Maggio 10th, 2018 Riccardo Fucile
ATTENZIONE DEL COLLE SUL TESORO, CERCASI FIGURA DI STANDING INTERNAZIONALE… PER I MINISTERI TRE TECNICI GRADITI A FORZA ITALIA
Ci sarà un premier terzo. Dopo ventiquattro lunghissime ore di incontri, telefonate, messaggi, tavoli tecnici, colloqui fra sherpa, la montagna della trattativa fra il Movimento 5 stelle e la Lega ha partorito un topolino.
E per tutta la giornata i leghisti sono curiosamente taciturni sul confronto in corso: facce scure all’uscita del vertice con i pentastellati sul programma, il primo di una serie, sembra di capire.
Matteo Salvini e i suoi restano molto perplessi sulla proposta del Movimento di un premier terzo con i due leader — Salvini e Di Maio — dentro a capo di due ministeri. Siamo agli inizi di una lunga trattativa che, se va bene, partorirà il nome del premier lunedì, ma solo il premier.
Per la squadra bisognerà aspettare ancora (tanto che anche il Pd valuta se rimandare l’assemblea nazionale programmata il 19 maggio).
Partiamo dalle certezze. Sembra definitivamente tramontata l’ipotesi di una staffetta fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Un’ipotesi istituzionalmente non ortodossa e che non avrebbe dato nessuna garanzia a chi avrebbe dovuto raccogliere il testimone. Senza contare che anche dalle parti di Arcore si preferirebbe di gran lunga un nome non ascrivibile al centrodestra, per avere le mani libere qualora decidesse di votare No sui singoli provvedimenti.
L’identikit di chi si siederà sullo scranno più alto di palazzo Chigi è ancora da costruire. La Lega punta forte su Giancarlo Giorgetti. Il plenipotenziario del segretario è la figura più spendibile per le camicie verdi dato il passo indietro del leader.
Ma fino ad ora si è scontrato con la forte opposizione stellata: “È troppo appiattito sulla figura di Salvini — spiega uno dei vertici del Movimento — in breve potremmo ritrovarci su giornali e tv con il racconto del Governo Giorgetti appoggiato dai 5 stelle”. Inaccettabile. Soprattutto dopo la gran rinuncia di Di Maio.
Il problema sostanziale è che i grillini non hanno un nome altrettanto spendibile. Non c’è, in poche parole, un numero due del capo politico in grado di poter aspirare a quel ruolo.
Qualcuno, nella maionese impazzita che è il totonomi di queste ore a Palazzo, pur fra mille cautele, ha avanzato l’ipotesi di Riccardo Fraccaro. Il quale, tuttavia, è “incastrato” nel ruolo di questore anziano alla Camera. Una casella troppo delicata — per la sua incidenza nella partita dei vitalizi — per essere smossa.
Per questo soprattutto da casa 5 stelle l’insistenza è forte per un nome al di fuori del recinto dei due movimenti politici. Il primo ad essere avanzato, ma che sembra già bruciato, è stato quello di Enrico Giovannini. Che ha ricevuto un brusco stop da parte dei leghisti: “Ma vi pare che possiamo accettare un ex ministro di Enrico Letta?”.
Così come perdono quota Carlo Cottarelli (di cui si parla per l’Economia) e Giampiero Massolo (anche lui tuttavia potrebbe rientrare nella squadra di governo).
L’unica, timida, novità , è che il borsino indica quotazioni stabili per Elisabetta Belloni. Il segretario generale della Farnesina era stata indicata con insistenza come possibile guida del governo neutrale immaginato da Sergio Mattarella.
E potrebbe essere la mossa a sorpresa anche di quello gialloverde. Piace al Movimento, non è sgradita al Carroccio, e sarebbe un’ottima garanzia da giocarsi nei confronti del Quirinale.
Come in un domino, a seconda del lato su cui cadrà la tessera del primus inter pares del prossimo esecutivo si comporrà il resto della squadra.
A partire dal nodo di via XX settembre. Una casella sul quale il Colle ha, per evidenti motivi, puntato la lente d’ingrandimento.
Soprattutto in caso di un premier dai connotati più fortemente politici, la scelta dovrà essere fatta con il bilancino, e ricadrà su una figura di sintesi fra i due partiti e in possesso di uno standing internazionale. Se così non fosse, e a palazzo Chigi arrivasse una personalità più di sintesi, la strada potrebbe aprirsi anche per un politico (ecco ritornare il sempiterno Giorgetti).
