Maggio 13th, 2018 Riccardo Fucile
L’ITALIA DIVISA, IL RUOLO DELLA BORGHESIA, LA CAPITALE IN DISFACIMENTO: “E’ CAMBIATO IL POPOLO COME E’ CAMBIATA L’ITALIA”
Il governo tra Movimento 5 stelle e Lega era al di là della sua immaginazione: “Va oltre un film dei Vanzina. Non ci siamo mai spinti fino ad azzardare tanto”.
Nei lavori cinematografici dei due fratelli che hanno raccontato, sotto la forma della commedia, la trasformazione della società italiana c’è, però, tutto il resto: “La borghesia italiana ha rinunciato al suo ruolo di classe dirigente. Ha scelto, anzichè di radicarsi nella cultura, di dedicarsi alle scopate, alle feste, a urlare sugli spalti degli stadi di calcio. Insomma, si è immignottita, soprattutto a Roma. Così, oggi, siamo l’unico grande paese europeo che può darsi un governo che prescinde totalmente dalla propria borghesia”.
Dopo aver raccontato i nuovi ricchi, gli yuppies, le finte bionde, gli imbecilli sgraziati degli anni ottanta, scritto film che, come Vacanze di Natale, hanno ritratto ferocemente la neo-Italia e i neo-italiani, facendoli ridere di loro stessi, Enrico Vanzina si è avventurato nel mistero di Roma, una delle poche capitali del mondo che rappresenta, per la sua nazione, un anti modello: “È una città rassegnata al presente, che non fa progetti e non ricorda”, la definisce.
Il suo romanzo, Una sera a Roma (Mondadori), è un giallo che racconta, oltre che il disfacimento della capitale d’Italia, l’amore travolgente per il cinema, lo svanire della tradizionale eterosessualità e l’affermarsi di gusti sempre più liquidi, sempre più multipli: “Claudio Strinati, durante una presentazione, ha detto che questo libro è l’unico libro che avrebbe potuto scrivere il protagonista de La Grande Bellezza, Jep Gambardella. Non ci avevo pensato. Potrebbe aver ragione”.
Ambientato in una Roma da fine d’epoca, nello sgretolarsi di certezze antiche, il romanzo di Vanzina offre uno sguardo sullo smarrimento italiano, sia nella vita privata, sia in quella pubblica: “Sono saltate categorie che hanno accompagnato la nostra vita per decenni. E sono saltate nel giro di pochissimi anni”.
Nel suo ufficio, dopo aver scorto nel corridoio un quadro umbratile di Federico Fellini, ci fa sedere di fronte a un dipinto in cui appare la faccia sbruffona di Alberto Sordi: “Silvio Berlusconi ha cercato di dare alla borghesia italiana una coscienza. Non ci è riuscito. Poi, una parte di quei voti borghesi, è andata al Partito Democratico. Infatti qui ai Parioli, tradizionale quartiere borghese, siamo in uno dei pochi posti in cui il Pd ha vinto a Roma”
Con quali conseguenze?
Che, votando a sinistra, la borghesia immignottita ha immignottito anche la sinistra. La quale si è trovata ad essere contaminata da una borghesia incolta, se non addirittura somara. E ha perso il contatto con la sua tradizionale vocazione popolare.
Vale per tutta la borghesia, questo discorso?
La borghesia torinese, oppure milanese, è diversa da quella romana: è più solida. Però, la borghesia descritta nei romanzi di Alberto Moravia degli anni 50 e 60 è completamente scomparsa.
Negli altri paesi c’è ancora?
In Francia, in Germania, in Gran Bretagna, la borghesia esiste ed è fiera di appartenere a questa classe sociale.
Di cosa è orgogliosa?
Di ciò che l’ha resa forte, l’investimento nello studio, nel sapere, nella fatica di aver conquistato la propria professionalità , la propria fortuna, grazie all’intraprendenza.
Perchè In Italia non è così?
Nella capitale d’Italia la borghesia non si è mai formata. Il sogno dei borghesi romani è avere una figlia che diventa principessa.
E nelle altre città ?
