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SALVINI GIA’ ANNUNCIA 100.000 PERSONE IN PIAZZA DEL POPOLO, PECCATO CHE CE NE STIANO 50.000 CON IL MEGAPALCO (68.400 SENZA PALCO)

Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile

ARRIVANO A ROMA LE TRUPPE CAMMELLATE CON 200 PULMANN E 3 TRENI SPECIALI… SUL PALCO ANCHE UN CORDOLO TRICOLORE, AVANZATO FORSE DALLA CARTA IGIENICA CON CUI I LEGHISTI SI PULIVANO IL CULO FINO A POCHI ANNI FA

La chiamano “la festa del ringraziamento” ma le elezioni politiche sono state ormai nove mesi fa. Matteo Salvini, a Roma, vuole ringraziare più per gli attuali sondaggi, che lo vedono davanti agli alleati di governo, che per il voto di marzo.
Da piazza del Popolo, proprio dove gli M5s hanno concluso la campagna elettorale, il leader leghista lancia la sfida delle elezioni Europee facendo esordire il tricolore sul palco a una kermesse del Carroccio.
Lo sfondo è tutto blu con al centro la scritta in bianco ‘L’Italia rialza la testa’, sotto la quale è stata aggiunta una cornice tricolore e altri due slogan ‘Prima gli italiani’ e ‘Dalle Parole ai fatti’.
Nella Capitale, secondo gli organizzatori, nel giorno dell’Immacolata, arriverà  un’ondata leghista: “Immaginiamo ci saranno 100mila persone, basti pensare che i giornalisti accreditati sono quattrocento da tutto il mondo”.
Peccato che la piazza possa contenere solo 68.400 persone appiccicate e senza palco e retropalco, ovvero 50.000 al massimo per un comizio del genere.
Arriveranno duecento pullman e tre treni speciali provenienti da tutto il Paese, anche dalle regioni storicamente rosse.
La manifestazione si incrocia però con un’altra piazza, quella di Torino No-Tav a cui parteciperanno anche molti elettori e rappresentanti grillini. La contraddizione sarà  palese

(da agenzie)

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MANIFESTAZIONE A TORINO: NO TAV E NO GOVERNO, PREVISTE MIGLIAIA DI PERSONE IN CORTEO

Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile

“NON ABBIAMO PARTITI AMICI”: E IL M5S PERDE ANCHE LA SIMPATIA DEL POPOLO DELLA VALSUSA… “NOI IN COMMISSIONE? NO GRAZIE, SIAMO PRONTI ALLE BARRICATE”

Contro il Tav e contro il governo, Movimento 5 Stelle compreso.
Torino si prepara alla manifestazione dell’8 dicembre e i militanti non fanno sconti ai grillini, un tempo fieri oppositori alla Torino-Lione e oggi, da prima forza di governo, molto più cauti nelle loro valutazioni sulle grandi opere.
“Noi non abbiamo nè governi nè partiti amici”, spiega Livio Pepino, presidente del Controsservatorio della Valsusa ed ex magistrato di lungo corso.
È un mantra e uno slogan, ma soprattutto rimane una convinzione: dopo quasi trent’anni di battaglia i No Tav hanno imparato a non fidarsi della politica. “C’è freddezza nei confronti dei Cinque Stelle — conferma Lele Rizzo del centro sociale Askatasuna – perchè dopo le parole servono i fatti e finora i segnali sono soltanto di rinvio”.
In piazza scenderanno migliaia di persone.
Per i No Tav l’8 dicembre è una sorta di festa, l’anniversario di quel giorno del 2005 quando i militanti riuscirono a rioccupare i cantieri dell’Alta Velocità  di Venaus mandando via le forze dell’ordine.
Una giornata di scontri che per la Valle significò “la cacciata da Venaus delle truppe d’occupazione” e la “riconquista della Libera Repubblica sgomberata tre giorni prima”.
A quei tempi il M5S nemmeno esisteva – sarebbe nato ufficialmente soltanto 4 anni più tardi, mentre si stavano organizzando i primi Meetup degli Amici di Beppe Grillo – ma fin dall’inizio della sua storia politica uno dei cavalli di battaglia dei pentastellati è stata proprio l’opposizione all’Alta Velocità  valsusina.
Oggi che siedono al governo, però, sono cambiate molte cose e il niet alla Torino-Lione non è più così scontato: secondo Rizzo “il Movimento 5 Stelle non sarà  all’altezza di tenere la nostra parola d’ordine che è “fermare l’opera’”, mentre per Pepino “sarebbe curioso se chi ha fatto campagna elettorale contro il Tav poi lo approvasse. Per carità , lo ha fatto con il Tap, ma è un problema di coerenza”.
Niente violenza a Torino: “Sarà  una manifestazione pacifica, popolare, aperta dalle donne e dai giovani delle valli”, garantisce Rizzo.
Ma non si chiuderanno gli occhi sui primi 190 giorni di governo: “Non saremo politically correct, faremo rimostranze contro il governo, il decreto Salvini e una politica continuamente razzista e classista”.
Il corteo contro il Tav, insomma, sarà  l’occasione per protestare contro un’intera maggioranza.
Nemmeno l’ebbrezza di un eventuale stop dettata dall’analisi costi-benefici li spingerebbe tra le braccia di Di Maio e compagni: “Se dovessimo vincere questa battaglia sarà  perchè siamo stati forti abbastanza da influenzare un partito di governo, ma questo non significa che lo sposiamo: tutto il resto che vediamo non ci va bene”, prosegue Rizzo.
Proprio dall’esecutivo, nelle scorse ore, è arrivata l’apertura al dialogo con i No Tav e la promessa di incontrarli presto. “Non abbiamo mai ricevuto alcun invito dal governo nè ricevuto risposte alle nostre lettere — replica Alberto Perino, leader storico del Movimento della Valsusa. Io ho notato che anche questo governo ha il vizio di dire tante cose ma gli atti sono un’altra cosa”.
Secco no anche sull’ipotesi che nella Commissione che deciderà  il destino della linea Torino-Lione possano entrare i rappresentanti dei due schieramenti che si battono a favore e contro l’opera: “Non devono esserci, sarebbe un fatto inquinante. L’analisi costi-benefici la deve fare una commissione di persone che non hanno interessi”, prosegue Perino. “Noi invece continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto, le barricate di carta e quelle reali”.

