Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
SE LE INDISCREZIONI FOSSERO CONFERMATE UN’ALTRA PATACCA DEGNA DEL PERSONAGGIO
Una stretta sui rimpatri, allargando e certificando nuovamente la lista dei Paesi sicuri e accelerando le procedure sul territorio italiano.
Dopo l’annuncio dei giorni scorsi arriva il decreto targato Luigi Di Maio sui migranti. Domani il ministro degli Esteri e capo politico M5S, assieme al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, presenterà il provvedimento dal “suo” ministero, la Farnesina. Sarà un decreto ministeriale, che non passerà quindi dal via libera del Consiglio dei ministri.
In serata, ospite a “Dritto e Rovescio” su Rete 4, Di Maio ne anticipa il contenuto: “Chi non può stare in Italia, non possiamo aspettare due anni per rimpatriarlo, domattina firmo un decreto in cui si dice che in quattro mesi, non più in due anni, si può capire se una persona può stare qui o se deve essere rimpatriata”.
E ancora: “sui rimpatri siamo fermi all’anno zero, domattina iniziamo con la firma di un decreto e mandiamo un messaggio che è questo: Guardate che è inutile che venite, se non avete i requisiti per la domanda di asilo, perchè in maniera democratica vi mandiamo indietro”.
Tra i leader della maggioranza Di Maio era stato tra i più prudenti sull’accordo di Malta sulla redistribuzione dei migranti. Il tema, sin dalla campagna elettorale del 2018, è tra i più “cari” al leader del Movimento che ora, senza più l’ingombrante ombra di Matteo Salvini, cerca di mettere la sua impronta sul dossier. E lo fa partendo dai rimpatri, nervo scoperto della gestione della questione migranti anche nel governo giallo-verde.
Sul decreto ministeriale, a poche ore dalla sua presentazione, vige il più stretto riserbo, come speso accade per le misure “bandiera” del Movimento.
Di certo, il titolare della Farnesina tiene particolarmente al provvedimento, al quale ha messo mano sin dai primi giorni del suo insediamento. Rumors che al momento non trovano conferme ufficiali parlano dell’individuazione di una lista di Paesi sicuri più larga di quella alla quale finora si è fatto riferimento.
Lista che potrebbe includere, ad esempio, anche la Tunisia. In questo senso, il “gancio” giuridico alla misura potrebbe essere la direttiva europea 2013/32, che dà ai Paesi membri una certa discrezionalità sull’individuazione dei Paesi sicuri e alla quale ha fatto riferimento anche il decreto sicurezza.
Prevedibile, inoltre, che nel provvedimento sia prevista anche un’accelerazione delle procedure per la definizione dei Paesi d’origine da parte delle commissioni territoriali. E al decreto Di Maio ha intenzione di accompagnare un pacchetto di accordi proprio con i Paesi africani “teatro” delle partenze per l’Europa attraverso i porti libici. Accordi sui quali già nei mesi scorsi, tra l’altro, ha lavorato il premier Giuseppe Conte nelle sue numerose “sortite” in Africa.
Una stretta, insomma, che va nella direzione opposta a chi invece pone l’accento sul diritto di asilo individuale, e che testimonia come, nel governo giallo-rosso, il Movimento non voglia mollare la presa sul dossier dando così anche una risposta “politica” a Salvini su un tema che il leader leghista si appresta a cavalcare anche alle prossime Regionali.
“La soluzione è il blocco delle partenze”, è il mantra che il leader del M5S sta ripetendo da giorni, convinto che con una stretta sui rimpatri e una cooperazione più stretta con i Paesi africani gli sbarchi possano davvero ridursi. Ma nel provvedimento Di Maio è chiamato anche a trovare un certo “equilibrio” per non innescare malumori non solo negli alleati di governo ma anche nello stesso Movimento: le tossine generate dalla politica migratoria salviniana, in una parte dei pentastellati, non sono ancora evaporate.
Perchè è una patacca:
1) L’iter del riconoscimento o meno del diritto di asilo va sottoposto ad apposite commissioni, non lo decide un ministro degli esteri (che non conta una mazza nel contesto specifico). Per ridurre i tempi occorre quintuplicare intanto le persone addette ad esaminare le richieste e questo non dipende da Di Maio.
2) La richiesta di asilo è “individuale” e non “per Paesi di origine”, il richiedente ha diritto che la sua pratica sia valutata nel merito personale.
Facciamo qualche esempio: non si può definire un Paese “sicuro” se una zona di tale Paese è in mano alla guerriglia mentre un’altra parte è sicura, non si può definire sicuro un Paese dove per un omosessuale o a seguito di faide locali il ritorno in qual Paese comporterebbe il rischio della vita, idem per motivazioni religiose e così via. La norma internazionale vieta di valutare i casi “in blocco”, per capirci.
3) Puoi anche decidere di raddoppiare i rimpatri da 600 al mese a 1200 ma ci sono due piccoli problemi:
a) ci vogliono i quattrini per raddoppiare i costi
b) i Paesi di destinazione devo essere d’accordo, altrimenti gli aerei neanche atterrano
4) L’Italia ha accordi solo con tre Paesi, il più importante è la Tunisia, anche alla luce dell’entità di tunisini che arrivano con i barchini. La Tunisia accetta solo due voli alla settimana (per ogni rimpatrio, due agenti di scorta), quindi sono più quelli che arrivano ogni mese che quelli che partono
Conclusione: Di Maio muova il culo e vada a Tunisi dopo le elezioni dei primi di ottobre (glielo diciamo noi che ci sono, magari neppure lo sa) quando vi sarà un nuovo governo e metta mano al portafoglio (possibilmente senza insultare il popolo tunisino come fece Salvini, causando l’incidente diplomatico).
