SCENDE L’ETA’ MEDIA NELLE TERAPIE INTENSIVE: ORA E’ TRA I 60 E I 70 ANNI
GLI ANESTESISTI: “I NUMERI DI POSTI LETTO NON CORRISPONDONO A QUELLI SBANDIERATI”
L’età media dei pazienti che finiscono in rianimazione si è abbassata.
La differenza tra prima e seconda ondata dell’epidemia è evidente anche nei reparti di terapia intensiva, oggi come sette otto mesi fa uno dei fronti più caldi della battaglia contro il virus. “Innanzitutto c’è una distribuzione dei ricoverati più omogenea sul territorio nazionale”, spiega Davide Mazzon, direttore di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Belluno.
E poi c’è, appunto, l’età media dei pazienti. “Oggi c’è una prevalenza di persone che hanno tra i 60 e i 70 anni circa e invece nella prima fase l’età media era dai 70 agli 80 anni a salire”.
Questo vuol dire che si è avuta una diffusione più ampia del contagio e dunque che il quadro complessivo dell’epidemia è peggiorato.
Fondatore della commissione di bioetica e componente del comitato etico della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia intensiva,Mazzon è tra gli autori del documento, stilato da Siaarti e Società italiana di Medicina Legale è delle Assicurazioni (Simla) su mandato dell’Iss.
Si intitola “Decisioni per le cure intensive in caso di sproporzione tra necessità assistenziali e risorse disponibili in corso di pandemia da Covid-19” e “non è un vademecum, meno che mai un protocollo – puntualizza il dottore – perchè non fissa regole rigide per una sequenza di azioni da cui non è possibile transigere”.
È piuttosto un insieme di buone pratiche cliniche, per i medici in particolare gli Anestesisti, da seguire nel caso in cui dovessero trovarsi a scegliere chi ricoverare prima soprattutto in terapia intensiva. Specie in momenti come questi, in cui bisogna fare i conti una sproporzione tra la domanda di assistenza e le risorse – ossia posti letto, strumentazioni e medici e infermieri specializzati – a disposizione.
Un periodo, questo, in cui l’emergenza Covid sta riducendo le possibilità di cura per i pazienti affetti da altre patologie. È di oggi infatti la denuncia della “gravissima situazione che si sta determinando negli ospedali a danno dei pazienti cardiologici” della Federazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi (Foce).
Dalla Lombardia alla Sicilia vengono ridotti i posti letto cardiologici per fare posto ai pazienti Covid, addirittura vengono chiuse intere unità di terapia intensiva cardiologica e convertite in terapie intensive Covid”.
Di qui l’allarme della Foce che vede profilarsi “il rischio concreto di avere nelle prossime settimane più morti per infarto che per Covid”. “Ma questo rischia di accadere anche per altri pazienti critica con malattie respiratorie, neurologiche, infezioni avere traumi maggiori”, aggiunge Mazzon.
Premessa del documento di Siaarti e Simla è che “anche in presenza di una straordinaria sproporzione tra necessità e offerta di assistenza, quale quella determinata dalla pandemia da Covid 19 – si legge – deve essere assicurato il primario e fondamentale diritto alla salute senza deroghe a principi etici e di giustizia e quindi nel rispetto del criterio universalistico ed egualitario dell’accesso alle cure”.
L’età non è un parametro sufficiente per stabilire chi può usufruire delle terapie e, dovendo scegliere, va assistito chi ha maggiori speranze di sopravvivenza.
“Fondamentale – fa notare Mazzon – nei pazienti che si aggravano è la necessità che prestino il loro consenso a un trattamento invasivo che, nel caso della polmonite da Covid, è gravato da possibili complicanze e talvolta da scarsa risposta alle cure”.Dodici i criteri fissati, tra i quali spicca il numero 11: “Nel caso in cui un/una paziente non risponda al trattamento o si complichi in modo severo, la decisione di interrompere le cure intensive e di rimodularleverso cure palliative non deve essere posticipata”. Principio, questo, “ben espresso nella legge 219 del 2017 – spiega il direttore del reparto di rianimazione dell’Ospedale di Belluno – dalla quale risulta con chiarezza che dovere del medico è non praticare ostinazione irragionevole prolungando il processo del morire”.
Nessun accanimento, quindi. “E la certezza – conclude Mazzon – per i ricoverati e i loro familiari che verranno comunque garantiti i diritti dei pazienti, ai quali assicuriamo che saranno presi in carico in ogni caso con tutti gli strumenti possibili”.
La pressione sulle terapie intensive è forte. Soffermandosi sulla situazione nel Paese e sul caso Sicilia, dove un dirigente della Regione avrebbe suggerito di aprire nuovi posti letto per non finire in zona rossa, Alessandro Vergallo, presidente nazionale del sindacato dei medici di Anestesia e rianimazione, Aaroi-Emac, ha precisato: “Non c’è nessuno tono scandalistico o accusa di trucchi nei confronti di alcune Regioni se diciamo che il numero dei letti di terapia intensiva in più non corrispondono a quelli sbandierati. Al massimo dalla quota pre-pandemia di 5mila letti in terapia intensiva saremo arrivati a 8mila, quindi 3mila in più. Abbiamo forti dubbi quando vediamo inseriti posti letto che vorrebbero rassomigliare ad una terapia intensiva ma sono diversi gradini sotto. Mettere un ventilatore e un monitor accanto a un letto non basta. Siamo in grado di testimoniare grazie ai nostri colleghi che lavorano negli ospedali di tutte le Regioni che i posti letto sono stati aumentati ma in alcuni casi – ha aggiunto Vergallo – si è cercato di farli rassomigliare a quelli di terapia intensiva ma è chiaro che non ci rientrano. Abbiamo anche la sensazione che vengano inseriti o implementati i letti di sala operatoria che normalmente sono destinati alla chirurgia”.
(da agenzie)
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