Novembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
LO STORICO CONSIGLIERE DEL CAVALIERE: “I VERI LIBERALI NON HANNO NULLA A CHE VEDERE CON LORO”
Dottor Guzzanti, lei oggi scrive che in un paese civile esistono una destra e una sinistra democratiche, e una destra e una sinistra impresentabili
Non in un paese civile, solo in Italia esiste tale duplicità , forse per alcuni aspetti la si riscontra in Francia. Mi pare che in questo siamo piuttosto soli. Non ho simpatie per la democrazia ungherese o polacca, ma riconosco a quelle nazioni il fatto oggettivo di essere uscite da una situazione di merda durata mezzo secolo, un periodo di dittatura che a noi è stata risparmiata, e che li ha lasciati cicatrizzati male.
Cosa intende?
Che l’Italia è una democrazia che non può fare ricorso a tutte le sue componenti senza mettere a rischio la propria natura liberal-democratica. Perchè la democrazia è un conto, la liberal democrazia è un altro, la parola democrazia è poco significante, mentre se vi si associa il concetto di libertà insito in essa si fa riferimento alla genetica anglosassone, che è alla radice di tutte le democrazie moderne.
Paolo Guzzanti è storico consigliere di Silvio Berlusconi. Ridacchia quando dice di essere di un’altra era politica, ma anche oggi il suo è un punto di vista non banale sul Palazzo e sul suo sobbollire.
“Se divago mi fermi”, chiede gentilmente ogni qual volta si addentra in un groviglio di ragionamenti insieme complessi e lineari nel loro filo conduttore.
Ragionamenti come quello che ha messo oggi nero su bianco sul Giornale, quotidiano della famiglia Berlusconi, che fa a pezzi Salvini e il salvinismo con un titolo eloquente: “I veri liberali non hanno a che fare con una certa destra”. E ancora: “Una vera democrazia liberale scarta la destra inutilizzabile”.
Luogo, il Giornale, e forma, l’attacco in prima pagina e un titolone cubitale a pagina quattro, qualcosa vorranno pur dire nel dibattito interno al centrodestra, tra le spinte governiste dell’ex Cavaliere e la puzza di bruciato avvertita dai suoi alleati. Glielo abbiamo chiesto.
Mi faccia capire: Salvini al potere metterebbe a rischio il tessuto democratico del paese?
Non temo la dittatura di Salvini. C’è stato in Italia un periodo in cui era ragionevole temere un colpo di stato, oggi non siamo in quella situazione. Salvini si muove e alimenta un tipo di destra a cui manca un substrato culturale che per esempio Bossi aveva. Questa gente non ha nè memoria nè presente. Quando ha pronunciato la frase dei pieni poteri non ha fatto altro che cadere in un lapsus freudiano indicativo.
Indicativo di cosa?
È un riflesso pavloviano che verrebbe a qualunque sceriffo da spiaggia confortato dagli applausi della gente. Ma dietro non ha uno straccio di visione. Qual è il suo sogno, la sua visione del paese? Berlusconi scrisse “L’Italia che vorrei”, amalgamò una destra intorno a un ideale, a un progetto, che poi sia stato realizzato o meno è un’altra faccenda. Poi i leghisti sono anche bravi, i loro sindaci sono spesso apprezzati. Finchè fai bene con chiarezza e efficienza le cose locali, tante persone ti seguono. A livello locale spesso non distingui più destra o sinistra, ci sono tanti amministratori bravi, e loro ne hanno tanti decorosi.
Ancora non ho capito in che modo Salvini potrebbe sgangherare la liberal democrazia italiana, nè se sia un reale pericolo da questo punto di vista.
La può sgangherare eccome, perchè lui e la Lega hanno un’idea plebiscitaria dei meccanismi democratici, l’idea che l’unico momento in cui si celebra la democrazia è il voto, poi una volta eletto faccio come mi pare. E in questo è insito il disprezzo di chi concorre al gioco democratico ma non sta con te, non c’è neppure di facciata un rispetto di chi non è dei tuoi, un po’ come sta facendo Trump negli Stati Uniti. La pretesa di questi qua è trasformare una democrazia, che è un gioco complicato e sofisticato come gli scacchi, in una roba in cui puoi dare una martellata al re bianco per vincere. La nostra libertà personale non può non essere garantita se al governo non c’è chi ci hai messo tu, se vieni percepito come nemico, se no diventi come Putin, che non è un caso che a Salvini piaccia tanto.
E la sinistra non potabile quale sarebbe, quella dei 5 stelle?
I 5 stelle non li considero di sinistra. Riconosco che il principale distributore del loro petrolio è stato l’elettorato del Pd che si è travasato lì. Ma il continuo spaccarsi della sinistra, dei gruppi dirigenti e dell’elettorato, è una condanna della sinistra italiana, se lo lasci dire da uno che è stato socialista. C’è sempre stata una sinistra che chiede di governare, e poi c’è una sinistra sinistra che cerca di impedirglielo rifacendosi a ideali più radicali. Oggi è il Pd che ci prova, ma anzichè evolversi ha i difetti genetici di queste antiche maledizioni. E poi si trovano legati mani e piedi ai 5 stelle.
