Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
LE PAROLE DI ODIO CONTRO IL CAPO DELLO STATO DELLE DUE ZECCHE ISTERICHE PREPARANO UN FUTURO DA GUERRA CIVILE
Il clima, come sempre di questi tempi, lo danno i tweet. In 280 caratteri, il conflitto istituzionale, alimentato da Di Maio e Salvini diventa odio puro.
Eccone uno: “La mafia ha ucciso il #Mattarella sbagliato”. Eccone un altro: “Dovremmo fargli fare la fine del pezzo di m…. del fratello”. E un altro ancora: “Mattarella deve morire”. E così via. Non voci di pochi squilibrati, ma un mood della rete.
È il segno di una politica diventata, semplicemente, squadrismo rivolto verso il Presidente.
Che rischia di travolgere nel gorgo populista, la natura, l’identità , la legittimazione democratiche della stessa istituzione presidenziale.
Siamo solo all’inizio, ma già si intravede l’esito di quel che accadrà con la convocazione di una manifestazione senza precedenti “contro” il capo dello Stato, il giorno della Festa della Repubblica, accompagnata da strali dichiaratori nei salotti tv, nei pomeriggi per casalinghe e senza uno straccio di contraddittorio.
Come ha scritto Lucia Annunziata, “la sostanza del prossimo futuro è che le forze politiche che hanno proposto il governo mai nato andranno ora in giro come le ronde della moralità pubblica a chiedere a tutti: con chi stai? Con Mattarella il traditore, o con il cambiamento? Con le istituzioni o con i cittadini? Con le èlite corrotte o con il popolo? Come se si potesse stare con un traditore, con le sorde istituzioni, o con le èlite corrotte”.
Ogni giorno, in questo film tetro, ce ne è una.
Ieri l’impeachment, una barzelletta dal punto di vista giuridico, diventato però lo strumento per dire che i nuovi detentori della verità e unici interpreti della volontà popolare possono “processare” il presidente, per alto tradimento. Nulla sarà come prima in questa crisi che compie un salto istituzionale, da crisi politica a crisi di sistema.
Ed è già iniziata una campagna elettorale, interpretata come lo scontro tra due concezioni dell’Europa, del modo di concepire la collocazione internazionale del paese, e dunque del ruolo della moneta.
Il Quirinale, in questa sorta di conflitto di “civiltà “, alimentato dalla retorica nuovista e dalla creazione del nemico, siano essi i banchieri, la Merkel o le plutocrazie, il Quirinale, dicevamo, è diventato il Palazzo d’Inverno da espugnare nel mito della rivoluzione sovranista, perchè di quella “civiltà ” da superare è il simbolo.
E poco importa se Salvini e Di Maio si muovono non d’intesa, ma animati da ragioni tattiche che li portano a colpire, in forma diversa, lo stesso bersaglio.
Perchè è chiaro che il leader pentastellato che, fino a domenica, ha puntato tutto sulla sua legittimazione, credibilità e affidabilità agli occhi degli osservatori internazionali, usa l’escalation per uscire dalla “trappola” in cui lo ha fatto cadere il leader leghista. La sostanza del processo in atto, nutrita da una narrazione menzognera sulle prerogative del Quirinale e su come si sono svolte le consultazioni, dove è stato rifiutata qualunque altre soluzione che non fosse il nome di Paolo Savona, tenuto fermo da Salvini con l’obiettivo di far saltare il tavolo.
È un contesto in cui — questo il paradosso — diventa una questione quasi “laterale” ciò che, in condizioni normali, sarebbe stata la questione principale del giorno, ovvero la nascita del governo Cottarelli.
Perchè, semplicemente, il governo nasce morto, senza maggioranza in Parlamento anzi, in un Parlamento dove serpeggiano dubbi sul sostegno di bandiera anche dentro il Pd, con l’Italia che inizia a bruciare nello spread oltre duecento punti base, perchè l’instabilità è tornata ad essere un dato permanente della crisi italiana.
Nè il Capo dello Stato, in questo contesto, può fare altro per evitare che il paese possa precipitare alle elezioni anticipate, in tempi brevi o brevissimi, mettendo anche in conto, se così vorranno i partiti, un’ordalia elettorale sotto il sole di agosto.
