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I PESCATORI RAPITI DALLA LIBIA POTEVANO ESSERE SALVATI DALLA NOSTRA MARINA

Novembre 6th, 2020 Riccardo Fucile

AL CACCIATORPEDINIERE “DURAND DE LA PENNE” FU ORDINATO DI NON INTERVENIRE

La notizia è clamorosa.
I pescatori rapiti in Libia potevano essere salvati da una nave da guerra della Marina, ma si scelse di non intervenire. Dopo l’indiscrezione arriva la conferma: “Un intervento in quelle condizioni avrebbe innescato un processo escalatorio, innalzando la tensione e mettendo a rischio la sicurezza stessa dei pescatori”.
Era il cacciatorpediniere “Luigi Durand de la Penne”, – si legge su Repubblica – una delle unità  di punta della Marina Militare, la nave da guerra che il 1° settembre scorso incrociava al largo della Cirenaica mentre venivano sequestrati i 2 pescherecci italiani ancora oggi nelle mani dei miliziani di Khalifa Haftar.
Da allora 18 marittimi (8 italiani, 6 tunisini, 2 senegalesi e 2 indonesiani) sono ostaggio di una milizia non riconosciuta legalmente, ma il cui leader di fatto controlla la Cirenaica e intrattiene continui rapporti politici con il Governo italiano, tanto da essere stato ricevuto più volte a Palazzo Chigi.
Nel suo comunicato la Marina spiega che «la possibilità  di intervento è stata preclusa sia dalla distanza che dalla dinamica dell’evento. Ma qui   la Marina fa una seconda ricostruzione che non coincide con quella dei pescatori: la forza armata scrive che «personale militare libico era già  a bordo» dei due pescherecci sequestrati, il Medinea e l’Antartide. Tutti i racconti dei pescatori riferiscono invece che la tecnica utilizzata dai libici era diversa: un gommone con 3 miliziani armati di kalashnikov si avvicinava ai differenti pescherecci, imponendo di far scendere il comandante sul gommone stesso. Anche per questo quindi il Durand de la Penne, un cacciatorpediniere da 5.400 tonnellate, ha evitato di avvicinarsi a un gommone e una vedetta della milizia di Khalifa Haftar.
Il governo italiano non parla dell’eventuale negoziato che ha avviato con Haftar, ma ormai – scrive Repubblica – la richiesta è “diventata solo un paravento per nascondere il fatto che Haftar si prende la libertà  di non restituire i pescatori all’Italia”.
Il sequestro è avvenuto dopo ore di osservazione di una vedetta libica e con il mancato intervento di un elicottero di un cacciatorpediniere della Marina Militare italiana che era a 115 miglia dall’area del sequestro. Un elicottero la cui semplice presenza sarebbe bastata ad allontanare i miliziani libici. Un elicottero che però non è mai intervenuto. Dopo il primo attacco dei libici sono subito arrivate le prime risposte dalla Marina di Roma. “Ma all’improvviso per 2 o 3 ore la Marina non risponde più alle telefonate degli armatori”, spiega una fonte a Repubblica, “poi verso le 3 di notte chiamano per dire che l’elicottero non può intervenire, che il caso ormai è diplomatico e che non c’è nulla da fare”. E i nostri pescatori sono ancora ostaggio in Libia…
Il crimine è in quelle navi della marina Militare a cui è impedito di superare le nostre acque territoriali per salvare vite umane in acque internazionali.
Il crimine è nell’aver deciso di mantenere i principi disumani che sorreggevano i decreti sicurezza del Conte I“,   scegliendo di “limitarli” invece di abrogarli.
Il crimine è nell’aver finanziato la cosiddetta Guardia costiera libica. E averla fornita di motovedette che da più di due settimane sono ufficialmente nelle mani del Sultano di Ankara.
Annota Nello Scavo su Avvenire: “Dopo aver ottenuto dall’Europa le chiavi per la gestione del flusso migratorio lungo le rotte orientali (6 miliardi di euro per trattenere in Anatolia milioni di profughi siriani), ora il presidente Erdogan ha tra le mani un’altra potente arma di ricatto: il controllo della cosiddetta Guardia costiera libica. Le prime tragiche avvisaglie sono arrivate con le ultime due stragi in mare: 15 migranti dispersi giovedì e altri cinque ieri a un’ora di navigazione da Lampedusa. In entrambi i casi i guardacoste libici non hanno avviato alcun intervento. Erano impegnati con i nuovi addestratori. Le dichiarazioni e le immagini che arrivano da Tripoli sono uno smacco soprattutto per l’Italia.   Le motovedette donate dai governi Gentiloni e Conte da alcuni giorni vengono adoperate da istruttori turchi che insegnano ai colleghi libici come pattugliare l’area di ricerca e soccorso. Una zona ‘Sar’ la cui istituzione è stata progettata e pagata dall’Italia. Anche gli interventi dei pattugliatori di fabbricazione italiana saranno decisi in accordo con le forze armate turche, che senza investire un centesimo dispongono adesso di flotta supplementare nel Mediterraneo centrale.   A quanto riferiscono svariate fonti in Turchia e in Libia — prosegue Scavo – Tripoli e Ankara decideranno d’intesa quando intercettare i migranti in mare e quando invece lasciarli raggiungere le coste italiane.