Dunque i 5 stelle rappresenterebbero una sinistra “inutilizzabile” nel gioco democratico?
I 5 stelle sono peggio di Salvini, è un partito che ha scritto nella sua storia di voler abolire il sistema democratico parlamentare. Dunque al governo c’è un partito che non riconosce la democrazia liberale. In Salvini vedo tentazioni e goffaggini un po’ burine e muscolari, potenzialmente pericolose, quello dei 5 stelle è un tentato colpo di stato permanente.
È un argomento affascinante, ma rimaniamo sul punto: stiamo correndo verso una spaccatura del centrodestra tra chi concorre al gioco democratico e chi ha ambizioni di scardinarne alcuni meccanismi?
È sicuramente arrivato il momento della resa dei conti. Salvini e Berlusconi si odiano politicamente, sono antitetici. L’ex cavaliere non credo si sia dimenticato che Salvini, nel suo periodo di amore per Di Maio, lo trattava anche peggio di come avrebbe fatto un 5 stelle, anche dal punto di vista umano. Berlusconi si è rotto di Salvini. Due anni fa andai ad Arcore dopo le elezioni e mi raccontò tutti i suoi malumori, non lo sento da allora. È molto ferito dai modi di Salvini nei suoi confronti, così lontani da quelli della vecchia Lega, tutte queste cose hanno scavato un solco.
È inutile nascondersi dietro un dito. Oggi il Giornale, quotidiano di famiglia di Berlusconi, pubblica in prima pagina un suo articolo in cui si sostiene che forza Italia, cito, “non dovrebbe avere a che fare con una certa destra”, e che la democrazia liberale dovrebbe “scartare la destra inutilizzabile”. Sembra un segnale politico eloquente
Da parte di Sallusti pubblicare questo articolo è stato un atto di coraggio, le racconto come è andata.
Magari.
Tre giorni fa ho espresso gli stessi concetti, a dire il vero in maniera ancora più violenta sul Riformista. Ieri Sallusti con mia piacevole sorpresa mi ha chiamato e mi ha chiesto di formulare lo stesso concetto. Ho accettato. Poi mi ha richiamato e mi ha detto che aveva deciso di metterlo come fondo in prima pagina. Io sono un po’ matto, e non ho paura delle mie idee e non rendo conto a nessuno, ma questo per loro è un segnale politico.
Ci vede una cesura tra due mondi o è il solito balletto tattico al quale spesso il centrodestra ci ha abituato?
La prima che ha detto, è un vero e proprio gesto di rottura attivato da Berlusconi anzitutto con Salvini, ma anche alla Meloni, sulla quale viene posto un aut aut diverso ma altrettanto netto.
Per quale motivo?
Lei sta con i conservatori e non con i sovranisti, il suo tutore è una persona di buon senso come Crosetto. Lui ha contribuito ad ancorarla in un alveo diverso, ma comunque le è rimasta la tara della matrice storica della destra, perchè la nostra destra destra non è quella dei bianchi razzisti americani, è una destra delle borgate
Ma questa cesura dove porta?
Qui non si va a votare prima dell’elezione del nuovo Capo dello stato. È un primo passo: senza nessuna confusione di ruoli danno una mano al governo, cosa che fa incazzare 5 stelle che perdono potere di ricatto con il Pd.
Ma per fare cosa?
Ah, poi si naviga a vista. Se l’esperimento funziona, in qualcosa poi dovrà evolvere, cambi di maggioranza o rimpasto non lo so, ma lì non ci arrivi senza questa fase.
Dunque il centrodestra è rotto
Noto che Salvini da qualche settimana ha richiamato Marcello Pera, ha iniziato a parlare di liberalismo, ha capito che gli serve anche questo versante. Ma sono scettico che serva a qualcosa, il suo elettorato risponde a istinti pavloviani, non a stimoli complessi. Sono pronto a scommettere però che o combatte su questa nuova linea o soccombe.
Uno scenario al momento improbabile.
Meno di quel che si pensi. Ad oggi i numeri sono suoi, ma se la linea di Berlusconi sul covid premia, se contribuisce sull’economia, sul Recovery fund, magari sul Mes, le cose possono cambiare. La proposta di Berlusconi è anche strumentale, ma ha un chiaro binario politico. Se si realizzerà o meno sarà la politica a dirlo.
Le hanno scritto dopo la pubblicazione?
Molti parlamentari, di centrodestra ma anche di centrosinistra una pioggia di messaggi.
Leghisti?
Nessuno.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
GOVERNO E SCIENZIATI DEVONO PARLARE CHIARO, QUEST’ANNO NON PUO’ ESSERE COME GLI ALTRI
Nonostante tutto da giorni nelle case degli italiani si ragiona su cosa fare a Natale. Nonno e
nonna potranno esserci? E la zia Caterina? E Luigi che non vediamo da tanto tempo? E Paolo e Giovanna e il loro piccolo, è nato da sette mesi e non lo abbiamo ancora visto, solo in foto o in video su wa?
