Marzo 21st, 2019 Riccardo Fucile
UOMINI CHE FANNO LA SPOLA TRA MOSCA E L’ITALIA CON LO SCOPO DI INDEBOLIRE L’EUROPA E FAVORIRE L’IMPERIALISMO RUSSO: DA ALEXEY KOMOV AL FINANZIERE MALOFEEV CHE HA GARANTITO I PRESTITI A MARINE LE PEN
Oligarchi vicino a Putin, uomini di raccordo tra la Lega di Matteo Salvini e il fronte sovranista
russo. Dietro il Congresso delle Famiglie in programma a Verona tra il 29 e il 31 marzo si muovono uomini e nomi che vanno da Mosca all’Italia
Si presenta come un convegno sulla famiglia tradizionale, una kermesse dedicata a un tema etico. Sotto la superficie, però, il World Congress of Families — in programma a Verona dal 29 al 31 di marzo — nasconde un obiettivo politico molto più ambizioso: il ritorno ai nazionalismi, l’indebolimento dell’Unione europea per come la conosciamo oggi.
Una finalità che unisce idealmente Vladimir Putin a Matteo Salvini. E che trova parecchi riscontri concreti. Per rendersene conto bisogna collegare i punti, i personaggi.
Partendo da un uomo che il leader leghista conosce bene. Si chiama Alexey Komov ed è il rappresentante del World Congress of Families in Russia.
Komov era presente il 15 dicembre del 2013, a Torino, durante l’incoronazione di Salvini a segretario del partito. Una presenza molto significativa.
In Russia Komov è infatti a capo di una rete di associazioni e fondazioni tradizionaliste. Ha creato, per esempio, il fondo San Bonifacio, nel cui consiglio d’amministrazione sono presenti alcuni esponenti di Russia Unita, il partito di Putin.
Oltre a rappresentare le istanze cristiane più conservatrici, Komov lavora per Konstantin Malofeev alla fondazione San Basilio. Oligarca classe 1974, Malofeev è un finanziere che ha iniziato la carriera lavorando per alcune banche russe, poi nel 2005 ha fondato la Marshall Capital, diventata oggi una delle principali società di investimento del Paese
Malofeev non è solo uno dei tanti paperoni locali. È un fedelissimo di Putin sospettato da Stati Uniti e Unione europea di aver finanziato la conquista della Crimea e la guerra nel Donbass, motivo per cui il Tesoro statunitense e il Consiglio d’Europa lo hanno inserito nella black list.
È accusato anche di aver avuto un ruolo attivo nei rapporti finanziari tra il Cremlino e i francesi del Front National.
Come rivelato dalla testata «Mediapart» nel 2015, il miliardario moscovita avrebbe infatti contribuito ad agevolare il prestito da 9 milioni di euro ottenuto dal partito di Marine Le Pen tramite una banca controllata da Mosca (la First Czech Russian Bank) e un altro di 2 milioni da una società cipriota (la Vernonsia Holdings)
Per questo non colpisce ritrovare il nome di Malofeev nella trattativa per finanziare la Lega con denaro russo, una storia che insieme a Giovanni Tizian abbiamo raccontato dettagliatamente ne “Il Libro Nero della Lega”, edito da Laterza.
Al centro della trattativa c’è Gianluca Savoini, leghista che si presenta ai media come il coordinatore degli «incontri di Matteo Salvini con gli ambienti russi».
Che c’entra Malofeev in tutto questo? C’entra, perchè nel luglio dell’anno scorso Savoini era in contatto con una società petrolifera collegata a Malofeev.
Si chiama Avangard oil & gas e non compare nei registri commerciali ufficiali. La sede si trova però a Mosca, al civico 31 di Novinsky Boulevard, dove sono registrate due imprese che fanno capo a Malofeev:
Tsargrad, un’azienda editoriale, e Marshall Capital, il fondo d’investimento dell’oligarca. Nello stesso interno, il numero 1, ha sede appunto la Avangard oil & gas. Il 24 luglio del 2018 Savoini ha inviato un’offerta commerciale al direttore generale della Avangard, Alexey Mustafinov. Oggetto: la compravendita di un grosso quantitativo di gasolio. Lo stesso affare che Savoini stava trattando tre mesi dopo, il 18 ottobre all’Hotel Metropol di Mosca.
Quel giorno Savoini era seduto nella hall dell’albergo insieme a due italiani e tre russi. Un incontro introdotto proprio dal consigliere di Salvini con queste parole: «La nuova Europa dev’essere vicina alla Russia, non dobbiamo più dipendere dalle decisioni di illuminati a Bruxelles o in Usa».