Sempre fortemente condizionata dalla figura apicale, l’articolazione dei ministeri. Vincenzo Spadofora, consigliere politico di Luigi Di Maio, parla di una squadra snella – meno di 20 ministri – giovane, competente.
Al M5S dovrebbero toccare Esteri (anche per le posizioni fortemente eterodosse assunte dalla Lega sullo scenario internazionale), Difesa, Sviluppo economico, Sanità e Politiche Sociali (dicastero che dovrebbe assorbire le deleghe sul reddito di cittadinanza). Alla Lega Interno, Lavoro, Agricoltura, Trasporti e Ambiente. Ma è solo una bozza, gli incastri sono tutti da sciogliere.
Anche perchè nel pacchetto sarebbero inclusi anche tre tecnici d’area graditi a Forza Italia. Non tre ministri riferibili al partito degli azzurri, ma uomini in quota Lega concertati con lo stato maggiore forzista.
Tutto ancora in alto mare. Lo si capisce anche dal tweet di Salvini che rispolvera la vecchia narrazione sulle ruspe anti-rom, in barba agli avvertimenti lanciati oggi da Sergio Mattarella contro il populismo e il sovranismo.
“Abbiamo chiesto due tre giorni al presidente Mattarella per chiudere tutto, se si chiude. Sennò si vota”, dice il leader leghista.
Per dare linfa all’avanzare dell’accordo, al termine della prima riunione tecnica sul programma è stato diffuso un comunicato congiunto dai toni al limite dell’entusiasmo
Un tavolo, quello sulle future proposte di governo, che ha anche il compito di fungere da luogo di decantazione della trattativa, nel quale i due contraenti possono accelerare e frenare a seconda di come si sta mettendo il match su premier e ministri.
Ma se i tatticismi sono pur veri, è da sottolineare come manchi totalmente qualsiasi riferimento al conflitto d’interessi, tema caro ai 5 Stelle e rilanciato ancora oggi in molte dichiarazioni pubbliche come al centro della discussione.
Sempre Spadafora a Porta a Porta assicura che “nel contratto ci sarà “, ma intanto nella lista ufficiale non compare.
Un segnale preciso nei confronti di Arcore, che continua ad essere il gigantesco elefante nel salotto in cui Salvini e Di Maio stanno dando vita a una partita a poker dalle regole bizzarre: tutti devono risultare vincitori.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: governo | Commenta »
Maggio 10th, 2018 Riccardo Fucile
IN VENETO E LOMBARDIA LA DISOCCUPAZIONE E’ SCESA AI LIVELLI DELLA GERMANIA, L’ALLARME DELLE PMI METTE A NUDO LE BALLE DEL CIALTRONE PADAGNO
Primo punto (sorretto dai numeri): nel Nordest ma anche in Lombardia e in Emilia la ripresa
economica è ormai un fatto consolidato e la disoccupazione è scesa ai livelli della Germania.
Secondo punto (un timore per il momento): fatichiamo a trovare manodopera sufficiente a sorreggere questo boom «dunque speriamo che gli immigrati non decidano di tornare nei loro paesi di origine».
Carlo Valerio, presidente della Confapi di Padova (vale a dire l’associazione che raggruppa le piccole e medie imprese del suo territorio) si spinge a dire ciò che fino a oggi nessuno aveva osato e cioè che l’economia italiana potrebbe avere presto bisogno di chi arriva dall’estero.
Il tutto, inutile girarci attorno, in un territorio a forte trazione leghista e che ha contribuito in modo determinante al successo elettorale di Salvini.
Il punto di partenza di Valerio è uno studio condotto dalla sua associazione sulla base di dati di Eurostat: nel 2017 – ecco il punto focale della ricerca – la disoccupazione in Veneto si è attestata al 6,3%, simile al 6,4 della Lombardia e al 6,6 dell’Emilia.
Un dato che spinge il nuovo triangolo industriale italiano fuori dalla crisi lo mette al passo con la germania anche se l’Est Europa fa ancora meglio (Romania 4,6%, Ungheria 3,9, Repubblica Ceca 2,3).
Se si prende poi Padova come punto d’osservazione si scopre che nell’ultimo anno sono nati 6.370 nuovi posti di lavoro, 2.000 dei quali appannaggio di cittadini stranieri.
«Da queste statistiche – osserva Valerio – discendono due considerazioni: La prima: la ripresa è in essere. La seconda: ci sono settori interamente occupati da stranieri. Cosa accadrebbe se queste persone rientrassero nei loro paesi di origine dove oggi esiste quell’offerta di lavoro che ieri mancava? Il tema è scomodo e può non piacere ma credo vada affrontato con più programmazione e meno demagogia».