Insomma, considerazioni tipo di normali famiglie meno aggravate di altre dalle ricadute della pandemia. Ma anche chi ha perso molto, chi, disperatamente, quasi tutto, al Natale, al calore del Natale non ci vuole rinunciare, a quelle ore magiche a prescindere, anche se una volta chiusa la porta molti, tra il sarcastico e l’ironico dicono ogni anno, anche sto Natale ce lo siamo levati dalle palle…
Ma non è così, perchè è la festa per definizione. Ecco, ma quest’anno non lo può essere, è arrivato il momento di dirlo, non solo ai bambini, a cui già sono state dette e sottratte molte cose e ai loro fratelli maggiori, con la scuola vissuta in Did, ma anche ai grandi, ai loro genitori, che invece ci girano intorno.
Non ci piace la sarabanda di dichiarazioni di alcuni membri del governo, non ci piace l’ammiccamento intermittente dello stesso premier sugli abbracci di Natale, sui sorrisi e l’intenzione nemmeno tanto sotterranea di dare orari più lunghi ai negozi per le feste, perchè l’economia deve girare. Facciamolo, ma facciamolo con ragione e regole.
Queste amene dissertazioni sul cenone, sul capodanno, sui parenti e i congiunti hanno come solo risultato quello di generare confusione e inutili aspettative.
Come avete deciso le chiusure, le colorazioni delle regioni a seconda della gravità della situazione sanitaria, adesso vi dovete prendere la responsabilità di dire qualcosa sul Natale.
Se è vero come è vero che qualsiasi decisione sia stata presa con il conforto dell’autorità scientifica, anche sul Natale l’autorità scientifica deve dire qualcosa.
Si dirà , dovete essere responsabili, lo sapete già quello che dovete fare. Eh no, ci siamo già passati, questa estate avete allentato, avete mandato segnali sbagliati e adesso dite che la seconda ondata è colpa degli italiani.
Parliamoci chiaro: sarà sempre responsabilità e colpa degli italiani, ma glielo dovete dire.
Gli dovete spiegare, per filo e per segno, quello che possono e non possono fare, quali sono le conseguenze di far sostare in una stessa casa in una stessa stanza, per qualche ora, figli, nonni e nipoti, Senza indulgenze, senza cedimenti, perchè alla scienza questo non è permesso e la politica, anche in questo caso non può non seguire la scienza, altrimenti è demagogia spicciola.
La libertà , come la intendiamo, il Covid ce l’ha rubata, ma lo scambio è, o almeno presumiamo sia, sconfiggerlo, nel più breve tempo possibile.
Non è, quindi, un’eresia chiedere di normare il Natale. Ditelo, con serenità e fermezza, lo dicano i Miozzo, i Locatelli. Non basta raccomandare distanza e mascherine.
A Natale si sta seduti intorno ad un tavolo con nonna e nonno e si mangia, si parla, si respira. Niente baci e abbracci, certo. Ma dovete dire, senza reticenze, se queste conversazioni nel chiuso di stanze che nessuno aererà possono avere conseguenze per le persone più fragili.
E se l’unica cosa da fare, per proteggerle davvero, sia, con un gesto d’amore che oggi sembra difficile capire, lasciarle nella loro casa, vederle per pochi minuti, magari videochiamarle. Il Covid non concede sospensioni. Così è stato questa estate, così è a Natale.
Ma lo dovete dire, chiaramente. Abbiamo rinunciato a moltissimo, possiamo rinunciare anche al Natale, come lo abbiamo sempre immaginato.
E’ un anno, un Natale, nella nostra vita. Abolite il Natale, come avete abolito molte altre cose. I più saggi capiranno. A tutti gli altri, in ogni caso, glielo avete detto.
Se c’è una logica per tutto quello che abbiamo fatto fino ad ora, le privazioni, le restrizioni, le rinunce emotive, allora l’unica cosa sensata da dire e poi fare è passare il Natale con i conviventi, con coloro con i quali abbiamo convissuto in tutti questi mesi difficili. Ci siamo testati in lunghissime giornate chiusi in casa, ci siamo tutelati e sappiamo come stiamo e come siamo stati.
Solo con loro, e poi festeggiare con tutti gli altri, in un domani che speriamo non sia lontano, la fine dell’incubo.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
GLI ANESTESISTI: “I NUMERI DI POSTI LETTO NON CORRISPONDONO A QUELLI SBANDIERATI”
L’età media dei pazienti che finiscono in rianimazione si è abbassata.
La differenza tra prima e seconda ondata dell’epidemia è evidente anche nei reparti di terapia intensiva, oggi come sette otto mesi fa uno dei fronti più caldi della battaglia contro il virus. “Innanzitutto c’è una distribuzione dei ricoverati più omogenea sul territorio nazionale”, spiega Davide Mazzon, direttore di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Belluno.
E poi c’è, appunto, l’età media dei pazienti. “Oggi c’è una prevalenza di persone che hanno tra i 60 e i 70 anni circa e invece nella prima fase l’età media era dai 70 agli 80 anni a salire”.
Questo vuol dire che si è avuta una diffusione più ampia del contagio e dunque che il quadro complessivo dell’epidemia è peggiorato.
Fondatore della commissione di bioetica e componente del comitato etico della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia intensiva,Mazzon è tra gli autori del documento, stilato da Siaarti e Società italiana di Medicina Legale è delle Assicurazioni (Simla) su mandato dell’Iss.
