Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
NIENTE PIU’ ACCUSE SUI MIGRANTI O INSULTI AI BUROCRATI UE… MA I FAN NON APPREZZANO IL NUOVO CORSO: CLIC DIMEZZATI RISPETTO A GENNAIO
La mattina dell’8 febbraio, mentre la Lega si apprestava ad entrare nel governo Draghi, la nave Ocean Viking della ong Sos Mèditerranèe aveva appena salvato 422 migranti al largo della Libia e stava per sbarcare nel porto di Augusta in Sicilia. Ma Matteo Salvini pensava a tutt’altro: una foto della sua camera da bambino, un selfie con Guido Bertolaso e un post sugli italiani che chiedono “salute e lavoro” e non “capricci sulle poltrone”.
I video amatoriali degli sbarchi di migranti infreddoliti al porto di Lampedusa erano tutto a un tratto spariti.
Le accuse al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese di aver “quadruplicato gli sbarchi” commettendo il reato di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” non c’erano più. Per non parlare dei video dalle piazze di spaccio di Milano contro “la droga di Stato”, gli attacchi all’Europa “dei burocrati”, ai magistrati che indagano lui e non “i mafiosi scafisti” o contro Giuseppe Conte che “si è preso i pieni poteri in silenzio per annegare l’Italia nella palude a colpi di dpcm”.
Sui profili social di Matteo Salvini le parole “immigrazione”, “sicurezza”, “droga”, “Europa” sono solo un lontano ricordo. Da quando la Lega è entrata nel governo di Mario Draghi, la “Bestia” che per anni si è nutrita della retorica anti-immigrati, tutta legge e ordine e contro l’èlite di Bruxelles, è diventata un agnellino: i profili social di Salvini e dei suoi fedelissimi sono stati ripuliti.
Niente più video di migranti sui barconi, niente post anti-euro contro i “tecnocrati” di Bruxelles e tantomeno manifestazioni in piazza con i ristoratori per aprire “anche a cena”: adesso Salvini e i leghisti parlano solo di vaccini, tasse, lavoro, elogiando l’operato “dei ministri della Lega” e “del governo Draghi”.
E se il premier decide di fare tutto da solo anche in contrasto con le idee della Lega, non importa: invece di parlare di politica, Salvini dà in pasto ai suoi follower la maglia di Zlatan Ibrahimovic, i commenti sulle partite del suo Milan e l’elogio dell’esibizione di Orietta Berti a Sanremo.
Il voltafaccia della “Bestia” leghista di Luca Morisi, social media manager di Salvini, ha riguardato soprattutto due temi. La guerra ai migranti e le politiche sanitarie per combattere la pandemia. Da quando, nel settembre 2019, Salvini ha dovuto lasciare il Viminale al prefetto Luciana Lamorgese, il suo obiettivo è stato quello di dimostrare che con i giallorosa al governo era tornata l’epoca degli “scafisti”, dei “trafficanti di esseri umani” e dei “porti aperti”.
Così quest’estate attaccava il ministro dell’Interno per aver aiutato “il traffico di esseri umani”, il 10 ottobre su Facebook parlava di “decine di nuovi sbarcati a Lampedusa nel silenzio generale” mentre il 19 novembre l’attuale sottosegretario all’Interno Molteni era chiaro: “Mentre gli italiani sono chiusi in casa, i clandestini sono a spasso”.
Oggi quella furia anti-immigrati è sparita.
Al governo non c’è più Conte — anche se Lamorgese è stata riconfermata in quota Quirinale — ma Mario Draghi (sostenuto dalla Lega) e Salvini al massimo chiede a bassa voce di “applicare le norme europee” o commenta le ultime inchieste sulle ong.
Un silenzio che pesa ancora di più alla luce dei dati sugli sbarchi: secondo il ministero dell’Interno, da inizio anno sulle coste italiane sono arrivati 5.996 migranti contro i 2.610 dello stesso periodo del 2020 (di cui oltre mille solo a marzo). Più del doppio, ma ora la “Bestia” tace perchè al governo c’è proprio la Lega.
Covid. Adesso a Salvini va bene anche il lockdown.
Voltafaccia simile sulla retorica “aperturista” sul covid-19. “La libertà non si arresta per decreto” scriveva Salvini su Twitter il 7 luglio scorso prima di presentarsi in Senato a un convegno negazionista senza mascherina (“Non ce l’ho e non la metto”). Poi, in autunno, è arrivata la seconda ondata, ma il leader della Lega proprio non voleva accettarlo. Il 4 novembre protestava su Facebook contro il nuovo dpcm: “Chiudono in casa milioni di Italiani, in diretta tivù, senza preavviso, sulla base di dati vecchi di 10 giorni, senza garantire rimborsi adeguati” diceva annunciando un ricorso al Tar dei governatori e sindaci della Lega. Un mese dopo, nuovo Dpcm del governo Conte per le chiusure natalizie: “Natale su Skype e regali su internet? Non scherziamo!” (18 novembre), “Negare il Natale alle famiglie e ai bambini è una follia” (3 dicembre), “Mi autodenuncio, violerò il dpcm il giorno di Natale” (18 dicembre) scriveva prima di manifestare con i ristoratori di #Ioapro a inizio anno. Per non parlare degli attacchi sui ristori bloccati dalla crisi di governo: sono “una presa in giro” (18 gennaio) e “da approvare subito” (23 febbraio).