Cottarelli si presenterà alle Camere entro dieci giorni dal giuramento e, a quel punto, se i partiti si limiteranno a votare no alla fiducia, non ci saranno alternative allo scioglimento, sempre nel rigoroso rispetto delle istituzioni.
Il che significa che anche il voto ad agosto è messo nel conto. La scelta spetta a loro. Per impedirlo, secondo buon senso, spetta a loro trovare un modo e una soluzione in Parlamento: una mozione “tecnica”, una “fiducia a tempo”, un gioco di astensioni, insomma un modo formale di cui il Quirinale prenderà atto.
Certo non si può chiedere a Mattarella di tenere in piedi un governo bocciato per due mesi, mentre i partiti urlano al “golpe” e agli “abusivi” che sono nel palazzo a dispetto della volontà popolare.
In questa crisi delle tante prime volte — la prima legislatura mai avviata, un governo mai nato, un conflitto senza precedenti col Quirinale — vanno messe nel conto anche le elezioni immediate, a sessanta giorni dalla bocciatura del governo Cottarelli.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
LA POLIZIA POSTALE MONITORA IL WEB PER LE MINACCE AL PRESIDENTE… PER ANNI AVETE PERMESSO A QUESTA FOGNA DI FARE I CAZZI CHE VOLEVANO, ORA VE LI GODETE
“Dovremmo fargli fare la fine del pezzo di merda del fratello”. “Mattarella deve morire”. Sul web
sono state trovate almeno otto pagine di minacce e insulti contro il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, dopo la serata di domenica in cui è fallito il tentativo di Giuseppe Conte di far partire il governo tra M5s e Lega.
Alcuni se la prendono anche col premier incaricato Carlo Cottarelli, scrivendo: “Buongiorno, ma che cazzo andiamo a votare tanto il voto nostro non vale a niente Mattarella muori venduto tu e Cottarelli”.
Altri rincarano la dose e accanto alla foto di Mattarella commentano: “Questo è un dittatore e un uomo di merda”. E ancora tantissime minacce di morte contro il Capo dello Stato.
La Polizia postale ha avviato un monitoraggio su siti web e social con l’obiettivo di segnalare all’autorità giudiziaria tutti quei comportamenti e dichiarazioni contro il presidente della Repubblica in cui si configurino reati perseguibili d’ufficio.
Un po’ tardi, dopo aver permesso per anni che questa fogna dilagasse sul web.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
GRIDANO CONTRO L’EUROPA DIMENTICANDO LA STORIA DA CUI PROVENGONO, HANNO RINNEGATO GLI IDEALI DI RIFERIMENTO, HANNO SCORDATO TUTTO, ALMENO NON ROMPETECI I COGLIONI CON LE VOSTRE GIUSTIFICAZIONI
C’era una volta”, ma non così lontano nel tempo, per la verità (basterà tornare indietro nel tempo di appena 6 anni) la Destra con cultura di governo e della legalità
Quella che esaltava l’amor di Patria ed il rispetto per le Istituzioni Repubblicane.
Quella che propugnava un progetto, al tempo stesso, conservatore ed innovatore; liberale e popolare
Non è rimasto quasi più nulla di quella destra
Molti dei suoi “uomini” e delle sue “donne”, oggi si battono per altro
Attaccano il Presidente della Repubblica per una decisione che – piaccia oppure no – è stata assunta nell’ambito di poteri Costituzionalmente ammessi..
Immaginano addirittura una messa in Stato d’accusa
Sostengono un leader che, pur di andare al potere, è disposto a svendere gli “ideali di riferimento”.
Gridano contro l’Europa, contro le culture diverse, del tutto dimentichi della storia dalla quale provengono..
“Vivi come se tu dovessi morire subito. Pensa come se tu non dovessi morire mai…”
Hanno scordato proprio tutto.
Che tristezza…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
IL QUIRINALE SMENTISCE CHE DI MAIO ABBIA MAI FATTO NOMI ALTERNATIVI A SAVONA PER L’ECONOMIA… E FARE IL NOME PER IL MINISTERO DELL’ECONOMIA DI UNO CHE PATTEGGIATO UNA CONDANNA A DUE ANNI PER BANCAROTTA FRAUDOLENTA E’ IL MASSIMO PER IL PARTITO DEGLI HONESTI
Luigi Di Maio, in diretta da Barbara D’Urso a Pomeriggio Cinque, ha sostenuto di aver fatto al
Quirinale nomi alternativi a quello di Paolo Savona, che oggi è tornato a parlare su Scenarieconomici.it per dare la sua versione dei fatti.
