieva del presidente emerito dell’Alta corte Valerio Onida.
Elisabetta Belloni in particolare è personalità  che riscuote apprezzamenti bipartisan. Direttore generale della cooperazione allo sviluppo del ministero Affari Esteri dal 2008 al 2013, in sostanza dal governo Berlusconi al governo Monti.
E poi direttore generale per le risorse e l’innovazione con i governi di centrosinistra da Enrico Letta a Matteo Renzi.
Nel 2015 viene promossa a capo di gabinetto della Farnesina dall’allora ministro Paolo Gentiloni. E quando nel 2016 Gentiloni lascia la Farnesina per subentrare a Renzi come premier, Belloni viene nominata direttore generale degli ministero degli Esteri: prima donna a ricoprire l’incarico.
Ma Belloni ha ottimi rapporti con il Movimento cinquestelle: ed è questo il punto che le assegna più forza nel caso in cui dovesse essere nominata a capo di un governo neutrale dal presidente Mattarella.
C’era anche lei alla Link Campus quando Di Maio tenne il suo noto intervento di politica estera in campagna elettorale: Belloni era seduta in prima fila e la sua presenza fu raccontata sui media. Il suo nome in effetti girò anche come papabile per il ministero degli Esteri nell’esecutivo che il leader pentastellato ha presentato prima delle elezioni.
E poi c’è Marta Cartabia, cattolica, allieva di Onida e per questo apprezzata in una parte della sinistra, vicina a Giuliano Amato, nominata all’Alta corte da Napolitano.
Il suo nome rientro nella rosa che dovevano portare all’elezione di un nuovo capo dello Stato nel 2015, prima che il Parlamento si arenasse e decidesse per un secondo incarico al presidente Napolitano.
Ad ogni modo, la ‘carta rosa’ è considerata alta per uscire dall’impasse e per cercare di superare una mission che sembra impossibile: dare un governo al paese, fare in modo che il Parlamento voti la fiducia a un governo del presidente.
Neutrale e a tempo, l’ha definito Mattarella elencando le preoccupanti controindicazione di un voto anticipato, che sia in estate o nel prossimo autunno.

(da “Huffingtonpost”)

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“QUELLA DI MATTARELLA L’UNICA STRADA PERCORRIBILE”: INTERVISTA AL COSTITUZIONALISTA AINIS

Maggio 7th, 2018 Riccardo Fucile

“ATTENZIONE, IL VOTO A LUGLIO CON CONTRAZIONE DEI VOTANTI, PARTITI IMBALLATI E RISULTATO ANALOGO AL 4 MARZO, PORTEREBBE A UNA CRISI DELLA DEMOCRAZIA ITALIANA”