«Il nuovo boom diverso dagli anni ’90»
Carlo Valerio è titolare di un’azienda che produce materiali per l’edilizia il 90% dei quali vengono venduti all’estero.
Primo interrogativo: la ripresa dunque c’è davvero?
«Da noi c’è di sicuro e per il 2018 le aspettative sono per un’ulteriore crescita. Alcuni settori, come la meccanica di precisione si stano rivelando trainanti».
Ma c’è differenza rispetto al boom che negli anni ’90 fece conoscere al mondo ilo fenomeno del Nordest?
«Eccome. Stavolta è molto più legato alla qualità del prodotto, poggia su basi più solide che derivano dal fatto che le aziende hanno investito molto in tecnologia e hanno ampliato l’orizzonte dei loro mercati».
I timori della grande fuga
Ma da dove nasce il timore che il nuovo boom possa essere frustrato dalla fuga dei lavoratori stranieri? «Da un ragionamento semplice. Le imprese fanno già oggi fatica a trovare gli operai sufficienti a sostenere la ripresa poichè i giovani, sbagliando, rivolgono le loro scelte altrove. Occorre far ricorso agli stranieri ma nei loro Paesi stanno accadendo due cose: anche lì la ripresa è in atto e la richiesta di manodopera è ancora più alta che da noi. Dunque potrebbero decidere di fare ritorno a casa loro, aprendo ulteriori falle nel nostro sistema».
Insomma, c’è ancora bisogno di immigrati in veneto e nel Nord in generale?
«Se si parla di immigrati tutti si agitano, se le chiamiamo risorse lo stesso. Allora diciamo che sono persone, lavoratori che se arrivano qui con volontà di integrarsi e di rispettare le nostre regole troveranno un futuro».
Anche perchè i livelli di stipendio che garantisce il Nordest non sono certo quelli della Romania o della Repubblica Ceca…«Per il momento è così, ma la dinamica potrebbe presto cambiare».
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 10th, 2018 Riccardo Fucile
UNO STUDIO DEL SENATO METTE A NUDO LA STRONZATA PROPOSTA DAL M5S: ELIMINARLI COSTA PIU’ DEL “RISPARMIO GENERATO DAL RICALCOLO DELLE PENSIONI DEGLI EX PARLAMENTARI”
Mentre proseguono le trattative per la formazione di un governo M5S-Lega il Parlamento continua a lavorare su un tema molto caro ai 5 Stelle: l’abolizione dei vitalizi.
Per la verità ad occuparsi della questione sono gli uffici di Presidenza di Camera e Senato dove, secondo il progetto dei pentastellati, si deciderà come rimuovere l’odioso privilegio dei senatori e parlamentari che hanno svolto il loro mandato parlamentare prima della riforma del 2011 che li ha aboliti.
La proposta è quella di ricalcolare l’assegno previdenziale in base al sistema contributivo. OLtre a essere incostituzionale per molti costituzionalisti, ora emerge che potrebbe essere anche “poco conveniente” farlo.
Quanto costa l’abolizione dei vitalizi?
Oggi Repubblica rivela l’esistenza di un documento elaborato dai tecnici del Senato “ad uso interno” per il collegio dei questori, ovvero l’ufficio dei parlamentari che ha il compito di predisporre il progetto di bilancio e si occupa della gestione gestione dei fondi a disposizione del Senato (lo stesso vale anche per la Camera).
Secondo questo documento il ricalcolo dei vitalizi (in questo consiste la cosiddetta abolizione) comporterebbe la restituzione ai senatori delle tasse pagate sui contributi tra il 1993 e il 2011 (hanno in cui i vitalizi propriamente detti hanno cessato di esistere).
Applicando anche ai parlamentari la riforma Fornero però quei contributi tornerebbero ad essere esentasse (altrimenti sarebbero considerati alla stregua di un premio assicurativo).
§A quel punto gli ex parlamentari avrebbero ragione di chiedere indietro le tasse pagate in passato e ora non più dovute.
Risultato dell’operazione: il Senato dovrebbe restituire 51,4 milioni di euro.
Questo a fronte di un risparmio che sarebbe probabilmente in linea con quello della Camera, anche se in misura minore visto che Palazzo Madama ha 320 senatori contro i 630 deputati che siedono a Montecitorio.
La stessa restituzione dovrebbe farla la Camera nei confronti dei deputati con vitalizio.
A farla grande quindi si risparmierebbero 30 milioni di euro a fronte di una spesa per la restituzione delle tasse non più dovute che ammonta — calcola l’associazione degli ex parlamentari — ad un totale di 150 milioni di euro per il periodo che va dal 2001 al 2011.