Un normale discorso politico, non fosse che subito dopo Savoini ha aggiunto: «Adesso lascio la parola ai nostri partner tecnici per continuare la discussione». È seguendo le parole dei «nostri partner tecnici» che emerge l’obiettivo della trattativa: finanziare la Lega in vista della campagna elettorale per le elezioni europee di maggio. C
on un escamotage: una compravendita di gasolio, 3 milioni di tonnellate metriche, vendute dalla russa Rosneft all’italiana Eni attraverso una banca europea non meglio specificata. Il tutto con uno sconto del 4 per cento sul prezzo di mercato. Sconto del quale, alla fine, avrebbe dovuto beneficiare la Lega.
Questo è quanto si sono detti i presenti quel 18 ottobre all’Hotel Metropol. E questo è il contesto in cui si muove Savoini, l’uomo di Salvini a Mosca, fondatore in Italia di Lombardia-Russia. Un’associazione no profit che online si presenta così: «organizzazione culturale apartitica ma con idee molto precise che combaciano pienamente con la visione del mondo enunciata dal Presidente della Federazione Russa nel corso del meeting di Valdai 2013 e che si possono riassumere in tre parole: Identità , Sovranità , Tradizione».
Chi è il presidente onorario di Lombardia-Russia? Alexsey Komov, proprio lui, il rappresentante russo del World Congress of Families. Insomma, il legame tra Komov e il vicepremier italiano va ben oltre il convegno di Verona sulla famiglia tradizionale. Passa per Savoini, l’uomo di Salvini a Mosca. E arriva fino Malofeev, uno degli oligarchi considerati più vicini a Putin.
(da Fanpage)
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Marzo 21st, 2019 Riccardo Fucile
DE VITO ARRESTATO, FRONGIA INDAGATO, LA RAGGI VACILLA… POLVERE SOTTO IL TAPPETO PER CONTENERE I DANNI… MA IN CONSIGLIO AUMENTANO I “NO STADIO”
È sera, e Francesco Silvestri sta fumando una sigaretta nel cortile di Montecitorio: “Tre o quattro giorni prima dell’arresto ho incontrato Marcello. Stavamo sulla terrazza del Campidoglio e parlavamo proprio di come bisognasse tenere la schiena dritta in contesti complicati come quelli nei quali ci troviamo”.
Marcello è De Vito, il presidente dell’Assemblea capitolina finito in manette mercoledì. E Silvestri è uno dei deputati romani più influenti nel Movimento 5 stelle, organizzatore di Italia 5 stelle, un filo diretto con Luigi Di Maio.
Nel primo pomeriggio sulla scrivania del leader si è frantumata come fosse un pavesino l’ennesima tegola: Daniele Frongia, assessore allo Sport e già vicesindaco all’ombra della lupa, è indagato per corruzione. Certo, nulla a che vedere con lo shock dell’arresto del collega.
Ma pur sempre un’altra botta in un quadro, quello romano, che ormai da troppo tempo sono spine senza rose per il Movimento.
Parte una girandola di telefonate, la situazione si ingarbuglia. Il timore è che la macchia si allarghi con effetti imprevedibili.
Da molto in alto dai 5 stelle si prova a capire la situazione, anche sondando la Procura.
In breve si capisce che Frongia non è indagato nel filone “Congiuntura astrale”, quello che ha portato De Vito in carcere, ma per il primo filone di indagine che ha coinvolto lo stadio della Roma, “Rinascimento”.
“Chi tocca lo stadio muore”, commenta a caldo un influente senatore. “A questo punto soltanto la magistratura può dirci se siamo giunti al fondo oppure no” dice il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra all’Huffpost.
Filtra che sulla posizione dell’assessore la richiesta di archiviazione è imminente, a sera lo spiegano in chiaro i suoi legali.
Di Maio spedisce Massimo Bugani per il secondo giorno di fila sotto il Marco Aurelio, vuole avere da una persona fidata il polso della situazione.
Anche oggi, come ieri, il filo diretto con Virginia Raggi è costante. Un pressing che porta alla decisione serale di Daniele Frongia di autosospendersi, come esponente M5s e come assessore.
In Campidoglio partono i veleni, e subito c’è chi ricorda di come proprio l’ex vicesindaco avesse presentato Massimiliano Romeo alla sindaca, e di come fosse uno dei “4 amici al bar” della famosa chat con il sindaco e Raffaele Marra resa celebre dalle cronache giudiziarie.