La grande borghesia industriale del nord Italia è quasi finita con la svendita dell’industria italiana. Rimane la piccola borghesia operosa del nord est, che vota per la Lega nord, ed è tutta un’altra cosa.
Il popolo, invece, è vivo?
Il popolo che hanno raccontato i film neorealisti non c’è più. È cambiato, come è cambiata l’Italia. Ma il popolo è ancora la coscienza di questo paese. Una coscienza divisa in classi, ceti, regioni, tradizioni, dialetti, culti, gusti sessuali, la cui somma rappresenta lo sguardo della nostra nazione su se stessa.
Anche lei si richiama al popolo?
Io ho avuto la fortuna di fare un lavoro da privilegiato, di viaggiare e conoscere il mondo, ma io amo l’Italia, mi commuovo quando sento l’inno nazionale, quando sto di fronte a un quadro del rinascimento, quando mangio nelle trattorie, quando sento parlare l’italiano con gli accenti, mi sento di appartenere totalmente al popolo.
Non aveva sofferto di essere associato agli italiani che raccontava nei film?
Insieme a mio fratello, abbiamo raccontato l’Italia che va in Vacanza a Cortina, i milanesi di Via Montenapoleone, il mondo della moda di Sotto il vestito niente, prendendo tutti per il culo. Era una critica spietata dell’Italia degli anni ottanta. Eppure, alcuni critici di sinistra, hanno creduto che noi fossimo i cantori di quella società . M’infastidì molto, allora. Ma oggi non è più così.
Si riconosce nella definizione di “popolare”?
Tutto quello che faccio, lo faccio per il popolo. E il cinema, in fondo, è null’altro che una grande regalo di felicità offerto alle classi popolari.
Il cinema racconta ciò che esiste o lo inventa?
La grande commedia italiana — quella di Pietro Germi, di Dino Risi, di Mario Monicelli, alcuni film di mio padre, grazie anche a sceneggiatori come Scarpelli, Sonego, Amidei — ha creato personaggi che non esistevano nella realtà , i quali però, dopo essere stati rappresentati sullo schermo, sono diventati più veri delle persone reali.
Vale anche per il cinema neorealista?
Roma città aperta, senza l’invenzione di un personaggio come Don Pietro Pellegrini, interpretato da Aldo Fabrizi, non sarebbe stato il capolavoro che è. La forza della finzione sta nel fatto che può rendere la realtà ancora più reale.
Può anche crearla?
Alberto Sordi ha osservato minuziosamente gli italiani per poterli interpretare. Poi, la sua maschera è diventata talmente forte che sono stati gli italiani a guardare lui per imitarlo.
Qual è la maschera degli italiani di oggi?
Quella di Checco Zalone, un attore che è stato capace di re-incarnare una figura classica della commedia all’italiana, quella del Re degli ignoranti.
Chi fu il primo a interpretarla?
Fu Totò, con la sua frase: “Ma mi faccia il piacere”. Esempio della diffidenza degli italiani per qualsiasi istituzione, forma, titolo, riconoscimento: tutti considerati, immancabilmente, una finzione. “Lei è onorevole? Ma mi faccia…
Che altri interpreti ha avuto?
Adriano Celentano negli anni ottanta, e, in parte, in un pubblico più politicizzato, più limitato, Nanni Moretti, il quale prendeva le mitologie della sinistra extra -parlamentare italiana e le distruggeva, riportandole alla realtà .
Zalone cosa coglie, invece?
Zalone attraversa i gusti sessuali, il rapporto con il lavoro e con la famiglia che hanno le persone di questo paese e ridicolizza tutto il politicamente corretto in cui sono avvolti. Per cui, c’è un ragazzo che fa uno stage e viene insignito da un solenne qualifica in lingua inglese? Lui arriva e gli dice la verità : “Ti stanno prendendo per il culo”.
I Re degli ignoranti, come definiscono alcuni Di Maio e Salvini, sono arrivati al potere?
La politica non è questione di cultura. È avere un sogno, e la capacità di capire gli umori del paese, trovando il modo di realizzare qualcosa di nuovo. Anche facendo compromessi.
Salvini e Di Maio non li stanno facendo?