Si intitola “Decisioni per le cure intensive in caso di sproporzione tra necessità assistenziali e risorse disponibili in corso di pandemia da Covid-19” e “non è un vademecum, meno che mai un protocollo – puntualizza il dottore – perchè non fissa regole rigide per una sequenza di azioni da cui non è possibile transigere”.
È piuttosto un insieme di buone pratiche cliniche, per i medici in particolare gli Anestesisti, da seguire nel caso in cui dovessero trovarsi a scegliere chi ricoverare prima soprattutto in terapia intensiva. Specie in momenti come questi, in cui bisogna fare i conti una sproporzione tra la domanda di assistenza e le risorse – ossia posti letto, strumentazioni e medici e infermieri specializzati – a disposizione.
Un periodo, questo, in cui l’emergenza Covid sta riducendo le possibilità di cura per i pazienti affetti da altre patologie. È di oggi infatti la denuncia della “gravissima situazione che si sta determinando negli ospedali a danno dei pazienti cardiologici” della Federazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi (Foce).
Dalla Lombardia alla Sicilia vengono ridotti i posti letto cardiologici per fare posto ai pazienti Covid, addirittura vengono chiuse intere unità di terapia intensiva cardiologica e convertite in terapie intensive Covid”.
Di qui l’allarme della Foce che vede profilarsi “il rischio concreto di avere nelle prossime settimane più morti per infarto che per Covid”. “Ma questo rischia di accadere anche per altri pazienti critica con malattie respiratorie, neurologiche, infezioni avere traumi maggiori”, aggiunge Mazzon.
Premessa del documento di Siaarti e Simla è che “anche in presenza di una straordinaria sproporzione tra necessità e offerta di assistenza, quale quella determinata dalla pandemia da Covid 19 – si legge – deve essere assicurato il primario e fondamentale diritto alla salute senza deroghe a principi etici e di giustizia e quindi nel rispetto del criterio universalistico ed egualitario dell’accesso alle cure”.
L’età non è un parametro sufficiente per stabilire chi può usufruire delle terapie e, dovendo scegliere, va assistito chi ha maggiori speranze di sopravvivenza.
“Fondamentale – fa notare Mazzon – nei pazienti che si aggravano è la necessità che prestino il loro consenso a un trattamento invasivo che, nel caso della polmonite da Covid, è gravato da possibili complicanze e talvolta da scarsa risposta alle cure”.Dodici i criteri fissati, tra i quali spicca il numero 11: “Nel caso in cui un/una paziente non risponda al trattamento o si complichi in modo severo, la decisione di interrompere le cure intensive e di rimodularleverso cure palliative non deve essere posticipata”. Principio, questo, “ben espresso nella legge 219 del 2017 – spiega il direttore del reparto di rianimazione dell’Ospedale di Belluno – dalla quale risulta con chiarezza che dovere del medico è non praticare ostinazione irragionevole prolungando il processo del morire”.
Nessun accanimento, quindi. “E la certezza – conclude Mazzon – per i ricoverati e i loro familiari che verranno comunque garantiti i diritti dei pazienti, ai quali assicuriamo che saranno presi in carico in ogni caso con tutti gli strumenti possibili”.
La pressione sulle terapie intensive è forte. Soffermandosi sulla situazione nel Paese e sul caso Sicilia, dove un dirigente della Regione avrebbe suggerito di aprire nuovi posti letto per non finire in zona rossa, Alessandro Vergallo, presidente nazionale del sindacato dei medici di Anestesia e rianimazione, Aaroi-Emac, ha precisato: “Non c’è nessuno tono scandalistico o accusa di trucchi nei confronti di alcune Regioni se diciamo che il numero dei letti di terapia intensiva in più non corrispondono a quelli sbandierati. Al massimo dalla quota pre-pandemia di 5mila letti in terapia intensiva saremo arrivati a 8mila, quindi 3mila in più. Abbiamo forti dubbi quando vediamo inseriti posti letto che vorrebbero rassomigliare ad una terapia intensiva ma sono diversi gradini sotto. Mettere un ventilatore e un monitor accanto a un letto non basta. Siamo in grado di testimoniare grazie ai nostri colleghi che lavorano negli ospedali di tutte le Regioni che i posti letto sono stati aumentati ma in alcuni casi – ha aggiunto Vergallo – si è cercato di farli rassomigliare a quelli di terapia intensiva ma è chiaro che non ci rientrano. Abbiamo anche la sensazione che vengano inseriti o implementati i letti di sala operatoria che normalmente sono destinati alla chirurgia”.
(da agenzie)
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Novembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
ORA E’ AI DOMICILIARI PER CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA… MA QUANDO PRONUNCIO’ QUELLE PAROLE IL CENTRODESTRA NON DISSE NULLA, ANZI LA SANTELLI GLI ESPRESSE SOLIDARIETA’
Una “manovra vergognosa“, organizzata da un “giacobino di periferia“. Un “piccolo
Robespierre ” che “utilizza le istituzioni per demolire i suoi avversari”.
Il presidente del Consiglio regionale della Calabria, Mimmo Tallini, di Forza Italia, a gennaio commentava così la decisione della commissione Antimafia guidata da Nicola Morra di inserirlo nella lista degli “impresentabili” alle elezioni regionali.