La Tunisia va aiutata a crescere, i giovani sono disoccupati, non vengono in Italia per fare shopping, occorre creare infrastrutture e dare lavoro, con riflessi positivi anche per la aziende italiane.
Per cambiare le cose non bastano editti medievali sulla pelle dei poveri, ci vogliono sensibilità , rispetto delle leggi e cultura.
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
“EMERGE FATTISPECIE DI REATO DI CORRUZIONE INTERNAZIONALE”
L’audio registrato all’Hotel Metropol di Mosca finito nell’inchiesta su presunti finanziamenti
illeciti destinati alla Lega non è “il frutto di un’intercettazione illegittima” e da quell’audio emergerebbe “nitidamente che parte dei soldi erano destinati alla Lega” per finanziare le Elezioni Europee.
Lo scrive il Tribunale del Riesame di Milano nelle motivazioni al provvedimento con cui, nei giorni scorsi, ha respinto la richiesta di restituire a Gianluca Savoini, l’ex portavoce di Matteo Salvini, i documenti che gli erano stati sequestrati dalla Guardia di Finanza. Nella registrazione al Metropol – al centro dell’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega – emerge, da quanto si legge nelle motivazioni, “lo schema delle parti coinvolte nella trattativa considerata illecita, la possibilità di reiterare l’accordo nel tempo, l’importo da retrocedere dopo il pagamento della fornitura petrolifera, la necessità di agire rapidamente per l’avvicinarsi delle elezioni europee, l’utilità dell’accordo per entrambe le parti, la ripartizione dei compiti, la necessità di essere prudenti per non destare sospetti sul presunto ritorno illecito del denaro”. Una intenzione che emerge “in maniera ancora più nitida dalle parti della conversazione intrattenuta in inglese”.
La trattativa, non andata in porto, prevedeva “l’acquisto da parte di Eni spa di ingenti quantitativi di prodotti petroliferi (250.000 tonnellate al mese per tre anni) venduti dalla società di stato russa Rosneft, prevedendo che una percentuale del 4% del prezzo pagato da Eni sarebbe stato retrocesso per finanziare la campagna elettorale per le elezioni europee del partito politico Lega, mentre una percentuale del prezzo pagato da Eni – tra il 2% e il 6% – sarebbe stata corrisposta tramite intermediari e studi legali a pubblici ufficiali dell’azienda di Stato Rosneft”.
È quanto si legge nel capo di imputazione formulato dai pm di Milano nei confronti di Gianluca Savoini, dell’avvocato Gianluca Meranda e dell’ex banchiere Francesco Vannucci e che è riportato nel provvedimento con cui il Tribunale del Riesame ha respinto l’istanza della difesa dello stesso Savoini contro i sequestri. Eni ha sempre negato il benchè minimo coinvolgimento nella vicenda.
“Il fumus commissi delicti (gli indizi di reato, ndr) emerge in maniera piuttosto evidente anche qualora si volesse limitare la lettura della registrazione trascritta ai soli dialoghi svolti in lingua italiana tra Savoini e gli altri due indagati presenti all’incontro: Gianluca Meranda e Francesco Vannucci”. Per il Riesame “emerge dagli atti una situazione fattuale (sia pure suscettibile di ulteriori approfondimenti) congruamente rappresentativa di una condotta fondatamente sussumibile nella fattispecie di reato di corruzione internazionale”.
E ancora, argomentano i giudici milanesi per spiegare che quel sequestro è fondato, dalla conversazione, “si evincono lo schema delle parti illecite coinvolte nella trattativa”, “la possibilità di reiterare l’accordo nel tempo”, “la necessità di corrispondere delle commissioni ai ‘contatti’ presenti all’interno delle compagnie petrolifere e del gas”, “l’entità della ‘commissione’ da pagare ai ‘contatti’ al fine di assicurarsi la retrocessione del 4% del prezzo corrisposto da Eni spa per l’acquisto del petrolio”, “la circostanza che il denaro retrocesso fosse necessario per finanziare la campagna del partito politico Lega”, “i contatti della Lega all’interno di Banca Intesa”. Secondo l’accusa, la Lega avrebbe dovuto ricevere (non si sa se sia andata in porto la trattativa) un finanziamento illecito a margine di un affare petrolifero.
“Allo stato non emergono dagli atti (ne’ la difesa li ha prodotti) – si legge nel documento – elementi per ritenere che la registrazione di cui si discute sia il frutto di un’intercettazione illegittima, effettuata da un soggetto non presente al colloquio incriminato”.
Cosi’ i giudici spiegano perche’ hanno respinto l’argomento della difesa che la registrazione non potrebbe essere utilizzata perche’ “frutto di una captazione illecita, in quanto non autorizzata dall’autorita’ giudiziaria”.
Inoltre, per il Tribunale la registrazione prodotta dal giornalista Stefano Vergine, che ha consegnato l’audio alla Procura, “non e’ equiparabile a una denuncia anonima” in base alla giurisprudenza della Cassazione e al codice di procedura penale.