Sì, li stanno facendo. Ma una vecchia regola, saltate tutte le altre, rimane e prescrive di non bluffare. In politica, il bluff non solo viene scoperto immediatamente, ma crea gravi danni. E temo che su molti punti del loro “contratto” grillini e leghisti stiano bluffando.
Si poteva fare qualcos’altro?
Credo che l’Italia debba sperimentare questa nuova fase della sua politica. Nel bene e nel male. Sarebbe un insulto alla democrazia non far governare le forze che hanno vinto le elezioni.
Ce la faranno?
Renzi e Berlusconi guardano dalla finestra sperando nella catastrofe. Io, invece, che pure sono politicamente dalle loro parti, non mi auguro il disastro. Tifo per il bene del paese. Se governeranno bene, evviva. Se governano male, ci saremo tolti di mezzo l’ equivoco populista e potremo ricominciare daccapo riannodando il tema — secondo me insuperabile — della democrazia: alternanza tra una visione progressista e una conservatrice.
È fiducioso?
Credo che adda passà a’ nuttata.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 13th, 2018 Riccardo Fucile
LA SQUADRA DI STUDENTI E DOPOLAVORISTI CHE HANNO CONQUISTATO TRE PROMOZIONI CONSECUTIVE, FINO AL SOGNO DELLA SERIE C… CHI LAVORA IN OFFICINA, CHI IN LABORATORIO, CHI STUDIA
Per molti milanesi (e torinesi), piccolo borghesi e operai, è stata una classica cartolina dalle vacanze
che si riceveva dalla nonna o dai cugini in estate e pure in inverno: Albissola, alle porte di Savona, uno dei quei tanti borghi che si allineano a Ponente, nella Liguria più popolare e meno patinata.
E solo in un contesto del genere, similbritannico quasi come le fabbriche di ceramica (un altro vanto del luogo) lungo il torrente Sansobbia, poteva nascere la leggenda del Leicester della Riviera, l’Albissola calcio: una squadra di studenti, lavoratori e una manciata di professionisti che in tre anni ha scalato tutte le categorie, arrampicandosi dalla Promozione alla Serie C, per la prima volta nella sua storia, dopo un’entusiasmante cavalcata in D con ben dieci vittorie consecutive.
Per di più, mettendo fine ad antichissime rivalità di campanile: Albissola infatti con due esse è quella Marina, 5000 abitanti e confina con Albisola con una esse sola, divise solo dal fiume e dalla vocazione, la prima i turisti, la seconda le industrie. Avevano provato a unirsi con un referendum, nel 2006, bocciato.
«La nostra impresa li ha messi d’accordo tutti, i tifosi di entrambe le cittadine si sono incontrati sul ponte per festeggiare la promozione. E Albissola, al di là delle esse, è stata una cosa sola» racconta Lorenzo Barlassina, direttore tecnico della squadra dal lontano 1993, insieme al presidente Mirco Saviozzi.
Quando l’Albissola «era una delle tante squadre che affollavano la terza categoria e i nostri tesserati erano solo trenta. Ma sognavamo di diventare il Chievo, un giorno».
E l’uomo delle favole è Gianpiero Colla, big dell’alluminio a Torino che ha incrociato la strada dell’Albissola tre anni fa: un incontro anch’esso balneare «Ci siamo conosciuti giù ai bagni, voleva investire nel settore giovanile. Poi si è innamorato del progetto ed eccoci arrivati in C».
Ma senza alcun genere di follie, assicura il direttore sportivo Mimmo Nuzzo: «Il nostro stipendio massimo arriva a 30.000 euro all’anno per i due o tre professionisti che abbiamo in squadra come gli argentini Gargiulo e Garbini. Il resto è tutta gente che concilia studio, lavoro e calcio, sacrificandosi non poco».
Vedi il capitano Davide Sancinito, 30 anni: al mattino armeggia su telai e vernici nella carrozzeria dei genitori ad Albenga, al pomeriggio va ad allenarsi nel campetto in erba sintetica: «Adesso la stanchezza inizia a farsi sentire, anche se poi passa, pensando a questa promozione, per me che ho giocato in tante squadre liguri minori, una soddisfazione enorme».