Ostaggi
Due circostanze rendono il caso inusuale: la tempistica e le richieste per il rilascio. Il fermo è avvenuto nel giorno della quarta visita in dieci mesi del ministro degli Esteri Luigi Di Maio in Libia: il titol si è recato sia a Tripoli che a Qubba, roccaforte del presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, ma non dal generale Haftar. In seconda istanza, da Bengasi chiedono la liberazione di calciatori libici condannati in Italia con l’infamante accusa di traffico di esseri umani.
Al livello ufficiale, l’Italia non può protestare con il governo libico “ad interim” dell’est, il braccio politico di Haftar, perchè non lo riconosce. Tra l’altro, la sera del 13 settembre, il primo ministro “orientale” in carica dal 2014, Abdullah al Thinni, ha presentato le sue dimissioni dopo le proteste tenute nell’est della Libia contro il suo governo per la mancanza di servizi.
L’unico canale ufficiale possibile in Libia per la liberazione dei pescatori è al momento il parlamento di Tobruk presieduto da Saleh, che però è in rotta di collisione con Haftar.
L’Italia ha cercato di fare di più, contattando i “padrini” internazionali di Haftar: il titolare della Farnesina ha discusso della questione con i colleghi Emirati Arabi Uniti e Russia, rispettivamente Abdullah bin Zayed al Nahyan e Sergej Lavrov.
Risultati? Zero.
Trattativa “segreta”
Un tweet del Libyan Addres Journal conferma ciò che da settimane   si dice a Mazara del Vallo, a proposito della vicenda del sequestro in Libia dei18 pescatori, Il tweet rende ufficiale ciò che anche le autorità  italiane ritenevano ufficioso e qualcuno anche infondato: l’esistenza di una trattativa dietro quella ufficiale, rimasta ferma però al palo.
I miliziani di Haftar hanno ribadito infatti alla testata giornalistica libica che i pescatori non saranno liberati, se prima non vi sarà  da parte dell’Italia il rilascio di quattro «calciatori» libici oggi in carcere in Italia. Uno scambio di prigionieri insomma. E la trattativa nascosta è diventata così quella ufficiale. I libici indicati come “calciatori” sono in realtà  quattro scafisti, condannati a Catania a 30 anni per traffico di esseri umani e per la morte in mare di 49 migranti, fatto risalente all’estate 2015.
Una richiesta che mette a pari la storia di 18 persone che erano in mare per lavoro e quella di 4 soggetti che in mare andavano per guadagnare sulla pelle di 49 migranti, tutti morti affogati davanti alla costa orientale siciliana.
Sottolinea il procuratore della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro: “Altro che giovani calciatori. Non furono condannati solo perchè al comando dell’imbarcazione, ma anche per omicidio. Avendo causato la morte di quanti trasportavano, 49 migranti tenuti in stiva. Lasciati morire in maniera spietata. Sprangando il boccaporto per non trovarseli in coperta. Un episodio fra i più brutali mai registrati”. Per questo il procuratore Zuccaro considera l’eventualità  di «uno scambio di ostaggi» una enormità  giuridica:” Non penso che verremo interpellati, ma da operatori del diritto saremmo assolutamente contrari. Sarebbe una cosa ripugnante”.
Acque contese
Scrive Alberto Puglia, in un documentato report su Vita: “Un mare dove nessuno deve vedere, scomodo, in cui ciò che è lecito viene stabilito di volta in volta, senza testimoni. Un mare dove se cali la tua rete da pesca devi stare attento perchè puoi essere sequestrato, minacciato con le armi e magari rinchiuso in uno dei tanti lager dove ogni giorno centinaia e centinaia di uomini, donne e bambini vengono torturati. No, questo non è un mare lontano. à‰ il nostro mare, il Mediterraneo Ma cos’è accaduto da quando uno stato diviso in più fazioni e in guerra come la Libia ha istituito la sua zona Sar che per i non addetti ai lavori significa letteralmente “ricerca e soccorso in mare”? E cosa c’entra il Golfo di Sirte?