I parlamentari potrebbero poi anche chiedere la restituzione del contributo di solidarietà che però a questo punto potrebbe essere incompatibile con un ulteriore “taglio”.
Insomma “abolire i vitalizi” finirebbe non con un risparmio per lo Stato ma per una perdita.
Pensate che cervelli ci sono dietro a questa proposta, perorata da M5S e Lega
(da “NextQuotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 10th, 2018 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE RICORDA IL PERIMETRO EUROPEISTA E FILO-ATLANTICO PER EVITARE EQUIVOCI
Certo, l’intervento era in calendario da tempo. Non è che stato programmato ieri, appena si è avviata
la trattativa tra Salvini e Di Maio. Però è chiaro che le parole del capo dello Stato precipitano — consapevolmente – nel delicato contesto. E, in qualche misura, ne fissano un perimetro invalicabile.
Che cosa significa, oltre a una personale e radicata convinzione, quell’invito alla riscoperta dell’Europa come “grande disegno sottraendoci ai particolarismi e a narrative sovraniste capaci di proporre soluzioni tanto seducenti e pronti ad attribuire inattuabilità alla stessa Unione?.
Detta in modo un po’ tranchant, non è un siluro all’accordo che vede come protagonista una forza, la Lega, dichiaratamente sovranista e particolarmente attiva nella seduzione anti-europeista. È piuttosto un modo per evitare che l’accordo in via di definizione, una volta siglato, si impigli in una serie di imbarazzi, tensioni, equivoci proprio col Quirinale, nella quotidianità dell’azione del governo.
Insomma, che nasca male nella sua cornice fondamentale.
Perchè di questo si sta parlando, della sua cornice fondamentale del governo che verrà : il rispetto per la Costituzione, l’osservanza dei trattati internazionali, il rispetto degli impegni europei.
Questioni che scontate non sono a rileggere le esuberanti posizioni espresse in campagna elettorale e non solo da Salvini.
Immaginate, per dirne una, ministro degli Interni del futuro governo ripetere uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale sovranista: “Non vi prendete gli immigrati? E allora noi non votiamo il bilancio comunitario”.
Oppure un ministro degli Esteri ripetere, alla prossima crisi internazionale, quelle frasi di Salvini sulle “mani sporche di sangue” che tanto scandalizzò americani e cancellerie europee.
Ecco, per evitare un “dopo” all’insegna del reciproco imbarazzo, tra governo e Quirinale, è sensato chiarire prima il perimetro del governo di un paese occidentale, inserito in uno storico e consolidato sistema di alleanze e quadro di valori.
“Prima” significa in queste ore in cui si sta sviluppando — anzi pare ben avviato — un negoziato su programmi e assetti di governo.
Perchè, come noto, il capo dello Stato non è il destinatario passivo che deve solo ratificare le scelte dei partiti sulla compagine dei ministri, ma ha un ruolo attivo, fissato dalla Costituzione di cui è garante.
I tanti che si domandano come si comporterà Mattarella quando il presidente del Consiglio incaricato gli porterà la lista dei ministri troveranno facile risposta sfogliando un buon manuale di diritto costituzionale dove si spiega l’articolo 92 della Costituzione: “Il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”.
Ha cioè il potere di nomina. In parecchi ricordano i tanti casi in cui questo potere fu legittimamente esercitato, producendo un assetto diverso rispetto alle proposte dell’incaricato, come quando Oscar Luigi Scalfarò evitò di nominare Cesare Previti alla Giustizia, secondo le indicazioni dell’allora premier Silvio Berlusconi. E in quel governo giurò da ministro della Difesa.
E così come allora, ai tempi del cortocircuito tra politica e giustizia, era sensibile la casella del dicastero di via Arenula, adesso saranno esaminate con particolare attenzione quei ministeri chiave, come Interni, Esteri, Economia, attorno ai quali si possono creare equivoci — su immigrazione, politiche internazionali, conti — di compatibilità col quadro europeo.
Equivoci che, al momento, pare che non ci saranno. Perchè filtra dai tavoli della trattativa che Di Maio e i suoi sherpa sono i primi a non voler suscitare preoccupazioni al Colle.
E, in tal senso, anche la presenza di Giancarlo Giorgetti al tavolo del programma è una indicazione in tal senso. Il Richelieu di Salvini, unico leghista nella commissione dei saggi nominata dall’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, è uomo — diversamente dal suo leader — di provata fedeltà atlantica e, diversamente dagli economisti alla Borghi, diciamo così meno sovranista nell’approccio con Bruxelles. Segnali che, almeno così pare, non si starebbe formando una specie di governo Orban all’italiana.