(da “Huffingtonpost”)

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L’ENFANT PRODIGE DELLA LEGA CHE NON RICONOSCE NEANCHE I FAKE SU FACEBOOK

Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile

MARCHETTI E’ IL RESPONSABILE DEI GIOVANI LEGHISTI DEL CENTRO-SUD, NOTO PER LE SUE GAFFE SUI SOCIAL

Capelli rasati, barba incolta alla Matteo Salvini in un gesto di piena emulazione venerante. Una carriera politica fulminea.
Viene descritto, da chi lo ha incontrato all’inizio del suo cammino, come un giovane un po’ arrogante, senza tanti scrupoli, e con un infantilismo latente.
Riccardo Augusto Marchetti, classe 1987, è uno degli enfant prodige della Lega, nonostante i suoi 31 anni.
Nominato da pochissimi giorni responsabile dei giovani del Centro-Sud del partito. Tra una scivolata e un post sui social network, questo liquidatore assicurativo, entrato in Parlamento dopo aver vinto nella circoscrizione Umbria 2 (Foligno – Alto Tevere), si sta facendo notare.
Ha promesso dall’Umbria “oltre 300 persone (e il numero è destinato a salire ancora)” per la manifestazione della Lega fissata il prossimo 8 dicembre in Piazza del Popolo. Stessa cifra, neanche a farlo apposta, degli umbri partiti nel lontano 2013, quando Silvio Berlusconi fece il suo ultimo grande show, proprio in piazza del Popolo. Viene da chiedersi se non siano sempre gli stessi 300.
Riccardo Augusto Marchetti, eletto consigliere comunale a Città  di Castello nel 2016, è stato scelto da Matteo Salvini in persona per la scalata verso Montecitorio.
Il giovane rampante, consapevole del ruolo istituzionale che andava a ricoprire, per un po’ di tempo ha scelto come immagine di copertina Facebook: “L’Italia è una Repubblica fondata sul calcetto”.
Rispettoso anche dei basilari principi democratici, tanto che, quando, nelle zone colpite dal terremoto, ha prevalso il Pd alle amministrative, Riccardo Augusto Marchetti, in una spinta di senso auto-critico, ha scritto: “Il Pd vince nelle zone terremotate, si vede che amano il campeggio”.
Gentile e pronto sempre al dialogo, soprattutto con gli avversari politici: “I compagni non meritano un cazzo — scrive su Facebook – , neanche le buone maniere. Con loro botte da orbi, sempre e comunque”.
Un giovane dal curriculum vitae rassicurante, dove alla voce competenze si legge: “Ottimo utilizzo della pistola con tiro al bersaglio anche mobili” e “conoscenza avanzata di armi d’assalto con corsi specifici svolti presso poligoni da tiro”.
E infine “tiro a volo con arma liscia, tiro al bersaglio con armi a corda”.
Un cv che lo ha sicuramente aiutato a depositare una proposta di legge, insieme ad altri colleghi di partito, “finalizzata a restituire il giusto e corretto equilibrio in materia di rilascio delle licenze di portare armi. Si registra, difatti, negli ultimi anni, un’applicazione delle norme che prescrivono i criteri per il rilascio delle licenze di portare armi che sta, irrazionalmente, rendendo questo diritto sempre meno accessibile”.
C’è chi negli ultimi giorni lo ha visto aggirarsi per i corridoi di Montecitorio con un lieve rossore sul viso, tutta colpa di quel post condiviso sulla sua bacheca. L’onorevole Marchetti, laureato in Scienze dell’Investigazione a Narni, ha pubblicato con entusiasmo un post del falso account di Paolo Savona: “Raramente ho visto riassumere la situazione politica internazionale — ha scritto – in maniera tanto chiara e sincera in così pochi caratteri!!! Come sempre, immenso ministro Savona!!”. Insulti e sberleffi.
Quando la parlamentare del Pd Anna Ascani, oltretutto concittadina (sono entrambi di Città  di Castello), si è permessa di fargli notare che quello non era il vero ministro per gli affari europei, è subito scoppiata una guerra sui social network.
Il giovane leghista ha infine rimosso il post, ma ha sferrato l’attacco contro la nemica giurata: “Anna Ascani è la parlamentare più brava di tutti”. Accompagnato da un “ohhh scusate!!! Non mi ero accorto che fosse un fake”.
Non è nuovo però a frasi a effetto criticate dall’opposizione, come quando scoppiò la polemica in consiglio comunale, sempre a Città  di Castello. La lite si innescò dopo che Marchetti chiese per il “cittadino europeo islamico”, un’“espulsione di massa” e la “messa al bando della religione islamica”.
Quando gli fecero notare che il suo ruolo istituzionale non gli permetteva l’uso di toni tanto accesi, rispose che “si trattava della sua bacheca personale” e che proprio per questo di un giudizio da “libero cittadino”.
Insomma il nuovo enfant prodige della Lega emula perfettamente le orme del leader e non solo in fatto di barba.
A quanto pare.