Beatrice Gornati, dottore di ricerca in diritto internazionale all’Università  degli studi di Milano esperta in traffico di migranti nel Mediterraneo spiega: ‘Bisogna tenere presente che nel 1973 la Libia dichiarò che il Golfo di Sirte fosse parte delle sue acque interne: il Golfo fu annesso attraverso una linea di circa 300 miglia, lungo il 32°30’ parallelo di latitudine nord. Tuttavia, tale rivendicazione fu respinta da un gran numero di Stati, inclusi i principali membri dell’Unione europea (Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito). A seguito di questo episodio, nel febbraio 2005, la Libia stabilì inoltre, tramite una decisione del Libyan General People’s Committee, una zona di protezione della pesca, nel rispetto della General People’s Committee Decision No. 37 del 2005. Anche in questo caso, la delimitazione stabilita dalla Libia incontrò le proteste di diversi Stati e della Presidenza dell’Unione europea: considerando infatti che la Libia aveva rivendicato il Golfo di Sirte quale parte delle sue acque interne, le 62 miglia di zona di pesca da essa reclamate sarebbero state contate a partire dalle 12 miglia dalla linea di chiusura del golfo. Peraltro, nel 2009, la Libia dichiarò una ZEE (zona economica esclusiva) ‘adjacent to and extending as far beyond its territorial waters as permitted under international law’ ,il cui limite esterno, ad oggi, non è ancora stato tracciato.   il 28 giugno 2018 l’Imo (Organizzazione Marittima internazionale) ufficializza quello che in passato appariva come un’utopia e registra su comunicazione delle autorità  libiche la zona Sar (Search and Rescue) libica con un proprio centro di coordinamento di soccorsi (JRCC). Registrandosi sul sito è possibile consultare alcuni dati, visionare la mappa e conoscere altitudine e longitudine dell’area in questione. Muniti di carta nautica, abbiamo calcolato queste distanze. Dalla costa di Tripoli alla linea rossa di confine le miglia sono circa 116,25.
à‰ chiaro quindi perchè i pescatori siciliani hanno tutto il diritto di dire oggi che da un anno a questa parte i libici ‘si sono presi mezzo Mar Mediterraneo’. Il capitano Raimondo Sudano (uno dei rappresentanti dei marinai di Mazara del Vallo, ndr) aggiunge: ‘E questo avviene anche grazie all’Italia che dà  alla guardia costiera libica i mezzi di sostentamento per fare la Guerra a noi italiani che andiamo a lavorare onestamente. I libici si sono ora fatti anche furbi, oltre che con le motovedette vengono a fare gli abbordaggi in mare con le barche da pesca e subito dopo arrivano i loro gommoni e non hai neanche il tempo di chiamare le autorità  italiane che vieni sequestrato con tutto il pescato e trattato come un terrorista”.
“La paura di tornare in mare è tanta   – rimarca ancora Puglia -e si sovrappone a quel senso di abbandono da parte dello Stato che non tutela i suoi pescatori.
Scrive l’esperto Fabio Caffio che, pur ricordando l’impegno passato della nostra Marina nello Stretto di Sicilia e nell’Adriatico dall’aggressività  jugoslava, rimarca: ‘Diverso invece l’impegno della Marina nella zona di acque internazionali ove ricade la ZPP libica: non risulta infatti che la Forza Armata abbia ricevuto alcuna direttiva di proteggere da vicino ed in modo continuativo l’attività  di pesca dei connazionali contrastando la pretesa libica”
Il reportage è del 24 maggio 2019. Il titolo era: “La denuncia dei pescatori siciliani: ‘così i libici si sono presi il Mediterraneo’”.
E’ trascorso un anno e mezzo.   E quel titolo è drammaticamente attuale. E ciò che rende ancora più intollerabile la situazione, è che i libici “si sono presi il Mediterraneo” anche grazie ai finanziamenti italiani alla cosiddetta Guardia costiera libica e al fatto che, per “paura” di dover salvare migranti, le navi della nostra Marina militare non possono avventurarsi in mare aperto. Alla mercè dei predoni di Haftar.
Una cosa è certa: il malessere ai vertici della nostra Marina militare è forte, come conferma a Globalist una fonte bene informata.   E il basso profilo tenuto sin qui dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, non viene più interpretato come un atteggiamento saggio e responsabile ma frutto di una indecisione che investe l’intero Governo, a cominciare dal premier Conte e dal ministro degli Esteri Di Maio.
“Essere responsabili è una cosa, dimostrarsi imbelli è tutt’altra — dice a Globalist la fonte -. E l’Italia questo sta dimostrando”.