In particolare ha citato Armando Siri e Alberto Bagnai, sostenendo che li avrebbe proposti come ministri dell’Economia.
Matteo Salvini in diretta da Barbara D’Urso ha detto di non aver saputo nulla delle proposte di Di Maio. Ma soprattutto, il Quirinale con un comunicato ha smentito: “Non risponde a verità la circostanza, riferita dall’on. Luigi Di Maio a Pomeriggio 5, che al presidente della Repubblica siano stati fatti i nomi di Bagnai e Siri come ministri dell’Economia”.
Tutte le consultazioni sono verbalizzate virgola per virgola dal giovane consigliere che siede accanto a Mattarella, Daniele Cabras.
Ps Di Maio fa il nome di Siri come ministro dell’economia, rendetevi conto che si tratta di un leghista che ha patteggiato due anni per bancarotta fraudolenta…
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
MOLTI MUTUI DIVENTEREBBERO INSOSTENIBILI E TANTI ITALIANI PERDEREBBERO LA CASA… POI SE VOLETE CREDERE ALLA BALLE, NON LAMENTATEVI SE I VOSTRI FIGLI VI CERCHERANNO PER SPUTARVI IN FACCIA
L’articolo 47 della Costituzione recita: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina coordina e controlla l’esercizio del credito”.
E il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in qualità di garante della Costituzione, ha ricordato proprio la sua responsabilità nella tutela dei risparmi degli italiani quando ha spiegato i motivi che lo hanno condotto a opporsi alla nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia.
E’ con lo scudo di questo principio costituzionale che Mattarella ha potuto esercitare il suo potere di veto, sempre previsto dalla Costituzione, sui nomi dei ministri, che devono essere nominati dal Capo dello Stato su proposta del presidente del Consiglio.
Questo è stato il percorso che ha portato alla mancata formazione del governo Lega-5 Stelle ma la domanda interessante da porsi è perchè, secondo il giudizio di Mattarella, i risparmi degli italiani sarebbero a rischio se Savona fosse stato nominato ministro dell’Economia.
Agendo in questo modo il Capo dello Stato ha dimostrato di capire i meccanismi che regolano l’economia e la finanza molto meglio dei leader politici Salvini e Di Maio.
I quali sono andati in campagna elettorale con dichiarazioni programmatiche ambigue e non chiare sulla permanenza dell’Italia nell’euro da cui sono discese le incomprensioni degli ultimi giorni.
Poi si sono messi al tavolo per scrivere un ‘Contratto per il cambiamento’ nel quale, in una prima bozza, compariva la volontà di uscire dall’euro; minaccia velocemente sostituita da una seconda bozza in cui tale pronunciamento era magicamente sparito. Ma la prima bozza, pubblicata anche su tutti i giornali internazionali, ha messo in allarme i paesi europei e i mercati finanziari che solitamente reagiscono in anticipo a possibili sconvolgimenti dell’economia.
L’ultima versione del Contratto tra Salvini e Di Maio, inoltre, prevede un mix di misure espansive per l’economia italiana, dal reddito di cittadinanza, alla flat tax, al superamento della legge Fornero, che complessivamente comportano un aumento della spesa pubblica di oltre 100 miliardi.
Nello stesso documento non è stata però indicata nè la tempistica di queste misure nè dove sarebbero stati presi i denari per finanziarle, facendo supporre uno sforamento dei parametri europei sul rapporto deficit/pil e debito/pil.
Da ultimo Salvini e Di Maio hanno proposto a Mattarella l’economista Paolo Savona nel delicatissimo ruolo di ministro dell’economia, un ex componente del governo Ciampi che negli ultimi anni si è convinto che l’ingresso nell’euro per l’Italia è stato un errore e su questo tema ha scritto anche un libro. Salvo poi dichiarare durante il week end appena trascorso la sua fede alla causa europea.
Questo mix di elementi da una settimana a questa parte ha provocato il rialzo dello spread, cioè il differenziale di tasso di interesse che paga l’Italia rispetto alla Germania sui propri titoli di Stato: da 130 a oltre 235 punti base. E ciò pur in presenza di acquisti permanenti di bond italiani da parte della Bce per 4-5 miliardi al mese.