Il punto è sempre uno: che cosa succede se questa grossa palla di neve che sta rotolando giù dalle scale del Colle diventa una slavina?
Più d’uno fa notare sibillinamente come d’altra parte De Vito abbia avuto un ruolo di primo piano nell’organizzazione e nelle liste romane all’epoca delle elezioni politiche.
“Il vero problema è quello — spiega Silvestri, che su Frongia si dice tranquillo — se il cedimento di Marcello è più largo. Se riguarda solo lui non mi preoccupa”.
È uno dei pochi ad esporsi. Perchè la tattica è quella di stendere un cordone sanitario intorno al reprobo De Vito, e sperare nella damnatio memoriae. E parlare il meno possibile del caso dell’assessore indagato, che si spera si risolva in poco tempo.
Ma la situazione è tesa. In giornata si sparge la notizia che la Raggi sarebbe pronta al passo indietro. “Una follia”, dicono dalla war room di Di Maio. “Smentiamo totalmente”, lasciano filtrare dall’ufficio del sindaco.
L’antica tecnica della polvere sotto il tappeto mira a mettere il silenziatore a una vicenda dura ma al momento circoscritta, confidando che sia avvenuta troppo lontano dalle europee per avere ripercussioni sulle urne.
“Non abbiamo motivo per togliere la fiducia politica a Virginia”, dice il ministro Riccardo Fraccaro a Otto e mezzo su La7. Perchè il grande tema è se prima o poi uno dei tentacoli della piovra che sembra essere diventato lo stadio afferrerà la giacca della pasionaria 5 stelle: “Ma se venisse indagata lei vorrebbe dire che noi non ci abbiamo capito nulla”, spiega chi conosce bene le dinamiche capitoline.
Rimane il problema politico dello stadio. Sul quale tutto il Governo ha dichiarato di voler andare avanti.
Primo fra tutti Luigi Di Maio, che lo ha ribadito anche alla Raggi. Ma la crepa aperta dall’affaire De Vito ancora non è chiaro quanto potrebbe allargarsi.
E una fonte di primo piano del Campidoglio spiega che sarebbe un numero contenuto tra i 5 e i 7 consiglieri quelli nei quali si sarebbe rinsaldata la contrarietà al progetto: “Con questi numeri balliamo”, spiegano le stessa fonte.
Silvestri, che nel pomeriggio ha salito lo scalone per andare a capire la situazione, spiega che “è questo il motivo per cui non abbiamo voluto le Olimpiadi”.
Ma sullo stadio è netto: “Se qualcuno vuole sfruttare la gravissima e dolorosa vicenda di Marcello per un uso politico, secondo me prende un grosso abbaglio. Se dalle carte non emerge nulla che dica il contrario, il progetto deve andare avanti”.
Un’altra grana all’orizzonte.
(da “Huffingtonmpost”)
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Marzo 21st, 2019 Riccardo Fucile
IL PATRIOTA PIETRO MARRONE DIECI ORE DAVANTI AI GIUDICI SPIEGA I DETTAGLI DEL SOCCORSO, FORNISCE DOCUMENTI E MOTIVA LE RAGIONI DI SICUREZZA DI FRONTE ALL’ORDINE ILLEGALE DEL VIMINALE DI FERMARE I MOTORI
“Mio cugino è morto in mare a Lampedusa, in condizioni simili a quelle affrontate dalla Mare
Jonio. La gente in mare che ha bisogno non si può ignorare”. Si è commosso durante l’interrogatorio Pietro Marrone, il comandante della Mare Jonio, apparso oggi davanti al pm di Agrigento Salvatore Vella.
Marrone è indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dopo avere disobbedito all’alt della Guardia di Finanza in alto mare con a bordo 49 migranti.
Marrone ha rivendicato l’impossibilità di spegnere i motori al “solo scopo di non far rischiare la vita alle persone a bordo”. “Si deve sempre fare di tutto per dare una mano”, ha detto al magistrato. Marrone è difeso dall’avvocato Fabio Lanfranca.
L’interrogatorio, svolto dal procuratore aggiunto Salvatore Vella e dal pm Cecilia Baravelli è durato dieci ore. Marrone, che è l’unico indagato, ha risposto ad ogni domanda dei pm, cercando di fare chiarezza su quanto è accaduto.
Domani, il procuratore aggiunto Vella e il sostituto Baravelli sentiranno – sempre alla brigata della Guardia di finanza di Lampedusa (AG) – Luca Casarini, capo missione della “Mare Jonio”.