La tesi del legale, respinta dai giudici, ruotava principalmente attorno al fatto che quell’atto istruttorio si fondava, come fonte di prova, su una registrazione che era inutilizzabile non solo perchè in lingua inglese ma soprattutto in quanto non si sapeva da chi era stata effettuata.
Per tanto la richiesta era l’annullamento del decreto di perquisizione e dei sequestri dei cellulari e di alcune carte al suo assistito.
Da quanto è stato riferito, i giudici del Riesame hanno sostenuto che la fonte in realtà non era anonima ma semplicemente non è stata rivelata dal giornalista dell’Espresso che aveva consegnato il file audio ai pm e che, sentito in Procura a Milano, si era avvalso del segreto professionale e quindi del diritto di non rivelarla.
Quanto al fatto che la registrazione era in lingua inglese i giudici hanno fatto notare che lo stesso Savoini, uno dei tre italiani al tavolo della presunta trattativa alla quale hanno partecipato altrettanti personaggi russi, parlava in inglese.
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
IL PARLAMENTARE LEGHISTA MORRONE SI E’ DIMENTICATO CHE A SOSPENDERE LE CONCESSIONI E’ STATO IL GOVERNO DI CUI FACEVA PARTE E CHE IN PARLAMENTO E’ STATO APPROVATO DALLA LEGA
Oggi il deputato della Lega Jacopo Morrone — già Sottosegretario alla Giustizia del Governo Conte I — ha scoperto che la sospensione delle trivellazioni offshore (quelle oltre le 12 miglia dalla costa) ci sarà una «perdita pesante di competenze e professionalità » da un lato e «consistenti incrementi consistenti incrementi delle tariffe del gas che graveranno sui consumatori italiani».
Con chi ce l’ha l’onorevole Morrone? Formalmente con il nuovo Governo perchè Conte si è detto determinato «a introdurre una normativa che non consenta più il rilascio di nuove concessioni di trivellazione per estrazione di idrocarburi. Chi verrà dopo di noi, se mai vorrà assumersi l’irresponsabilità di far tornare il Paese indietro, dovrà farlo modificando questa norma di legge».
Ma in questo modo, secondo Morrone, «si costringeranno le grandi aziende che operano nel settore dell’energia a spostare in altri Paesi le attività di trivellazione».
Per il deputato leghista la politica energetica del governo è «tutta fuffa e parole in libertà ». E per questo motivo la Lega vuole chiedere all’Esecutivo di «invertire la politica suicida dei ‘no’ e di attivarsi per supportare sia le imprese che operano nel settore idrocarburi, sia i consumatori italiani».
E ci va giù duro Morrone quando dice che le misure impostate dal ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli hanno «basi d’argilla». La veemenza di Morrone è in parte sicuramente giustificata dal fatto che il deputato è anche il Segretario della Lega Romagna, regione che fra poco andrà al voto. E proprio a Ravenna ha sede il ROCA, l’associazione degli operatori offshore che nei giorni scorsi ha fatto sapere di essere scoraggiati dalle decisioni del Governo in materia.
Eppure quelli del ROCA dovrebbero guardare proprio alla Lega di Morrone per chiedere delle spiegazioni.
E a sua volta Morrone che oggi chiede al Governo di invertire la rotta dovrebbe spiegare agli elettori (e perchè no, anche a quelli del ROCA) che cosa ha fatto l’attuale esecutivo per fermare le trivellazioni.
La risposta è semplice: nulla. Perchè — come abbiamo spiegato — la decisione l’ha presa il governo precedente. Proprio quello sostenuto dalla Lega e del quale Morrone era sottosegretario.
La questione, dicevamo, non ha nulla a che fare con la richiesta di fermare le trivellazioni entro le 12 miglia del referendum del 2016. Che pure era stato indetto anche su richiesta di una regione come il Veneto (governata dalla Lega) e per il quale Matteo Salvini aveva fatto campagna per il Sì.
Perchè lo stop, che in realtà è una sospensione, è stato votato nei primi mesi del 2019. Precisamente il 29 gennaio al Senato e il 7 febbraio alla Camera.
La misura che ha bloccato l’iter di autorizzazione e sospeso i permessi di prospezione o di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi già in essere (ma non quelli di coltivazione) è infatti contenuta nel Decreto Semplificazioni che stato approvato appunto dal governo di cui Morrone faceva parte in attesa che il MISE, di concerto con il Ministero dell’Ambiente approvasse il il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI).
Ed è proprio il comma 4 dell’articolo 11 ter del Decreto Semplificazioni che sospende i permessi di prospezione e di ricerca in essere e quelli di proroga di vigenza delle concessioni di coltivazione di idrocarburi in essere.
Di fatto oggi in Italia gli unici impianti che possono estrarre idrocarburi sono quelli le cui concessioni di coltivazione erano già in essere all’entrata in vigore della legge.
È infatti possibile consultare l’apposito portale del Ministero per scoprire che ci sono concessioni per la coltivazione che nonostante il Decreto Semplificazioni sono ancora operative da 35 o 34 anni. Ma questo è un problema relativo.