Peccato che sulle norme anti-covid Draghi — e il ministro Speranza — si siano mossi in perfetta continuità con il governo precedente: chiudere dove necessario e poi un semi lockdown fino a Pasqua. Del decreto Ristori nessuna notizia.
Quattro giorni fa il leader della Lega si limitava a definire “punitivo” un nuovo lockdown, poi più niente: adesso ha ingoiato anche la serrata totale.
Social. Il crollo delle interazioni.
Il cambio di strategia comunicativa di Salvini e l’abbandono di temi che avevano fatto la sua fortuna sui social però hanno influito sulla “Bestia” che ora non morde più. E perde consensi.
Nell’ultimo mese sulla pagina Facebook del leghista le interazioni si sono dimezzate: da una media di 10 milioni settimanali si è passati a poco più di 5 con il numero di interazioni per post sceso intorno a 95mila. Un crollo evidente se pensiamo che la sua competitor nel centrodestra, Giorgia Meloni, ha una media di 115mila interazioni per post con meno della metà dei follower di Salvini (1,8 milioni contro i 4,5 milioni del leader leghista).
Secondo i dati della piattaforma FanPage Karma, che fornisce gli insight (i dati interni) delle pagine, Salvini nell’ultimo mese ha una percentuale di engagement inferiore a quella di Meloni (5,9% contro 9,5%) ma a preoccupare di più il leader della Lega dovrebbe essere l’indice della performance della sua pagina che somma “mi piace”, commenti e crescita dei seguaci in rapporto al numero di fan: tra i leader politici, Salvini è solo quarto con il 33%, dietro a Meloni (69%), Giuseppe Conte (64%) e Nicola Zingaretti (52%).
Inoltre anche la crescita dei follower sta diminuendo e la sua leadership è messa in serio pericolo da Conte che ha 3,7 milioni di fan contro i 4,5 di Salvini: da inizio anno l’ex premier ne ha guadagnato un milione contro i 600 mila del leghista.
Salvini ha un solo record, quello del numero di commenti, condivisioni e “reazioni” sulla sua pagina: nell’ultimo mese ne ha avuti 7,4 milioni contro i 4,7 di Meloni e i 3,4 di Conte. Peccato che buona parte di essi siano molto critici nei suoi confronti.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
UN CENTINAIO DI TAVOLI DI CRISI INDUSTRIALI APERTI AL MINISTERO, 250.000 POSTI DI LAVORO A RISCHIO, MA L’ATTIVISMO DEL LEGHISTA E’ DURATO POCHE ORE
Forse un fuoco di paglia. L’attivismo del ministero dello Sviluppo economico a guida Giancarlo
Giorgetti sul fronte delle crisi industriali è durato una manciata di ore, quelle dell’incontro con i lavoratori della Whirlpool che manifestavano sotto le finestre del Mise nel giorno della fiducia a Mario Draghi e, all’indomani, la riunione sul caso Ilva.
Poi più nulla, al di là delle interlocuzioni politiche con il resto del governo sul caso Alitalia che, però, è vicenda trasversale a più ministeri e non riguarda propriamente l’industria manifatturiera nazionale.
Dal suo insediamento Giorgetti ha collezionato sul tavolo, senza inviare alcuna risposta, almeno otto lettere dei sindacati metalmeccanici che chiedono incontri urgenti su altrettante emergenze: Blutec (la ex Fiat di Termini Imerese in Sicilia), la ligure Piaggio Aerospace, la piemontese Officine Meccaniche Cerutti, Italcomp (ex Embraco di Torino e Acc di Belluno), Jsw Piombino, Ast Terni e, ovviamente, Ilva e Whirlpool Napoli. Gli operai della Bekaert di Figline Valdarno, invece, hanno scritto direttamente a Draghi e al presidente Mattarella.
Altre richieste arriveranno al Mise nei prossimi giorni, perchè il drammatico protrarsi della pandemia sta aggravando crisi industriali che si trascinano ormai da anni senza che l’alternarsi dei governi abbia prefigurato prospettive di sopravvivenza e rilancio plausibili. La sottosegretaria uscente, Alessandra Todde (M5S), ha ostentato la riduzione da 150 a un centinaio dei tavoli di crisi, ma certo andrebbe capito cosa significhi davvero la chiusura di un tavolo, considerando oltretutto che molti si sono magari riuniti solo un paio di volte per poi eclissarsi insieme alle relative aziende.