(da Globalist)

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L’ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA DI UN MAGNATE INCATTIVITO E INCUPITO, CONVINTO CHE SOLO I SUOI VOTI SIANO LEGALI

Novembre 6th, 2020 Riccardo Fucile

COME E’ LONTANO LO STILE DI H.W. BUSH

Nel 1992, George H.W. Bush, l’ultimo presidente estromesso dalla Casa Bianca dopo un solo mandato, riconosceva la sconfitta inchinandosi dinanzi la “maestà  del sistema democratico”. Oggi, il presidente uscente Donald Trump attacca la democrazia affermando che “se si contano i voti legali, vinco io”, come se solo i suoi fossero voti legali
Il presidente degli Stati Uniti, battuto dal rivale democratico ed estromesso dalla Casa Bianca, sale sul palco e dice: “Riconosciamo la maestà  del sistema democratico… Ho telefonato al mio rivale e mi sono congratulato con lui: ha fatto una campagna forte: gli auguro ogni bene alla Casa Bianca e lavorerò con lui per assicurare una transizione morbida… L’America viene prima di ogni cosa…”.
La gente applaude, piange, scandisce “Grazie”. Sono le 23.00 del 3 novembre 1992: George H.W. Bush incontra i suoi sostenitori nella BallRoom del WestInn di Houston, Texas, e riconosce la sua sconfitta di fronte a Bill Clinton.
Che differenza di stile e di tono tra il rispetto “della maestà  del sistema democratico” di Bush sr, l’ultimo presidente estromesso dalla Casa Bianca dopo un solo mandato, e l’attacco alla democrazia di un magnate incupito e incattivito che, ieri sera, in una conferenza stampa alla Casa Bianca, diceva che “se si contano i voti legali, vinco io”, come se solo i suoi fossero voti legali.
Scrive Lisa Lerer sul New York Times: “Quello che il presidente degli Stati Uniti ha fatto non è stato complicato, ma è stato sorprendente, anche dopo quattro lunghi anni di politica fuori dall’ordinario. Il presidente Trump ha attaccato la democrazia: nelle sue dichiarazioni, ha mentito sullo spoglio delle schede, ha schernito il suo rivale e ha cercato di screditare l’integrità  del nostro sistema elettorale. ‘Se contate i voti legali, vinco io’, ha detto, prima di innescare una litania d’affermazioni senza prove su come la sua campagna sarebbe stata truffata dai suoi oppositori, da addetti ai seggi imparziali e da una vasta cospirazione di aziende tecnologiche e grandi società ”. Trump ha anche definito i sondaggi pre-elettorali “falsi e ridicoli”, fatti per creare l’impressione d’una “onda” pro-Biden: “Non c’è stata alcuna onda blu, semmai un’onda rossa”.
Il che neppure è vero, perchè, man mano che lo spoglio, procede, il vantaggio di Biden nel voto popolare nazionale s’allarga fino a cinque milioni dei voti espressi; e perchè la Camera resta democratica e il Senato, che era repubblicano, è al momento in parità .
Le dichiarazioni di Trump seguivano quelle di Biden, che, da Wilmington, nel Delaware, ha invitato alla calma e a lasciare “funzionare il sistema democratico” e a “contare tutti i voti”, perchè a dire chi sarà  il presidente “è la volontà  degli elettori”. Biden s’è mostrato fiducioso (“Non ho dubbi che vincerò queste elezioni”): “Conosceremo molto presto” i risultati definitivi.
L’ex vice di Obama è più presidenziale di Trump in ogni circostanza. Per fortuna, la democrazia, attaccata dal presidente, ha molti difensori negli Stati Uniti, a iniziare dai media e dai giornalisti: alcune tv all news americane hanno “tagliato” la conferenza stampa e contraddetto le affermazioni di Trump. “Ci troviamo nella inconsueta posizione non solo d’interrompere il presidente degli Stati Uniti, ma di doverlo correggere”, ha detto la MsNbc.
Scrive ancora la Lerer: “Non c’è niente di corrotto, rubato o illegale e non c’è nessuno che sta facendo ‘un sacco di cose cattive’. Donald Trump sta semplicemente perdendo”.
Anche James Baker, che nel 2000 guidò il team d’avvocati di George W. Bush nella battaglia legale con Al Gore sul voto della Florida, ritiene che la Casa Bianca dovrebbe smettere di tentare di bloccare lo spoglio delle schede.
In un’intervista, Baker dice che Trump potrebbe avere ragioni da fare legittimamente valere, ma nota che “ci sono enormi differenze” tra il 2000 e oggi. “Il nostro punto era che i voti erano stati contati e ricontati e che era tempo di mettere fine al processo. Questo non è esattamente il messaggio che sento ora… E penso che sia molto difficile essere contro lo spoglio delle schede”.
E 19 ex procuratori Usa che hanno servito sotto presidenti repubblicani hanno diffuso una nota definendo “infondate e avventate” le accuse di brogli.
I firmatari invitano il presidente “a consentire pazientemente e rispettosamente che continui il processo legale del conteggio dei voti, in accordo con le leggi federali e statali, e a evitare ogni ulteriore commento o azione che serve solo a minare la nostra democrazia”.
I procuratori, inoltre, negano che ci sia alcunchè di irregolare nel contare i voti dopo l’Election Day.

(da agenzie)

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IL REPUBBLICANO ROMNEY ATTACCA TRUMP: “PARLANDO DI BROGLI SI METTE A RISCHIO LA LIBERTA’ DEGLI STATI UNITI”

Novembre 6th, 2020 Riccardo Fucile

L’EX CANDIDATO ALLA PRESIDENZA: “BASTA PARLARE DI ELEZIONI TRUCCATE E DI CORRUZIONE, CI VUOLE SENSO DELLE ISTITUZIONI”

Sempre più persone anche del suo stesso partito prendono le distanze dagli eccessi del presidente che non accetta la sconfitta.
Il senatore repubblicano Mitt Romney ha criticato Donald Trump per i suoi commenti su presunti tentativi democratici di ‘rubare’ il voto, attacchi “che danneggiano la causa della libertà  qui e nel mondo”, afferma. Romney ha scritto su Twitter che il presidente ha il diritto di chiedere il ricomputo dei voti e di indagare presunte irregolarità , ma “sbaglia dicendo che le elezioni sono state truccate, corrotte o rubate”.
Romney – da sempre oppositore di Trump – non è il primo degli eletti repubblicani a criticare la linea scelta dal presidente, ma la sua condanna è la più netta.

(da agenzie)