L’Italia, è bene ricordarlo, ha 2.300 miliardi di debito pubblico pari al 32% del Pil, e una grande fetta di questo debito è rappresentato da titoli di Stato che vengono venduti sul mercato alle varie scadenze.
Se il rischio Italia aumenta, come in queste fasi, aumenta il tasso di interesse che lo Stato italiano deve pagare per fare in modo che i titoli vengano assorbiti dal mercato. Tra il 30 e il 35% di questo debito è detenuto nei portafogli degli investitori finanziari esteri che in presenza di un maggiore rischio Italia possono decidere di vendere i titoli di Stato italiani e rivolgere i propri denari altrove, amplificando la difficoltà dell’Italia nel collocare nuovi titoli.
Nella prospettiva di una effettiva uscita dell’Italia dall’euro non si sa bene che cosa potrebbe succedere ma con molta probabilità la gran parte delle attività italiane verrebbe ridenominata in lire con tutti i rischi e la confusione che che un tale processo comporta.
La lira si troverebbe automaticamente svalutata di almeno il 30% rispetto all’euro, dunque tutti noi italiani ci troveremmo improvvisamente più poveri del 30% rispetto agli altri 18 paesi che in questo momento aderiscono alla moneta unica.
Quindi i tassi di interesse sulla lira schizzerebbero all’insù, magari ben oltre il 10% (Mattarella ha ricordato nel suo discorso quando avevano toccato il 20%) rappresentando la maggiore difficoltà dell’Italia a ripagare il proprio debito, che per una parte potrebbe rimanere denominato in euro (dipende dalle clausole contenute nelle varie emissioni di bond ).
Di certo molti investitori esteri non vorrebbero essere ripagati in lire svalutate ma in euro. E che cosa ne sarà dei mutui degli italiani erogati in euro con tassi molto bassi che potrebbero essere ridenominati in lire?
I tassi su questi mutui potranno rimanere bassi anche se i tassi di riferimento (euribor) andassero alle stelle? Certamente no e così tutti gli italiani che in questi anni si sono comprati la casa grazie ai tassi bassi di colpo si troverebbero a pagare interessi molto più alti con il rischio magari di perdere l’abitazione principale.
A fronte di tutti questi rischi Mattarella ha pensato che la nomina di Savona a ministro dell’Economia sarebbe diventato un segnale inequivocabile per i mercati finanziari di una possibile uscita dell’Italia dall’euro.
E questo segnale avrebbe potuto scatenare una bufera finanziaria sui mercati a partire da oggi che magari avrebbe avuto l’effetto di autoavverare la profezia, rendendo insostenibile per l’Italia restare nella moneta unica.
Tuttavia il pericolo non è sventato poichè la prospettiva di elezioni a ottobre con la Lega di Salvini vista in forte crescita non può che spaventare ulteriormente i mercati in una fase in cui lo scudo della Bce potrebbe venir meno.
Salvini e Di Maio hanno gridato alla dittatura dello spread e al fatto che il voto degli italiani non è libero di esprimere un governo.
Ma dovrebbero ben sapere che nel corso degli anni, per colpe dei precedenti governanti, il nostro debito pubblico ha raggiunto livelli molto elevati ma comunque è stato finanziato dai mercati in cambio di un tasso di interesse.
Non si può di punto in bianco dire che il rimborso dei denari prestati dai mercati allo Stato italiano è a rischio e non si sa se avverrà . Gli impegni presi vanno onorati.
Salvini e Di Maio dovrebbero in primo luogo, come è stato ricordato più volte su queste colonne, mettere a punto un piano finanziario che consenta di tagliare una bella fetta di debito pubblico.
Così facendo lo spread scenderebbe e si spenderebbe di meno in interessi; così le risorse liberate potrebbero essere investite in attività che generano reddito innescando un circolo virtuoso.
Solo in questo modo si potranno cambiare le cose, in meglio, per gli italiani. Ma se non si parte dalla riduzione del debito tutte le promesse rischiano di trasformarsi in un disastro per le tasche degli stessi cittadini che hanno votato Lega e M5s.