“Durante questo lungo interrogatorio abbiamo ricostruito, con il nostro contributo di trasparenza, passo passo, tutti gli accadimenti della nave Jonio”, ha detto all’Adnkronos l’avvocato Fabio Lanfranca, legale del comandante Marrone, subito dopo l’interrogatorio. “Abbiamo seguito un ordine cronologico temporale – dice ancora Lanfranca – e fornito agli inquirenti documentazione di supporto rispetto a quello che ha detto il comandante”.
L’indagine, hanno precisato i magistrati, è a 360 gradi, quindi se emergeranno comportamenti illeciti delle autorità preposte, a qualsiasi livello, non si escludono colpi di scena.
(da agenzie)
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Marzo 21st, 2019 Riccardo Fucile
“IL 33% DEGLI ITALIANI AVEVA VOTATO IL NOSTRO PROGRAMMA E SOLO IL 17% QUELLO DELLA LEGA. ERA NOSTRO DOVERE PORTARLO AVANTI, NON ACCORDARCI A SALVINI”… “DI MAIO HA TRADITO IL PROGRAMMA DEL MOVIMENTO CHE ERA BEN ALTRO E CI HA FATTO PERDERE IL 12% DI CONSENSI”
È vero, il caso Diciotti è stato solo il punto di arrivo di un percorso che è iniziato ad Aprile 2017, quando Luigi Di Maio, che ancora non era stato nominato capo politico del partito Movimento 5 stelle, decise autonomamente dal gruppo, ma credo in accordo con la comunicazione, di dare una sterzata a destra alle posizioni del MoVimento 5 Stelle sulla questione migrazione.
All’epoca avevamo già elaborato un programma migrazione, o eravamo alla sua definizione, molto ben dettagliato e molto ben strutturato, a mio avviso, capace di cogliere la complessità della questione senza demonizzarla e di affrontarla non come una emergenza, ma come un fatto strutturale da gestire, tramite tre filoni di azioni inter connessi: quello dell’accoglienza, implementando gli SPRAR, e quindi l’integrazione e l’inclusione, quello della redistribuzione sul territorio comunitario tramite la ridiscussione in Europa dei regolamenti di Dublino III e quella più complessa e più a lungo termine di un controllo e limitazione dello sfruttamento del continente africano da parte dell’occidente, consistente in traffico di armi, sfruttamento di giacimenti, acquisto di aree fertili per assicurarsi la autonomia agroalimentare, fino ai traffici illeciti di rifiuti pericolosi e di armi, allo sfruttamento di guerre civili e disordini finalizzati ad interessi lobbistici e interferenze sui governi per accedere ad opere di ricostruzione, gestione e sfruttamento di giacimenti petroliferi o di altre materie prime…fino ai cambiamenti climatici, causa inevitabile del surriscaldamento e dei migranti cd climatici.
Abbandonare la nostra linea fu un tentativo, reputo, di testare il consenso a destra, dopo che le elezioni europee al grido di “Berlinguer, Berlinguer” non avevano dato il risultato sperato.
Fu allora che Di Maio accese un faro forte, fisso, costante e ossessivo, sulle ONG, in tv e sui media.
La richiesta di indagini e accertamenti, di per sè lecita in caso di paventati comportamenti illeciti, non ha dato negli anni seguito a nessun capo di imputazione da parte delle Procure, ma ha determinato un clima di sospetto, preludio all’indebolimento dell’azione delle ONG che hanno perso via via la fiducia dei sostenitori e hanno abbandonato man mano i mari, e ha rafforzato l’idea che fosse necessario e giusto, lecito, respingere.
Eppure noi, proprio in quei giorni, ci opponevamo con forza al decreto Orlando-Minniti con focosi discorsi in aula e nelle commissioni e agli accordi del governo con la Libia, consci che nei respingimenti e nella segregazione non ci possa essere soluzione alle condizioni di necessità di una parte così imponente della popolazione mondiale.
Ebbi modo di affrontare in quei giorni Luigi e di contrappormi a lui su questa linea, ribadendo, e fu anche notizia sui quotidiani, che lui parlava a nome personale e non a nome del movimento, essendo noi portatori di un’altra visione e di altre soluzioni…
Fu inutile, a quanto vedo, ma ancora erano i tempi in cui l’idea dell’uno vale uno erano forti e la convinzione che il lavoro collettivo rappresentasse la vera voce mi rassicurava.
Fu così che in campagna elettorale portammo avanti convinti, tanti di noi, il programma, (quello originale depositato al Quirinale e non quello “ridotto” per esigenze divulgative che ha girato poi).