All’interno degli spazi costituzionali e in questo quadro in cui i partiti non hanno raggiunto un accordo politico, un “governo terzo è l’unica strada percorribile”.
Il costituzionalista Michele Ainis, in un’intervista con l’Huffpost, illustra quali siano i paletti tra i quali muoversi e sottolinea, come d’altronde ha fatto anche il presidente Sergio Mattarella, le difficoltà  di un ritorno al voto in piena estate.
Professore Ainis, il presidente Mattarella ha parlato di un governo neutrale e ha auspicato la fiducia del Parlamento. Ma se i voti non ci saranno, l’esecutivo può giurare senza chiedere il voto dell’Aula così da evitare bocciature?
“Un governo terzo rispetto a tutti gli attori politici proiettati sulla scena parlamentare o un governo neutrale, come lo ha chiamato il presidente Mattarella, è la via da seguire. Si tratta di un governo che giura nelle mani del Capo dello Stato ed entra in carica nel momento del giuramento. Poi deve andare alle Camere a chiedere la fiducia del Parlamento, se non ci saranno i voti a quel punto si sciolgono le Camere e questo governo terzo guiderà  il Paese alle elezioni gestendo la fase elettorale”.
Ci sono precedenti in tal senso?
“È già  successo cinque volte che i governi non abbiamo ottenuto la fiducia iniziale. Nel 1953, nel 1954, nel 1972, nel 1979, nel 1987”.
Perchè il presidente Mattarella ha escluso che rimasse in carica il governo Gentiloni per gli affari correnti?
“Sarebbe stato abbastanza anomalo che un governo che riflette un Parlamento che non c’è più andasse a gestire la prossima tornata elettorale. Gestire le elezioni implica un atteggiamento di neutralità  per tutti i competitori, per questo un governo di tregua è più rassicurante per tutti. Non è mai accaduto che un governo attraversi tre legislature, cioè la diciassettesima, ovvero la precedente, la diciottesima, quindi l’attuale, e la prossima”.
La Lega e M5s chiedono che l’8 luglio si torni al voto. È possibile votare in piena estate?
“Il voto a luglio è un inedito. Tra le considerazioni da fare e che immagino si stiano facendo c’è anche quella di non scoraggiare la partecipazione al voto. Siamo in un tempo in cui si rischia la bassa affluenza elettorale. I cittadini sono demoralizzati davanti a tutto ciò che sta succedendo e votare a luglio non sarebbe uno sprone, votare quando ci sono 40 gradi significa un ulteriore delegittimazione. Se ci fosse una forte contrazione della partecipazione al voto alla prossime elezioni, in un momento in cui i partiti sono imballati, e si ripete il risultato precedente ci sarebbe una crisi della democrazia italiana”.
Può la medesima legge elettorale non dare una vittoria piena ad alcun partito la prima volta e darla pochi mesi dopo?
“Io ne dubito. Poi dipenderà  anche dalla partecipazione elettorale, dall’affluenza. Adesso si è profilata un’emergenza istituzionale. Abbiamo una legge che ci ha fatto cacciare in questo guaio. Se noi avessimo avuto una legge perfettamente proporzionale non ci sarebbe stato un vincolo di coalizione tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, così Salvini sarebbe stato libero di fare un governo con Luigi Di Maio. Se ci fosse stata invece una legge pienamente maggioritaria probabilmente il centrodestra avrebbe avuto i numeri per governare da solo. Ma così non è e non cambiando la legge è probabile che si ripeta lo stesso schema. Questo fatto profilerebbe un’emergenza e le emergenze in passato hanno sempre generato dei governi di solidarietà  nazionale”.
Crede sia riformabile dai partiti l’attuale legge elettorale, il Rosatellum, prima di andare al voto?
“Sarebbe l’unica via d’uscita. Insieme a un esecutivo provvisorio per indirizzarla”

(da “Huffingtonpost“)