La stessa Todde è rimasta al dicastero di via Veneto con il nuovo esecutivo, ma è stata promossa viceministro ed è possibile che la sua precedente delega sulle crisi industriali finisca nelle mani di Anna Ascani (Pd): prospettiva legata alle dinamiche di pesi e contrappesi nella larghissima maggioranza del governo Draghi, ma poco comprensibile se si considera che proprio la Todde ha seguito negli ultimi mesi buona parte dei tavoli sulle fabbriche.
Un attivismo, quello dell’esponente pentastellata, indotto dal progressivo disgregarsi della struttura che al Mise seguiva le crisi industriali, passata dalla storica task force guidata da Giampiero Castano al vuoto scavato durante le due stagioni del ministero con targa M5S (Luigi Di Maio prima e Stefano Patuanelli poi). Il vuoto spicca ancora di più dal momento che il Mise ha perso anche la competenza sull’energia, passata al ministero della Transizione ecologica.
Giorgetti sta preparando il provvedimento per l’assegnazione delle deleghe a sottosegretari e viceministri, che dovrebbe anche sancire la ricostruzione della struttura di coordinamento dei tavoli di crisi. Il ministro, comunque, avocherebbe a sè la gestione dei casi Ilva e Alitalia, e le questioni legate alla tv
Intanto, alcune delle richieste di convocazione urgente inevase potrebbero trasformarsi in proteste sotto il Mise. Si moltiplicano, infatti, i presidi ai cancelli delle fabbriche, con gli operai che annunciano trasferte a Roma.
È così a Termini Imerese, dove quasi mille lavoratori (tra diretti e indotto) della Blutec attendono risposte dal governo sul piano di reindustrializzazione proposto dal consorzio Smart City Group, mentre si esauriscono gli ammortizzatori sociali e Amazon si affaccia per un eventuale acquisto del terreno della fabbrica. A Terni c’è grande incertezza per il destino della Acciai Speciali messa in vendita da Thyssenkrupp.
A Piombino non decolla il rilancio dell’acciaieria targato Jindal e con la prospettiva, analoga a quella dell’Ilva, di un intervento pubblico di Invitalia. E oltre alle lettere sindacali, un nono appello a Giorgetti arriva da un’azienda, la SiderAlloys, che nel Sulcis sta provando a far ripartire l’unica fabbrica italiana di alluminio primario, la ex Alcoa.
(da agenzie)
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Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
LA SENATRICE: “ME NE VADO PRIMA CHE INFANGHINO IL MIO NOME”… AL CENTRO DELLA DIVISIONE IL MANCATO CONGRESSO
“No, non ho detto che +Europa è finita”, precisa. Ma Emma Bonino in una Assemblea di fuoco del partito – che è una “sua” creatura – ha annunciato che lascia: “Vado via a testa alta, fiera di quello che abbiamo fatto, non infangherete il mio nome”.
Non ha risparmiato critiche a +Europa dilaniata da divisioni interne nonostante si tratti di un partito piccolo, che conta circa 1.700 tesserati, e che viene stimato intorno al 2% nei sondaggi.
E che ora, oltre a Bonino, perde anche Bruno della Vedova, che ha annunciato contestualmente le sue dimissioni da segretario del partito.
Il progetto europeista dell’ex ministra degli Esteri e storica leader radicale rischia di arenarsi qui. “Non partecipo a questo gioco al massacro e me ne vado da sola a testa alta”, ha scandito nel collegamento online. Nell’Assemblea di +Europa, convocata nello stesso giorno di quella del Pd che ha eletto Enrico Letta segretario, Bonino cita il documento, o mozione di sfiducia, che è stato presentato: un documento “pseudoanonimo”, come lei stessa lo definisce nel quale si chiedono le dimissioni del segretario e, in sintesi, di sbarazzarsi dei vertici per una nuova dirigenza del partito.
Rincara Bonino: “Ci sono insulti con termini che non vorrei ripetere, sulle chat, in tutti i modi possibili e immaginabili. Non voglio più starci, ma immagino non sia un problema per nessuno dal momento che sono nella schiera degli incompetenti e ignoranti”.
L’addio: “Lascio anche il posto al Senato”
Rincara anche sulla possibilità di mollare tutto, anche il seggio al Senato dove +Europa fa gruppo (nel Misto) con Azione di Carlo Calenda. Ancora un attacco: “La vostra cupidigia è senza limiti…, ma è a disposizione non vi preoccupate. Se la nuova leadership si presenta con queste credenziali di epurazione io fossi in voi ci penserei un pò. Me ne vado a testa alta prima che mi facciate fuori voi. E vi libererete di un altro ‘incompetente’, Benedetto Della Vedova, e di tutta la sua cricca, come la chiamate”.