(da “L’Espresso”)

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ORA SI SCOPRE CHE UNO DEI LEADER DEI GILET GIALLI FRANCESI E’ UN DIPENDENTE PUBBLICO SENZA OCCUPAZIONE PAGATO DALLO STATO 2600 EURO AL MESE

Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile

UN PRIVILEGIATO FANCAZZISTA CHE GUIDA GLI ESTREMISTI, SAREBBE INTERESSANTE SAPERE PER CONTO DI CHI (SE GIA’ NON SI SAPESSE)

Qualcuno sente puzza di “trappolone”, in vista della manifestazione dei “gilet gialli” organizzata per sabato 8 dicembre a Parigi.
A partire dall’obiettivo posto nel mirino dagli promotori: la Bastiglia, il non plus ultra a livello di immaginario collettivo per qualsiasi francese. Di qualunque orientamento politico esso sia.
Di fatto, la pietra fondante (e un po’ insanguinata) della Republique stessa.
Perchè “trappolone”?
Dopo le violenze del 1 dicembre, con le scene di guerriglia che per ore hanno fatto da cornice al centro cittadino e l’oltraggio dell’Arco di Trionfo, imbrattato con lo spray dai manifestanti, il governo ha dato vita a una prima parziale, poi pressochè totale resa sulla pietra della discordia: l’ecotassa e l’insostenibile aggravio del costo dei carburanti che comportava per chi con i mezzi di trasporto privati ci lavora.
O, comunque, vivendo fuori dai centri urbani, ne ha necessità  inderogabile. Prima una sospensione di sei mesi, poi il ritiro totale.
Stando a un sondaggio condotta da BVA e pubblicato da La Tribune, a quel punto il 70% dei francesi interpellati riteneva che la protesta andasse sospesa. Non la pensavano così i “duri” del movimento, i quali rilanciavano anzi in grande stile l’appuntamento per il weekend a Parigi e in tutto il Paese.
Con tutt’altro che velate minacce, dopo quella mosse all’ala moderata che era disposta al dialogo con l’Eliseo, di disordini violenti in vista della manifestazione.
Lo Stato, a quel punto, ha rafforzato il dispositivo di sicurezza, arrivando a predisporre uno schieramento in tutto il Paese dal numero record di 89mila fra poliziotti e gendarmi e facendosi sfiorare dalla tentazione di schierare anche l’esercito. Di fatto, un stato d’assedio.
Motivato però da un allarme reso pubblico dal ministro dell’Interno, Christoph Castaner: si teme addirittura un colpo di Stato, con tanto di parlamentari ritenuti bersagli della protesta e a rischio di attentati a colpi d’arma da fuoco. Insomma, un’insurrezione in piena regola. Organizzata pubblicamente su Facebook. E qui, qualcuno vede appunto il trappolone.
Dopo l’apertura ai manifestanti e la presa d’atto del loro rifiuto a qualsiasi forma di dialogo, Emmanuel Macron ha chiuso i canali di comunicazione e dall’Eliseo si è fatto sapere che il presidente parlerà  della situazione soltanto all’inizio della settimana prossima. Ovvero, dopo la manifestazione.
La quale, se degenerasse in atti violenza come quella del 1 dicembre, come appare più che probabile, potrebbe portare in dote un passaggio automatico: la proclamazione dello stato di emergenza, ipotesi circolata per ore dopo le devastazioni dello scorso fine settimana ma tenuta nella fondina come extrema ratio.
Di fatto, il ritorno in auge ufficiale dei pressochè pieni poteri di cui godette l’Eliseo per tre anni dal 13 novembre 2015, giorno della loro proclamazione come reazione immediata alla strage del Bataclan.
E, se davvero alla Bastiglia sarà  guerriglia di strada, Macron potrà  farlo con l’appoggio della nazione, magari non totale ma certamente maggioritario, soprattutto dopo il braccio di ferro della scorsa primavera-estate con la CGT sulla questione ferrovie che costò al Paese settimane di paralisi nei trasporti.
E   già  oggi la protesta dei “Gilet gialli” è costata parecchio alla Francia: la comparazione fra l’andamento degli ultimi giorni dell’indice benchmark della Borsa di Parigi, il CAC40 e quello di tre titoli-simbolo rispetto all’impatto delle proteste è disarmante.
Si tratta della catena di grande distribuzione Carrefour e dei gestori di infrastrutture stradali Accor SA e Vinci SA. La prima ha patito un vero tracollo delle vendite, addirittura fino al 20% in alcune aree del Paese, a causa del mancato shopping o dei furti e degli atti di vandalismo, mentre i secondi due hanno pagato lo scotto ai mancati pedaggi incassati, visto che i “Gilet gialli” obbligano i casellanti a far passare gli automobilisti senza pagare.