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PD, IDEA DI GENTILONI FRONTMAN NELLA CAMPAGNA ELETTORALE

Maggio 7th, 2018 Riccardo Fucile

RESTA IL NODO LISTE E CHI SI CANDIDA ALLA SEGRETERIA

Lo stato maggiore del Pd non se l’aspettava questa accelerazione sul voto anticipato già  a luglio. Maurizio Martina fa il punto con gli altri dirigenti dopo l’ultimo giro di consultazioni con Sergio Mattarella al Quirinale, fino a Firenze, dove Matteo Renzi trascorre la giornata.
L’unica debole speranza per evitare le urne in estate la dà  il presidente della Repubblica con la sua mossa di governo neutrale a scadenza. “Condividiamo il richiamo alla responsabilità  del presidente Mattarella e ci auguriamo che venga ascoltato da tutte le forze politiche in queste ore. Il Pd non farà  mancare il suo sostegno all’iniziava preannunciata ora dal presidente”, dice Martina.
Ma non basta a scacciare i fantasmi del voto anticipato.
In Transatlantico i pochi parlamentari Dem presenti fanno ipotesi, congetture. Il percorso da qui alle urne non è per niente chiaro.
C’è un’unica bussola, ma anche questa è tutta da vedere: la possibilità , indicata da molti, renziani e non renziani, di affrontare la nuova eventuale campagna elettorale con Paolo Gentiloni come frontman del Pd e dei suoi alleati (se ci saranno), indicato come candidato premier, anche se formalmente il Rosatellum non ne prevede l’indicazione.
Il punto è che il diretto interessato non è per niente convinto di volerlo fare, a dimostrazione del fatto che nel Pd è tutto un gran caos.
Gentiloni sa che Renzi non ha gradito le critiche che gli ha esposto ieri dagli studi di Fabio Fazio su Raiuno (“Forse si poteva discutere per mettere a nudo il M5S, il gran rifiuto non era indispensabile”, ha detto il premier).
E va da sè che guidare una campagna con un partito ridotto male e Renzi non perfettamente allineato, è un rischio, anche per Gentiloni.
Vero è che, di fronte al voto anticipato, nemmeno il segretario dimissionario ha un piano B. E potrebbe dunque accettare che il timone della nuova corsa al voto sia affidato a Gentiloni, figura di garanzia tra le diverse aree del partito.
Ma il resto è comunque un bazar disordinato in un partito che, dopo la direzione nazionale della settimana scorsa, si tiene insieme a fatica.
Nel caso di voto a luglio, tra i renziani si ipotizza la data del 26 maggio per la convocazione dell’assemblea nazionale, rimandata per via delle consultazioni sul governo. Nel caso di voto a ottobre, congresso e primarie a luglio. Il punto è che al momento non ci sono nomi maturi per la segreteria.
Sia i renziani, ma anche i non renziani non hanno nomi pronti per un incarico del genere: da statuto, il segretario sarebbe anche il candidato premier.
Servirebbe un nome forte. Non sembra che Gentiloni sia disponibile per l’elezione a segretario. E non lo è Graziano Delrio, altro nome che continua a circolare per la segreteria.
E’ per questo che i dirigenti che fanno da ponte tra Renzi e le altre aree del partito prendono in considerazione l’idea che alla reggenza del Pd resti Maurizio Martina, magari affiancato da altre figure di garanzia per la gestione delle liste.
Congresso e primarie verrebbero rimandate: non c’è tempo.
E così verrebbe rimandata la corsa di Matteo Richetti e Nicola Zingaretti, entrambi in pole ma non per l’assemblea, bensì per la gara nei gazebo, quando si farà .
Il problema più grosso però sono le liste elettorali: una bomba che rischia di scoppiare in un partito già  dilaniato dagli scontri interni.
Per Renzi l’ideale sarebbe una sorta di armistizio: che implica la presentazione delle stesse liste presentate il 4 marzo. Certo, le ha fatte lui.
Ma man mano che passa la giornata, man mano che si rafforza l’ipotesi di un nuovo voto a luglio (data più probabile il 15 marzo), anche l’idea di mantenere le stesse liste scricchiola.
La rivolta dei big di maggioranza e minoranza contro Renzi la scorsa settimana in direzione (da Martina a Franceschini a Orlando) ha lasciato strascichi evidenti, anche se il segretario dimissionario non è stato messo in minoranza. Anche tra i renziani ci si rende conto che presentare le stesse liste di due mesi fa è un’utopia, con tutti malumori che sono scoppiati nel partito per le candidature decise dal segretario.
Ma i cambiamenti possibili saranno comunque minimi: se davvero si torna al voto tra due mesi, non ci sarà  tempo.
Tutto in alto mare. Il Pd naviga a vista. “Vediamo che succede”, dicono in Translantico, la frase tipica dei momenti in cui non si sa che fare.
Dopo il discorso di Mattarella si accende la speranza di non tornare al voto tra due mesi, di non dover correre di nuovo per alleanze e liste.
Emma Bonino lancia l’allarme “sulla procedura democratica, o antidemocratica, in caso di elezioni super-anticipate. Non vi sfuggirà  che in questo caso, che il voto sia a luglio o ottobre, è chiaro che potranno presentarsi solo Pd, M5s e centrodestra: tutti gli altri sono esclusi per le procedure previste dalla legge”. Vale a dire le firme da raccogliere.
Mezzo Pd pensa ad un’alleanza con Leu, i renziani non ne sono per niente convinti.
A fine giornata il vicepresidente della Camera Ettore Rosato spera: “Il Presidente della Repubblica ha messo tutti nella condizione di ripartire. Dopo questi sessanta giorni, Mattarella da alle forze politiche la possibilità  di riaprire un dialogo. Penso che tutti debbano rispondere con attenzione e saggezza rispetto alla richiesta di non trascinare il Paese in un lungo stallo istituzionale. Il Pd, come ha detto il segretario reggente Maurizio Martina, risponderà  positivamente alla richiesta, ma mi auguro che l’intervento del Presidente riesca anche a smuovere le cose tra gli altri partiti, che non si chiudano in logiche di mera convenienza”.