Infine: “Mi basta un segnale prima del congresso che il seggio del Senato vi viene restituito così come l’ho ottenuto. Voi riuscite a cacciare con ignominia per qualche leggerezza una persona infangandone la storia, l’immagine. Non mi resta che augurarvi buona fortuna e chiedervi se potete non disprezzare quello che ho fatto fin qui, se lo farete lo stesso ho le spalle larghe”.
Della Vedova: “Mi dimetto da segretario”
“Da molti mesi l’Assemblea di +Europa non riesce a trovare un accordo sulle regole per celebrare il prossimo Congresso, che lo Statuto prevede che si svolga ogni due anni. C’è stata, nelle diverse sessioni dell’assemblea degli scorsi mesi, un’escalation di tensione interna che ha portato oggi Emma Bonino ad annunciare in queste condizioni il suo abbandono del partito”, ha spiegato su Facebook Bruno Della Vedova. Che ha aggiunto: “E’ un’escalation che sento il dovere di interrompere, consentendo che la parola torni ai nostri iscritti il piu’ presto possibile. Rassegnerò quindi le mie dimissioni da segretario, atto che prevede automaticamente la convocazione di un nuovo congresso entro tre mesi”.
(da “Huffingtinpost”)
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Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
L’OBIETTIVO E’ COSTRUIRE UN PARTITO NON SUBALTERNO MA GUIDA DEL “NUOVO CENTROSINISTRA”
Una sorta di piccola rivoluzione copernicana. L’archiviazione di una stagione. L’addio agli ultimi 10
dieci anni di storia politica. E il recupero di quella che ha segnato il centrosinistra tra il 1996 e il 2008.
La prima sfida di Enrico Letta è questa: ricostruire un Pd capace di non essere subalterno, che sia anzi la guida del sistema politico e del “nuovo centrosinistra”. Che trasformi il governo Draghi in una sorta di mallevadore di un nuovo sistema dei partiti e di levatrice del nuovo centrosinistra. E che restituisca ai Dem anche il compito di indicare il futuro premier
Basta tenere presente le poche citazioni fatte nel discorso con il quale ha proposto la sua candidatura alla segreteria per capire la cesura effettuata con il recente passato.
Oltre al governo Draghi, ha fatto riferimento per due volte a Romano Prodi, poi a Nino Andreatta, quindi a Paolo Gentiloni e infine, pur senza nominarlo, a Enrico Berlinguer.
Ha rammentato che le vittorie elettorali del fronte progressista sono avvenute solo con l’Ulivo, ossia con una coalizione che aveva il perno e il motore nel Partito Democratico. Ha così aperto di fatto la competizione dentro e fuori il centrosinistra. All’interno perchè spiega che il rapporto con il M5S non sarà e non potrà essere ancillare. Anzi, ha sottolineato che mentre la natura del Pd – seppure opacizzata nelle ultime due legislature – è comunque presente, quella dei grillini è tutta da definire.
Il rapporto con Conte, ossia con il capo del Movimento 5Stelle, sarà inevitabile ma competitivo, non rassegnato. Da alleati. E soprattutto con rapporti di forza invertiti rispetto a quelli presenti attualmente in Parlamento.
Anche il richiamo all’applicazione dell’articolo 49 della Costituzione (l’atttività dei partiti si deve svolgere “con metodo democratico”), va interpretato come uno schiaffo ai pentastellati. In questo quadro il segretario dem cambia anche la prospettiva del suo incarico e ritorna ad essere anche un candidato premier. La gara con Conte e i grillini riguarda anche questo aspetto.
Due ex presidenti del Consiglio con le carte per riproporsi per quel ruolo. E si contendono pure il compito del “federatore” che ora non è più solo nelle mani del professore fiorentino.
Lo schema preparatorio assomiglia molto a quello che lo ha visto protagonista negli anni ’90. L’esecutivo in carica, nella sua idea ricopre allora il ruolo avuto da quello di Ciampi dal ’93 al ’94. Come allora Letta non intende lasciare l’ex presidente della Bce nelle mani del centrodestra. “Draghi è il nostro governo, non della Lega”. Proprio come in quegli anni la scelta europeista del centrosinistra si contrapponeva alle perplessità del centrodestra, adesso rivendica la linea comunitaria contro la conversione poco credibile di Salvini al progetto dell’Ue.
Naturalmente l’obiettivo finale sono le prossime elezioni politiche. La battaglia con la destra di Salvini e Meloni. E arrivare a quella data senza la rassegnazione della sconfitta. Per questo ha proposto un nuovo impianto culturale.