(da “Business Insider”)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
LA STRATEGIA SOVRANISTA: USCIRE DALL’EURO DI NOTTE E IN GRAN SEGRETO DOPO AVER SCRITTO QUALI SONO LE INTENZIONI SALVO POI NEGARLE… NEL FRATTEMPO I CAPITALI SONO GIA’ SCAPPATI
La domanda del giorno dopo è una sola: come mai Matteo Salvini ha preferito buttare a mare la
possibilità di andare al governo e diventare ministro dell’Interno piuttosto che accettare la proposta di Mattarella di nominare Giancarlo Giorgetti al ministero dell’Economia?
La risposta fa capire che il MoVimento 5 Stelle, un partito dal 33% e undici milioni di voti si è fatto mettere all’angolo da una formazione politica che di consensi ne ha presi poco più della metà
Per rispondere a questa domanda bisogna prima capire come mai Sergio Mattarella ha bocciato la proposta di nomina di Paolo Savona a Ministro dell’Economia.
Come è possibile, si sono chiesti in molti ieri, che il Presidente della Repubblica abbia detto di no proprio ad uno stimato ed anziano professore (Savona ha 82 anni). Addirittura Savona è stato ministro nel governo — tecnico — guidato da Carlo Azeglio Ciampi. Luigi Di Maio era arrabbiato: perchè Savona andava bene per Ciampi e non per Conte?
Il Capo Politico del M5S evita accuratamente di dire che quel governo si insediò nel 1993, un periodo in cui l’euro, la moneta unica europea, era ancora di là dall’essere realizzata.
Ma il punto non è mica questo: il punto è che Savona all’epoca pensava l’esatto contrario di quello che pensa oggi. Il che non è un reato, ma spiega (a Di Maio) cosa è cambiato.
Ed è proprio sull’euro che si è consumato il grande scontro tra Matteo Salvini da una parte (con l’ingenua complicità dei 5 Stelle) e il Colle dall’altra.
Paolo Savona è noto per essere un sostenitore della necessità di uscire dall’euro. Non è un’idea che ha avuto qualche anno fa e poi ha abbandonato: è quello che pensa oggi. Savona ritiene, nella sua autobiografia, che la Germania di oggi sia simile a quella nazista e che stia cercando di perseguire l’obiettivo del dominio del Continente non con la forza militare ma con quella economico-finanziaria.
Qualche giorno fa a In Mezz’ora Pier Carlo Padoan ha detto che le maggiori resistenze nei confronti dell’Italia le ha percepite non dalla Germania, ma da altri paesi.
Uscire dall’euro di notte e in gran segreto?
Secondo Savona l’unico modo per salvarsi dalla gabbia dell’euro (la definisce proprio così) è quello di uscirne. Il Piano B di Savona è semplice: «battere i pugni sul tavolo non serve a niente. Bisogna preparare un piano B per uscire dall’euro se fossimo costretti, volenti o nolenti, a farlo».
Quindi fare come diceva Matteo Renzi e come avrebbe voluto fare Luigi Di Maio (che voleva andare a trattare con “la pistola nel cassetto”) secondo quello che sarebbe dovuto diventare il Ministro dell’Economia era inutile.
La sua strategia era diversa: non annunciare l’uscita dall’euro ma alzare la posta sul tavolo delle trattative dimostrando di avere un piano per uscire nel caso eccezionale. Con un’accortezza: il Piano B dal titolo «Guida pratica all’uscita dall’euro» pubblicato nel 2015 dice chiaramente che la decisione di uscire dai trattati europei deve essere presa e attuata nella massima segretezza per evitare il panico e la fuga dei capitali.
In questi giorni chi difende Savona sostiene che avrebbe in qualche modo abiurato le sue tesi sull’uscita dall’euro. Il riferimento è alla comunicazione pubblicata dal sito Scenarieconomici.it (lo stesso dove fu pubblicato il piano B) dove però Savona non dice da nessuna parte che ha ritrattato le sue teorie.
Anzi: il professor Savona rimanda esplicitamente alla sua autobiografia in uscita in questi giorni. Quella, per intenderci, dove definisce l’euro una “gabbia tedesca”.
C’è poi un ulteriore elemento da tenere in considerazione.
Se l’uscita dall’euro deve essere svolta in segreto è naturale che chi la proponga abbia l’interesse a continuare a negare di voler intraprendere quella strada.