(da “Huffingtonpost”)

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DI MAIO TEME LE FUGHE E CORRE A RASSICURARE I SUOI ELETTI: “LE LISTE RESTERANNO LE STESSE”

Maggio 7th, 2018 Riccardo Fucile

ULTIMA PAROLA A GRILLO MA PER MOLTI IL RISCHIO DI NON ESSERE RIELETTI E’ EVIDENTE

In modo così chiaro non lo ha detto mai e il momento di annunciare la deroga al limite dei due mandati ormai è arrivato.
Quindi, alla fine di una delle giornate più lunghe dopo il 4 marzo, alla luce del fallimento relativo alla creazione di un governo politico, la rassicurazione che tanti parlamentari M5s volevano ascoltare è stata comunicata.
“Visto che la legislatura praticamente non è iniziata – ha detto Luigi Di Maio – le liste per le nuove elezioni saranno probabilmente le stesse, la decisione finale spetterà  comunque al garante”.
Il messaggio che il capo politico ha mandato ai suoi deputati e senatori durante l’assemblea congiunta ha una finalità  molto chiara: evitare le fughe.
Evitare quindi il trasformismo, ovvero che parlamentari stellati presi dalla paura di non essere rieletti possano lasciare il gruppo M5s e appoggiare un nuovo governo, per esempio l’esecutivo neutrale di cui ha parlato il presidente Sergio Mattarella, pur di restare in carica e non tornare a casa.
Invece tornando alle urne a luglio o al massimo in autunno, quindi con un governo neutrale che neanche otterrà  la fiducia delle Camere, i parlamentari grillini alle prossime elezioni manterranno gli stessi posti in lista senza dover passare dalle parlamentarie.
Tuttavia gli eletti nei collegi uninominali sanno che si sottoporranno a un margine di rischio
Come è ovvio Di Maio ha specificato che rimarranno esclusi “i massoni e coloro che si sono tenuti parte delle restituzioni”.
Nello stesso tempo l’aspirante premier ha rassicurato se stesso. Anche lui avrà  la possibilità  di fare un nuovo mandato e anche di essere il candidato presidente del Consiglio.
“Mi auguro di sì”, si è limitato a rispondere a domanda precisa. Ma le mosse tattiche degli ultimi giorni vanno tutte in questa direzione.

(da “Huffingtonpost”)

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I PEONES SPERANO NEL MIRACOLO PER NON PERDERE IL SEGGIO

Maggio 7th, 2018 Riccardo Fucile

PER MOLTI DI LORO, ALLA PRIMA LEGISLATURA, SI CHIUDEREBBE UNA ESPERIENZA POLITICA PRIMA ANCORA DI AVER CAPITO IN COSA CONSISTA