Che non riguarda, come doveroso, solo l’adeguamento della forma-partito alle nuove tecnologie, ma anche il recupero di alcune funzioni e precondizioni. A cominciare dalla competenza. Le parole “corpi intermedi” erano scomparse dal lessico della politica italiana. E con ogni probabilità questa assenza aveva fatto subire una torsione alla nostra democrazia che lo stesso Letta definisce “malata”.
Di certo rappresenta, il cestinamento del concetto di “disintermediazione” – a cominciare dal rapporto con i sindacati – che si era presentata negli ultimi anni come stella polare di tutti i populismi. Questo punto di vista può essere letto anche come il superamento del “renzismo” con il quale il nuovo leader dem ha sicuramente un conto ancora aperto.
Ovviamente tutto questo passa dalla definizione di un “nuovo Pd”. Il suo partito, in effetti, si era trasformato in un insieme di correnti che non si distinguevano per la produzione ideale ma per la spartizione del potere. Letta ne è consapevole e sa che questa deriva è stata giustificata dal ruolo di equilibratore istituzionale assunto dal Pd negli ultimi anni. Dinanzi ai radicalismi irresponsabili di M5S e Lega, i Dem si presentavano come gli unici garanti di una certa normalità . Una situazione che si è trasformata lentamente ma inesorabilmente in un alibi.
Ma uno dei test più importanti per capire come sarà il Pd di Letta, sarà la legge elettorale. Il neo segretario ha accennato alla riforma, ma ora deve decidere se il suo progetto sia o meno compatibile con un sistema proporzionale. I precedenti di vittoria citati sono stati raggiunti nel contesto del maggioritario.
(da “Repubblica””)
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Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
TRA CASALEGGIO E IL CONFLITTO INTERNO AI CINQUESTELLE
Molte spine da toccare e poco tempo per evitare di pungersi: Giuseppe Conte sta lavorando al suo piano di «rifondazione» del Movimento ma si trova ad affrontare diverse questioni che ne rallentano il percorso.
Dai tempi al ruolo di Rousseau, dalle lotte interne ai gruppi alla questione degli espulsi: una trama intricata a cui dovrà mettere mano.
Anzitutto, a mettere pressione all’ex premier ci sono i tempi tecnici: il 17 febbraio si è votato il cambio dello statuto che ha dato il la al comitato direttivo.
Senza l’elezione dei cinque membri, si è entrati nel periodo di «reggenza» pro tempore determinato dalle norme M5S, che dura 30 giorni: quindi entro il 20 marzo Conte dovrebbe presentare agli iscritti il suo progetto, proprio per non passare a un nuovo regime di prorogatio (con tanto di lettera di Beppe Grillo per concedere ulteriore tempo al leader in pectore). Il nodo è serio perchè potrebbe aprire la strada a nuove contestazioni. Già ora non mancano.
«Crimi pretende di fare il Capo politico a dispetto del fatto che non è mai stato eletto a tale carica e addirittura a distanza di un mese dall’abolizione di tale ruolo. Statuto alla mano è sempre stato un vicario. Si è passati dal declamare la democrazia diretta al praticare la prassi della democrazia sospesa», dice Lorenzo Borrè, legale che ha combattuto mille battaglie per gli espulsi dal Movimento.
E prosegue: «Se il garante non provvederà a indire le votazioni per la nomina dei componenti allora l’abiura dei principi visionari di Gianroberto Casaleggio sarà completa». E prima di rendere nota la nuova struttura Conte dovrà anche definire i rapporti con Rousseau: l’offerta del Movimento a Davide Casaleggio è stata formalizzata tuttavia l’accordo non è ancora concluso.
Sia lo statuto del Movimento sia quello dell’associazione Rousseau sono strettamente legati da continui rimandi e, in pratica, l’era Conte non può partire senza un doppio voto sulla piattaforma (necessario per cambiare le norme M5S ed eleggere poi il nuovo leader). Al di là delle questioni legali e pecuniarie, l’affaire Casaleggio ha soprattutto una valenza politica: i parlamentari premono per estromettere l’imprenditore dai Cinque Stelle, Grillo fino alla riunione all’hotel Forum lo ha difeso (salvo poi adirarsi per il manifesto Controvento di Rousseau), ma il presidente di Rousseau resta pur sempre il fondatore dell’attuale associazione che regola il M5S.
I problemi con deputati e senatori — per Conte — non si fermano però alla piattaforma.
C’è un punto più spinoso: lo scontro «generazionale» tra chi è al primo mandato e spera che l’ex premier non riveda il tetto delle due legislature per gli eletti e chi è già in Parlamento dal 2013 e vorrebbe adottare un «correttivo», premiando «i più meritevoli». Lo scontro è solo agli inizi, ma parlando con i pentastellati il pressing è già alto. «Per Conte sarà il problema principale», c’è chi giura. E oltre ai rebus interni ora Conte dovrà confrontarsi anche con un nuovo alleato: Enrico Letta, che ha già sentito i vertici M5S, ma con cui l’ex premier non ha un rapporto consolidato come con Nicola Zingaretti.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
ASTRAZENICA ULTIMO IN CLASSIFICA… PREOCCUPATI MA FIDUCIOSI NELLE SITITUZIONI SANITARIE
Gli italiani hanno fiducia nelle istituzioni sanitarie e sono propensi a vaccinarsi, ma vorrebbero
scegliere il vaccino da fare.