Sergio Mattarella, comunque, ha accordato tempo fino a domenica ai partiti, quando dovrebbe arrivare una telefonata per comunicare che c’è un accordo.
E si potrà procedere come sempre avvenuto: il capo dello Stato affida un incarico, l’incaricato accetta con riserva, magari consulta i gruppi, poi torna dal capo dello Stato con la lista dei ministri e il Colle, appunto, li nomina su proposta dell’incaricato.
Una prassi consolidata, prevista dalla Costituzione, che si spera non venga innovata pubblicando sui social i nomi del futuro governo già domenica sera.
Anche in questo caso, per evitare fastidiosi imbarazzi.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: governo | Commenta »
Maggio 10th, 2018 Riccardo Fucile
DEL PRIMO NON SI PARLA PIU’ NEL DOCUMENTO, IL SECONDO DIVENTA UN GENERICO “POTENZIAMENTO DEI CENTRI PER L’IMPIEGO”, ANCHE LA FORNERO NON SARA’ ABOLITA MA “SUPERATA”
Il grillino Alfonso Bonafede lascia la riunione tra gli sherpa M5s e quelli della Lega, “un mini consiglio dei ministri”, secondo qualcuno, e sostiene: “Legge sul conflitto di interessi? Ne abbiamo parlato e non c’è nessun problema”.
Mezz’ora dopo però viene pubblicata la nota congiunta dei due partiti con i temi che sono sul tavolo e che saranno inseriti nel programma di governo: la legge sul conflitto di interessi non c’è nell’elenco.
C’è piuttosto il reddito di cittadinanza ma viene specificato che si inizierà con il potenziamento dei centri per l’impiego e c’è la flat tax, misura molto cara a tutto il centrodestra.
Si parla anche di lotta alla corruzione ma non si va nello specifico. Insomma, senza la legge sul conflitto di interessi e con la flat tax si è davanti a un programma che a Silvio Berlusconi può piacere.
Anche se ancora i contenuti sono tutti da scrivere, le coperture da trovare e nelle prossime ore i tecnici si occuperanno dei conti affinchè una prima bozza del programma sia pronta già domenica.
M5s e Lega si sono seduti attorno a un tavolo e il dialogo è iniziato. Dove porterà ancora non è dato saperlo.
“Il reddito di cittadinanza e la flat tax saranno le misure principali sulle quali opereremo”, l’arco temporale per realizzarle è “il 2019”, viene garantito dagli M5s al termine dell’incontro.
Da sottolineare che non si parla più di abolizione della Legge Fornero, ma di superamento, perchè trovare le coperture è piuttosto complicato.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: governo | Commenta »
Maggio 10th, 2018 Riccardo Fucile
PER 10 ANNI GRILLO E I SUOI AMICI HANNO ATTACCATO LA SINISTRA PERCHE’ NON FACEVA UNA LEGGE SUL CONFLITTO D’INTERESSI, ORA LORO STANNO FACENDO LO STESSO
C’è un sillogismo semplice su cui oggi i più fedeli simpatizzanti del Movimento 5 Stelle potrebbero
spendere una piccola riflessione razionale, se si riesce ad andare oltre gli aspetti emotivi, oltre l’attaccamento di bandiera e di comunità .
Gianni Letta e Fedele Confalonieri – non è un segreto – hanno fatto pressioni molto forti su Berlusconi perchè accettasse di vincere il suo l’orgoglio e consentisse la nascita di questo possibile governo M5s-Lega.
Letta e Confalonieri sono da sempre i garanti delle aziende e degli affari di Berlusconi. Sono quelli che pensano alla salute del Gruppo, alle conseguenze della politica nei mille interessi economici: televisioni, cinema, stampa periodica e libraria, assicurazioni, banche, edilizia, immobiliare etc.
Confalonieri svolge questo lavoro in prima linea, in azienda, a Milano; Letta a Roma, nei rapporti con la politica.
Entrambi – così come del resto anche B. – sono uomini di trattativa, di negoziazione, di valutazione su guadagno/perdita in ogni mossa.
Le loro pressioni per la nascita di questo governo sono quindi spiegabili solo sulla base di una loro ragionevole certezza (o quanto meno di una maggiore probabilità ) relativa al buon trattamento del Gruppo e del suo proprietario da parte della futura maggioranza e del futuro esecutivo.