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“TRUMP’S ITALIAN CHEERLEADER”: COME ALL’ESTERO SFOTTONO SALVINI

Novembre 6th, 2020 Riccardo Fucile

LA MASCHERINA GRIFFATA, GLI SLOGAN DA COMPLOTTISTA MESSI ALLA GOGNA

Prima la mascherina griffata con il logo della campagna elettorale di Trump, poi l’assurda affermazione di voler vigilare su inesistenti brogli elettorali per l’ormai certa vittoria di Biden: “ha ragione Trump, fa bene a chiedere di controllare voto per voto. “Ci sono posti dove ci sono più voti che votanti. Ci saranno sorprese, aspettatevele. Confido che possano arrivare delle sorprese”.
La sopresa è che anche questa volta Salvini ha rilanciato una bufala, come ha dimostrato Snopes. Ma il leader della Lega grazie al suo attivismo pro Trump si è guadagnato il titolo di Trump’s Italian cheerleader dall’Independent.
“Salvini” continua il pezzo, “non ha mai nascosto il suo supporto a Trump, è apparso in pubblico con il cappello Maga e una mascherina Trump 2020″.
Il giornale inglese Independent ha riservato a Matteo Salvini un nomignolo poco lusinghiero, ossia ‘Cheerleader di Trump’: come si legge nell’articolo: ‘Il politico sovranista Matteo Salvini ha iniziato a diffondere false teorie complottiste riguardo le elezioni americane. Su Radio24 questa mattina, Salvini non ha fornito alcuna prova ma ha ripetuto le parole di Trump sul fatto che negli Usa sia in atto una frode elettorale”.
“Salvini” continua il pezzo, “non ha mai nascosto il suo supporto a Trump, è apparso in pubblico con il cappello Maga e una mascherina Trump 2020 e ha anche copiato alcuni slogan trumpiani per la sua campagna in Italia”.

(da agenzie)

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IL CAPOGRUPPO DELLA LEGA IN REGIONE LIGURIA VA A UNA CENA ILLEGALE: UNA OFFESA AI MORTI DELLA LIGURIA

Novembre 6th, 2020 Riccardo Fucile

IL PREFETTO AVEVA GIA’ FATTO OPPOSIZIONE ALLA DEROGA DEL SINDACO LEGHISTA DI PONTINVREA CHE TIENE APERTI I RISTORANTI OLTRE LE NORME DEL GOVERNO

La notizia dell’ordinanza del sindaco di Pontinvrea, Matteo Camiciottoli, che ha deciso di far stare aperti bar e ristoranti fino alle 23, è già  di per sè grave.
Ma che a esprimere la solidarietà , anche personale, con tanto di foto senza nessun distanziamento, ci sia anche il capogruppo della Lega in consiglio regionale, Stefano Mai, è vergognoso. Un’offesa alle migliaia di persone che sono decedute in questa regione.
L’azione leghista è un’offesa anche all’enorme sforzo che stanno facendo i nostri operatori sanitari per dare una risposta alla pandemia da covid-19, nonostante i problemi organizzativi di una giunta regionale di cui il consigliere Mai e’ uno dei maggiori sostenitori.
Proprio per scongiurare questo pericolo il Prefetto ha fatto la sua mossa: una lettera protocollata a tutti i sindaci della provincia per sottolineare la “esigenza di uniforme applicazione sul territorio” del Dpcm.
“Il sindaco di Pontinvrea, in totale antitesi a varie disposizione del Dpcm del 24 ottobre 2020 — scrive Cananà  — ha autorizzato sul territorio di quel Comune lo svolgimento di tutta una serie di attività  sospese […] L’ordinanza è chiaramente illegittima e ne ho informato doverosamente il Governo […] Confido che i sindaci della provincia di Savona, lungo dal promuovere iniziative in contrasto con le vigenti disposizioni nazionali di natura emergenziale, neppure assecondino eventuali sollecitazioni a disattenderle da qualunque parte provenienti, disperdendo così quel prezioso patrimonio di valori che ciascuno porta con sè quale componente di una comunità  in cui gli si riconoscono diritti e correlati doveri“.

(da agenzie)

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PREGLIASCO: “ANDAVA FATTO UN LOCKDOWN TOTALE, SMART WORKING VA AUMENTATO”

Novembre 6th, 2020 Riccardo Fucile

“SERVIVA UN BLOCCO ANCORA PIU’ RIGOROSO DI QUELLO DI QUESTA PRIMAVERA”

