PD, IDEA DI GENTILONI FRONTMAN NELLA CAMPAGNA ELETTORALE
RESTA IL NODO LISTE E CHI SI CANDIDA ALLA SEGRETERIA
Lo stato maggiore del Pd non se l’aspettava questa accelerazione sul voto anticipato già a luglio. Maurizio Martina fa il punto con gli altri dirigenti dopo l’ultimo giro di consultazioni con Sergio Mattarella al Quirinale, fino a Firenze, dove Matteo Renzi trascorre la giornata.
L’unica debole speranza per evitare le urne in estate la dà il presidente della Repubblica con la sua mossa di governo neutrale a scadenza. “Condividiamo il richiamo alla responsabilità del presidente Mattarella e ci auguriamo che venga ascoltato da tutte le forze politiche in queste ore. Il Pd non farà mancare il suo sostegno all’iniziava preannunciata ora dal presidente”, dice Martina.
Ma non basta a scacciare i fantasmi del voto anticipato.
In Transatlantico i pochi parlamentari Dem presenti fanno ipotesi, congetture. Il percorso da qui alle urne non è per niente chiaro.
C’è un’unica bussola, ma anche questa è tutta da vedere: la possibilità , indicata da molti, renziani e non renziani, di affrontare la nuova eventuale campagna elettorale con Paolo Gentiloni come frontman del Pd e dei suoi alleati (se ci saranno), indicato come candidato premier, anche se formalmente il Rosatellum non ne prevede l’indicazione.
Il punto è che il diretto interessato non è per niente convinto di volerlo fare, a dimostrazione del fatto che nel Pd è tutto un gran caos.
Gentiloni sa che Renzi non ha gradito le critiche che gli ha esposto ieri dagli studi di Fabio Fazio su Raiuno (“Forse si poteva discutere per mettere a nudo il M5S, il gran rifiuto non era indispensabile”, ha detto il premier).
E va da sè che guidare una campagna con un partito ridotto male e Renzi non perfettamente allineato, è un rischio, anche per Gentiloni.
Vero è che, di fronte al voto anticipato, nemmeno il segretario dimissionario ha un piano B. E potrebbe dunque accettare che il timone della nuova corsa al voto sia affidato a Gentiloni, figura di garanzia tra le diverse aree del partito.
Ma il resto è comunque un bazar disordinato in un partito che, dopo la direzione nazionale della settimana scorsa, si tiene insieme a fatica.
Nel caso di voto a luglio, tra i renziani si ipotizza la data del 26 maggio per la convocazione dell’assemblea nazionale, rimandata per via delle consultazioni sul governo. Nel caso di voto a ottobre, congresso e primarie a luglio. Il punto è che al momento non ci sono nomi maturi per la segreteria.
Sia i renziani, ma anche i non renziani non hanno nomi pronti per un incarico del genere: da statuto, il segretario sarebbe anche il candidato premier.
Servirebbe un nome forte. Non sembra che Gentiloni sia disponibile per l’elezione a segretario. E non lo è Graziano Delrio, altro nome che continua a circolare per la segreteria.
E’ per questo che i dirigenti che fanno da ponte tra Renzi e le altre aree del partito prendono in considerazione l’idea che alla reggenza del Pd resti Maurizio Martina, magari affiancato da altre figure di garanzia per la gestione delle liste.
Congresso e primarie verrebbero rimandate: non c’è tempo.
E così verrebbe rimandata la corsa di Matteo Richetti e Nicola Zingaretti, entrambi in pole ma non per l’assemblea, bensì per la gara nei gazebo, quando si farà .
Il problema più grosso però sono le liste elettorali: una bomba che rischia di scoppiare in un partito già dilaniato dagli scontri interni.
Per Renzi l’ideale sarebbe una sorta di armistizio: che implica la presentazione delle stesse liste presentate il 4 marzo. Certo, le ha fatte lui.
Ma man mano che passa la giornata, man mano che si rafforza l’ipotesi di un nuovo voto a luglio (data più probabile il 15 marzo), anche l’idea di mantenere le stesse liste scricchiola.
La rivolta dei big di maggioranza e minoranza contro Renzi la scorsa settimana in direzione (da Martina a Franceschini a Orlando) ha lasciato strascichi evidenti, anche se il segretario dimissionario non è stato messo in minoranza. Anche tra i renziani ci si rende conto che presentare le stesse liste di due mesi fa è un’utopia, con tutti malumori che sono scoppiati nel partito per le candidature decise dal segretario.
Ma i cambiamenti possibili saranno comunque minimi: se davvero si torna al voto tra due mesi, non ci sarà tempo.
Tutto in alto mare. Il Pd naviga a vista. “Vediamo che succede”, dicono in Translantico, la frase tipica dei momenti in cui non si sa che fare.
Dopo il discorso di Mattarella si accende la speranza di non tornare al voto tra due mesi, di non dover correre di nuovo per alleanze e liste.
Emma Bonino lancia l’allarme “sulla procedura democratica, o antidemocratica, in caso di elezioni super-anticipate. Non vi sfuggirà che in questo caso, che il voto sia a luglio o ottobre, è chiaro che potranno presentarsi solo Pd, M5s e centrodestra: tutti gli altri sono esclusi per le procedure previste dalla legge”. Vale a dire le firme da raccogliere.
Mezzo Pd pensa ad un’alleanza con Leu, i renziani non ne sono per niente convinti.
A fine giornata il vicepresidente della Camera Ettore Rosato spera: “Il Presidente della Repubblica ha messo tutti nella condizione di ripartire. Dopo questi sessanta giorni, Mattarella da alle forze politiche la possibilità di riaprire un dialogo. Penso che tutti debbano rispondere con attenzione e saggezza rispetto alla richiesta di non trascinare il Paese in un lungo stallo istituzionale. Il Pd, come ha detto il segretario reggente Maurizio Martina, risponderà positivamente alla richiesta, ma mi auguro che l’intervento del Presidente riesca anche a smuovere le cose tra gli altri partiti, che non si chiudano in logiche di mera convenienza”.
(da “Huffingtonpost”)
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