Insomma, questo sta avvenendo, anzi forse è avvenuto: forse non con una trattativa diretta – più probabilmente con una negoziazione mediata dalla Lega – tuttavia il M5S sta facendo proprio quello che in questi vent’anni è stato (non a torto) imputato ai Ds e al Pd, a Massimo D’Alema e Luciano Violante: piegarsi a Silvio Berlusconi per quanto riguarda il suo gigantesco conflitto d’interessi e la salvaguardia dei suoi affari.
Dal 1994 – quando Silvio Berlusconi entrò direttamente in politica per mettere in sicurezza le sue aziende dopo la sparizione dalla scena dei suoi referenti al potere, Craxi e Andreotti — l’anomalia italiana di un leader che usa la politica esclusivamente a fini personali e aziendali è stato il filo rosso di uno scontro che ha segnato tutto il conflitto politico.
Una delle principali ragioni che hanno portato alla nascita del Movimento 5 Stelle è stata proprio la contestazione della timidezza – al limite della complicità — con cui la rappresentanza partitica e parlamentare del centrosinistra affrontava la questione Berlusconi.
Il popolo grillino è stato una componente fondamentale del No Berlusconi Day, il 5 dicembre 2009, tra i cui organizzatori c’erano futuri parlamentari M5s come Enza Blundo e Daniela Donno — e anche Roberta Lombardi era in piazza San Giovanni, mentre Vito Crimi organizzava i pullman da Brescia.
E poi: «Qui o si risolve il conflitto di interessi o continueremo a prenderlo in quel posto» (Beppe Grillo, 14 gennaio 2007); «Il nome di un pregiudicato, leader di un partito nato con la mediazione della mafia che ha beneficiato di leggi ad personam per la prosperità delle sue imprese a partire da Bottino Craxi sarebbe il primo della “lista di proscrizione”» (Beppe Grillo, 8 marzo 2015); «Il M5S vuole una legge seria sul conflitto d’interessi» (Danilo Toninelli, 23 febbraio 2016).
E queste sono solo alcune: le citazioni sul conflitto d’interessi di Berlusconi da parte del M5S e del suo fondatore sono infinite. La Rete non dimentica, come dice spesso lo stesso Grillo.
Dove è finito oggi tutto questo?
L’appeasement con Berlusconi, la sparizione dalla prospettiva di una legge sul conflitto d’interessi, la trattativa seppur indiretta per non toccare le sue aziende: già oggi – e perfino se alla fine il governo non dovesse nascere per la questioni dei “nomi” su cui cui si sta discutendo – questa è per il Movimento 5 Stelle una sconfitta epocale.
Una sconfitta morale, strutturale, identitaria, culturale.
(da “L’Espresso”)
argomento: Costume | Commenta »
Maggio 10th, 2018 Riccardo Fucile
“AVETE FATTO UN COMPROMESSO SPORCO CON UN LOSCO PERSONAGGIO”
“Ma il reddito di cittadinanza lo fate, vero?”. “Questo è uno sporco compromesso”. “Salvini è al guinzaglio di Berlusconi”. “Perderemo i moderati di sinistra”. “Come spiegarlo ai sostenitori del Sud?”. “Le televisioni del Cav non ti daranno tregua”.
I militanti del Movimento 5 stelle si rivolgono così a Luigi Di Maio, educati alla democrazia diretta.
Nella scelta dei candidati, nell’elaborazione dei programmi, nel giudizio dei rappresentanti infedeli all’etica del movimento. Quella democrazia diretta che il leader evocava solo pochi giorni fa per insistere sull’incapacità di quella indiretta a concretizzare il volere espresso alle urne dai cittadini lasciando alle logiche strategiche dei partiti le decisioni sul governo da dare al Paese.
Poi, con il via libera di Berlusconi, il quadro è cambiato radicalmente. Il governo M5s-Lega si può fare. E la democrazia diretta torna a bussare, ma questa volta alla porta di Di Maio.
Rovesciando sul capo politico un lungo rosario di dubbi, paure e persino minacce.
E’ lo stesso Di Maio ad aprire la comunicazione attraverso un post+video sul Blog a Cinque Stelle, in cui conferma le “condizioni per un governo del cambiamento fra MoVimento 5 Stelle e Lega”
I militanti non se lo fanno dire due volte. Ma sono in maggioranza quelle che, criticamente, chiedono quasi retoricamente se per questo obiettivo vi sia un prezzo da pagare, passi indietro da fare proprio rispetto al totem “linearità , coerenza, linea politica” brandito online da Di Maio.