Ma il governo con la Lega riaccese le nostre preoccupazioni e il decreto Salvini non è stata che una tappa attesa e una amara conferma. Il M5s ha preferito appiattirsi senza marcare le differenze sulla linea Salviniana, di cui il caso Diciotti, abbracciato da tutto il governo, non ne è che il triste epilogo.
Ha pagato questa linea? Non credo, dato che i sondaggi ci danno in caduta libera.
I sondaggi non sono altro che il polso della situazione, il termometro del gradimento da parte dei cittadini delle azioni di governo, e se gli elettori il 4 di marzo 2018 hanno votato per il 33% il programma del M5s e solo per il 17% il programma della Lega, noi avevamo il dovere verso i cittadini di rispettare quella percentuale di maggioranza in tutti i provvedimenti.
Cedendo alla Lega la narrazione generale, in definitiva, si è venuti meno al patto con gli elettori che ci ha permesso di essere qui e che ha permesso ad alcuni di noi di governare il paese.
Paola Nugnes
parlamentare M5S
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Marzo 21st, 2019 Riccardo Fucile
IL MAGISTRATO HA ACCOLTO IL RICORSO DI UN CITTADINO SOMALO CUI ERA STATA RIFIUTATA L’ISCRIZIONE: “IL DINIEGO E’ DISCRIMINATORIO, COME SANCITO DALLA COSTITUZIONE”
E’ scappato dal processo, ma poi – in attesa di diventare l’Erdogan nostrano – non è lui a decidere
cosa devono fare o non fare i magistrati: il Tribunale di Firenze, con una sentenza del giudice Carlo Carvisiglia, ha accolto il ricorso di un cittadino somalo, richiedente asilo, a cui il comune di Scandicci (Firenze) aveva rifiutato l’iscrizione all’anagrafe in base al decreto sicurezza predisposto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini
“Ogni richiedente asilo, una volta che abbia presentato la domanda di protezione internazionale, deve intendersi comunque regolarmente soggiornante, in quanto ha il diritto di soggiornare nel territorio dello Stato durante l’esame della domanda di asilo e, quindi, è autorizzato a presentare domanda di iscrizione all’anagrafe – questa la motivazione del giudice che ha accolto il ricorso del somalo – Iscrizione che i comuni non possono rifiutare perchè il diniego sarebbe discriminatorio, come sancito dalla Costituzione, per i cittadini stranieri”.
La notizia è confermata dall’avvocato Noris Morandi dell’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione): “Credo sia la prima in Italia”, spiega il legale.
“Per il giudice la parità di trattamento tra stranieri e regolarmente soggiornanti e cittadini è considerata fondamentale dalla Corte Costituzionale”.
(da Globalist)
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Marzo 21st, 2019 Riccardo Fucile
PER IL NUMERO UNO DELLA CORTE COSTITUZIONALE I GIUDICI POTREBBERO SOLLEVARE IL CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI DOPO IL NO DEL SENATO CHE HA VOTATO L’IMPUNITA’ A SALVINI
“Se l’autorità giudiziaria dovesse ritenere che la decisione è ingiustificata, allora può sollevare un conflitto di attribuzione. Poi, ovviamente, si vedrà se è ammissibile o meno”. Risponde così Giorgio Lattanzi, il presidente della Corte costituzionale, alla domanda su che cosa potrebbe accadere, in via generale, dopo un caso come quello del ministro Matteo Salvini in Senato.
Il Parlamento nega l’autorizzazione alle indagini chieste dal tribunale dei ministri di Catania, perchè ravvisa un interesse dello Stato sulla decisione presa dal titolare del Viminale sui migranti della nave Diciotti. Ma la strada della contrapposizione non è finita.
Ci potrebbe essere un’ulteriore mossa dei giudici, come quella, appunto, di sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta. Che riaprirebbe i giochi sulla decisione presa e che Salvini festeggia come liberatoria.
Lattanzi, ex presidente della sesta sezione penale della Cassazione, alla Corte da otto anni, misura ogni parola.
Non è certo sua intenzione interferire nelle scelte delle Camere. Ma, in via generale e prescindendo dal caso concreto, spiega che sì, quel conflitto, qualora i giudici volessero sollevarlo, sarebbe possibile. Ovviamente non è immaginabile quale sorte potrebbe poi avere di fronte alla Consulta.
Tradizionale appuntamento, nel palazzo del Fuga, per il bilancio dell’anno passato, ma con uno sguardo già al futuro.