E non è stata esente da danni nemmeno l’industria del turismo, vera e propria miniera d’oro per una città  come Parigi e per l’intero Paese: prenotazioni crollate fino al 25%, anche per il periodo natalizio e di Capodanno.
Dinamica rivelatasi ancora peggiore per i solitamente pienissimi ristoranti e bistrot della Capitale, i quali hanno registrato fino al 50% in meno di presenze.
Stando a uno studio della Nielsen, le sole proteste di sabato 1 dicembre hanno comportato un calo medio dell’8% di vendite di beni di largo consumo a livello nazionale. A quel punto, il governo è capitolato.
Tenendosi però un paio di assi nella manica. Primo, appunto, l’ipotesi di utilizzo dei mezzi repressivi estremi come lo stato d’emergenza, il quale contempla anche il potere unilaterale per l’Eliseo di vietare le manifestazioni di pubblico dissenso per motivi di sicurezza nazionale.
Secondo, la delegittimazione delle ragioni di base del movimento di protesta, sfruttando i paradossi della sua eterogeneità  e spontaneità  originaria. Almeno stando alla narrativa.
Quello ritratto nella foto qui sopra è uno dei leader dei “gilet gialli”, Jean-Franà§ois Barnaba, volto che i telespettatori e radio-ascoltatori francesi hanno imparato a riconoscere al volo nelle ultime settimane, visto il suo altissimo tasso di presenzialismo e la sua parlantina da leader nato.
Sono suoi i discorsi più infuocati a difesa della linea più oltranzista, tutti improntati alla solidarietà  verso le classi meno abbienti e contro un governo definito come emanazione diretta e cane da guardia delle lobby, finanziaria in testa.
Bene, le Nouvelle Observatour ha però scoperto che questo moderno Robespierre dal viso tondo e dalla risata contagiosa non rappresenta, nei fatti, il profilo dello sfruttato classico, nè del nemico dello Stato dal profilo romanticamente anarchico alla Cèline: è infatti un dipendente pubblico, nella fattispecie un “funzionario territoriale” con un paio di prerogative che lo rendono un po’ meno credibile agli occhi dell’opinione pubblica nella veste di contestatore dello status quo.
Non solo è senza occupazione da dieci anni, esattamente dal 31 dicembre 2008 ma nel frattempo, pur essendo demansionato, riceve comunque dallo Stato regolare stipendio. Da 2600 euro netti al mese.
Il combattivo 62enne, infatti, rientra nello status particolare noto come FMPE, Fonctionnaire momentanèment privè d’emploi, peccato che nel suo caso quell’avverbio sia declinato in maniera un po’ ampia, visto che si trova in quella condizione — magari mobbizzante e frustrante ma certamente privilegiata, da molti punti di vista — da dieci anni.
E perchè? Stando alla spiegazione che lo stesso Barnaba ha fornito alla trasmissione Quotidien su TMC, “a causa di un conflitto in atto con i miei superiori gerarchici”. Ma c’è da dire che prima di lanciarsi nell’avventura rivoluzionaria a tempo pieno, il demansionato più famoso di Francia ha occupato in maniera utile il suo tempo libero (e ben remunerato), visto che ha scritto un libro, Vortex, un romanzo poliziesco auto-pubblicato nel 2016 con l’editore Edilivre e nella sua biografia spiccano hobby come “consigliere tecnico e direttore culturale per la collettività , capo d’orchestra e direttore di conservatorio. Da sempre vivo immerso tutti i giorni nell’universo dell’arte, della politica e dell’amministrazione”, ha confermato dopo l’intervista che lo ha reso un volto noto in tutto il Paese.
Interrogato sulla contraddizione rappresentata dal suo status di dipendente pubblico privilegiato — di fatto ben pagato dallo Stato per coltivare hobby privati da dieci anni — e leader del movimento di protesta, Barnaba ha dichiarato con teatrale gravità  di pensiero che “questa mediazione di ruoli, mi dà  una responsabilità , non posso scomparire durante la notte”.
Se per caso l’8 dicembre le cose dovessero precipitare nelle strade di Parigi, il primo a non volerne la scomparsa ma, anzi, invocarne e stimolarne l’onnipresenza mediatica, potrebbe essere paradossalmente proprio il bersaglio delle lotte di Barnaba, fra una direzione d’orchestra e la stesura di un nuovo romanzo. Il presidente Macron.