Da qui basta unire i puntini: secondo le intenzioni dichiarate bisognava alzare la posta e preparare un piano B. Così qualcuno ci avrebbe sbattuto fuori ma senza che nessuno dovesse assumersene la colpa e la responsabilità di aver provocato l’escalation. A questo ha detto no Mattarella.
La Lega e la storia della revisione dei trattati
I 5 Stelle sostengono di aver abbandonato ogni velleità di uscita dall’eurozona. Anche se con diverse ambiguità come si è visto in campagna elettorale e con una recente uscita di Grillo proprio sul referendum per uscire dall’euro.
Al tempo stesso la Lega con Gianmarco Centinaio nega che nel programma elettorale leghista ci sia mai stato un qualsiasi accenno all’uscita dall’Euro.
Nel programma della Lega (che è diverso da quello della coalizione di centrodestra) si legge che “l’Italia non può uscire dall’Europa” intesa come luogo geografico (sic!) ma che si può uscire dall’Unione Europea che viene definita « un gigantesco ente sovranazionale, privo di una vera legittimazione democratica e strutturato attraverso una tentacolare struttura burocratica». Ovvero una gabbia.
Si legge anche che «l’euro è la principale causa del nostro declino economico, una moneta disegnata su misura per Germania e multinazionali e contraria alla necessità dell’Italia e della piccola impresa».
Di nuovo, una definizione che riecheggia quella di Savona. Solo un pazzo vorrebbe restare all’interno di un meccanismo infernale. Ragion per cui la Lega propone di ridiscutere tutti i trattati e di ritornare allo stato pre-Maastricht
Una promessa che Salvini aveva già fatto nel novembre 2017 su Twitter e che però non tutti hanno capito.
Cosa c’entra il Trattato di Maastricht — che è del 1992 — con l’euro?
Il trattato di Maastricht è quello che ha fatto nascere la moneta unica e fissato i parametri per lo sforamento del rapporto deficit/pil.
Per fortuna che ci ha pensato Claudio Borghi a spiegarlo dicendo: “Ma pensare che «Maastricht è l’euro non vi viene in mente?». Salvini poi ha sempre definito l’idea del referendum una sciocchezza, quindi non resta che il piano B
Ci sono diversi tweet del responsabile economico della Lega dove viene detto chiaramento che “rinegoziare Maastricht” non è altro che un sinonimo per l’uscita dall’euro.
Perchè «quando ognuno avrà la propria moneta come era prima di Maastricht».
Nel luglio del 2017 Borghi e Giorgetti spiegavano sul Populista (il giornale della Lega) che la riscrittura dei trattati aveva «l’obiettivo di tornare allo status di cooperazione pre-Maastricht che ha imposto moneta, parametri inventati di finanza pubblica e che col fiscal compact è diventato ancora più assurdo».
Va da sè che la maggioranza dei paesi dell’Eurozona non ha alcuna intenzione di arrivare a quello che i due definiscono «uno smantellamento controllato e concordato di Euro e trattati capestro sia nell’interesse di tutti».
Ed ecco quindi il Piano B: «Se però dovessero dirci di no, non ci faremo umiliare».
Insomma la Lega vuole ridiscutere i trattati ma sa che l’operazione rischia di non andare in porto quindi, per recuperare la sovranità , promette di non farsi mettere i piedi in testa.
Ecco quindi — come spiega Mario Seminerio su Phastidio — che il “Governo del Cambiamento” propone una serie di riforme incredibili che possono essere finanziate solo facendo altro deficit.
Deficit che però ci avrebbe fatto sforare i parametri europei (quelli di Maastricht).
A quel punto il governo si sarebbe sentito in dovere di difendere il programma e attuare il Piano B. Oppure molto più semplicemente Salvini sapeva che questa ipotesi sarebbe stata sgradita al Colle (che deve tutelare l’adesione dell’Italia ai trattati europei) e ha usato queste settimane per preparare il colpaccio.
La speranza è che alle prossime elezioni la Lega e i 5 Stelle (se saranno ancora di quell’opinione) dicano chiaramente “vogliamo uscire dall’Euro”, alla luce del sole senza sofismi e tatticismi su improbabili revisioni dei trattati.
A quel punto Lega e M5S potranno contare i voti di quanti vorranno uscire dalla moneta unica.