Quello che ci preme di sottolineare qui è che sia al Senato (dove la senatrice Borgonzoni è risultata “presente non votante” alla votazione finale) che alla Camera (Morrone era in missione) i parlamentari della Lega hanno votato a favore del Decreto Semplificazioni.
Vale a dire proprio di quel decreto che oggi Morrone contesta perchè ha sospeso alcuni permessi e che è stato voluto (e votato) proprio dal suo governo.
Se quindi Morrone si stesse per caso interrogando su chi sia stato a volere questa normativa così stringente sulle trivelle dobbiamo dargli una brutta notizia: è stato il suo partito e il governo di cui faceva parte
(da “NextQuotidiano“)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
FIORAMONTI GIUSTAMENTE SI SCUSA CON LA SANTANCHE’ PER FRASI SESSISTE DI SEI ANNI FA E POI DENUNCIA L’ATTACCO AL FIGLIO… I SOVRANISTI NON HANNO CAPITO CHE UNO HA IL DIRITTO DI STUDIARE LA LINGUA CHE GLI PARE, NON SIAMO ANCORA IN SIBERIA
Il ministro della pubblica Istruzione Lorenzo Fioramonti ancora nell’occhio del ciclone. Dopo
le polemiche sulla sua proposta di rimuovere il crocifisso dalle aule scolastiche e la sua posizione non proprio in linea con i vertici del Movimento 5 Stelle sullo Ius Culturae, Fioramonti deve rispondere alle accuse di chi non lo giudica idoneo a guidare il suo dicastero perchè avrebbe scelto di far frequentare al proprio figlio una scuola internazionale dove non si insegna l’italiano.
La notizia che il ministro avesse deciso di rinunciare all’italiano tra le materie seguite dal figlio era partita dalla chat dei genitori.
La vicepreside ha sostanzialmente confermato all’Adnkronos: «La storia del test del figlio del ministro è la seguente: in prima e seconda elementare i bambini, il 30-40% dei quali sono stranieri, fanno il programma esclusivamente in inglese. L’ora di italiano scatta, solo per chi vuole, a partire dalla terza».
«Non facciamo gli esami di italiano in sede, ma in un’altra struttura e l’anno scorso Fioramonti — ha spiegato ancora la vicepreside — che non era ministro (era viceministro all’Istruzione, ndr) — precisa la dirigente scolastica — insieme alla moglie straniera ha scelto di non far fare il test in italiano al figlio perchè preferiva si concentrasse sull’inglese. Il bimbo, venendo dal Sudafrica, non parla bene l’italiano. Oggi quel bambino frequenta un’altra scuola».
La decisione di non far effettuare al ragazzo il test di italiano sarebbe maturata anche perchè, chiosa la vicepreside, il bambino «ha frequentato la lezione di italiano per un certo numero di ore con una maestra che è andata in pensione quest’anno. Poi, siccome aveva un po’ di difficoltà , è stato scelto di non fargli fare l’esame, che del resto non è obbligatorio».
Ma il ministro non ci sta. E dalla sua pagina Facebook dice la sua: «Giorni fa alcuni giornalisti sono andati a scuola di mio figlio chiedendo informazioni sui suoi voti, sul suo comportamento e sugli esami. Difendo e difenderò sempre il diritto alla libera informazione, accetto in silenzio tutte le critiche, in taluni casi anche molto dure, che mi vengono rivolte».
E attacca: «Ma recarsi in una scuola elementare per mettere sotto le luci dei riflettori un bambino di 8 anni è un atto di violenza. Mio figlio ha sempre frequentato scuole internazionali perchè è nato e cresciuto all’estero. Queste scuole sono le uniche — continua Fioramonti — che garantiscono continuità curricolare ai bambini che cambiano spesso paese di residenza. Mio figlio, figlio di un italiano e di una donna tedesca, parla 4 lingue (tra cui l’italiano), ma al tempo dell’iscrizione aveva ancora difficoltà a scriverlo, ragion per cui — anche su suggerimento della scuola — abbiamo deciso di non registrarlo per l’esame facoltativo d’italiano».
Il ministro chiarisce che si ritiene «turbato da padre e da cittadino» considerando la diffusione delle informazioni relative alla carriera scolastica del figlio avvenute «in spregio di ogni tutela della privacy, nonchè delle più elementari regole di deontologia professionale».
Il ministro quindi non lascerà correre e annuncia che formulerà «un esposto al garante della privacy, da privato cittadino e non da Ministro, per tutelare non solo il diritto alla riservatezza di mio figlio ma quello di ogni genitore a poter crescere ed educare i propri figli senza che la loro vita venga gettata in pasto ai giornali».
Ma Fioramonti oggi era finito nella bufera anche per un’altra vicenda: quella che riguarda i suoi post sferzanti su Facebook nei confronti di diversi esponenti politici. Gli status, che risalgono al periodo in cui il ministro non era ancora sceso in politica, contenevano insulti a Daniela Santanchè e a Renato Brunetta (per i quali Fioromonti si è scusato nel corso di una telefonata privata)
Ma anche considerazioni sulle forze di polizia paragonate a «un corpo di guardia del potere» (ma era riferita ai fatti del G8 in seguito ai quali diversi funzionari di polizia sono stati condannati)
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
LA PAGINA SOCIAL DI SALVINI SI STA TRASFORMANDO NELLA SUA PARODIA TRA APPARIZIONI DELLA MADONNA E DELLA FALLACI
Il più grande successo della Lega è stato quello di farci credere di avere un leader geniale affiancato da un team della comunicazione innovativo. Sappiamo che non è così.