“Serve un miracolo di San Mattarella”. L’esclamazione in Transatlantico di un deputato di M5s che chiede l’anonimato può essere presa come indicativa dei sentimenti e delle perplessità  dei parlamentari di tutti i gruppi davanti all’ipotesi di un voto a luglio.
Per molti di loro, alla prima legislatura, si chiuderebbe una esperienza politica prima ancora aver capito in cosa consista.
I più abbottonati sono i pentastellati che avranno in serata una assemblea congiunta di senatori e deputati e che a taccuini aperti non parlano.
Andrea Cecconi, eletto nell’uninominale a Pesaro con il M5s ma espulso per la questione dei rimborsi nella precedente legislatura, spiega: “Nel centro Italia molti degli eletti nell’uninominale, che sono stati presi tra i non iscritti al Movimento, non verranno rieletti: quei collegi sono stati vinti per 250-500 voti e il centrodestra in quelle regioni è in ascesa”.
C’è poi la questione della regola che impone di non superare le due legislatura, che bloccherebbe la ricandidatura di oltre metà  dei pentastellati: “Questa legislatura non è nemmeno partita, sono sicuro che ci sarà  la deroga per tutti” dice Lorenzo Fioramonti. Ma il nervosismo è palpabile nel silenzio di chi ha fatto due legislature.
Smarrimento anche nelle file del Pd, dove ancora non si sa chi sarà  il nuovo segretario, che in caso di elezioni dovrà  farà  le liste.
La prima preoccupazione, spiega Enrico Borghi, eletto in alto Piemonte, è legata ai tempi del voto: “Con urne a luglio la gente non andrà  a votare ed è difficile fare previsioni su chi potrà  vincere, anche nei singoli collegi”. “Uno scenario da Weimar” dice Borghi.
Stessa preoccupazione in Leu, che a marzo ha superato di poco la soglia del 3%: “Se si vuol far aumentare l’astensionismo allora si voti a luglio” osserva amaro il capogruppo Federico Fornaro. Per i parlamentari di Liberi e Uguali il problema il rischio grosso è quello di non superare la soglia e restare tutti a casa.
In casa Dem c’è poi il tema di chi farà  le liste. L’Assemblea nazionale eleggerà  un segretario, conviene Emanuele Fiano, ma non si sa ancora se ci sarà  una soluzione unitaria che garantisce tutti, o meno.
In Forza Italia si spera che le liste dell’8 luglio siano la fotocopia di quelle del 4 marzo, ma il tema è un eventuale “effetto Friuli”, cioè un aumento dei voti della Lega rispetto a Fi.
“A Nord la Lega ha già  fatto il pieno – dice Marco Marin – eventualmente Salvini può crescere più al Sud: ma poi il Rosatellum ha delle strane compensazioni e potremmo perdere i seggi in qualche altra Regione”.
Di qui il sospetto sussurrato di diversi “azzurri” che il precipitare verso le urne a luglio sia frutto di un accordo segreto Salvini-Di Maio, “un biscotto” a danno dell’alleato Fi e del Pd.

(da “Huffingtonpost“)

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QUANTI VOTI MANCANO AL “GOVERNO NEUTRALE” PROPOSTO DA MATTARELLA: 66 ALLA CAMERA E 27 AL SENATO SE FORZA ITALIA VOTASSE SI’