Sono gli elementi principali che emergono dall’ultima rilevazione del monitoraggio continuativo condotto in Italia da BVA Doxa sui principali impatti del Covid-19 sulla popolazione italiana.
Le rilevazioni fanno riferimento al periodo 12 – 18 febbraio 2021 e si basano su un campione rappresentativo di più di mille individui tra i 18 e gli 85 anni.
Dai dati che Doxa ha fornito in anteprima a Repubblica emerge che sono aumentati gli italiani convinti di vaccinarsi, ma resta alta la quota degli “scettici”: il 65% vorrebbe scegliere il vaccino.
Pfizer è al primo posto delle preferenze (46%), seguito da Moderna (22%) e, a sorpresa, da Sputnik (10%). Solo ultimo AstraZeneca, a parimerito con Johnson & Johnson (entrambi al 9%), una percentuale che forse andrebbe rivista, alla luce del recente ritiro di alcuni lotti di AstraZeneca.
Nel complesso, l’84% della popolazione è disposto a vaccinarsi, ma solo il 57% è assolutamente pronto.
Ad oggi, infatti, il 27% di chi si vuole vaccinare ha ancora qualche riserva, probabilmente giustificata dal fatto che i vaccini sono stati prodotti e testati in poco tempo. Tra i favorevoli i più propensi a sottoporsi all’inoculazione appartengono alla fascia più “a rischio” degli over 65.
Gli italiani puntano il dito principalmente contro le aziende farmaceutiche per le difficoltà riscontrate nella campagna vaccinale ma credono profondamente dei vaccini come unica arma con cui sconfiggere il virus, anche se la fiducia cala leggermente in merito all’efficacia del vaccino contro le nuove varianti.
Stress e malessere
Sul fronte personale sempre più italiani avvertono emozioni negative e un italiano su due si dice preoccupato (54%) e incerto sul futuro (53%). In questo contesto si avvertono maggiormente condizioni di stress (38%), ansia (32%), nervosismo (30%) e rabbia (21%). Stanchezza (41%) e tristezza (25%) contribuiscono a un senso di sconforto. Ma non mancano comunque le sensazioni positive: il 35% si dice speranzoso, mentre il 16% e il 15% prova fiducia e positività per il futuro.
Decisamente contenute emozioni come felicità (8%), dinamismo (6%) e divertimento (3%). In generale, l’86% degli italiani prova emozioni di stress, il 62% (+5% rispetto all’ultima rilevazione) sconforto e il 43% speranza (+6%). Anche la contentezza è in crescita (+5%) ma si attesta comunque su livelli bassi (12%).
In generale, le prospettive per il futuro non sembrano rosee: più di 3 italiani su 5 credono che la situazione rimarrà pressochè invariata rispetto allo stato attuale. Le previsioni sulla fine della crisi economica evidenziano che il 32% degli italiani pensa che si protrarrà fino alla fine del 2022 mentre per il 38% addirittura per diversi anni.
Crisi economica: pagano donne e nuclei familiari con figli
Anche se la maggioranza delle famiglie italiane (58%) dichiari di aver mantenuto il livello di reddito che aveva prima dell’inizio della pandemia, resta particolarmente alta la percentuale (40%) di coloro che invece hanno riscontrato una riduzione nell’ultimo anno. Anche sul fronte delle spese correnti e per i consumi – al netto di mutui, affitti e bollette – si registra lo stesso scenario: il 53% delle famiglie italiane non ha riscontrato nè aumenti nè diminuzioni. Il restante 47%, invece, si divide tra chi ha visto aumentare le proprie spese (24%) e chi, al contrario, ha risparmiato di più (23%).
La contrazione del reddito ha colpito maggiormente le donne e i nuclei familiari con figli a carico. Inoltre, risultano maggiormente penalizzati i liberi professionisti e i lavoratori autonomi, che hanno visto diminuire le proprie entrate più degli altri per effetto delle misure anti-Covid.
Popolo di risparmiatori
La tradizione che vede gli italiani come popolo di risparmiatori sembrerebbe essere confermata anche nel 2021. A fronte di un 43% di famiglie che ha mantenuto intatti i propri livelli di risparmio sulle entrate, il restante 57% si divide equamente tra chi (28%) ha risparmiato di più rispetto al passato, e chi di meno (29%).