Matteo Salvini è un disco rotto che ripete da anni e per mesi le stesse quattro parole d’ordine, condite da elenchi interminabili di cose, persone, città , reati o nomi di bevande gassate.
La colpa non è solo del povero ex ministro dell’Interno. Perchè c’è qualcuno che lo consiglia, lo spinge a puntare su certi contenuti: sono quelli della Bestia.
Ad esempio da qualche giorno la pagina di Salvini si sta trasformando nella sua parodia.
Il classico esempio del buongiornismo applicato alla politica. Perchè il capo del Carroccio è quello che manda bacioni, abbraccioni, saluta uno per uno i fan durante le dirette e si mette pazientemente in attesa di farsi i selfie con tutti quelli che vanno ai suoi comizi.
A quanto pare questa sta diventando davvero la nuova scelta comunicativa della Lega. O almeno Luca Morisi sta vedendo se l’esperimento funziona, se c’è engagement, se qualcuno apprezza e ne parla (eccoci!).
Perchè ieri mattina Salvini ha dato il “buongiorno” a tutti gli italiani con un bel ringraziamento alla Madonna. Il pretesto è quello di continuare la polemica sul crocifisso nelle scuole, che da uno che esibiva simboli religiosi in Aula e ha invocato la protezione di Maria fa un po’ ridere.
Dopo il cuore immacolato di Maria questa mattina è stata la volta del cuore immacolato di un’altra patrona del sovranismo: Oriana Fallaci.
Anche qui un grande salutone all’Italia con le parole di quella le cui “profezie” vengono sempre tirate fuori nel momento del bisogno.
Noi avremmo preferito una citazione come questa: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!». Ma sappiamo che il Sommo non è abbastanza vicino al popolo, anzi è un vero e proprio intelligentone, professorone.
E poi c’è sempre il rischio che qualcuno faccia un accostamento tra la nave senza nocchiere e il Governo del Cambiamento di cui faceva parte Salvini. No, non va bene. Meglio la Fallaci, e già che ci siamo la citazione la mettiamo in un bel cuoricione.
E a certificare la svolta buongiornista (pensate, qualche tempo fa avremmo detto “svolta sovranista”) di Salvini c’è pure un bellissimo e tenero commento di Andrea Paganella, il socio di Morisi e già consigliere di Salvini al Viminale.
Il quale commentando un post di Salvini, quello sul Parmigiano Reggiano e la reazione di Giuseppe Conte, scrive «il ramo più alto, la cima, quello che non si raggiunge mai: l’umiltà ».
E anche oggi un bel caffettino non ce lo leva nessuno, che ne pensate Amici?
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
OGGI LA SEDICENTE DESTRA AMA CONDONI ED EVASORI… UNA VOLTA LA DESTRA GLI EVASORI LI METTEVA AL MURO
«Le mani nelle tasche degli italiani»; «La nuova inquisizione» (ma c’è chi preferisce «Il
grande fratello»); «I vecchietti con il bancomat? siamo ammattiti???».
Evasione fiscale: ci risiamo. Ogni volta che si affronta (voce del verbo parlare) s’alzano le barricate erette da quelli che annusano «mo’ che il tempo s’avvicina».
In gran parte coincidenti con se stessi quando deprecano «i 120 miliardi evasi in Italia».
Però si farebbe un torto se si trascurasse la causa, la spiegazione della mefitica formula «clausole di salvaguardia». Ovvero, misure fiscali necessarie a garantire le entrate dello Stato, obbligatorie per rispettare i parametri in tema di deficit dell’Unione europea, e il rispetto dei saldi di finanza pubblica.
L’esordio delle «clausole» risale al 2011, allorchè il governo Berlusconi IV si impegnò a reperire 20 miliardi di euro entro il 30 settembre 2012. Obbligo di tagli alla spesa pubblica, aumento delle aliquote Iva e delle accise, taglio lineare alle agevolazioni fiscali. Da allora, tutti i governi sono ricorsi al rinvio del pagamento dei «buffi» all’anno successivo.
Sino al bipartito Lega-5stelle del 2018, che — per rimediare (sempre a «buffo») le risorse per «reddito di cittadinanza» e «quota 100»: sbagliando clamorosamente le addizioni) — ha trasferito le «clausole di salvaguardia» su un biennio: all’impegno di 23,1 miliardi per il 2021 ha aggiunto 28,7 miliardi per il seguente.
«Colonizzazione» che ha impedito al governo attuale la replica del «modello precedente». Di qui la decisione di onorare l’impegno e scongiurare l’aumento dell’Iva.
Questa mattina, ad Agorà su Raitre, atmosfera da mojito in infradito, Matteo Salvini ha detto che il suo governo avrebbe risolto il problema salendo al 2,6-2,7 per cento di deficit rispetto al pil. In assoluto, un «buco» di una cinquantina di miliardi (mmm… si direbbe da manina corta). E’ l’altra faccia della medaglia. Figli, nipoti, «a chi tocca ‘n se ingrugna».
Ma come ridurre l’evasione fiscale? Prima perla del leghista: «Penalizzare chi usa denaro contante è controproducente, significa deprimere i consumi».