Maggio 7th, 2018 Riccardo Fucile

IL QUADRO CHE EMERGE EVIDENZIA CHE CI SONO POCHE SPERANZE, ALLO STATO ATTUALE

Il tentativo del presidente della Repubblica Mattarella di dar vita a un “Governo neutrale” che porti il Paese al voto nel 2019 o, al massimo, nel prossimo autunno scongiurando così il voto in estate nasce morto?
Con ogni probabilità , a leggere le dichiarazioni del leader politici battute dalle agenzie subito dopo la fine del discorso del Capo dello Stato.
Ma le legislature possono sempre riservare sorprese.
Può quindi tornare utile un rapido ripasso della composizione dei gruppi parlamentari confrontandola con le esternazioni fatte all’uscita dallo Studio alla Vetrata dai rappresentanti per capire quanti voti – molti, allo stato attuale – mancano affinchè il “governo di servizio” ottenga la fiducia nei due rami del Parlamento.
Alla Camera.
Un secco “no” alla via d’uscita tratteggiata da Mattarella è arrivato da Movimento 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia. Il primo può contare su 222 deputati, la seconda su 125 mentre il partito guidato da Giorgia Meloni dispone di 32 deputati.
Un sì convinto è invece arrivato dal Partito Democratico (111 deputati), Civica Popolare di Beatrice Lorenzin (4 deputati) e della componente delle minoranze linguistiche (altri 4 parlamentari).
Possibilista, invece, +Europa di Emma Bonino che, all’uscita dalle consultazioni, ha fatto presente come un voto “super anticipato” metterebbe a serio rischio la possibilità  di ri-presentarsi alle elezioni per la raccolta delle firme per la presentazione della lista. Al tempo stesso ha espresso “fiducia” nelle scelte di Mattarella: per +Europa sarebbero quindi 3 sì al Governo tecnico nominato dal Capo dello Stato.
Sul vago sono rimasti invece la componente Maie (“governo sia politico ma il ritorno alle urne non ha senso”) che conta 6 deputati, e Noi con l’Italia di Maurizio Lupi (3 parlamentari).
Sintesi: a dare un via libera incondizionato all’esecutivo “neutrale” ci sarebbero 122 deputati. Aggiungendo altri 9 di Maie e NcI – ma al momento non ci sono indicazioni in questo senso nè in quello opposto – si arriverebbe a 131 deputati.
Siamo ben lontani dalla maggioranza fissata a 316 parlamentari.
Ma c’è il capitolo Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi per ora si è allineato agli alleati di coalizione: “Forza Italia coerentemente con il voto degli italiani valuterà  la posizione con gli alleati, tenuto conto degli impegni presi tra i leader. Non ci spaventa il voto”, si legge in una nota di Fi.
Ma, si chiosa, “l’estate non aiuta la partecipazione, meglio votare in autunno”. Una posizione diversa rispetto a quella espressa da Matteo Salvini, leader leghista della coalizione, per il quale si deve votare a luglio.
Forza Italia dispone di 105 deputati, e una eventuale rottura – che, va ribadito, al momento non trova alcun riscontro pur registrando la “frenata” sui tempi – porterebbe la maggioranza a 236.
Mancano 80 voti.
Tra questi non possono essere al momento conteggiati i 14 voti di Liberi e Uguali dal momento che all’uscita dal Quirinale il leader Pietro Grasso ha assicurato che non farà  parte di alcuna maggioranza al cui interno contempli forze di centrodestra.
Al Senato.
Stesso discorso a Palazzo Madama per M5S (109 senatori), Lega (58) e Fratelli d’Italia (61): per loro è un secco No.
Nella migliore delle ipotesi il Governo del Presidente avrebbe in partenza 133 senatori, a fronte di una maggioranza richiesta di 160 senatori.
Questo nel caso, sempre ipotetico, in cui Forza Italia votasse a favore di questo governo: ai 61 senatori di FI si aggiungerebbero infatti i 52 del Partito Democratico, gli 8 delle Autonomie-Svp e i 12 del Misto.
Ne mancano 27.
Dal Misto vanno però sottratti i 4 esponenti di LeU che, ragionevolmente, voteranno No come i colleghi di Montecitorio laddove una forza di centrodestra dovesse aderire alla maggioranza.
Conclusione: allo stato attuale l’esecutivo “neutrale” proposto dal Capo dello Stato andrà  incontro a sfiducia certa in entrambi i rami del Parlamento: nella migliore delle ipotesi mancherebbero 27 onorevoli “responsabili” al Senato e 66 alla Camera.
Qui possono entrare in gioco altri fattori “umani”, come la paura di perdere il seggio appena conquistato o il timore di non essere più ricandidati, per fare solo alcuni degli esempi più maliziosi e gettonati.
Ma la strada è ripida e in salita.