(da “L’Espresso”)

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PERCHE’ MATTEO DALL’OSSO NON PAGHERA’ LA PENALE PATACCA DA 100.000 EURO DEL M5S

Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile

QUEL CONTRATTO E’ SOLO PROPAGANDA, GIURIDICAMENTE NON VALE UNA MAZZA, NON ESISTE VINCOLO DI MANDATO

Il deputato Matteo Dall’Osso del MoVimento 5 Stelle ha annunciato a sorpresa l’intenzione di abbandonare il gruppo parlamentare pentastellato per aderire a quello di Forza Italia.
Una notizia che è stata accolta con la compostezza e l’aplomb tipici del M5S dai simpatizzanti e dagli elettori grillini. Le reazioni dei dirigenti del partito invece sono tutte improntate al rispetto dei patti e del contratto stipulato dai portavoce pentastellati.
Ovvero si chiede a Dall’Osso di pagare la penale da 100.000 euro che è prevista nello Statuto del gruppo parlamentare   e nel Codice Etico del M5S per coloro che abbandonano il partito.
La capogruppo dei deputati di Forza Italia Mariastella Gelmini   ha annunciato di aver accolto la richiesta di Dall’Osso, esprimendo soddisfazione e formulando, anche a nome di tutto il gruppo azzurro di Montecitorio, auguri di buon lavoro al nuovo collega.
La senatrice pentastellata Elena Fattori ha scritto di essere triste perchè il MoVimento ha lasciato indietro Matteo come tante altre persone deboli e perchè il M5S è una forza politica che prometteva di non lasciare indietro nessuno.
L’onorevole Dall’Osso ha deciso di passare al gruppo di Forza Italia per protestare sul trattamento che gli sarebbe stato riservato dal M5S su un suo emendamento sulla disabilità .
In Commissione Bilancio alla Camera era stato chiesto al deputato di ritirare tutti i suoi emendamenti a tutela dei disabili. Il 3 dicembre — il giorno della giornata mondiale della disabilità  — grazie alle pressioni di Dall’Osso però il parere del governo su un emendamento era stato trasformato da negativo ad accantonamento favorevole.
Il giorno successivo però l’emendamento è stato bocciato e per Dall’Osso — che è malato di SLA — è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
E così Dall’Osso, che appena quatto mesi fa mandava affanculo il PD e l’opposizione che protestava perchè il governo aveva deciso di accorpare in un unico ministero Disabilità  e Famiglia se ne va dicendo che i 5 Stelle umiliano i disabili e dichiarando: «Mi sono sentito solo, in parte tradito, umiliato. E mi sono sentito disabile. Mi hanno trattato male». Come ogni divorzio che si rispetti ora però ci sono i conti da pagare. E il M5S potrebbe già  passare all’incasso.
Statuto del gruppo parlamentare e Codice Etico parlano chiaro: i parlamentari che abbandonano il M5S devono pagare una penale da 100 mila euro “entro dieci giorni”. I vertici dei 5 Stelle sarebbero intenzionati a chiedere a Dall’Osso di pagare la multa. Ma non solo, Dall’Osso “deve versare anche i soldi per le restituzioni”, è l’imperativo che arriva all’Adnkronos dai piani alti del Movimento 5 Stelle (le restituzioni comprendono anche la donazione da 300 euro al mese per Rousseau).
Fonti del direttivo M5S sottolineano all’Adnkronos che il gruppo non intende fare sconti al deputato che oggi ha annunciato l’adesione al partito di Silvio Berlusconi.
Il problema è che — come già  emerso qualche tempo fa — nessun parlamentare ha al momento proceduto a versare le restituzioni a causa di non meglio precisati inconvenienti tecnici dovuti alla creazione di un nuovo sistema che consenta di superare i problemi emersi durante rimborsopoli.
Il Capo Politico però sembra voler mettere un freno ai propositi più bellicosi.
«Voglio capire prima cosa è successo, conosco Matteo e Fi è la cosa più lontana da lui. Prima di tutto voglio capire cosa è successo, poi ribadiamo e chiariamo tutto il resto» ha dichiarato Luigi Di Maio che ha aggiunto «conosco Matteo, non è una persona che fa queste cose. Voglio capire prima cosa è successo, perchè ha fatto questa scelta».
Rimane il fatto che Dall’Osso nella migliore delle ipotesi ha abbandonato il gruppo a causa di un dissenso politico e quindi ricade nella casistica delle sanzioni pecuniarie.
Non c’è dubbio che le regole — sottoscritte dallo stesso Dall’Osso — prevedano misure molto precise. Ma ci sono parecchi però.
Il primo è che fino ad ora quelle regole (che erano previste anche per i parlamentari europei) non sono mai state applicate.
Nessuno dei parlamentari che nella scorsa legislatura e nell’attuale legislatura europea hanno lasciato il M5S è stato tenuto a pagare alcunchè.
C’è poi il precedente del famoso “danno d’immagine” più volte sventolato da Di Maio in campagna elettorale nei confronti di eventuali “impresentabili”. Non è il caso di Dall’Osso ma il Codice Etico prevede sempre la stessa sanzione.
Di Maio assicurava che «Tutti coloro che erano in posizioni eleggibili nei candidati delle liste plurinominali mi hanno già  firmato un modulo per rinunciare alla proclamazione altrimenti gli facevo danno d’immagine».
La realtà  dei fatti è che gli “impresentabili” eletti nel MoVimento 5 Stelle sono tutti comodamente in Parlamento, ma in altri partiti.
E nessuno di loro ha rinunciato alla proclamazione nè è stato trascinato in tribunale per danno d’immagine.
Nel contratto poi il M5S ha scritto di voler reintrodurre il vincolo di mandato per i parlamentari, ma per il momento su quel fronte non si muove nulla. Quindi l’articolo 67 della Costituzione rimane così com’è.
Il punto è che i parlamentari del M5S sanno benissimo che quella multa da 100mila euro non vale nulla.
Qualche tempo fa il costituzionalista Antonio D’Andrea spiegava che la faccenda della penale «è una forma di contrattazione che non ha alcun valore giuridico. Sono espedienti di propaganda. Non possono scavalcare il precetto costituzionale che non prevede il vincolo di mandato».
E come dimenticare mesi di campagna referendaria in cui il M5S ci spiegava che la Costituzione è intoccabile.
I grillini non sono certo i primi ad aver pensato alla penale per scoraggiare i cambi di casacca. Lo fece anche l’Italia dei Valori ma come ci ha spiegato l’onorevole Ivan Rota il meccanismo non ha affatto impedito ai voltagabbana di cambiare partito.
E quando l’IDV ha portato i “traditori” in tribunale ha miseramente perso. Insomma nessuno è mai riuscito a recuperare un solo euro da chi abbandona il partito.
Eppure ad ogni consultazione elettorale il MoVimento continua pervicacemente ad inserire il codicillo in Statuti e Codici Etici vari.
Più per darsi un tono e illudersi che l’onestà  si possa garantire con lo spauracchio di una multa che per altro. In fondo nemmeno dai parlamentari coinvolti in rimborsopoli (che oltre a violare le regole interne si erano intascati dei bei soldini) il M5S ha mai chiesto il pagamento della multa.