Poi la teoria, organica: «L’unico modo per abbattere l’evasione fiscale, la storia economica del mondo lo insegna, è abbassare le tasse». Quindi introdurre la flat-tax. Fa niente se nessuna «storia economica» (e nessuna esperienza) sostenga la tesi.
Giorgia Meloni sempre più concorrenza con i suoi partner di schieramento, sceglie la via del «riservatemi un trafiletto»: «Il gioco delle tre carte che stanno facendo sul tema del contante funziona così: l’Iva aumenta per tutti, ma per non dirvi che vi aumentiamo l’Iva vi diciamo che, su alcuni dei prodotti sui quali l’Iva aumenta, se pagate con il bancomat, vi scontiamo l’aumento che vi stiamo facendo. A casa mia significa che aumenta l’Iva per tutti».
Pausa (per il mal di testa causato dalla necessità di cercar di capire cosa volesse dire; il vecchietto sta chiedendo lumi al proprio bancomat).
Si comprende invece perfettamente il giudizio della leader di Fratelli d’Italia sul «Daspo» per i commercialisti infedeli — almeno per ora inesistente, alla pari dell’aumento dell’Iva —: «Vogliono il Daspo per i commercialisti che fanno attestazioni infedeli ma non ascoltano la stragrande maggioranza dei commercialisti onesti quando dicono che gli Isa (indicatori sintetici di affidabilità ) sono una follia vessatoria». Ergo: vanno ascoltati i critici degli Isa; per gli altri giustificati i provvedimenti restrittivi.
Sulla «questione-Daspo» sta lavorando l’Inps. Si tratta di arginare fenomeni fraudolenti già accertati come quello di società «apri e chiudi» che creano crediti inesistenti e poi li riutilizzano o li cedono ad altri. Sul progetto i professionisti sono d’accordo, puntualizzando però il rischio di penalizzare i contribuenti in regola.
Comunque, dopo un tira e molla lungo e accidentato, concluso dal «i 23 miliardi ci sono, li abbiamo trovati», il premier Giuseppe Conte, s’è posto la questione delle altre voci della Nadef (Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza).
Per niente facile reperire risorse, men che meno dall’evasione fiscale (sennò che evasione sarebbe?). Quale che sia la somma, si dovrà comunque tener conto degli
effetti negativi del trumpismo e della brexit.
Qui si capisce il senso delle parole del ministro Roberto Gualtieri: «Salvini ha provocato la crisi di governo perchè sapeva di non riuscire a mettere insieme promesse elettorali e soldi per mantenerle», ciao bella.
(da Globalist)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
IL NUMERO DELLE AUTO DAL COSTO SUPERIORE A 120.000 EURO E’ STRANAMENTE DIECI VOLTE SUPERIORE A CHI DICHIARA 120.000 EURO NETTI L’ANNO… IL 46,5% DI LIBERI PROFESSIONISTI E AUTONOMI DICHIARA MENO DI 15.000 EURO LORDI L’ANNO
Il clou della manovra di bilancio 2020 — il relativo dibattito si svolgerà per ore nei talk show
televisivi — riguarda i 7 miliardi attesi dal contrasto all’evasione fiscale (mediante l’incentivazione dell’utilizzo della moneta elettronica).
Come sarà resa possibile l’operazione rimane ancora nel vago, anche se non mancano le rassicurazioni: non dovrebbero esserci penalizzazioni per chi usa il contante ma sconti per chi paga con la carta, con l’aliquota al 10% (ad esempio per ristoranti e alberghi), che potrebbe scendere di tre punti al 7%. Il meccanismo dovrebbe essere quello del cashback, con la differenza che dovrebbe arrivare al consumatore direttamente sull’estratto conto della carta.
Come era prevedibile a criticare questa operazione si sono scatenate le opposizioni, invocando la “libertà di contanti” e compiangendo gli anziani costretti a pagare con il bancomat al supermercato l’acquisto di quattro scatolette di cibo per il cagnolino. Appartenendo anch’io alle generazioni che guardano con sospetto alla moneta elettronica, mi sono chiesto se non ci siano delle esagerazioni in queste preoccupazioni.
Nelle transazioni abituali del vivere quotidiano, il pensionato che paga in contanti non ha alcuna possibilità di evadere. È sufficiente che si faccia consegnare lo scontrino quando arriva alla cassa, perchè è da lì che parte la tracciabilità .
Il problema sorge quando si acquista un servizio (il pranzo al ristorante, la confezione di un abito, ecc.) o l’esecuzione di una prestazione (il classico caso dell’idraulico, ma anche la visita medica e quant’altro).
Certo, se in Italia l’85% delle transazioni avviene attraverso il contante (per un valore pari al 68% dell’ammontare complessivo) qualche problema c’è ed è corretto affrontarlo senza esagerare.
Il ricorso alla fatturazione elettronica ha già prodotto dei risultati sul piano fiscale come ha ricordato in una recente intervista l’ex ministro Giovanni Tria (che passerà alle cronache della politica di bilancio come ”il piccolo eroe di Harlem”, il ragazzo che infilando il dito nella crepa della diga ne impedì il crollo e scongiurò l’inondazione).
Tutto ciò premesso e in attesa del miracolo di San Gennaro del trionfo della moneta elettronica sul contante, prepariamoci a recitare le nostre parti in commedia: a difendere il successo della lotta all’evasione fiscale i filogovernativi; ad accusare l’esecutivo di mettere la mani nelle tasche degli italiani gli oppositori.