(da “Huffingtonpost”)

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ALFANO E’ IL MINISTRO PIU’ LONGEVO DELLA STORIA DELLA REPUBBLICA

Maggio 7th, 2018 Riccardo Fucile

1836 GIORNI CONSECUTIVI ALLA GUIDA DI UN DICASTERO

Milleottocentotrentasei giorni consecutivi, oltre 3mila in totale. Angelino Alfano batte ogni record e diventa il ministro italiano più longevo nella storia della Repubblica. L’ex delfino di Silvio Berlusconi non ha rivali tra coloro che hanno guidato un dicastero: mai nessuno era riuscito a rimanere in sella così a lungo.
Il primato — come scrive il Mattino — verrà  ufficialmente battuto martedì 8 maggio, quando Alfano è già  certo di essere ancora alla guida della Farnesina, dove è approdato dal ministero dell’Interno dopo la “promozione” di Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi.
Se anche il presidente della Repubblica dovesse dare oggi un incarico per la formazione del nuovo governo, infatti, saranno necessari ancora diversi giorni prima del definitivo “pensionamento” di Alfano, che aveva giurato davanti a Giorgio Napolitano il 28 aprile 2013.
Al Viminale è rimasto fino al 12 dicembre 2016, superando il caso Shalabayeva — per il quale fu oggetto di interrogazioni e di una mozione di sfiducia — e inamovibile anche dopo il cambio alla guida del governo da Enrico Letta a Matteo Renzi. Poi, con l’arrivo di Gentiloni, si è trasferito agli Esteri, che continuerà  a gestire ancora per qualche giorno prima di lasciare gli uffici di via Arenula e pure Roma, visto che ha rinunciato alla ricandidatura.
Ai 1836 giorni bisogna aggiungerne, tra l’altro, altri 1175 trascorsi dal politico argentino alla guida del ministero della Giustizia durante il quarto governo Berlusconi. Un altro record: in quel caso diventò il più giovane Guardasigilli della storia, nominato a 37 anni, 6 mesi e 8 giorni.
Anche in quel caso, guidò un dicastero “pesante” durante una legislatura segnata dall’approvazione del lodo incostituzionale che porta il suo nome e concedeva alle alte cariche dello Stato lo scudo dai processi penali. Fatta salva la parentesi “tecnica” del governo Monti, Alfano è sempre stato in sella negli ultimi dieci anni.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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MATTARELLA: “FIDUCIA A GOVERNO NEUTRALE O VOTO IN AUTUNNO”

Maggio 7th, 2018 Riccardo Fucile

“SE SI TORNA ALLE URNE, GRANDI RISCHI: POCO TEMPO PER LA FINANZIARIA, GLI IMPEGNI IN EUROPA, GLI SPECULATORI INTERNAZIONALI”… LEGA E M5S PER IL VOTO A LUGLIO, FORZA ITALIA MEGLIO IN AUTUNNO