E nel frattempo tutti quelli che ne avranno la possibilità potranno trasferire all’estero i capitali, dando un assaggio di quello che ci aspetta.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
NESSUNO SI FIDA PIU’ DELL’ITALIA IN BALIA DELLE SPARATE DEMAGOGICHE DI DUE TRADITORI DEL PAESE
Chiusura di seduta in forte ribasso per la Borsa, con l’indice Ftse Mib che cede il 2,08% a 21.932 punti, dopo aver toccato anche un minimo del -2,7%. L’All Share perde l’1,88%.
Con il nuovo passo indietro, frutto del caos politico e istituzionale, il listino vede il pressochè totale azzeramento dei guadagni del 2018, passati da un massimo del +12,3% il 7 maggio, al solo +0,3% rimasto dopo la giornata di oggi.
Chiude sui massimi di seduta lo spread Btp/Bund in una giornata di passione per i titoli di Stato italiani con il differenziale Italia-Germania che tocca livelli che non si vedevano dalla fine del 2013.
Nel giorno in cui il capo dello Stato ha affidato l’incarico di governo a Carlo Cottarelli, lo spread tra il decennale benchmark italiano (isin it0005323032) e il titolo tedesco di pari durata, che aveva aperto in netto calo rispetto a venerdì sotto la soglia dei 200 punti, ha invece terminato a quota 235, quasi trenta punti base sopra la fine della scorsa settimana (206 punti). In fortissimo aumento anche il rendimento dei decennali italiani, al 2,69% (2,47% la chiusura di venerdì).
L’euro è sceso contro il dollaro nel giorno in cui l’ex funzionario dell’Fmi, Carlo Cottarelli, è appena stato incaricato di formare un governo ‘neutrale’ in Italia.
Nel tardo pomeriggio europeo, la moneta unica valeva 1,1626 dollari contro 1,1651 dollari di venerdì scorso. Nel commercio asiatico, l’euro è salito oggi a 1,1724 dollari prima di ridurre gradualmente i suoi guadagni e poi scendere rispetto al dollaro, mentre era già caduto venerdì scorso a 1,1647 dollari, il suo livello minimo contro il biglietto verde dal 13 novembre scorso.
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
L’APPELLO AFFINCHE’ IL PRESIDENTE NON ACCETTASSE IL NOME DI NITTO PALMA, AMICO DI PREVITI, A MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
Sembrava ieri ma invece era il 28 luglio del 2011 quando Marco Travaglio, riferendosi alla
nomina di Francesco Nitto Palma a ministro della Giustizia e dando conto dell’amicizia tra quest’ultimo e Cesare Previti, ricordava una prerogativa del presidente della Repubblica che è finita attualmente in discussione per “merito” di Paolo Savona:
Così il popolare Cesarone conquista finalmente, seppure per interposta persona e con 17 anni di ritardo, quel ministero della Giustizia a cui agognava fin dal 1994. Allora era ancora incensurato, ma incontrò sulla sua strada un presidente della Repubblica piuttosto fisionomista: a Scalfaro bastò guardarlo in faccia per decidere che era meglio persino Alfredo Biondi. “Se lo conosci, lo Previti”, commentò Montanelli.
Anche Ciampi nel 2001 rimandò indietro un ministro della Giustizia: Maroni, respinto per via della condanna a 4 mesi per resistenza a pubblico ufficiale, uno che visti i successori pare Cavour. Scalfaro e Ciampi avevano letto attentamente l’articolo 92 della Costituzione: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. Cioè li nomina lui, non il premier. E, se non gli piacciono, si rifiuta di nominarli.
O tempora! O mores! A questo punto viene la curiosità : cosa avrà scritto Marco Travaglio stamattina per criticare Mattarella, visto che il suo giornale lo chiama “Re Sergio” in prima pagina? Eccolo qua:
Invece Re Sergio Mattarella, emulo del predecessore dalle cui forzature si era finora discostato, ha insistito a rivendicare non il legittimo potere di nominare i ministri, ma l’illegittima pretesa di impartire il suo indirizzo politico al governo e alla maggioranza. E, per giunta, senza metterci la faccia: se Napolitano, nel 2013, aveva platealmente impartito le sue direttive al Parlamento, Mattarella ha giocato la sua partita dietro le quinte: facendo filtrare i suoi veti e i suoi diktat tramite i soliti giornaloni amici, con pissi pissi bau bau e meline inspiegabili se non con la speranza che le manganellate mediatiche a Conte e Savona inducessero i due reprobi a ritirarsi. Ieri serasi è degnato di spiegarci il suo veto-diktat,che avrebbeavuto un senso fino a sabato, ma suonava fasullo dopo la lettera di Savona. Che, appunto, dissipa i suoi timori per la “fiducia degli operatori economici e finanziari”e smentisce quelli di una “fuor iuscita dall’euro”.