Contrappuntati da sporadici “orgoglioso di te” e un familiare “non rompete, lasciatelo lavorare”, si fanno largo gli scettici, i puristi, gli indignati, ma soprattutto quegli innamorati del M5s spaventati all’idea che Salvini arrivi per avvelenare i pozzi.
Che ne sarà del confitto di interessi e della legge anti-corruzione?
E poi, come spiegare agli italiani del Sud, dove il M5s ha fatto il pieno di voti, che si va al governo con chi li ha umiliati per decenni, per poi cancellare la parola “Nord” dal suo simbolo e spendersi in strumentali baci e abbracci?
Come conciliare nello stesso programma il reddito di cittadinanza pentastellato con la leghista flat-tax?
La risposta c’è: compromesso. Accettabile per chi è convinto che tornando alle urne non si sarebbe sfondata la soglia del 40% che avrebbe garantito un esecutivo monocolore. Non per chi nei passi indietro rispetto agli obiettivi fissati vede l’impantanarsi in logiche da prima repubblica a cui il M5s si è sempre detto refrattario.
Di seguito, divisi per aree tematiche, gli umori che attraversano la base pentastellata.
Berlusconi
Paolo: “Nooooo, un governo sotto l’ala di Berlusconi … non ci credo…..chiuso con la legge anticorruzione, la cancellazione del job’s act, la contrapposizione all’Europa, la tutela dei pensionati, il reddito di cittadinanza…addio…il peggior compromesso storico”.
“Questo è un compromesso sporco” taglia corto Alberto, con un intervento che mira soprattutto a svegliare il Fondatore del movimento. “Un compromesso fatto con una persona che fino a ieri è stato con i piu loschi personaggi della politica. State perdendo i principi per cui siete stati votati, non ci vuole un aquila per capire che Matteo Salvini avrà sempre il guinzaglio al collo di Berlusconi, sarete costretti a scendere a compromessi con Berlusconi come tutti gli altri. Non mi stupisce tanto Di Maio, ma che Beppe Grillo permetta tutto ciò”.
Salvini
Se il Caimano è una minaccia immanente, la base M5s vede il leader della Lega da più prospettive, dove il profilo del servitore degli interessi berlusconiani concorre con il leader di destra e il razzista che non se n’è mai andato.
Carlo condanna l’accordo senza se e senza ma: “State facendo un errore imperdonabile. Il governo con la Lega. Io non vi voto più. Non aiuterete sicuramente il Paese operando con il centrodestra di Berlusconi e Salvini. Siete un disastro”.
Fabio ci infila dentro anche l’ex segretario del Pd, ma soprattutto l’occasione perduta di conquistare definitivamente le simpatie dei delusi di sinistra. “Autogolo clamoroso! Renzi e Berlusconi stanno facendo festa sulle spoglie del M5s. Gli avete restituito vita con questa scelta che, al massimo, Salvini terrà in piedi per un anno. L’accordo con il peggior partito italiano, il partito di Gentilini, il sindaco sceriffo, il partito di Calderoli, Borghezio e infine lo stesso Salvini, è la peggior conclusione a cui si potesse arrivare. Si aveva la possibilità , con il nuovo voto, di terminare l’epoca renziana nel Pd e di ridurre Forza Italia al 9%. Si sta preferendo invece un accordo con la Lega Nord! Come lo si spiega al popolo del Centro-Sud? E come a tutti gli elettori moderati che provengono da sinistra, parte fondante del voto al Movimento? (…) Se farete questo accordo non potrete piu dire al Pd che si è macchiato di accordi col centrodestra, di fatto state facendo la stessa cosa (…)”.
Più freddo ma non meno duro il commento di Davide, chiuso da un inquietante mantra: “La Lega porta avanti molti valori che non hanno nulla in comune con il sentire della maggior parte delle persone che vi hanno dato la loro fiducia.”
Democrazia diretta
E si ritorna alla democrazia diretta. Perchè il Movimento 5 stelle, dopo averne fatto una bandiera, non potrà esimersi dal sottoporre alla base il testo dell’accordo di governo . Il timore si cela nell’auspicio formulato da Maurizio: “Spero ci darete la possibilità di votare sulla piattaforma Rousseau questa specie di ‘Contratto alla tedesca’. Sarà in quell’occasione che potrò e potremo esprimere tutto il mio e il nostro dissenso per questa forzatura ai nostri principi (…). Ricordati, caro Di Maio, che basta poco per gettare alle ortiche il consenso ottenuto in anni e anni col paziente lavoro vostro e delle migliaia di simpatizzanti e sostenitori”.