“Nella mia lunga attività politica, in cui ho ricoperto incarichi istituzionali particolarmente importanti, non sono stato mai neppure sfiorato da ipotesi di reato infamanti quali quelli relativi alla criminalità organizzata”, scriveva su Facebook Tallini, che ora è finito ai domiciliari proprio con le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e scambio elettorale politico mafioso.
Lo scontro tra Morra e Tallini è esploso tre giorni prima delle elezioni regionali che hanno visto il trionfo della coalizione guidata da Santelli con il 55,29% dei voti. La commissione parlamentare Antimafia, infatti, come avviene alla vigilia di ogni appuntamento alle urne, si è riunita per individuare i candidati da considerare come “impresentabili” sulla base della legge Severino (i condannati) o del Codice di autoregolamentazione delle candidature (che invita i partiti ad escludere pure chi è stato rinviato a giudizio per alcuni reati).
Ed è proprio sulla base del Codice che la corsa di Tallini, insieme a quella del collega berlusconiano Giuseppe Raffa, è stata definita “non conforme” da Morra.
Il motivo è che l’esponente forzista è a processo a Catanzaro con l’accusa di induzione indebita a dare o promettere utilità per fatti risalenti al 2013. Subito dopo l’annuncio da parte dell’Antimafia, Tallini ha affidato a Facebook i suoi commenti di fuoco.
“Il senatore Morra consuma nei miei confronti una meschina vendetta personale per le critiche da me rivoltegli in merito alle sue farneticanti dichiarazioni sul ‘rosario’ quale simbolo della mafia”.
Il riferimento è all’agosto 2019, quando il presidente della commissione fu attaccato dal centrodestra per aver accusato Salvini di ostentare il rosario in Parlamento in piena crisi di governo, gesto che in Calabria potrebbe essere letto come messaggio dalla ‘ndrangheta.
Poi Tallini si è spinto anche oltre, sostenendo che “non è la prima volta che questo giacobino di periferia utilizza le istituzioni per demolire i suoi avversari. Se c’è un impresentabile in Calabria è proprio il senatore Morra che risponderà in tutte le sedi di questa vergognosa manovra ai miei danni. Ha utilizzato un procedimento appena aperto, per reati che nulla hanno a che vedere con la funzione della sua commissione, per una vendetta postuma“.
Il forzista ha sostenuto di non comprendere “l’attenzione del presidente della commissione antimafia che dovrebbe occuparsi dei fenomeni di criminalità organizzata“.
Ignorando quindi che, tra i compiti della commissione parlamentare presieduta da Morra, c’è anche quello di passare al setaccio le candidature alle elezioni regionali, nazionali ed europee sulla base del Codice di autoregolamentazione che la stessa bicamerale ha stilato quasi un decennio fa. Tallini ha inoltre escluso di essere mai stato “sfiorato” da reati di mafia e ha definito “indegno” che il “presidente della Commissione utilizzi strumentalmente la sua carica a soli tre giorni dalle elezioni per infangare la mia persona“.
Non contento, il giorno dopo ha rincarato la dose: “Saranno i calabresi e le urne a dire se sarò degno di essere ancora consigliere regionale. Sono in campo, con la grinta e la forza di sempre, nonostante l’entrata a gamba tesa di una persona non degna di sedere in Parlamento. Non sarà certo un paracadutato, un nominato senza alcun contatto con la gente, un untore che si scaglia con odio contro innocenti, ad impedire che sia democraticamente eletto”.
Tra i commenti al post c’è quello di Mario Occhiuto, sindaco di Cosenza, intervenuto per esprimere “solidarietà ” a Tallini dopo che anche lui è stato vittima dei “soprusi di questo signore”.
In sua difesa si era schierata pure Santelli, accusando Morra di “scorrettezza”. Il politico alla fine ha ottenuto oltre 8mila preferenze alle urne ed è stato messo dal centrodestra a capo di Palazzo Campanella.
Incarico dal quale si è dimesso dopo l’arresto, proprio mentre il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia ha firmato la proposta di decreto per sospenderlo dalla carica prevista per chi finisce ai domiciliari. Tallini è accusato dalla procura di Catanzaro di aver aiutato la cosca Grande Aracri a costituire una società per la distribuzione di prodotti medicinali in cambio del sostegno alle elezioni regionali del 2014.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
LA DECISIONE DEL GIUDICE DI MILANO SULLA FRASE PRONUNCIATA A FUORI DAL CORO : BASTA USARE IL PLURALE MAIESTATIS E SI PUO’ INSULTARE CHI CI PARE
Il Tribunale di Milano ha dato il via libera all’insulto libero. E non parliamo del quotidiano — anche se l’argomento è strettamente collegato — ma della frase pronunciata da Vittorio Feltri in una delle sue tante ospitate televisive.
Nelle specifico la frase sui «meridionali inferiori» venne pronunciata nel corso di un collegamento con Mario Giordano a Fuori dal Coro. Dopo quell’uscita l’ex giornalista (che nel frattempo si è cancellato dall’ordine dei giornalisti) ci furono tantissime polemiche. Fino all’archiviazione da parte dei giudici meneghini che, però, sottolineano alcuni aspetti importanti.