Mattarella, quindi, ha sbagliato perchè rifiutandosi di nominare Savona aveva la pretesa di impartire il suo indirizzo politico al governo.
Eppure Mattarella ha fatto capire che avrebbe accettato la nomina di un ministro dell’Economia leghista (segnatamente: Giancarlo Giorgetti): in che modo la nomina di un ministro leghista avrebbe imposto l’indirizzo politico di Mattarella al governo? Ancora: analizzando i precedenti di rifiuto di nomine da parte del Quirinale, emerge che Cesare Previti venne stoppato da Scalfaro per i suoi precedenti di avvocato di Berlusconi ma anche per la famosa frase “Non faremo prigionieri” detta in campagna elettorale.
Non è anche questo un motivo politico? E il povero Maroni? C’è una legge che vieta di nominare ministro dell’Interno uno che ha morso un polpaccio a un poliziotto? No, ma c’è un motivo di opportunità . Opportunità politica, appunto.
Infine, Gratteri: è stato “fregato” da una norma non scritta secondo cui un magistrato in servizio non può assumere l’incarico di ministro della Giustizia. Ma una norma non scritta è una norma validata dalla politica.
Ma allora il povero Mattarella cosa ha sbagliato?
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
LA VICENDA DEI 30.000 EURO RICEVUTI PER LE REGIONALI 2010 MASCHERATI DA UN FALSO SONDAGGIO… CONDANNATI GLI ALTRI IMPUTATI… COME MAI NON HA RINUNCIATO ALLA PRESCRIZIONE?
La prescrizione salva l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno imputato con l’accusa di finanziamento illecito nell’ambito del processo «Accenture» che ha visto alla sbarra anche altre sette persone.
Nei confronti dell’ex sindaco Alemanno la procura di Roma aveva chiesto una pena di 1 anno e 10 mesi di reclusione, ma il tribunale Monocratico della Capitale ha prosciolto l’ex primo cittadino per intervenuta prescrizione.
La vicenda ruota intorno un presunto finanziamento illecito di 30 mila euro ricevuto per le elezioni regionali del 2010 mascherato da un falso sondaggio.
Secondo il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Mario Palazzi il finanziamento, scaturito da false fatture, sarebbe stata impiegato per incaricare una società specializzata ad effettuare il falso sondaggio e portare a termine l’operazione di «telemarketing politico» a favore del listino dell’ex presidente della Regione Lazio, Renata Polverini. L’ex Governatrice, indagata in un primo momento, è poi uscita dall’inchiesta con richiesta di archiviazione.
Tutti condannati gli altri imputati. Il tribunale Monocratico di Roma ha infatti condannato Giuseppe Verardi, ex manager della società di consulenza Accenture a 2 anni di reclusione; e i funzionari della stessa azienda Francesco Gadaleta, Roberto Sciortino e Massimo Alfonsi sempre a 2 anni.
L’indagine prese le mosse da una denuncia presentata da Accenture dopo la scoperta di un giro di false fatturazioni.
Secondo i pm romani l’ex sindaco Alemanno era «il regista dell’operazione» e dalle testimonianze raccolte all’epoca dell’inchiesta risulterebbe che Alemanno «ha contattato la società ‘Accenture’ ed ha commissionato un’attività di ‘sondaggio’ senza pagarne il corrispettivo e lucrando dunque in favore del gruppo politico di appartenenza».
Inoltre, si legge negli atti dell’inchiesta, «vale la pena rilevare incidentalmente» come nel listino del presidente Polverini (la cui posizione è stata archiviata) era candidata anche Isabella Rauti, moglie di Alemanno.
«Sicchè questi – si legge nel provvedimento – aveva un interesse diretto, oltre che politico, nella buona riuscita della lista alle elezioni (Rauti risulterà poi eletta al Consiglio Regionale grazie al buon esito della competizione per lo schieramento di appartenenza)».
(da agenzie)
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