Dove spicca il caso della decisione, presa a settembre, sul caso Dj Fabo-Cappato, quell’aiuto al suicidio che ha spinto i giudici di Milano a rivolgersi alla Corte ravvisando il vuoto legislativo in materia. E la Corte, con una sentenza innovativa, ha dato una chance al Parlamento, perchè esiste appunto un vuoto costituzionale che va coperto. Andrebbe sanato in 12 mesi, ma il Parlamento purtroppo langue.
Dice Lattanzi: “Con l’ordinanza Cappato, la Corte ha inteso evidentemente riconoscere il primato delle Camere nel definire dettagliatamente la regolamentazione della fattispecie in questione, perciò confido fortemente che il Parlamento dia seguito a questa nuova forma di collaborazione, nel processo di attuazione della Costituzione, e non perda l’occasione di esercitare lo spazio di sovranità che gli compete”.
Un messaggio chiarissimo. Perchè, prosegue Lattanzi, “la tecnica dell’ordinanza di ‘incostituzionalità prospettata’ sarebbe anzitutto un successo per la funzione rappresentativa del legislatore, che andrebbe perduto se tale funzione non fosse in concreto esercitata”. Se non è uno warning davvero poco ci manca. Perchè ormai mancano solo sei mesi allo scadere dell’anno concesso, un tempo che già di per sè rende difficile la possibilità di scrivere una legge complessa come quello sul fine vita, con il passaggio tra Camera e Senato.
Conclude Lattanzi: “La Corte sarà chiamata a decidere in un senso o nell’altro. Se non dovesse farlo, nel sistema resterebbe una norma illegittima”.
Ma Lattanzi insiste molto sul rapporto innovativo tra Corte e Parlamento. Una Corte che rispetta le prerogative di chi fa le leggi, ma certo non può abdicare al suo ruolo di garantire il rispetto della Costituzione.
Una Carta che, per il presidente della Corte, va lasciata tranquilla. Dice Lattanzi: “Dovremmo tenercela così com’è, visto che anche due leggi per cambiarla, sottoposte a referendum, sono abortite. Credo che le stesse persone che le hanno proposte oggi sono ben contente”. Dice ancora Lattanzi: “La Costituzione non può essere cambiata a ogni pie’ sospinto. Essa è frutto della guerra. È un orologio ben congegnato. Ci vorrebbero una situazione analoga e un accordo analogo per modificarla. Gli italiani l’hanno capito più delle forze politiche. Se ne svilisce il valore se si cambia di volta in volta”. Conclude Lattanzi nel suo elogio alla Carta: “La Costituzione è lì, è fondamentale, altrimenti viene meno il suo valore profondo”.
La Consulta diventa una sorta di sacerdote della Costituzione. Questo spiega i viaggi per raccontarla fatti l’anno scorso nelle scuole e nelle carceri che stanno proseguendo anche quest’anno. Perchè “la Corte ha maturato la consapevolezza che deve uscire dal ‘Palazzo’, deve farsi conoscere e deve conoscere, deve farsi capire e deve capire, anche perchè farsi conoscere e farsi capire significa far conoscere e far capire la Costituzione”.
Una Corte che mette in mostra anche se stessa, il bel palazzo in cui abita, che il 24 marzo, in occasione delle giornate del Fai, sarà aperto alla città . E chi lo visiterà troverà la sorpresa di decine e decine di foto, distribuite lungo i corridoi, gli scaloni, le, la biblioteca. È la mostra “Il volto della Corte” che resterà aperta fino a fine mese. Stupende stanze affrescate dei giudici. Foto che ritraggono momenti di vita di tutti i giorni alla Corte. Le riunioni in camera di consiglio, quelle dei singoli giudici con gli assistenti, tutto il personale della Corte preso in momento di vita ordinaria.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 21st, 2019 Riccardo Fucile
ALMENO SI LEGGANO I DECRETI CHE FANNO VOTARE… LO STATO DI DIRITTO NON E’ LA STESSA COSA DEL REGOLAMENTO GRILLINO… E IL DECRETO SICUREZZA E’ INCOSTITUZIONALE
«Questo è un Paese che deve saper guardare oltre. È un Paese che non può fermarsi
all’indignazione. Siamo molto di più della semplice indignazione» scrive il vicepremier Di Maio su Facebook e dopo nemmeno una riga dà immediatamente fiato alle trombe dell’indignazione proponendo di togliere la cittadinanza a Ousseynou Sy, l’autista che ieri ha sequestrato un bus con una scolaresca.
Lo fa con la modalità tipica di chi ritiene che i principi dello Stato di diritto equivalgano alle regole del MoVimento 5 Stelle: «Credo sia un dovere togliere immediatamente la cittadinanza a quel criminale che ieri, a San Donato Milanese, stava per compiere una strage di 51 bambini».