I provvedimenti dell’ultimo DPCM per contenere la diffusione del coronavirus continuano a provocare proteste e contestazioni. La rabbia cresce tra le categorie che, in vista della ripartenza dopo il lockdown di primavera, avevano firmato con il Governo linee guida e protocolli con la garanzia che le attività  sarebbero state salvaguardate.
E invece, come nel caso di bar e ristoranti, si è scelto di non tenere conto di quanto fatto, intervenendo in luoghi dove finora ci si era impegnati a rispettate le misure imposte e validate da Inail e Cts.
La sensazione diffusa è che, alla luce della seconda ondata, questi protocolli siano stati tutt’altro che sufficienti.
“No, le linee guida sono efficaci e dovranno essere riutilizzate nel prossimo futuro” dice a Fanpage.it il virologo Fabrizio Pregliasco al quale abbiamo chiesto cosa abbia portato il Governo a considerare alcune attività  più sicure di altre, a partire dalla differenza fatta tra parrucchieri e centri estetici, con i primi che resteranno aperti anche nelle Regioni finite in zona rossa e i secondi costretti invece ad annullare gli appuntamenti e a fermarsi
Perchè queste differenze?
L’incremento della diffusione epidemica ha portato a una considerazione più generale, cioè quella di ridurre tutti i contatti ai quali possiamo rinunciare, partendo dal presupposto che la grande presenza di positivi nella comunità , soprattutto di asintomatici, rappresenta un rischio. È quindi chiaro che, in questo momento, la scelta politica è stata quella di togliere tutto quello che si può evitare perchè, se è vero che solo lo 0,7% dei positivi richiede il ricovero in terapia intensiva, se i casi sono tantissimi, anche lo 0,7% diventa un numero assoluto rilevante. Ed è quello che si sta vedendo nei Pronto soccorso degli ospedali. Dunque il problema è la concentrazione di casi gravi in uno stesso momento che mandano in tilt la possibilità  di assistenza.
C’è poi la disquisizione perchè i parrucchieri possano restare aperti e le estetiste no, ma è chiaro che, in questo momento, la scelta politica è stata quella di adottare misure che possano essere sostenute rispetto al consenso e alla tenuta economica del sistema. In assenza, evidentemente, di prove pratiche, perchè non c’è manuale che ci dica quanto si riducano i contagi se si chiude alle 17 piuttosto che alle 19. Sono tutte valutazioni che si stanno facendo “dal vivo”, per cui le indicazioni possono avere un’opinabilità  ma hanno una filosofia di massima, cioè quella di togliere tutto quello che si può evitare.
C’è però anche chi continua ad andare in ufficio…
Purtroppo, dal punto di vista scientifico, andava fatto un lockdown totale, magari ancora più rigoroso di quello che è stato fatto bene, sofferto, e soprattutto attuato con grande intensità  e lunghezza in primavera. Si è però optato per un’applicazione sartoriale delle misure tenendo conto della sostenibilità  e del livello di malumore delle persone.
Considerando che ormai è assodato che le mascherine sono una protezione efficace e indispensabile, non sarebbe il caso di raccomandare l’uso delle cosiddette FFP2, cioè mascherine che proteggono anche in entrata rispetto alle chirurgiche che sono efficaci solo in uscita?
Potrebbe certamente aiutarci ma è chiaro che comporterebbe un aumento dei costi oltre che di disponibilità . Quanto siamo riusciti a fare, cioè un’ampissima diffusione delle mascherine, mi pare già  una buona cosa. Il concetto di indossarle tutti sta proprio dietro al fatto che le mascherine chirurgiche proteggono soprattutto gli altri da noi che, generalizzando, vuol dire che ciascuno di noi protegge tutti gli altri.
Quali sono i rischi di non indossare la mascherina in quei luoghi dove non è possibile farlo, come ad esempio nelle mense aziendali o quando consumiamo cibi e bevande al lavoro?
Quello delle mense è certamente un problema importante ed è necessaria una particolare attenzione e riduzione del numero di persone che si trovano insieme. Sicuramente i momenti di pranzo e cena sono un grande rischio, perchè ci si abbassa la mascherina e magari nel frattempo si parla con gli altri, cosa che aumenta la possibilità  di contagio. Di sicuro è un aspetto da mettere in conto, magari ampliando le tempistiche e differenziando gli orari.
Non sarebbe forse il caso di incrementare lo smart working?
Sicuramente, questa è una raccomandazione che è stata comunque fatta. Non è un obbligo, ma un’indicazione che senza dubbio va implementata.

(da Fanpage)

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OSPEDALE VALDUCE COMO, IL DIRETTORE: “DA DOMANI SARO’ COSTRETTO A DECIDERE CHI INTUBARE”

Novembre 6th, 2020 Riccardo Fucile

NON CI SONO PIU’ POSTI LETTO, VENTI IN ATTESA AL PRONTO SOCCORSO: “NON C’E’ PIU’ SPAZIO IN TERAPIA INTENSIVA”

“L’ospedale è saturo. Da domani saremo costretti a decidere chi intubare o no”. Il direttore sanitario del Valduce di Como, Claudio Zanon, spiega a Fanpage.it che il suo ospedale è ormai pieno di pazienti Covid, al limite della capacità . Qui, solo nella mattinata di venerdì 6 novembre, attendono in pronto soccorso 20 pazienti sospetti Covid. E attenderanno a lungo perchè tutti i posti letto sono pieni: ci sono 61 malati in reparto Covid e 5 ricoverati in terapia intensiva con Coronavirus.
Questa è la capienza massima di uno dei due ospedali più importante di Como, insieme al Sant’Anna. L’unica soluzione è quella di chiedere aiuto alle altre strutture sanitarie della zona “ma anche tutti gli altri ospedali sono pieni”. Non resta che l’ospedale in Fiera a Milano. Ma anche qui sorge un problema: “In Fiera c’è tutta l’attrezzatura è sufficiente, ma mancano gli anestesisti e parte del personale. Un problema che ora abbiamo anche noi dal momento che 70 operatori sanitari del Valduce sono a casa perchè positivi al Covid”, precisa Zanon.
Il rischio, ormai imminente, è di dover fare una scelta: “Se domani arriverà  un paziente over 75 che non ha molte probabilità  di sopravvivere, non riuscirò a intubarlo”. Sembra che il tempo sia rimasto fermo a marzo e aprile. Anche se qualcosa è cambiato: “Oggi, nonostante il virus sia lo stesso, la mortalità  si è abbassata. Durante la prima ondata vedevo pazienti morire dopo due giorni di ricovero, ora no. Però, ci sono molti più contagi e quindi molte più persone che richiedono l’ospedalizzazione”. A Como, infatti, negli ultimi giorni c’è stata un’impennata di casi: solo ieri 5 novembre sono stati registrati 615 tamponi positivi, portando Como a essere la quarta provincia lombarda più colpita dopo Milano, Varese e Monza.
A preoccupare il direttore Zanon è anche la medicina territoriale: “Faccio fatica anche a mettermi in contatto con i medici di medicina generale comaschi. Per me sarebbe invece indispensabile, perchè potremmo accelerare le dimissioni dall’ospedale dei pazienti che possono proseguire la loro guarigione a casa sotto la sorveglianza del loro medico. Permettendo a noi quindi di accogliere altri malati. Per questo propongo che ogni medico metta online anche il proprio numero di cellulare”. Insomma, a Como si sta sentendo tutta la pressione del virus negli ospedali. La speranza è che le nuove disposizioni imposte dal Dpcm possano far diminuire la curva dei contagi e dare un margine di respiro agli ospedali lombardi.