Di fronte al persistere dello stallo, alle ore 18,35, al termine delle consultazioni, il presidente Mattarella parla.
Per otto minuti, riepilogando quanto accaduto dopo il voto del 4 marzo, ma soprattutto per mettere i partiti di fronte alla responsabilità  di una scelta: l’Italia ha bisogno di un governo, o appoggiate un esecutivo neutrale ma con pieni poteri pronto a sciogliersi appena nascerà  in Parlamento una maggioranza, oppure riportate i cittadini alle urne, ma esponendo a gravi rischi il Paese. Il presidente scioglierà  la riserva sul premier incaricato della formazione del governo neutrale entro due giorni, poi si andrà  a verificarne la fiducia in Parlamento.
La risposta di M5s e centrodestra a stretto giro. Luigi Di Maio su Twitter: “Nessuna fiducia a un governo neutrale, sinonimo di governo tecnico. Si vada al voto a luglio”. Poi, in assemblea congiunta: “Visto che la legislatura praticamente non è iniziata, le liste per le nuove elezioni saranno probabilmente le stesse, la decisione finale spetterà  comunque al garante (Grillo, ndr)”, fermo restando che resteranno esclusi i massoni e coloro che si sono tenuti parte delle restituzioni.
Matteo Salvini: “O governo di centrodestra o voto in estate. Non c’è tempo da perdere, non esistono governi tecnici alla Monti, contiamo che Berlusconi mantenga la parola data e abbia la nostra stessa coerenza, poi gli italiani ci daranno la maggioranza assoluta e cambieremo l’Italia da soli”.
Al richiamo alla coerenza di Salvini Forza Italia risponde con una nota, ripresa a voce da Maria Stella Gelmini, capogruppo alla Camera: “Abbiamo ascoltato con attenzione e rispetto le parole del presidente Mattarella. Fi è rispettosa del voto degli italiani e si riconosce nel centrodestra unito, valuterà  all’interno della coalizione le posizioni da assumere. Siamo pronti come sempre al voto in ogni momento ma riteniamo che il voto in estate non sia adatto per garantire la partecipazione come sottolineato anche da Mattarella”.
Il segretario reggente del Pd Maurizio Martina, ribadendo la posizione dem, condivide “il richiamo alla responsabilità  del presidente Mattarella”, assicurando il sostegno del partito “all’iniziava preannunciata ora dal Presidente”. Apprezzamento per la “scelta” di Mattarella anche dall’ex segretario Matteo Renzi, secondo fonti a lui vicine
IL DISCORSO DI MATTARELLA
“Nel corso delle settimane scorse ho svolto una verifica concreta e attenta di tutte le possibili soluzioni in un Parlamento contrassegnato da tre schieramenti, ognuno senza maggioranza. Due di essi dovevano trovare un’intesa. Tentativi non riusciti per una serie di indisponibilità , confermate questa mattina”.
“Nel corso dei colloqui di oggi – spiega il capo dello Stato – ho chiesto se vi fossero altre possibilità . Ma non vi è alcuna possibilità  di una maggioranza nata da un accordo politico. Esclusa la possibilità  di un governo politico di minoranza. Credo che sia più rispettoso del voto degli italiani che a portare alle elezioni sia un governo non di parte. Ringrazio comunque il premier del governo dimissionario Gentiloni. Il suo governo ha esaurito la sua funzione e non può essere ulteriormente prorogato, in quanto espresso da una maggioranza parlamentare che non c’è più”.
“Quale che siano le decisioni che assumeranno i partiti, è doveroso dare vita a un governo – insiste il presidente -. Continuo ad auspicare un governo con pienezza di funzioni, che permetta al Parlamento di svolgere le sue attività  e di rappresentare pienamente l’Italia nelle importanti decisioni da prendere in Europa. Dai partiti, nei giorni addietro è venuta richiesta di altro tempo utile per raggiungere un’intesa. Ma nel frattempo – spiega ancora Mattarella, entrando nel merito delle scelte da fare -, in mancanza di accordi, consentano (i partiti, ndr) che nasca un governo neutrale, di servizio. Laddove si formasse nei prossimi mesi una maggioranza, quel governo si dimetterebbe per far posto a un governo politico. Qualora non si formasse questa maggioranza, il governo neutrale si concluderà  comunque a dicembre, per poi andare al voto”.
“L’altra ipotesi – aggiunge il presidente – è un voto anticipato, ma si è sempre evitato di votare in estate. Si potrebbe fissare il voto in autunno, ma con la preoccupazione di non avere il tempo di elaborare e approvare la manovra finanziaria. Va considerato anche il rischio ulteriore della speculazione finanziaria sui mercati internazionali. E anche che, a legge elettorale invariata, si riproduca la stessa attuale situazione. Va tenuto anche in debito conto il tema dei tempi minimi per assicurare la partecipazione alle elezioni”.
“Sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica che una legislatura si conclude senza essere neanche avviata – conclude Mattarella -. Scelgano i partiti, in Parlamento, tra queste soluzioni alternative. Un governo neutrale ma pienamente in carica fino al fine anno o nuove elezioni subito”.

(da agenzie)

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