Ieri Di Maio ha espulso immediatamente Marcello De Vito dal M5S senza attendere il parere dei probiviri.
Oggi farnetica di togliere la cittadinanza ad un italiano di origine straniera senza nemmeno aspettare la sentenza dei giudici.
L’etat c’est moi diceva un altro Luigi passato alla storia. Al momento in cui scriviamo, rassicuriamo i lettori: è la stessa tempolinea del Capo Politico del M5S, Sy è accusato di sequestro di persona, tentata strage, incendio, resistenza con l’aggravante di aver agito con finalità terroristica. Ma così come per altri indagati non è detto che tutte le accuse diventino capi d’imputazione e successivamente condanne.
Di Maio del resto arriva tardi, perchè già Salvini aveva fatto sapere di voler fare «di tutto per togliere la cittadinanza italiana» a Sy. Lo può fare? La legge dice di sì. Ma ci sono delle precise condizioni ed è per questo che il ministro dell’Interno non si sbilancia a dire, ad esempio, che grazie all’articolo 14 del Decreto Sicurezza da lui varato sarà possibile farlo.
Perchè è proprio il cosiddetto Decreto Salvini, entrato in vigore il 1 dicembre 2018, a prevedere la possibilità di revoca della cittadinanza acquisita (ovvero solo ai cittadini italiani di origine straniera e non agli italiani nativi) nei casi in cui queste persone rappresentino una grave minaccia per lo Stato.
Non vale quindi per tutti i reati, ma solo per alcuni, vale a dire i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale (a Sy è contestata l’aggravante della finalità terroristica).
E la cittadinanza potrà essere revocata solo in caso di condanna definitiva. Inoltre la revoca della cittadinanza non è automatica ma avviene con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’Interno entro tre anni dalla sentenza definitiva.
Va da sè, ad aver letto la legge, che non è possibile fare come vorrebbe Di Maio che la cittadinanza vorrebbe revocarla immediatamente. Chissà se Di Maio lo sa.
I contorni della vicenda giudiziaria sono ancora tutti da definire. Anche perchè le motivazioni del gesto di Sy sono alquanto singolari. In carcere ha definito di essere un panafricanista e di aver tentato di dare fuoco a 51 persone «per dare un segnale all’Africa, perchè gli africani restino in Africa e così non ci siano morti in mare». Ha poi spiegato di sperare anche nella vittoria delle destre in Europa «così non faranno venire gli africani».
Dal momento che il Decreto Sicurezza è di recente introduzione non è al momento chiaro il livello di applicabilità della norma che prevede la revoca della cittadinanza.
Ad esempio diversi costituzionalisti hanno sollevato dubbi sulla costituzionalità dell’articolo 14 del Decreto Salvini che finirebbe per creare una ghettizzazione su base etnica dividendo gli italiani tra cittadini di serie A — quelli a cui la cittadinanza non può essere revocata se commettono quei reati (ci sono dei casi per cui è possibile perdere la cittadinanza) — e cittadini di serie B, quelli di origine straniera che invece possono perdere un diritto legittimamente acquisito.
I limiti e campi di applicazione dell’articolo 14 sono quindi incerti e come tutte le leggi passibili di un ricorso alla Corte Costituzionale (chissà potrebbero essere proprio gli avvocati di Sy a richiederlo).
L’articolo 22 della Costituzione è molto chiaro quando dice che «nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza» e che l’articolo 15 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (che l’Italia ha sottoscritto) stabilisce che «nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza».
Piaccia o no Ousseynou Sy è un cittadino italiano ed è in quanto tale che va giudicato.
(da NextQuotidiano“)
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Marzo 21st, 2019 Riccardo Fucile
“PRETENDO UN MINISTRO CHE NON FACCIA COMIZI”… E CAPOLISTA NELLE ISOLE METTE LA FIGLIA DEL GIUDICE CHINNICI, UCCISO DALLA MAFIA
La prima di Nicola Zingaretti a Bruxelles da segretario è un attacco frontale a Matteo Salvini dopo la tragedia del bus ieri nel milanese. “Salvini cavalca i problemi ma non li risolve. Anzi visto che ci campa con i problemi degli italiani, ho il sospetto che non li risolverà mai. Come sta accadendo purtroppo con la tragedia del pullman di ieri: si vuole nascondere un fatto drammatico e cioè che in Italia è tornata una forma di terrorismo dopo moltissimi anni…”, dice Zingaretti a margine dell’assemblea del Pse, dove ha modo di intrattenersi con il premier spagnolo uscente Pedro Sanchez, il leader dei laburisti britannici Jeremy Corbyn, il premier portoghese Antonio Costa.