Vista la ‘clausura’, sono soprattutto i giovani tra i 18 e i 34 anni ad aver risparmiato di più. Tra chi ha risparmiato meno, invece, sono ancora i liberi professionisti.
Si decide di risparmiare prevalentemente (47%) per anticipare emergenze o imprevisti, mentre tra le altre motivazioni spiccano l’assenza di obiettivi specifici (24%, con un picco del 40% tra i dirigenti d’azienda), la volontà di vivere con più tranquillità una volta raggiunta la pensione (21%) e aiutare i propri familiari se sarà necessario (18%, che sale al 28% tra i pensionati). Risparmiare per investire nello studio e nella formazione propria o dei propri figli e nipoti è invece una priorità per il 14% degli italiani.
Comfort food e pet therapy come surrogati alla socialità
Sul fronte dei consumi alimentari, cresce la percentuale di chi nell’attuale contesto ha aumentato il consumo di comfort food: tè, infusi e tisane (24%) sono in crescita, mentre c’è chi aumenta il consumo di caffè (19%). Complice la chiusura di bar, ristoranti e locali, cala invece il consumo fuori casa di aperitivi, liquori e digestivi, alcolici e superalcolici. Per contro quasi un italiano su 5 ha acquistato alcolici online nell’ultimo anno, soprattutto per comprare vini (43%), birra (38%) e bollicine (36%). Di questi, la stragrande maggioranza (93%) si ripromette di mantenere la modalità di acquisto anche in futuro (71%)
La mancanza di occasioni di socialità ha portato molte persone a cercare “calore” negli animali: l’11% degli italiani ha infatti adottato un animale domestico nel corso dell’ultimo anno. Gli animali domestici preferiti sono stati soprattutto gatti (50%) e cani (46%), che nella maggioranza dei casi ha aiutato i padroni a ritrovare un po’ di buonumeore (36%) e un po’ di compagnia (33%).
(da agenzie)
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Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
LA PARLAMENTARE DEL PD ERA STATA SOMMERSA DI INSULTI SESSISTI DA UN ESPONENTE DI FDI
L’esponente Dem Alessia Morani querelerà l’esponente marchigiano di Fdi che su Facebook ha incitato a insultarla, con l’intenzione di donare l’eventuale risarcimento a un centro anti violenza.
Lo ha annunciato, in un’intervista al ‘Corriere adriatico’, la deputata del Pd. Ieri la Morani aveva denunciato gli insulti ricevuti a decine, a seguito del post in cui Arcangeli, esponente pesarese di Fratelli d’Italia, il quale incitava i suoi followers ad “aiutarlo” ad insultarla poichè aveva “finito gli aggettivi dispregiativi”
La parlamentare Dem chiedeva anche l’intervento di Giorgia Meloni, che ieri sera ha annunciato provvedimenti contro Arcangeli.
Morani ringrazia la leader di Fdi “per la sua solidarietà ” e “una presa di posizione forte ed inequivocabile”.
Ma non chiude così la questione. “Presenterò una querela contro Arcangeli – spiega al Corriere adriatico – perchè non si può tollerare tutto. Ovviamente in caso di risarcimento, vorrei devolverlo interamente al centro antiviolenza ‘Parla con noi’ del Comune di Pesaro
Sappiamo che la violenza sulle donne molto spesso inizia dagli insulti e dalle vessazioni. Posso accettare le critiche politiche, ma questi sono stati insulti gratuiti e sessisti che avevano come obiettivo scatenare altre reazioni e altre offese. Ci deve essere un limite”.
(da Globalist)
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Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
I VERDI ORMAI SONO UNA REALTA’
Le elezioni regionali in Germania nel Baden-Wà¼rttemberg e nella Renania Palatinato hanno
confermato i Ministri-Presidenti uscenti: il verde Winfried Kretschmann e la socialdemocratica Malu Dreyer.
Kretschmann (32.3 per cento), che governa dal 2011 il Baden-Wà¼rttemberg, prima in coalizione con i socialdemocratici e negli ultimi cinque anni con la CDU (23.5), può scegliere con chi governare nei prossimi cinque anni, se con i cristiano-democratici – che hanno ottenuto il peggior risultato della loro storia in una regione che dagli anni Cinquanta fino al 2011 è stata un’autentica roccaforte della CDU — oppure se provare una coalizione a tre con SPD (11.1) e liberali (FDP, 10.7).
Malu Dreyer e la SPD (35.7), pur registrando una leggera flessione, si confermano primo partito con un ampio margine di vantaggio rispetto alla CDU (26.8) che anche qui ha ottenuto il peggior risultato della sua storia. La coalizione SPD-Verdi-liberali (FDP) che ha governato nell’ultima legislatura continuerà a governare in Renania Palatinato.
Queste elezioni rappresentavano un test fondamentale perchè erano il più importante test prima delle elezioni generali di settembre.
