DI MAIO SI FA UN SUO DECRETO SUI RIMPATRI PER FAR CONCORRENZA A SALVINI
SE LE INDISCREZIONI FOSSERO CONFERMATE UN’ALTRA PATACCA DEGNA DEL PERSONAGGIO
Una stretta sui rimpatri, allargando e certificando nuovamente la lista dei Paesi sicuri e accelerando le procedure sul territorio italiano.
Dopo l’annuncio dei giorni scorsi arriva il decreto targato Luigi Di Maio sui migranti. Domani il ministro degli Esteri e capo politico M5S, assieme al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, presenterà il provvedimento dal “suo” ministero, la Farnesina. Sarà un decreto ministeriale, che non passerà quindi dal via libera del Consiglio dei ministri.
In serata, ospite a “Dritto e Rovescio” su Rete 4, Di Maio ne anticipa il contenuto: “Chi non può stare in Italia, non possiamo aspettare due anni per rimpatriarlo, domattina firmo un decreto in cui si dice che in quattro mesi, non più in due anni, si può capire se una persona può stare qui o se deve essere rimpatriata”.
E ancora: “sui rimpatri siamo fermi all’anno zero, domattina iniziamo con la firma di un decreto e mandiamo un messaggio che è questo: Guardate che è inutile che venite, se non avete i requisiti per la domanda di asilo, perchè in maniera democratica vi mandiamo indietro”.
Tra i leader della maggioranza Di Maio era stato tra i più prudenti sull’accordo di Malta sulla redistribuzione dei migranti. Il tema, sin dalla campagna elettorale del 2018, è tra i più “cari” al leader del Movimento che ora, senza più l’ingombrante ombra di Matteo Salvini, cerca di mettere la sua impronta sul dossier. E lo fa partendo dai rimpatri, nervo scoperto della gestione della questione migranti anche nel governo giallo-verde.
Sul decreto ministeriale, a poche ore dalla sua presentazione, vige il più stretto riserbo, come speso accade per le misure “bandiera” del Movimento.
Di certo, il titolare della Farnesina tiene particolarmente al provvedimento, al quale ha messo mano sin dai primi giorni del suo insediamento. Rumors che al momento non trovano conferme ufficiali parlano dell’individuazione di una lista di Paesi sicuri più larga di quella alla quale finora si è fatto riferimento.
Lista che potrebbe includere, ad esempio, anche la Tunisia. In questo senso, il “gancio” giuridico alla misura potrebbe essere la direttiva europea 2013/32, che dà ai Paesi membri una certa discrezionalità sull’individuazione dei Paesi sicuri e alla quale ha fatto riferimento anche il decreto sicurezza.
Prevedibile, inoltre, che nel provvedimento sia prevista anche un’accelerazione delle procedure per la definizione dei Paesi d’origine da parte delle commissioni territoriali. E al decreto Di Maio ha intenzione di accompagnare un pacchetto di accordi proprio con i Paesi africani “teatro” delle partenze per l’Europa attraverso i porti libici. Accordi sui quali già nei mesi scorsi, tra l’altro, ha lavorato il premier Giuseppe Conte nelle sue numerose “sortite” in Africa.
Una stretta, insomma, che va nella direzione opposta a chi invece pone l’accento sul diritto di asilo individuale, e che testimonia come, nel governo giallo-rosso, il Movimento non voglia mollare la presa sul dossier dando così anche una risposta “politica” a Salvini su un tema che il leader leghista si appresta a cavalcare anche alle prossime Regionali.
“La soluzione è il blocco delle partenze”, è il mantra che il leader del M5S sta ripetendo da giorni, convinto che con una stretta sui rimpatri e una cooperazione più stretta con i Paesi africani gli sbarchi possano davvero ridursi. Ma nel provvedimento Di Maio è chiamato anche a trovare un certo “equilibrio” per non innescare malumori non solo negli alleati di governo ma anche nello stesso Movimento: le tossine generate dalla politica migratoria salviniana, in una parte dei pentastellati, non sono ancora evaporate.
Perchè è una patacca:
1) L’iter del riconoscimento o meno del diritto di asilo va sottoposto ad apposite commissioni, non lo decide un ministro degli esteri (che non conta una mazza nel contesto specifico). Per ridurre i tempi occorre quintuplicare intanto le persone addette ad esaminare le richieste e questo non dipende da Di Maio.
2) La richiesta di asilo è “individuale” e non “per Paesi di origine”, il richiedente ha diritto che la sua pratica sia valutata nel merito personale.
Facciamo qualche esempio: non si può definire un Paese “sicuro” se una zona di tale Paese è in mano alla guerriglia mentre un’altra parte è sicura, non si può definire sicuro un Paese dove per un omosessuale o a seguito di faide locali il ritorno in qual Paese comporterebbe il rischio della vita, idem per motivazioni religiose e così via. La norma internazionale vieta di valutare i casi “in blocco”, per capirci.
3) Puoi anche decidere di raddoppiare i rimpatri da 600 al mese a 1200 ma ci sono due piccoli problemi:
a) ci vogliono i quattrini per raddoppiare i costi
b) i Paesi di destinazione devo essere d’accordo, altrimenti gli aerei neanche atterrano
4) L’Italia ha accordi solo con tre Paesi, il più importante è la Tunisia, anche alla luce dell’entità di tunisini che arrivano con i barchini. La Tunisia accetta solo due voli alla settimana (per ogni rimpatrio, due agenti di scorta), quindi sono più quelli che arrivano ogni mese che quelli che partono
Conclusione: Di Maio muova il culo e vada a Tunisi dopo le elezioni dei primi di ottobre (glielo diciamo noi che ci sono, magari neppure lo sa) quando vi sarà un nuovo governo e metta mano al portafoglio (possibilmente senza insultare il popolo tunisino come fece Salvini, causando l’incidente diplomatico).
La Tunisia va aiutata a crescere, i giovani sono disoccupati, non vengono in Italia per fare shopping, occorre creare infrastrutture e dare lavoro, con riflessi positivi anche per la aziende italiane.
Per cambiare le cose non bastano editti medievali sulla pelle dei poveri, ci vogliono sensibilità , rispetto delle leggi e cultura.
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