“Io dal ministro dell’Interno del Governo del mio paese pretendo sicurezza per i cittadini – continua Zingaretti – e pretendo che invece di passare le giornate sui palchi a fare comizi per il proprio partito, ci sia attenzione massima alla sicurezza, che si alzi l’allerta terrorismo che sta assumendo forme inedite in Europa”, quella delle “schegge impazzite che finora avevamo visto in azione in Francia. La tragedia di ieri non è diventata vera tragedia grazie a dei bambini che hanno chiamato aiuto e all’intervento dei carabinieri”. Ma è un fatto che “richiede un governo presente e un ministro degli interni che faccia a questo punto una cosa semplice e rivoluzionaria: faccia il ministro degli Interni, cioè si occupi della sicurezza degli italiani”.
A Bruxelles Zingaretti insiste sull’idea di costruire una lista allargata per le europee: “Sarà la vera novità di questa campagna elettorale, come è stata una novità l’afflusso di partecipanti alle primarie”.
E su questo trapela qualche nome importante: Caterina Chinnici potrebbe essere capolista per la ‘circoscrizione Isole’, magistrato, figlia del giudice Rocco Chinnici assassinato dalla mafia.
Nella famiglia socialista, dice Zingaretti, “c’è tantissima attenzione, ci sono aspettative verso l’Italia, voglia di vedere un centrosinistra combattivo che aiuti l’Italia a uscire da questo periodo drammatico”.
Il confronto con Corbyn, consumato dal caos Brexit come tutti i leader britannici, gli rafforza l’idea che “bisogna cambiare questa Europa, scommettendo su uno sviluppo sostenibile, ambientale e sociale”, in quanto: “Uscire dall’Ue non è la soluzione”.
“Molti hanno votato Lega e 5 stelle perchè cercavano maggiore giustizia, ma è passato un anno e l’Italia sta andando in senso opposto – conclude – O qui vince una famiglia che crede nell’Europa oppure se vincono i nazionalisti, cioè i capi popolo che difendono solo i loro paesi, l’Italia ci rimette sicuro perchè saremo isolati, come lo siamo sull’immigrazione, dove certo non sono i sovranisti europei che ci aiutano”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 21st, 2019 Riccardo Fucile
INCHIESTA STADIO ROMA, PARNASI HA FATTO IL SUO NOME: “MI HA CHIESTO DI ASSUMERE UNA SUA AMICA”
Trema ancora il Campidoglio a Cinque Stelle. Dopo l’arresto del presidente del Consiglio comunale
grillino Marcello De Vito, anche l’assessore Daniele Frongia, fedelissimo della sindaca Raggi, risulta indagato con lo stesso capo d’imputazione, corruzione, nell’ambito dell’inchiesta sullo stadio della Roma.
A fare il suo nome sarebbe stato l’imprenditore Luca Parnasi che, nel corso dei suoi interrogatori, avrebbe raccontato di aver chiesto a Frongia, assessore allo Sport del Comune di Roma e già vice-sindaco, di segnalargli il nome di qualcuno da assumere in Ampersand, una delle società del costruttore, come responsabile delle relazioni istituzionali.
Frongia suggerì il nome di una giovane 30enne, una sua amica, ma la cosa poi non andò in porto perchè, poco dopo, Parnasi fu arrestato.
L’indagine su Frongia si inserisce nell’ambito del filone dell’inchiesta sullo stadio della Roma per il quale lo scorso 13 giugno finirono in manette nove persone tra cui lo stesso Parnasi, proprietario della società Eurnova che stava realizzando il progetto, cinque suoi collaboratori e l’ex presidente di Acea Luca Lanzalone.
Pronta la replica di Daniele Frongia. “Ho appreso di essere coinvolto nell’indagine ‘Rinascimento’ del 2017… Con il rispetto dovuto alla magistratura inquirente, avendo la certezza di non aver mai compiuto alcun reato e appurato che non ho mai ricevuto alcun avviso di garanzia, confido nell’imminente archiviazione del procedimento risalente al 2017”.
Subito all’attacco il deputato Pd, Michele Anzaldi: “Ieri il presidente del consiglio comunale De Vito arrestato, oggi Frongia indagato per corruzione: con la Raggi rappresentano il nucleo storico del movimento 5 stelle a Roma. La sindaca dirà di non conoscere nemmeno lui, come praticamente ha detto di De Vito”.
(da agenzie)
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