Leggiamo alcuni estratti delle sentenza di archiviazione: il Tribunale di Milano ha deciso di archiviare la posizione di Vittorio Feltri perchè quell’offesa non era rivolta — secondo loro — un soggetto identificabile. Per questo motivo cade l’ipotesi di reato.
Ma gli stessi magistrati sottolineano che quelle parole «pur di un certo peso e moralmente deprecabili sarebbero prive di rilevanza penale in quanto rientranti nelle manifestazioni di pensiero caratterizzate da antipatia e insofferenza». Un aspetto che è destinato a far discutere.
Insomma, non c’è reato, ma solo una profonda ignoranza. E non sono parole a caso, ma si tratta solamente di una citazione presa dalla sentenza di archiviazione nei confronti di Vittorio Feltri: «ignoranza tipica dei preconcetti e dei luoghi comuni».
Quindi l’ex giornalista e direttore editoriale di libero quotidiano non è perseguibile civilmente e penalmente per la sua frase sui «meridionali inferiori», ma vive in un sottobosco di ignoranza culturale fatta di preconcetti.
Salvato dal plurale maiestatis
Alla fine, dunque, Feltri se l’è cavata con l’etichetta di ignorante. Nessuna sanzione pecuniaria vista la sentenza di archiviazione. E nessuna possibilità di sanzione da parte dell’ordine dei giornalisti, non facendone più parte. Questa sentenza, però, apre a un mondo sommerso di possibili insulti da poter pronunciare liberamente. Basta celarsi dietro a un plurale maiestatis che tocca tutti, ma che per i giudici non tocca nessuno.
(da agenzie)
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Novembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
DAL PIEMONTE ALLA LOMBARDIA COMINCIA LA SOLITA SOLFA SU APRIRE TUTTO PER FARE QUATTRINI… SOLO ZAIA PIU’ PRUDENTE
Sono quasi tutte in zona rossa o arancione, ma le Regioni del Nord vogliono aprire allo sci e si
schierano contro l’ipotesi del governo di “un’iniziativa europea” per prevenire che l’apertura degli impianti sciistici riproponga i problemi di questa estate, quando spiagge e discoteche hanno fornito benzina alla seconda ondata di contagi.
Gli assessori di Lombardia, Provincia di Bolzano, Val d’Aosta e Piemonte (tutte regioni in area rossa), uniti a quelli di Friuli-Venezia Giulia (ora zona arancione), Veneto e Trento (in area gialla), hanno firmato una nota congiunta per chiedere di aprire la stagione invernale.
Le Regioni, infatti, mentre i morti continuano a salire e la pressione sugli ospedali aumenta, questa mattina hanno approvato le “linee guida per l’utilizzo degli impianti di risalita nelle stazioni e nei comprensori sciistici da parte degli sciatori amatoriali”.
All’indomani degli annunci da Palazzo Chigi di una probabile frenata sullo sci, la pressione delle Regioni per salvare i guadagni invernali è aumentata: si è esposto il presidente del Piemonte, Alberto Cirio, sostenendo che è possibile “trovare un punto di equilibrio, come stanno facendo in altri Paesi”.
Per Davide Caparini e Massimo Sertori, rispettivamente assessore al Bilancio e alla Montagna della Lombardia, chiudere gli impianti è addirittura “una scelta scriteriata, incomprensibile da parte di un governo disorientato”.
Ovviamente, come hanno spiegato fonti governative, la ragione del divieto sta nel fatto che le consuete vacanze sulla neve, “attirando appassionati degli sport sciistici e dei soggiorni in montagna farebbero il paio con le vacanze spensierate, con serate in discoteca, della scorsa estate”.
Tradotto: il problema non sono le piste, ma gli assembramenti agli impianti di risalita, nei rifugi e soprattutto la sera negli Après-ski.
Gli appelli di scienziati ed esperti sono stati chiari: “L’estate scorsa abbiamo fatto l’errore di pensare che fosse tutto alle spalle, evitiamo di ripeterlo”, ha spiegato il presidente del Consiglio superiore di sanità , Franco Locatelli.
Anche da parte del Comitato tecnico scientifico c’è forte contrarietà alla riapertura degli impianti sciistici. Perchè, lo ha ribadito anche il coordinatore Agostino Miozzo, la priorità deve essere data alla scuola e perchè dando il via allo sci non sarebbe certo possibile mantenere un divieto, ad esempio, per palestre e piscine.
Zaia invece si è mostrato più moderato: “Natale sugli sci è un’era glaciale diversa da questa. Io tifo perchè si possa lavorare, ma mi metto nei panni dei medici: questo dibattito sulla ripresa è lunare. Io mi augurerei la riapertura per domani mattina ma vorrebbe dire che il virus è scomparso o la curva si è appiattita”, ha spiegato il governatore.
Anche il presidente della Provincia di Bolzano, Arno Kompatscher, nonostante le pressioni interne alla sua stessa giunta si è mostrato prudente: “È ancora prematuro parlare di stagione sciistica. Noi speriamo che nel mese di gennaio possa anche ricominciare questa attività , ma tutto dipenderà dall’andamento epidemiologico e dalla nostra disciplina“.