(da “NextQuotidiano”)

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LINCIAGGIO MEDIATICO: COME I GRILLINI HANNO PRESO L’ADDIO DI MATTEO DALL’OSSO

Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile

SULLA PAGINA FB DEL DEPUTATO I SOLITI COMMENTI DELIRANTI

Il deputato Matteo Dall’Osso ha annunciato con un’intervista al Giornale il passaggio dal MoVimento 5 Stelle a Forza Italia. Dall’Osso è stato accolto ufficialmente da Maria Stella Gelmini, presidente dei deputati di Forza Italia, e si è trincerato dietro un prudente silenzio sui social network visto che probabilmente ha memoria di quello che è accaduto agli altri.
In compenso sulla sua pagina Facebook sono cominciati a fioccare i commenti di utenti non esattamente entusiasti della scelta del deputato disabile alla sua seconda legislatura, che ha spiegato di aver mollato il M5S perchè è stato bocciato un suo emendamento sui fondi per la disabilità .
«Tutto premeditato da chissà  quanto…», sostengono i sospettosi grillini anche se qualcuno che si fa qualche domanda sulla motivazione indicata da Dall’Osso c’è e chiede perchè il M5S abbia bocciato la richiesta del deputato.
Complessivamente però i grillini sono pronti a dire che perderanno la loro stima nei confronti del deputato e c’è chi insulta il partito di Berlusconi chiamandolo “mafia” e sottolinea che è del “pregiudicato di Arcore”
C’è anche chi chiede di rivotare di nuovo perchè vuole leggere nomi e cognomi di chi ha votato contro la proposta di Dall’Osso ma anche chi chiede a Dall’Osso di far vedere a Berlusconi “come sai nuotare a farfalla… ti farà  provare la sua piscina magari con un’altra nipote di Mubarak” e aggiunge che suo nipote (?) si vergognerà  di lui quando lo verrà  a sapere.

(da “NextQuotidiano”)

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RENZI DI NUOVO SEGRETARIO DEL PD? CI STA PENSANDO

Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile

LA “PAZZA IDEA” SOLLECITATA DAI SUOI, DIPENDERA’ DA UN SONDAGGIO LAMPO

La “pazza idea” è affidata ora a una “riflessione” e a un sondaggio lampo, di cui si attende l’esito nei prossimi giorni.
La “pazza idea” consiste nel grande ritorno di Renzi, come candidato alle primarie del Pd.
A grande richiesta di un’area smarrita, a un passo dal “liberi tutti” dopo il gran rifiuto di Minniti. Perchè, gli hanno ripetuto i suoi, “se vince Zingaretti a quel punto siamo dei corpi estranei e il Pd non è più casa nostra, solo tu hai un appeal nel nostro popolo”.
L’ex segretario, per dirla con chi ha parlato con lui, “non ha detto no”. Ma neanche sì. Sta, appunto, riflettendo.
E l’esito della riflessione è affidato non solo a valutazioni politiche di ordine generale, ma anche a un sondaggio che, detta in modo un tranchant, verifichi se c’è partita o se, invece, il suo ritorno la personalizzazione della pugna produrrebbe l’effetto referendum.
Ovvero una valanga a favore di Nicola Zingaretti.
Nei giorni scorsi proprio Renzi ha avuto un lungo colloquio con gli esperti di Swg. È un dato di fatto che, in attesa di capire le mosse dell’ex segretario, la situazione è congelata per qualche giorno. Anche perchè altri candidati “forti” non ci sono.
Guerini ha escluso perchè dovrebbe rinunciare alla guida del Copasir, Rosato o la Bellanova sarebbero candidature di bandiera, ma non competitive. Altri non ce ne sono e parecchi parlamentari, in queste ore, hanno avuto colloqui con Graziano Delrio, perchè, in una situazione da rompete le righe”, potrebbero essere tentatati dal sostenere Maurizio Martina.
È chiaro che il grande ritorno avrebbe l’effetto di compattare l’area e, magari, di far smottare anche le altre.
Perchè a quel punto, per dirne una, sarebbe complicato per Orfini o per Delrio, non schierarsi con Matteo Renzi. E avrebbe l’effetto anche di chiudere l’altra ipotesi, anch’essa affidata a sondaggi e riflessioni, di un nuovo partito di Renzi alla Ciudadanos, senza la nomenklatura.
Ipotesi ufficialmente sempre smentita pubblicamente ma su cui c’è un fitto lavorio, per evitare che quello spazio sia occupato da una iniziativa analoga di Carlo Calenda. L’ipotesi, però, prevede “sommersi” e “salvati”, perchè il grosso della nomenklatura, cacicchi e capibastone resterebbe nel Pd, presentato come una bad company di correnti rispetto al nuovo progetto, rispetto a quale l’ex segretario rinuncia al ruolo di “burattinaio”, secondo quella nuova narrazione che ieri ha affidato alla sua diretta facebook.
È una “pazza idea”, quella del ritorno accettando la sfida alla primarie, così la chiamano al Nazareno. Su cui un pressing è in atto.
Il presupposto è che Renzi possa vincere la partita. Perchè una sconfitta varrebbe doppio. Nel Pd e fuori.
È complicato far nascere un’altra Cosa perchè si è perso il congresso. A quel punto sarebbe una “scissione” di chi ha perso, non un progetto nuovo.