(da agenzie)

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RICCIARDI: “CI VUOLE UN MESE E MEZZO PER FERMARE LA CURVA”

Novembre 6th, 2020 Riccardo Fucile

“I GOVERNATORI DEVONO TUTELARE LA SALUTE PUBBLICA”

Il numero dei contagi diminuirà  probabilmente tra un mese, un mese e mezzo. “Vedremo prima un rallentamento poi un appiattimento e quindi una diminuzione, ma non tra quindici giorni”, spiega Walter Ricciardi. Il consulente del Ministro della Salute, Roberto Speranza, invocava da tempo misure più restrittive adeguate al livello di diffusione del virus sui singoli territori.
Nel giorno in cui è entrato in vigore il nuovo Dpcm, sottolinea che “serviranno pazienza e perseveranza” e che “due settimane sono insufficienti per arrestare la curva e sicuramente lo sono per invertirla. Quando fai il lockdown, com’è successo a Wuhan e poi da noi a marzo, ci vuole tempo perchè i dati si stabilizzino”.
Il 7 ottobre lei dichiarò: di questo passo tra due mesi saremo a 16mila nuovi casi. Dopo trenta giorni siamo a più del doppio. Cos’è andato storto, professor Ricciardi?
Combattere una pandemia significa agire con rapidità  nel modo e nei tempi giusti. Non dobbiamo inseguire ma anticipare il virus, principio ispiratore del piano in cinque punti reso pubblico dal ministro il 6 aprile, purtroppo realizzato quasi dappertutto in maniera deficitaria e in alcune regioni per niente. Se avessimo agito il 7 ottobre, avremmo gestito meglio l’epidemia.
Sempre il 7 ottobre lei disse: “Siamo sulla lama del rasoio”. Ora a che punto siamo?
Nel rasoio, stiamo subendo le ferite. Per non farci scuoiare dobbiamo rispettare le misure forti assunte, pensate per mitigare ossia per ridurre il danno.
Insomma, si è perso tempo?
Sì.
Oggi è entrato in vigore il nuovo Dpcm, il quarto in meno di un mese. Quanto e cosa ci vorrà  perchè le misure funzionino?
Questo Dpcm va finalmente nella giusta direzione: elaborare, cioè, misure proporzionate al livello dell’epidemia sui singoli territori. Ci vorranno pazienza e perseveranza. Quanto ai tempi necessari per vedere gli effetti delle misure, l’esperienza fatta in Cina ci dice che dovrà  passare almeno un mese, ma probabilmente ci vorrà  un po’ di più. Due settimane sono insufficienti per arrestare la curva e sicuramente lo sono per invertirla. Quando fai il lockdown, com’è successo a Wuhan e poi da noi a marzo, ci vuole tempo perchè i dati si stabilizzino.
Se tra quindici giorni dovessimo accorgerci che il trend non si è invertito?
È probabile che tra quindici giorni il trend non si sarà  invertito. Per vedere i risultati di questo provvedimento dobbiamo aggiornarci tra due, tre settimane e non farci condizionare dai dati giornalieri. Vedremo prima un rallentamento poi un appiattimento e quindi una diminuzione, ma non prima di un mese, un mese e mezzo. Lo dice l’evidenza scientifica: un recente studio dell’Università  di Edimburgo ha dimostrato che questi sono i tempi.
Lo spettro del lockdown generale continua ad aleggiare. Quanto è probabile ci si arrivi?
Credo che con questo Dpcm possiamo scongiurare il rischio. Dobbiamo evitare il lockdown, con le misure proporzionate alle situazioni locali possiamo riuscirci.
Quindi questo sistema basato sulle tre aree la convince?
Assolutamente sì, l’avevo suggerito a marzo. Ma poi allora i dati sono diventati sempre più travolgenti e si è dovuto chiudere tutto.
Lei ha più volte chiesto lockdown mirati per Milano, Napoli, Roma. Al momento è zona rossa solo Milano insieme alla Lombardia. Lazio e Campania sono in area gialla. È ancora convinto che ci vorrebbe un lockdown per Napoli e Roma?
I dati su Roma non sono tali da comportare un lockdown. Quelli di a Napoli mi convincono meno. L’area metropolitana di Napoli è a rischio.
Intanto i presidenti di Regione sono contrariati, in Calabria si vuole impugnare l’ordinanza, protestano Lombardia, Piemonte, Campania. Questa epidemia si sta politicizzando?
Spero proprio di no, sarebbe un disastro. Il Paese dovrebbe unirsi in uno sforzo comune contro il virus. I dati sono in peggioramento, non assumere provvedimenti significa compromettere la salute dei cittadini. La leale collaborazione tra Stato e Regioni è sancita dalla Costituzione che vede nella tutela della salute uno dei diritti fondamentali. I Presidenti delle Regioni non possono derogare nè dalle evidenze scientifiche nè dal dovere costituzionale di tutelare la salute dei loro cittadini.
Ha visto tutta questa questione dei dati, vecchi, aggiornati, incompleti, Il professor Crisanti ha avvertito sul rischio di poca trasparenza sui dati da parte delle Regioni: esiste anche per lei?
Non voglio neanche pensare che alcune Regioni possano alterare i numeri che comunicano, per evitare di finire in una zona a rischio più alto. Farlo significherebbe attentare alla sicurezza dei propri cittadini. Credo che qualche ritardo sia dovuto al deficit di personale, da rafforzare, e di competenze, perchè questi non sono passacarte, sono persone che devono analizzare i dati. Se ce ne sono poche, è chiaro che i dati vengono immessi nel sistema informativo in ritardo”
L’ultimo report, basato su dati riferiti alla settimana dal 19 al 25 ottobre, fotografava una situazione di ulteriore peggioramento. Sul tavolo della Cabina di regia sono arrivati i nuovi dati. Ha avuto modo di vederli? Gli scienziati predicono un peggioramento della situazione.
Non ho visto i nuovi dati che arrivano al Ministero della Salute seguendo flussi istituzionali precisi. Certo, rispetto a 10 giorni fa tutti i dati sono in peggioramento in tutte le Regioni. Le decisioni dovevano essere prese prima, non si doveva aspettare la fine di ottobre. Spero che i dati vengano resi pubblici, è giusto che tutti sappiano su quali basi vengono assunte le decisioni.
Con i nuovi dati le Regioni potrebbero ritrovarsi anche in un’altra area. Ma questo sistema secondo lei non rischia di aumentare la confusione, disorientare ancora di più?
No. Questo sistema se fatto e comunicato bene consente di prendere decisioni senza perdere tempo. Se lo avessimo introdotto a inizio ottobre oggi avremmo un’altra situazione.
“Negli ospedali la situazione è tragica”, ha detto stamattina. Le terapie intensive rischiano di andare in sofferenza. Se continua così entro quanto potremmo ritrovarci coi reparti saturi?
Più che i reparti di terapia intensiva, in questa fase mi preoccupa la saturazione dei posti letto, tutti gli ospedali si stanno riempiendo di casi Covid e non c’è spazio per gli altri pazienti. I reparti di terapia intensiva si satureranno, ma più tardi degli ospedali. I presidenti degli Ordini dei medici di Milano e Torino stanno chiedendo il lockdown perchè i posti letto normali si stanno saturando. Si deve assolutamente evitare la saturazione degli ospedali alla quale, se non rispetteremo le misure del Dpcm arriveremo nel giro di due settimane. Ma le rispetteremo, scongiureremo anche questo rischio.