Vedi Riccardo Piacentini, anni 27, che si occupa di microscopi a Genova in un laboratorio di precisione: «Forse là ho affinato l’arte di fare gol all’angolino, scherza. Di sicuro, una delle cose che mi rende più fiero e che i ‘foresti’ ovvero i milanesi-torinesi che vengono qui tutte le estati non ci conosceranno più solo per i bagnasciuga».
(da “La Repubblica”)
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Maggio 13th, 2018 Riccardo Fucile
“DOVE C’ERA UNA STANZA DEL BUCO ORA SPACCIAMO LIBRI”
“A Scampia ci sono trentamila studenti, ma un ragazzo per comprarsi un libro doveva farsi otto chilometri perchè nel quartiere non c’erano librerie”.
Rosario Esposito La Rossa ha quasi trent’anni ed è l’editore della Marotta e Cafierro. Dallo scorso autunno è diventato il primo libraio di Scampia grazie all’apertura della “Scugnizzeria”.
“Per oltre quarant’anni non abbiamo avuto una libreria nel quartiere — racconta La Rossa che nel 2004 ha perso il cugino Antonio Landieri, vittima innocente della camorra — ma oggi possiamo dire che dove c’era una stanza del buco oggi spacciamo libri”. –
I 140 metri quadri della libreria ospitano anche attività e laboratori dedicati proprio agli “scugnizzi” per evitare che finiscano nelle mani della camorra: “Nessuno credeva che in questo quartiere fosse possibile aprire una libreria, ma oggi abbiamo vinto questa scommessa”
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2018 Riccardo Fucile
STUPRO FIRENZE, PARLA UNA DELLE STUDENTESSE: “TUTTE LE DONNE HANNO DIRITTO DI SENTIRSI AL SICURO”
“Crying for this small win”. Piange per “questa piccola vittoria” una delle due studentesse americane
che accusano di stupro i carabinieri Marco Camuffo e Pietro Costa.
La piccola vittoria, come la chiama lei, è il “licenziamento” dei due militari, destituiti dal ministero della Difesa su proposta dell’Arma al termine dell’indagine disciplinare aperta dopo la denuncia della scorsa estate.
Intervistata da La Repubblica, la ragazza 21enne parla di una “vittoria che non è solo per me, ma per tutte le donne le cui voci contano, e che hanno il diritto di sentirsi al sicuro non solo in paesi stranieri ma anche tra i rappresentanti onesti della legge”. Un “provvedimento meritato”, dice la studentessa poche ore dopo l’intervento dell’avvocato che difende Camuffo, certo che il processo penale accerterà “che non c’è stata alcuna violenza”.
Il carabiniere, dopo il provvedimento adottato nei suoi confronti, si è definito “devastato”. “Lui si sente devastato? Non so cosa potrei rispondergli — afferma la 21enne a Repubblica — Davvero non mi dispiace per lui“.
La ragazza, che ora si trova negli Stati Uniti, dice di aver “sempre creduto che sarebbe stata presa la decisione giusta” e le “fa ben sperare anche in vista di un futuro processo”.
Oltre che di un ‘segnale’ sul tema della violenza sulle donne: “Ogni donna che denuncia, incluse me e la mia amica, aiuta le altre a farsi avanti e a superare le orribili esperienze. Non siamo sole“, conclude la ragazza spiegando che sta “cercando di superare il ricordo e recuperare le mie forze” sostenendo con la sua amica “nei giorni più brutti”.
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2018 Riccardo Fucile
QUATTRO I LAVORATORI COLPITI DAL LIQUIDO
“Una “bomba, qui è tutto bruciato”. La siviera che trasportava la colata di acciaio incandescente è venuta giù poco prima delle 8, mentre quattro operai erano vicini alla “cesta” che trasporta il materiale fuso nel reparto fonderia delle Acciaierie Venete, a Padova.
“C’è stato un cedimento strutturale del supporto” della siviera che trasporta fino a 90 tonnellate di acciaio fuso, dicono fonti sindacali ed era stato appena “manutenuto”.
In due, entrambi dipendenti dell’azienda, sono stati investiti da una “bomba di aria calda” e hanno riportato ustioni sul 100% del corpo.
