I PALETTI DI MATTARELLA: SPETTA A LUI L’ULTIMA PAROLA SUI NOMI DEI MINISTRI
IL PRESIDENTE RICORDA IL PERIMETRO EUROPEISTA E FILO-ATLANTICO PER EVITARE EQUIVOCI
Certo, l’intervento era in calendario da tempo. Non è che stato programmato ieri, appena si è avviata la trattativa tra Salvini e Di Maio. Però è chiaro che le parole del capo dello Stato precipitano — consapevolmente – nel delicato contesto. E, in qualche misura, ne fissano un perimetro invalicabile.
Che cosa significa, oltre a una personale e radicata convinzione, quell’invito alla riscoperta dell’Europa come “grande disegno sottraendoci ai particolarismi e a narrative sovraniste capaci di proporre soluzioni tanto seducenti e pronti ad attribuire inattuabilità alla stessa Unione?.
Detta in modo un po’ tranchant, non è un siluro all’accordo che vede come protagonista una forza, la Lega, dichiaratamente sovranista e particolarmente attiva nella seduzione anti-europeista. È piuttosto un modo per evitare che l’accordo in via di definizione, una volta siglato, si impigli in una serie di imbarazzi, tensioni, equivoci proprio col Quirinale, nella quotidianità dell’azione del governo.
Insomma, che nasca male nella sua cornice fondamentale.
Perchè di questo si sta parlando, della sua cornice fondamentale del governo che verrà : il rispetto per la Costituzione, l’osservanza dei trattati internazionali, il rispetto degli impegni europei.
Questioni che scontate non sono a rileggere le esuberanti posizioni espresse in campagna elettorale e non solo da Salvini.
Immaginate, per dirne una, ministro degli Interni del futuro governo ripetere uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale sovranista: “Non vi prendete gli immigrati? E allora noi non votiamo il bilancio comunitario”.
Oppure un ministro degli Esteri ripetere, alla prossima crisi internazionale, quelle frasi di Salvini sulle “mani sporche di sangue” che tanto scandalizzò americani e cancellerie europee.
Ecco, per evitare un “dopo” all’insegna del reciproco imbarazzo, tra governo e Quirinale, è sensato chiarire prima il perimetro del governo di un paese occidentale, inserito in uno storico e consolidato sistema di alleanze e quadro di valori.
“Prima” significa in queste ore in cui si sta sviluppando — anzi pare ben avviato — un negoziato su programmi e assetti di governo.
Perchè, come noto, il capo dello Stato non è il destinatario passivo che deve solo ratificare le scelte dei partiti sulla compagine dei ministri, ma ha un ruolo attivo, fissato dalla Costituzione di cui è garante.
I tanti che si domandano come si comporterà Mattarella quando il presidente del Consiglio incaricato gli porterà la lista dei ministri troveranno facile risposta sfogliando un buon manuale di diritto costituzionale dove si spiega l’articolo 92 della Costituzione: “Il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”.
Ha cioè il potere di nomina. In parecchi ricordano i tanti casi in cui questo potere fu legittimamente esercitato, producendo un assetto diverso rispetto alle proposte dell’incaricato, come quando Oscar Luigi Scalfarò evitò di nominare Cesare Previti alla Giustizia, secondo le indicazioni dell’allora premier Silvio Berlusconi. E in quel governo giurò da ministro della Difesa.
E così come allora, ai tempi del cortocircuito tra politica e giustizia, era sensibile la casella del dicastero di via Arenula, adesso saranno esaminate con particolare attenzione quei ministeri chiave, come Interni, Esteri, Economia, attorno ai quali si possono creare equivoci — su immigrazione, politiche internazionali, conti — di compatibilità col quadro europeo.
Equivoci che, al momento, pare che non ci saranno. Perchè filtra dai tavoli della trattativa che Di Maio e i suoi sherpa sono i primi a non voler suscitare preoccupazioni al Colle.
E, in tal senso, anche la presenza di Giancarlo Giorgetti al tavolo del programma è una indicazione in tal senso. Il Richelieu di Salvini, unico leghista nella commissione dei saggi nominata dall’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, è uomo — diversamente dal suo leader — di provata fedeltà atlantica e, diversamente dagli economisti alla Borghi, diciamo così meno sovranista nell’approccio con Bruxelles. Segnali che, almeno così pare, non si starebbe formando una specie di governo Orban all’italiana.
Sergio Mattarella, comunque, ha accordato tempo fino a domenica ai partiti, quando dovrebbe arrivare una telefonata per comunicare che c’è un accordo.
E si potrà procedere come sempre avvenuto: il capo dello Stato affida un incarico, l’incaricato accetta con riserva, magari consulta i gruppi, poi torna dal capo dello Stato con la lista dei ministri e il Colle, appunto, li nomina su proposta dell’incaricato.
Una prassi consolidata, prevista dalla Costituzione, che si spera non venga innovata pubblicando sui social i nomi del futuro governo già domenica sera.
Anche in questo caso, per evitare fastidiosi imbarazzi.
(da “Huffingtonpost”)
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