(da agenzie)
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Novembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
“DEVONO ESSERE SIA EFFICACI CONTRO IL COVID CHE SICURI PER LA SALUTE”
“Dobbiamo aspettare che le aziende presentino ufficialmente i dati all’Ema e alla Fda e i loro dati spero siano confermati dall’autorizzazione ufficiale”.
Ma “non c’è dubbio che il vaccino contro il Covid sarà valutato come tutti i vaccini nel passato, in primis per sicurezza e poi per la capacità protettiva”.
Lo ha detto Walter Ricciardi, professore di Igiene dell’Università Cattolica e consulente del ministero della Salute, nella trasmissione Agorà , su Rai 3.
Per la catena di distribuzione, “le regioni sceglieranno, a seconda di dimensioni e logistica, la via migliore. Quelle più piccole potrebbero prevedere un unico hub e poi le strutture dove si vaccina, per quelle più grandi saranno di più. Ma l’Italia ha tutta la capacità di fare bene questo piano di distribuzione”.
Rispetto all’obbligatorietà del vaccino contro il Covid “per il momento ho consigliato al ministro di prevedere la volontarietà per gli adulti” ma “se capissimo che serve il 90-95% di copertura per ottenere l’immunità di gregge, senza la quale ci troveremmo di fronte alla necessità di dover bloccare la produttività e la mobilità per il Paese, si potrebbe, per cause di forza maggiore, valutare anche l’obbligo”.
Lo ha detto Walter Ricciardi, professore di Igiene dell’Università Cattolica e consulente del ministero della Salute, durante Agorà , su Rai 3. “Credo che – ha concluso – se viene adeguatamente spiegato che questo vaccino è sicuro e che è l’unico modo per tornare alla normalità , la gente si convinca”.
(da agenzie)
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Novembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
IL REPORT SUGLI ADEMPIMENTI DAL 2010 AL 2018
La pandemia ha messo in luce una situazione figlia di scelte pregresse che hanno
inevitabilmente condizionato la risposta a livello sanitario.
Si è parlato spesso dei tagli alla Sanità perpetrati dai vari governi che si sono susseguiti negli ultimi 15 anni. Tutto vero, ma occorre analizzare anche come le Regioni hanno sperperato i fondi in spese che, fattivamente, non hanno contribuito alla crescita dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario.
L’analisi della Fondazione Gimbe mostra come gli adempimenti Regioni siano stati, in molti casi, fuori luogo e come alcune spese abbiano prodotto zero risultati per quel che riguarda i riflessi sui cittadini. E ora ne stiamo pagando le conseguenze.
L’Osservatorio GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale — spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe — da anni rileva che il monitoraggio tramite la ‘griglia LEA’ (Livelli essenziali di assistenza, ndr) è solo un political agreement tra Governo e Regioni, perchè lo strumento è sempre più inadeguato per valutare la reale erogazione delle prestazioni sanitarie e la loro effettiva esigibilità da parte dei cittadini».
Parole dure che si riassumono in uno schema che mostra come gli adempimenti Regioni siano stati disattesi, in media, per il 25% dei fondi spesi.
Il report si basa sui dati ufficiali pubblicati dal ministero della Salute e che partono dal 2010 e si concludono nel 2018. Insomma, sono lo specchio del ‘cosa eravamo’ e del perchè il sistema sanitario abbia faticato così tanto nella sua reazione alla pandemia. E questo è il risultato.
Nel periodo considerato la percentuale cumulativa media di adempimento delle Regioni è del 75% (range tra Regioni 56,2%-92,8%).
In altri termini, se la griglia LEA è lo strumento ufficiale per monitorare l’erogazione delle prestazioni essenziali, il 25% delle risorse spese dalle Regioni per la sanità nel periodo 2010-2018 non ha prodotto servizi per i cittadini (range tra Regioni 7,2%-43,8%).
La percentuale cumulativa di adempimento annuale è aumentata dal 64,1% del 2010 all’85,1% del 2018, un miglioramento ampiamente sovrastimato in ragione dell’appiattimento della griglia LEA sopra descritto.
Solo 11 Regioni superano la soglia di adempimento cumulativo del 76% e, ad eccezione della Basilicata, sono tutte situate al Centro-Nord, confermando sia la “questione meridionale” in sanità , sia la sostanziale inefficacia di Piani di rientro e commissariamenti nel migliorare l’erogazione dei LEA.
Regioni e Province autonome non sottoposte a verifica degli adempimenti hanno performance molto variegate. Da un lato Friuli-Venezia Giulia e Provincia autonoma di Trento raggiungono percentuali di adempimento cumulative rispettivamente dell’80,4% e 78,3%. Dall’altro Valle D’Aosta, Sardegna e Provincia autonoma di Bolzano si collocano nel quartile con le performance peggiori.
In alcune zone del nostro Paese, la situazione pregressa sembra essere lo specchio della situazione attuale.
«Se dopo anni tagli e definanziamenti — spiega Nino Cartabellotta — la pandemia finalmente ha rimesso il Servizio Sanitario Nazionale al centro dell’agenda politica, dall’altro ha enfatizzato il conflitto istituzionale tra Governo e Regioni, ben lontano da quella ‘leale collaborazione’ a cui l’art. 117 della Costituzione affida la tutela della salute tramite il meccanismo della legislazione concorrente. Senza una nuova stagione di collaborazione politica tra Governo e Regioni e un radicale cambio di rotta per monitorare l’erogazione dei LEA, sarà impossibile ridurre diseguaglianze e mobilità sanitaria e il diritto alla tutela della salute continuerà ad essere legato al CAP di residenza delle persone. E con la pandemia le persone si devono affidare, nel bene e nel male, alla sanità della propria Regione».