(da “Huffingtonpost”)

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COME HANNO PRESO I PATRIDIOTI LE CRITICHE DI PAMELA ANDERSON A SALVINI

Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile

TRA I SOLITI INSULTI IL MANTRA “SI PRESENTI ALLE ELEZIONI”… QUALCUNO RICORDI LORO CHE SALVINI SI E’ PRESENTATO E HA PRESO SOLO IL 17%

La fine del 2018 ha regalato all’Internet la scoperta dei Pamela Anderson nelle vesti di opinionista politica. Il tweet dell’ex bagnina di Baywatch, che da tempo si occupa di politica e di attivismo, sugli scontri di Parigi e la critica alla violenza strutturale delle classi dominanti e delle èlite ha letteralmente incendiato l’Internet.
La Anderson ha criticato i preoccupanti livelli dei xenofobia raggiunti nel nostro Paese. Il riferimento è all’addio tra le polemiche di Vittorio Castellani “Chef Kumalè” che ha accusato il programma Rai La prova del cuoco di avergli imposto di parlare solo di ricette regionali (mentre lo chef è specializzato in cucine del mondo).
Successivamente la Anderson ha espresso preoccupazione per quella che si potrebbe tradurre come lenta deriva del Paese verso un trend che le ricorda gli Anni Trenta del Novecento. Questo non perchè Pamela Anderson li abbia vissuti ma perchè, probabilmente, li ha studiati o se ne è interessata.
In ultima serie di tweet Pamela Anderson ha attaccato direttamente Matteo Salvini criticandone l’atteggiamento isolazionista e sovranista.
Secondo Pamela Anderson, che dal punto di vista della politica europea non è nessuno (ed è questo il bello) servirebbe una sorta di risveglio Pan-Europeo. Peccato appunto che la Lega e il ministro dell’Interno, che sono più amici del gruppo di Viesegrad che di Bruxelles vadano nella direzione diametralmente opposta.
Pamela Anderson ha espresso la sua opinione, ha detto quello che molti dicono da tempo e non rappresenta una minaccia alla tenuta dell’esecutivo gialloverde.
Viviamo però in un’epoca dove criticare il governo diventa un’impresa sempre più difficile perchè là  fuori è pieno di persone che non sapendo argomentare — figuriamoci argomentare in inglese — si limita a ripetere a pappagallo le risposte dei leader politici del centrodestra.
Ad esempio ieri Salvini ha detto che chi lo critica (Confindustria, il procuratore di Torino Spataro e così via) se vuole farlo prima si deve candidare e prendere tutti i voti che ha preso lui (dimenticando che ha preso solo il 17%) Solo allora avrà  il diritto di sedersi al tavolo dei grandi.
I sovranisti non l’hanno presa bene. Ci sono quelli che rinfacciano alla Anderson i suoi trascorsi da bagnina televisiva e fanno divertenti battute sulle sue forme procaci e presunte correlazioni con la mancanza di cervello.
Altri più sovranisti e no euro invece “spiegano” che l’Europa non ne può più dell’austerity (che al momento non c’è in Italia ma è una parola come “spread” che vale per tutte le stagioni) alla Anderson l’esistenza del complotto per “spalancare” le porte dell’Africa e far arrivare i clandestini in Italia dove non c’è lavoro, non c’è niente e tutti gli stranieri stanno per strada ad uccidere, spacciare droga e stuprare donne e anziane.
Qualche buongustaio la butta sullo slut shaming ricordando al mondo l’esistenza del sex tape di Pamela Anderson con l’allora marito Tommy Lee. Un filmato però che è finito su Internet perchè è stato rubato alla coppia (che poi ha deciso di stipulare un accordo con la casa di distribuzione che lo aveva messo in vendita).
Alla fine anche Salvini interviene per commentare le dichiarazioni di Pamela Anderson. Lo fa con un tweet identico a tutti quelli che ha “dedicato” ai suoi critici.
Pamela Anderson, così come i vari Saviano, Boldrini, Salmo etc, non ci sarà  a Roma in Piazza del Popolo alla grande manifestazione a favore del governo di Salvini. Sprezzante il commento della salvinette di turno: «Non ci sarà  perchè è invecchiata e ha paura che quando i suoi ammiratori non la riconosceranno più per la super bomba sexi rimarranno delusi, e addio»
Hanno parlato le comari strafighe…

(da “NextQuotidiano”)

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DILETTA CAPOBIANCO, ORFANA DI FEMMINICIDIO: “LO STATO NON DEVE LASCIARCI SOLI”

Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile

“ESTERREFATTA PER I FONDI NEGATI DAL GOVERNO”… QUANDO SALVINI SOTTO ELEZIONI FACEVA PROMESSE NON MANTENUTE

Diletta Capobianco non se ne capacita. “Di fronte a certe notizie resto sempre esterrefatta”, dice, commentando la bocciatura in Commissione Bilancio dell’emendamento alla manovra economica presentato dalla vicepresidente della Camera, Mara Carfagna, per stanziare, in un fondo dedicato, dieci milioni di euro a supporto delle famiglie che si prendono cura degli orfani di femminicidio.
Anche lei, Diletta, è un’orfana di femminicidio. Sua mamma è stata ammazzata a Cesena il 31 maggio 2012, lei aveva 14 anni, suo fratello Christian ne avrebbe compiuti sette qualche mese dopo. Si chiamava Sabrina Blotti, uccisa da Gaetano Delle Foglie, uno stalker che si era invaghito di lei, al quale aveva cercato in molti modi di sfuggire e che aveva denunciato, invano.
Diletta oggi di anni ne ha venti, studia alla facoltà  di informazione, media e pubblicità  dell’Università  di Urbino e vive tra Cesena, Urbino e Madrid dove sta portando a termine il suo Erasmus “per accelerare il percorso universitario e iniziare quanto prima la carriera da giornalista – spiega con tono determinato – mi piacerebbe occuparmi di cronaca nera, la mia esperienza mi ha ispirato”.
La notizia della bocciatura dell’emendamento – e il commento durissimo della Carfagna, che l’ha definita “una bastardata” – l’ha raggiunta in Portogallo.
Parlando con HuffPost, non nasconde la sua indignazione, concentrata in una raffica di interrogativi. “Com’è possibile che non si voglia progredire in questo senso quando, dati alla mano, sta succedendo il finimondo? – chiede Diletta – Davvero si vuole continuare a far passare il messaggio che il femminicidio sia una questione privata? Possibile che per rendersi conto di quanto un fatto del genere stravolga la vita bisogna aspettare che tocchi da vicino ognuno di noi? Anche a me sembrava una cosa lontana, pensavo non mi sarebbe accaduto, che mai avrei vissuto un’esperienza simile e invece può succedere a tutti, da un momento all’altro”.
Diletta lo sa com’è ritrovarsi, da un momento all’altro, senza baricentro, senza il riferimento rappresentato dalla mamma, sa cosa significa dover reimpostare la propria vita attorno a un’assenza che diventa presenza fissa nella mente e nel cuore, e un dolore incancellabile.
Lei e il fratellino, che adesso ha tredici anni, hanno potuto contare sul papà , Giovanni Capobianco. “Nella sfortuna noi siamo stati diciamo fortunati perchè abbiamo avuto papà , che ha pensato a noi in tutto e per tutto”, spiega Diletta. Che vuol dire farsi carico anche del supporto psicologico per lei.
Come sono obbligati a fare, nella stragrande maggioranza di casi, i familiari che si prendono cura dei figli delle donne uccise dagli uomini in quanto donne, quasi sempre bambini, che si trovano ad affrontare un trauma impossibile da superare senza un adeguato supporto terapeutico e in alcuni casi anche farmacologico.
Diletta ricorda che, subito dopo il femminicidio della mamma, “fu offerta a mio padre la possibilità  di far seguire a mio fratello un percorso con uno psicoterapeuta dell’Asl. Lui valutò la proposta, ma poi fu deciso di non accettare, anche perchè mio fratello non ha mai manifestato segnali tali da richiedere l’intervento di un supporto esterno alla famiglia. Io, invece, ho chiesto di essere seguita da una psicologa e per un breve periodo ho seguito un percorso terapeutico”.
Diletta ha saputo subito come era morta la mamma, Christian all’inizio di quest’anno, dopo l’intervista rilasciata dalla sorella alla trasmissione televisiva “Amore criminale”.
“Quando è successo il fatto era troppo piccolo, ora ha tredici anni – dice Diletta – abbiamo pensato che era meglio sapesse adesso e da noi come sono andate realmente le cose. Mio padre si è risposato con una donna che non ci ha fatto mancare affetto e sostegno, Christian vive in una famiglia di cinque persone in cui si dialoga molto. Papà  ha fatto di tutto per farci crescere il più serenamente possibile”.
Giovanni Capobianco ha intrapreso una causa contro lo Stato per chiedere un risarcimento.
“Lo ha fatto – puntualizza Diletta – perchè la denuncia di mamma, dalla quale si stava separando ma non era divorziato, contro lo stalker che le stava rendendo la vita impossibile, non è stata presa in considerazione. Come quella della dottoressa che lo aveva in cura, Delle Foglie le aveva confidato i suoi propositi omicidi”.
In un’intervista, Capobianco ha spiegato: “Mia moglie non è stata protetta e allora ho scelto di fare causa allo Stato, agisco da solo e per conto dei miei figli, che hanno subito un danno irreparabile”.
Quando Sabrina Blotti è stata uccisa non c’era ancora una legge che tutela gli orfani di femminicidio, approvata poco meno di un anno fa, “ma la presenza dello Stato noi non l’abbiamo sentita per niente. Anzi, per entrare in possesso dei beni che aveva lasciato mia mamma, che erano nostri, legittimi, io, mio fratello e nostro padre abbiamo dovuto pagare. Credo che questo dica molto”.
La presenza dello Stato, già .
“Perchè – chiede ancora Diletta – le parole di mamma e della dottoressa che curava Delle Foglie sono state sottovalutate? C’erano i presupposti, nero su bianco, per intervenire. E per quale motivo, poi, i figli di queste donne uccise dagli uomini vengono lasciati soli? Leggo di nonni che si prendono cura dei nipoti bambini e mi chiedo cosa ne sarà  di questi piccoli quando, sperando il più tardi possibile i nonni non ci saranno più? Lo Stato ha il dovere di farsi carico del dolore e dei sacrifici che affrontano queste persone. Poi, certo, nessun risarcimento potrà  colmare una perdita così importante. Essere orfani di femminicidio vuol dire tante altre cose”.
Per esempio prendere il diploma del liceo scelto insieme alla mamma – “mi era stata consigliata una scuola più facile, ma io le avevo promesso che lo avrei finito – e non poter condividere la gioia con lei, cercarla nel volto delle mamme dei compagni, dover fare a meno dei suoi abbracci, chiedersi che cosa avrebbe pensato delle scelte di ogni giorno. Ritrovarsi senza baricentro da un momento all’altro e tutto per la follia di un uomo, che in tanti casi è il proprio padre.
“La vita degli orfani di femminicidio è segnata per sempre, il dolore resta, ma una presa di coscienza e gesti concreti da parte delle Istituzioni possono renderlo più sopportabile”.
Diletta ha scelto di non tenere sempre e solo dentro di sè tutto quel dolore, di battersi perchè storie come le sue non si ripetano, partecipa a incontri e conferenze, “ma possiamo testimoniare quanto vogliamo, se in questa che è una battaglia culturale non abbiamo il supporto di chi ci governa non andremo molto lontano”.
E qui torna la bocciatura dell’emendamento presentato da Mara Carfagna, che ieri dal suo blog su HuffPost ha manifestato l’intenzione di andare avanti nella battaglia.

(da “Huffingtonpost”)

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