La forza dei Verdi
I Verdi guidati da Winfrid Kretschmann vincono per la terza volta consecutiva un Land che è tra i più ricchi e importanti dell’intera Germania. Il consolidamento di Kretschmann è la dimostrazione della forza dei Grà¼nen che alla vigilia delle elezioni federali sembrano finalmente pronti per tornare al governo del Paese.
Kretschmann è anche un Verde molto pragmatico che ha saputo governare con alleati diversi (prima con i socialdemocratici e poi con i cristiano-democratici). In questo senso il Baden-Wà¼rttemberg è un vero e proprio laboratorio politico. In futuro i Verdi potrebbero governare in una coalizione a tre con la SPD e liberali, un’opzione (coalizione semaforo) che non è del tutto remota anche a livello nazionale dopo che le ultime settimane hanno evidenziato le debolezze della CDU consumata dagli scandali e dalla gestione della pandemia.
La crisi della CDU
Fino a qualche settimana la CDU fa sembrava ancora in grado di poter vincere in entrambi i Là¤nder. I cristiano-democratici, però, hanno pagato caro gli scandali recenti legati alla vendita di mascherine, che hanno visto coinvolti due parlamentari della CDU, e alle dubbie attività di mediazione svolte da un altro parlamentare con il governo antidemocratico dell’Azerbaigian. A questo si aggiunga una certa stanchezza per le difficoltà nella gestione della pandemia e la scarsa preparazione nelle vaccinazioni che anche in Germania procedono a rilento.
Le elezioni avrebbero dovuto essere decisive per la scelta del candidato cancelliere e forse lo saranno. La scelta sarebbe dovuta cadere su Armin Laschet, neo Presidente del Partito, o Markus Sà¶der, Ministro-Presidente della Baviera. Gli eventi recenti hanno però cambiato di molto la situazione. Se la scelta cadrà , molto probabilmente, sempre su uno dei due, ora Laschet e Sà¶der sono meno entusiasti e convinti di voler guidare la CDU in una campagna elettorale che potrebbe essere molto più difficile e in salita di quanto si potesse pensare solo qualche settimana fa. Dei risultati negativi della CDU nei due Là¤nder non è certamente responsabile il Presidente Armin Laschet ma è evidente che ne dovrà comunque rispondere anche lui.
L’occasione della SPD
Da qualche anno, il grande malato della politica tedesca è la SPD. Oggi i socialdemocratici possono rallegrarsi di un buon risultato in Renania Palatinato e di un risultato tutto sommato sufficiente nel Baden Wà¼rttemberg, dove la SPD (11.1) è riuscita a non farsi superare dalla destra di AfD (10.5).
Questo doppio risultato potrebbe rilanciare la SPD in vista delle elezioni di settembre. Non è del tutto escluso che la SPD potrebbe essere in qualche modo decisiva per eventuali coalizioni a tre che fino a qualche tempo fa sembravano assolutamente improbabili. Del resto, non è certo un mistero che al candidato cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz non dispiaccia affatto l’ipotesi di un governo con Verdi e liberali.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
CALO PER I SOVRANISTI DI AFD
Crollo della Cdu, come ampiamento previsto, nei laender del Baden Wuerttemberg e del Renania Palatinato, dove gli elettori sono stati chiamati oggi alle urne nel primo test elettorale dell’anno in vista delle elezioni generali di settembre, che segneranno la fine dell’era Merkel.
Secondo gli exit poll della Zdf, nel primo land, già governato da un premier ‘verde’, il 72enne Winfried Kretschmann, i ‘Grunen’ avrebbero ottenuto il 31,5% dei voti, contro il 23 della Cdu, al minimo storico. L’Spd è quinta con il 10,5%, dopo l’Afd in calo al 12,5% e i liberali dell’Fdp all’11.
Nel Renania Palatinato, i socialdemocratici sono al 33,5%, con la Cdu che si ferma al 25,5%, i Verdi sono quarti al 9,5%, dopo l’estrema destra dell’Afd al 10,5%, anche qui in calo.
Secondo gli exit poll di Ard, nel Baden Wuerttemberg i Verdi avrebbero ottenuto il 31% (+0,7% rispetto al voto del 2017), seguiti dalla Cdu con il 23% (-4), l’Spd al 12% (-0,7%), mentre l’AfD ed i liberali dell’Fdp sarebbero quarti con l’11.5% (-3,6 e -3,2).
Nel Renania Palatinato, l’Spd rimane la forza politica leader con il 34.5% (-1,7%), davanti alla Cdu ferma al 26% (-5,8%), l’Alternativa di estrema destra al 10.5 (-2,1), i Verdi all’8.5% (+3,2) e l’Fdp al 6.5% (+0,3). Entrano nel Parlamento regionale gli Elettori Liberi, una formazione di centrosinistra che ha raggiunto il 5.5% dei voti.
(da agenzie)
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