(da agenzie)
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Novembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
INDAGATI TOTO HOLDING, TOTO COSTRUZIONI E I VERTICI DELLA CONCESSIONARIA DELLA A24: “TOTALE INADEMPIENZA, CRITICITA’ SU PILE E IMPALCATI”
Per gli investigatori e i tecnici nominati dalla procura di Teramo non avevano mai fatto manutenzione su 9 viadotti della A24. “Totale inadempienza”, sostiene la Guardia di Finanza. Tutt’altro che sporadica, visto che la situazione — che riguardava sia gli interventi ordinari che straordinari — andava avanti dal 2009. E alcuni lavori erano stati eseguiti solo dal 2018, dopo il crollo del Ponte Morandi, senza spese a carico della società perchè erano stati “utilizzati contributi statali”.
Sono accuse gravissime quelle mosse dai magistrati teramani nei confronti dei vertici di Strada dei Parchi, società della Toto Holding e concessionaria che gestisce le autostrade A24 e A25, già al centro di numerose contestazioni da parte del ministero dei Trasporti.
Lelio Scopa, Cesare Ramadori, Mauro Fabris, Iginio Lai, Marco Rocchi e Gabriele Nati — tutti ai vertici della concessionaria negli ultimi 11 anni — sono indagati dai pm Laura Colica e Silvia Scamurra con le accuse, a vario titolo, di abuso d’ufficio, inadempimento di contratti di pubbliche forniture e attentato alla sicurezza dei trasporti.
Insieme alla stessa Toto Holding e alla Toto Costruzioni sono tutti destinatari di un decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Teramo, Roberto Veneziano, di 26,7 milioni di euro eseguito dai finanzieri. Molti dei manager sotto inchiesta sono coinvolti anche negli accertamenti riguardanti la A25 da parte della procura di Pescara.
“Le uniche opere di manutenzione ordinaria svolte dalla concessionaria Strada dei Parchi spa hanno riguardato negli anni la pavimentazione, il verde, le segnaletiche e non le parti strutturali dei viadotti”, ovvero cassoni, pile e appoggi e ritegni antisismici.
“Questi interventi di manutenzione ordinaria sulle opere d’arte sono stati effettuati a partire dal 2018 e neppure a spese della concessionaria perchè sono stati utilizzati contributi statali, erogati in base ai provvedimenti successivi i fatti di Genova”, spiegano gli investigatori che hanno iniziato gli accertamenti dopo il collasso del viadotto sul Polcevera sulla base di alcune segnalazioni che denunciavano lo “stato di evidente degrado” delle pile dei viadotti della A24. Durante i sopralluoghi, gli investigatori ritengono di aver accertato sulle pile del viadotto Casale San Nicola del Comune di Isola del Gran Sasso “ossidazione dei ferri dovuta anche a cedimento strutturale dei copriferri”.
Da qui le indagini si sono estese sui viadotti Cretara, S. Nicola 1 e 2, Le Grotte, Cerchiara, tutte infrastrutture della stessa tratta autostradale. E la Guardia di Finanza ritiene di aver accertato “criticità ” su “alcune delle pile e degli impalcati”.
Nello specifico, le fiamme gialle, hanno riscontrato un “evidente ammaloramento” dello “strato di calcestruzzo posto a protezione dei ferri d’armatura”, il “danneggiamento delle canaline di raccolta e dei discendenti che convogliano le acque di dilavamento provenienti dalla sede autostradale”, oltre a un “grave stato di ossidazione dei ferri delle armature esposti agli agenti atmosferici a causa della mancanza dello strato copriferro”. Per gli inquirenti è stata “omessa” fino al 2018 anche la manutenzione straordinaria del viadotto Temperino, che era da “eseguirsi entro il 2013”. Alla fine, due anni fa, sono stati fatti “con contributi dello Stato”.
“Ciò — scrive la Guardia di Finanza — ha comportato la contestazione alla concessionaria delle gravi inadempienze agli obblighi derivanti dall’incarico pubblico di gestione dell’autostrada A24 nel tratto teramano e la contestazione dell’attentato colposo ai pubblici trasporti, poichè le prolungate omissioni dal 2009 al 2018 (e in parte ancora fino all’attualità ) non hanno assicurato la funzionalità e l’esercizio in sicurezza della tratta autostradale e hanno messo in pericolo la sicurezza dei pubblici trasporti”. Per i reati di inadempimento di contratti di pubbliche forniture la procura di Teramo ha chiesto ed ottenuto dal gip il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato per circa 5 milioni, “pari ai rilevanti risparmi di spesa conseguiti con conseguimento anche di contributi statali”.
Le altre condotte illecite hanno comportato il sequestro diretto e per equivalente nei confronti di tre degli indagati e il sequestro diretto nei confronti delle società collegate alla concessionaria, per circa 21 milioni di euro.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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