Sono ricoverati in gravissime condizioni negli ospedali di Padova e Cesena. Gli altri due sono stati raggiunti dagli schizzi della colata: uno ha ustioni sul 70% del corpo, l’altro è il meno grave. Entrambi sono dipendenti di una ditta che lavora in appalto all’interno degli impianti. I quattro — due italiani, un rumeno e un moldavo — hanno un’età compresa tra i 35 e i 44 anni.
Le vittime del grave incidente sono Marian Bratu, nato in Romania e residente a Cadoneghe, che è stato portato in elicottero al centro grandi ustionati di Cesena, Simone Vivian, nato a Dolo ma residente a Vigonovo, David Di Natale e Federic Gerard nato in Francia e ora residente a Santa Maria di Sala, ricoverati all’ospedale di Padova.
Le fonti sindacali raccontano di uno scenario di “guerra”.
I due operai più gravi sono stati portati via nudi dallo stabilimento: “Le divise sono state bruciate dal getto di aria calda. Uno di loro — spiegano fonti qualificate a IlFatto.it — era incosciente, l’altro è riuscito ad avvisare la moglie“. Sono i due per i quali le condizioni sono più critiche.
Sul posto, oltre all’elisoccorso, sono giunti anche i vigili del fuoco per spegnere l’incendio che si è sviluppato a causa della fuoriuscita della colata incandescente.
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2018 Riccardo Fucile
IL COLOSSO DEL CAFFE NESPRESSO E LA RISTRUTTURAZIONE IN ATTO NEI TRE STABILIMENTI SVIZZERI
Nespresso, numero uno mondiale del caffè in cialde, secondo i sindacati elvetici si comporta con il
personale “da padrone del vapore”.
Di recente il gruppo, che fa capo a Nestlè, ha deciso di ridurre da 5 a 4 i turni di produzione nei suoi stabilimenti di Orbe, Avenches e Romont, dove lavorano complessivamente 2.300 persone. E dove vengono fabbricate le cialde.
Una vera e propria rivoluzione, nel modello organizzativo dell’azienda.
Ma c’è di più: alcune settimane lavorative potranno durare 58 ore. “Prima ero contento di lavorare per Nespresso ma, con il prospettarsi di questi cambiamenti, sto guardandomi in giro alla ricerca di un posto di lavoro altrove”, si è lamentato, con il quotidiano 24 Heures, un dipendente del sito di produzione di Avenches.
Lo stesso sindacato Unia, il più importante della Svizzera, è convinto che la riduzione dei turni sia un modo subdolo per liberarsi di parte del personale.
“È assai probabile che diversi dipendenti decidano di licenziarsi”, ha dichiarato Noè Pelet, responsabile del settore industrie di Unia.
Ciò che ha maggiormente indispettito il sindacato, in ogni caso, è la prospettiva di una settimana lavorativa di 58 ore. Una su 4 ogni mese, par di capire da quanto è filtrato dai progetti del produttore di cialde.
Fatto sta che la legge svizzera consente sì che le settimane lavorative vadano fino a 60 ore, ma non “ad aeternum”, come ha dichiarato l’esperto di diritto del lavoro, Audrey Pion.
Inoltre, è necessario il via libera del Ministero dell’Economia.
Perchè Nespresso sia intenzionata a ristrutturare è un po’ un mistero, visto che, solo lo scorso anno, ha aperto nel mondo 133 nuovi punti di vendita.
Il marchio va a gonfie vele ma la casa madre, Nestlè, ha visto il suo utile calare del 15,8%, nel 2017. Tanto che il numero uno del colosso alimentare aveva dichiarato che “la Svizzera deve partecipare alla riduzione dei costi”. A quanto pare lavorando di più.
“I salari del personale – fa sapere Nespresso – aumenteranno proporzionalmente all’aumento degli orari”. “Attualmente – aggiunge il gruppo elvetico nella sua presa di posizione – stiamo discutendo con i rappresentanti del personale i nuovi orari di lavoro da noi proposti, per definire il tipo di turni che loro ritengono più convenienti. Le discussioni stanno procedendo in modo positivo”.
(da “La Repubblica”)
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