(da agenzie)

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GUALTIERI: “GIA’ UN MILIARDO SUL CONTO CORRENTE DI 211.000 IMPRESE IN DIFFICOLTA’, LUNEDI’ O MARTEDI SARANNO SUL CONTO”

Novembre 6th, 2020 Riccardo Fucile

2.900 EURO PER UN BAR, SE IN ZONA ROSSA DIVENTANO 3.900… ESENZIONE VERSAMENTI INPS E DIPENDENTI A CARICO DELLO STATO… COSI’ DA MERCOLEDI POTRANNO TORNARE A LAMENTARSI

A nove giorni dal decreto Ristori che ha disposto gli indennizzi per alcune attività  chiuse in tutto o in parte dal Dpcm del 25 ottobre, arrivano i primi ristori. “Sono stati disposti i bonifici in favore di più di 211 mila imprese, per un totale di oltre 964 milioni di euro”, quasi 1 miliardo, annuncia il ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri, spiegando che i soldi arriveranno “già  lunedì e martedì” sul conto corrente degli interessati, “in tempi record”.
“In un periodo di difficoltà  e di giuste preoccupazioni, possiamo dare una notizia positiva”, dice Gualtieri. “Sono passati soli nove giorni dall’emanazione del primo Decreto Ristori, e l’Agenzia delle Entrate ha già  emesso i primi mandati di pagamento per accreditare il contributo a fondo perduto agli operatori economici interessati” dal Dpcm del 25 ottobre. “Avevamo detto che saremmo stati in grado di far arrivare sui conti correnti i primi ristori per il 15 di novembre, in realtà  essi arriveranno già  lunedì e martedì prossimi”, spiega il ministro.
“L’amministrazione finanziaria è riuscita ad eseguire tutte le operazioni in automatico, così come previsto dal decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020, senza richiedere alcun adempimento o domanda ai contribuenti coinvolti, che vedranno accreditarsi le somme maggiorate direttamente sul conto corrente indicato nella domanda relativa al primo contributo a fondo perduto, avanzata nella primavera scorsa”. Il ministro si riferisce a quanti avevano già  incasso un indennizzo con il decreto Rilancio di maggio.
“Credo che un riconoscimento vada dato a tutte le strutture dell’amministrazione finanziaria coinvolte, a cominciare dall’Agenzia delle Entrate, che sono state in grado di corrispondere alla giusta attesa di tanti cittadini, lavoratori e imprese colpiti dalle conseguenze di questa drammatica situazione”, conclude Gualtieri.

(da agenzie)

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