(da agenzie)
argomento: Grillo | Commenta »
Maggio 10th, 2018 Riccardo Fucile
“CHE FACCIANO, SE NE SONO CAPACI”: I RETROSCENA DELLE PRESSIONI SU BERLUSCONI PERCHE’ DESSE IL VIA LIBERA
L’ultima cosa che ha voluto sapere è stato il nome attorno a cui ruotava la trattativa per la presidenza
del Consiglio. «Salvini spinge su Giorgetti affiancato da due vice premier dei Cinquestelle», gli ha riferito Gianni Letta.
Sarà stato per curiosità o ancora per un briciolo di interesse, poco importa: per la prima volta nella sua lunga storia politica Berlusconi non è attore protagonista e neppure regista in una trattativa di governo che coinvolge il centrodestra.
D’altronde la coalizione non aveva più le sue sembianze da quando le urne si erano incaricate di assegnare il primato a Salvini.
Con il capo della Lega il Cavaliere non parla più da tempo, e anche ieri a tenere i contatti con Arcore è stato Giorgetti, verso il quale il leader di Forza Italia nutre affetto e ammirazione.
Ma è una simpatia personale, perchè i rapporti politici con i vertici del Carroccio si sono ormai consumati.
L’alleanza formalmente resta in piedi nei territori amministrati con la Lega, non fosse altro perchè minacciare la crisi delle giunte regionali e comunali sparse per l’Italia avrebbe potuto procurare a Berlusconi un’altra dolorosa scoperta: la presa di distanza di una parte consistente del suo stesso partito sui territori.
Già bastavano i sinistri scricchiolii nei gruppi parlamentari, meglio evitare.
Così l’ex premier ha ceduto e ha firmato la nota con cui sostiene di voler «togliere l’alibi» a Salvini e Di Maio: «Che si facessero il governo, se ne sono capaci».
La disistima nei loro confronti è pari alle pressioni di cui è stato oggetto: li considera «una rovina per il Paese».
Quando era ancora pomeriggio, a chi gli chiedeva di «dare una mano» per far nascere l’esecutivo, ha risposto di scatto: «Io non gli darei neppure un dito.».
Ed è andato a riposare, mentre il mondo gli faceva il girotondo e aspettava il suo pronunciamento. «Ne riparliamo».
Invece la linea Maginot è stata aggirata dai tanti conflitti d’interesse che reclamavano un suo «gesto di responsabilità ». E il Cavaliere, stritolato da questo singolare paradosso, ha firmato quella che somiglia tanto ad una resa. Perchè non votare la fiducia è cosa assai diversa dall’idea di annunciare un voto contrario del suo partito. Salvini però non lo avrebbe accettato e avrebbe aperto le porte dell’inferno: il voto anticipato.
Certo, strada facendo si vedrà se la scommessa di governo del leader leghista avrà successo. Certo, in qualsiasi momento Berlusconi potrà denunciare il fallimento dell’esperimento.
Ma i numeri in Parlamento lo relegano a un ruolo marginale: non sarà lui a poter staccare la spina.
(da “Il Corriere ella Sera”)
argomento: Berlusconi | Commenta »
Maggio 10th, 2018 Riccardo Fucile
SOLO DUE GIORNI FA UN ALTRO MEZZO SI ERA INCENDIATO IN VIA DEL TRITONE… LA MANUTENZIONI DELL’ATAC E’ FERMA DA TEMPO PERCHE’ LA RAGGI NON HA RINNOVATO IL CONTRATTO
Ancora un bus a fuoco in centro a Roma.
I vigili del fuoco sono intervenuti a piazza Venezia, dove un principio di incendio si è sviluppato a bordo di un bus dell’Atac, il 46.
Secondo Atac non ci sarebbero state conseguenze per i passeggeri.
Il principio di incendio è stato causato da un corto circuito. Il rogo è stato contenuto anche grazie al conducente che avrebbe usato l’estintore.
Solo due giorni fa un altro mezzo, della linea 63, si era incendiato in via del Tritone.
Ieri sera invece attimi di paura a bordo di un altro autobus di linea che percorreva via dei Fori Imperiali.
A causa di un’avaria al motore è scattato il sistema antincendio sul bus della linea 85 che si trovava all’altezza del Vittoriano.
Il conducente ha fermato il mezzo e ha fatto scendere i circa 100 passeggeri a bordo, tra cui molti turisti.
A transitare in quel momento una pattuglia dei carabinieri del comando piazza Venezia che si è fermata a prestare assistenza ai passeggeri e all’autista.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Roma | Commenta »