Ma chi le paga le tasse in Italia?
Ci facciamo aiutare dalla ”Sesta indagine conoscitiva sui dati 2017 e analisi comparativa degli ultimi dieci anni di dichiarazione 2008-2017” a cura dell’Osservatorio sull’Irpef e le altre tasse del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, una Fondazione – presieduta da Alberto Brambilla – che all’autorevolezza aggiunge una spietata demistificazione dei tanti luoghi comuni che in Italia sono accettati come verità rivelate.
Ecco come l’Osservatorio presenta il suo biglietto da visita. ‘
‘Il coro politico afferma che siamo un Paese oppresso dalle tasse e che vanno ridotte. È vero! Ma si dimentica di dire che a pagarle è solo il 40% della popolazione che ne versa oltre il 90%, mentre il 60% non solo non le paga, ma è anche totalmente a carico della collettività a partire dalla spesa sanitaria; anzi una parte consistente dello storytelling dei politici insiste sul tassare di più quelli che trainano l’economia italiana additandoli, quando sono pensionati, come “d’oro”, aumentando il rancore e la rabbia dei votanti che prendono pensioni modeste e che odiano chi è riuscito nella vita; senza dire che oltre la metà dei pensionati prenderà pure pensioni basse ma non ha mai versato un euro, quindi è stata mantenuta per tutta la propria vita. Ma dire così non porta voti! Raccontare la storia dei 5 milioni di poveri assoluti e di altri 9,3 di poveri relativi (il 25% della popolazione italiana non arriverebbe a fine mese) ai quali dare un reddito, una pensione o una prebenda (a carico dei poverini che le tasse le pagano), questo sì porta molti voti”.
Il paradosso – secondo Itinerari previdenziali – è tra i due estremi delle classi di reddito dichiarato: il 45,19% dei cittadini paga solo il 2,62%, mentre il 12,28% ne paga ben il 57,88%; ma il numero delle automobili con un costo superiore ai 120.000 euro, ad esempio, è dieci volte il numero di coloro che dichiarano un reddito lordo superiore ai 240mila euro (120mila netti), il che ”denota tutta l’inefficienza del nostro sistema fiscale”. Quanto al carico sostenuto dalle diverse categorie di contribuenti si veda di seguito:
DIPENDENTI: il 39,52% dei dipendenti (quelli che dichiarano redditi fino a 15mila euro) pagano solo il 3,6% delle imposte, l’11,51%; quelli con redditi da 35mila euro ed oltre ne pagano il 57,36%.
PENSIONATI: con redditi fino a 15mila euro sono il 48,72% e versano l’8,32% del totale delle imposte; quelli sopra i 20mila euro sono solo il 32,22% ma pagano ben il 75,97%.
AUTONOMI: i dichiaranti fino a 15mila euro lordi l’anno sono il 46,56% del totale (sembrerebbe un popolo che sopravvive a stento, commenta l’Osservatorio) e versano solo il 2,5% del totale di comparto; quelli che dichiarano redditi sopra i 35mila euro sono solo il 21,88% ma versano ben l’81,5% del totale IRPEF del comparto.
Quanto alla distribuzione geografica del versamento IRPEF per ognuna delle tre macro-aree emerge che il Nord contribuisce per 94,6 miliardi (pari al 57,44% dell’IRPEF totale), seguito dal Centro con 36,3 miliardi ( il 22,04%) e dal Sud con 33,8 miliardi (il 20,51%). In particolare, la sola Lombardia, con circa 10 milioni di abitanti, ha versato, nel 2017, 37,6 miliardi e quindi ben più dell’apporto dell’intero Sud nonostante che quest’area registri più del doppio degli abitanti (20,7 milioni).
In conclusione l’Osservatorio sembra sostenere che l’Italia fiscale non ha nulla da spartire con quella reale. E pertanto l’evasione non è tutta fuori dalle mura dell’ordinamento tributario. Un robusta ”quinta colonna” sta all’interno.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
IL “CANDIDATO” BONOMI AVVERTE: LA SUA CONFINDUSTRIA VUOLE UNA VERA DISCONTINUITA’ DA CHI HA GUIDATO IL PAESE “DA UN BALCONE O DA UNA SPIAGGIA” E BOCCIA LA MANOVRA
Quando il diretto interessato entra nel cuore della questione significa che la partita è già iniziata e soprattutto che la discesa in campo ha confezionato il messaggio diretto all’interlocutore che conta.
Teatro alla Scala, assemblea di Assolombarda, l’associazione più importante del sistema Confindustria.
Dal podio parla il presidente Carlo Bonomi. Seduto in prima fila c’è Giuseppe Conte. La parola che Bonomi cita di più nel suo discorso è discontinuità . È il fianco vulnerabile del governo M5s-Pd perchè per molti la discontinuità è stata solo evocata, ma nei fatti non c’è.
Serve una prova, un segnale, una rottura definitiva rispetto a chi ha guidato il Paese “da un balcone o da una spiaggia”. Leggere Luigi Di Maio versione governo gialloverde e Matteo Salvini.
Serve – tempo al presente – perchè per il “candidato” alla presidenza di Confindustria, la prima prova, cioè la cornice della manovra, è andata male. Altro che discontinuità .
Dopo le Giornate del Lavoro della Cgil a Lecce, Conte va a Milano per proseguire l’operazione di accreditamento con le parti sociali. Stavolta non va bene.
Bonomi accoglie la sua disponibilità a lavorare insieme, ma le due direzioni di marcia oggi non convergono. La buona volontà si schianta contro agende che prevedono soluzioni differenti l’una dall’altra.
Il presidente di Assolombarda non ha ancora ufficializzato la sua candidatura alla successione di Vincenzo Boccia. Ci sono equilibri interni da raddrizzare dopo il passo in avanti di Giuseppe Pasini, il presidente degli industriali bresciani che ha bruciato il protocollo di Confindustria per ritagliarsi il ruolo di primo candidato.
Lui glissa ancora, cita il celebre versetto di una canzone di Lucio Battisti (“Lo scopriremo solo vivendo”), ma più di una fonte interna conferma a Huffpost che la sua candidatura è cosa certa: sarà ratificata a gennaio, in linea con le regole di viale dell’Astronomia.
Intanto ha preparato i dossier che contano di più quando ci si candida alla presidenza di Confindustria: un’agenda e un posizionamento nei confronti del governo. E l’ha illustrati proprio davanti a Conte e a mezzo governo, presenti all’assemblea.
Questo posizionamento si innesta su due ragionamenti.
Il primo è che il Conte bis deve necessariamente tagliare il cordone ombelicale con l’esperienza gialloverde. Quello, insiste Bonomi, è stato l’esecutivo “che aveva promesso di cancellare la povertà e invece ci ha restituito alla stagnazione”.
Agli imprenditori di Assolombarda le parole non bastano più. “Non parlateci di nuovo umanesimo, questa volta stupiteci”, incalza ancora.
Servono i fatti, le scelte. E quindi stop al reddito di cittadinanza e alla quota 100, le due misure che hanno dato identità alla politica economica del governo M5s-Lega. La cornice della manovra del nuovo governo, però, ha i tratti della continuità : il reddito e la quota 100 sono stati confermati, così come la mini flat tax sulle partite Iva.
Ecco perchè per Bonomi, il Conte bis non ha ancora dimostrato di essere qualcosa di diverso rispetto al Conte 1.
Il secondo ragionamento è che anche i nuovi segnali, quelli che dovevano marcare la discontinuità , sono insufficienti. Il taglio del cuneo fiscale, ristretto ad appena 2,7 miliardi e a un beneficio di 500 euro all’anno, è considerato un intervento irrisorio.
Di miliardi, per Assolombarda, ne servono 13-14, facendo confluire i soldi di quota 100 e degli 80 euro proprio nel capitolo di riduzione delle tasse sul lavoro. E poi ci sono i dubbi sui 7 miliardi di incassi dalla lotta all’evasione, copertura importante della manovra. Ancora: troppa timidezza sulla spesa pubblica.
Per Bonomi servono infrastrutture, opere pubbliche, un sostegno pieno al pacchetto Industria 4.0.
Non manca l’apprezzamento per l’atteggiamento costruttivo del nuovo governo nei confronti dell’Europa, per i toni lontani da quelli della stagione in cui la Lega era al governo, ma sono elementi marginali.
Chi si candiderà presto a essere il nuovo volto di Confindustria chiede altro. Quello uscente, Boccia, la pensa diversamente: “I fuochi d’artificio nella manovra non ci sono e non ci saranno, il Paese non ne ha bisogno. C’è una manovra seria fatta con le risorse disponibili”. Alla prova della vera discontinuità sarà chiamato anche Bonomi.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
ARMATO DI MAZZA DA BASEBALL E COLTELLI INCITAVA ALL’ODIO CONTRO IMMIGRATI E ISTITUZIONI… DENUNCIATO E SOSPESO
Si faceva riprendere con un coltello e una mazza da baseball in mano con cui minacciava forze
dell’ordine, stranieri e istituzioni e poi pubblicava i filmati sul suo profilo Facebook, fino a quando la polizia di Stato e i carabinieri lo hanno individuato e denunciato.
Nei guai è finito un insegnante 40enne di una scuola elementare della provincia di Mantova. La questura, in una conferenza stampa, ha mantenuto il riserbo sulle generalità dell’uomo, evidenziando soltanto che le minacce avvenivano solo via web e mai in classe.
L’uomo, tuttavia, dopo la denuncia per minaccia aggravata, procurato allarme verso le autorità , vilipendio della Repubblica, delle istituzioni e delle forze armate e propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa, è stato allontanato dalla scuola e sottoposto ai previsti procedimenti disciplinari.
Da quanto si è saputo il docente per alcuni giorni aveva postato numerosi video autoprodotti nei quali minacciava forze dell’ordine e istituzioni e in particolare di minori istigando alla violenza a sfondo razziale e annunciando, coltelli da combattimento e mazze da baseball in bella vista a minacciare gli interlocutori virtuali, svariati attacchi alle autorità . Carabinieri e polizia, dopo le segnalazioni di alcuni genitori dei suoi alunni che avevano visto i video, hanno iniziato le indagini, culminate con la perquisizione dell’abitazione del docente, a cui sono stati sequestrati computer e altro materiale utilizzato per produrre i filmati.
(da agenzie)
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