Marzo 20th, 2022 Riccardo Fucile
IL FIGLIO E’ PRIGIONIERO, IL CRIMINALE MANDA AL FRONTE DEI RAGAZZINI DI LEVA A LORO INSAPUTA
«Qui va tutto bene mamma», poi più nulla fino al quel 27 febbraio quando sul cellulare
della madre Lyuba si fa vivo un ufficiale ucraino. «È nostro prigioniero».
Da allora nessuno dell’esercito di Mosca ha più dato spiegazioni
Giovanissimi, impauriti e trascinati in una guerra che non vogliono combattere, sono questi molti dei soldati dell’esercito di Putin, le cui storie continuano a trapelare dai pochi giornalisti russi indipendenti rimasti sul territorio.
«Qui va tutto bene mamma». Prima di quel terribile 27 febbraio le telefonate di Danya, 20 anni, fatte dall’unità dell’esercito russo erano di rassicurazione per la povera madre Lyuba, chiusa in casa a Sokol, cittadina russa vicino a Vologda.
«Dopo la smobilitazione entrerò nella facoltà di medicina per diventare neurochirurgo, starò con te per due settimane, mamma, e ti farò conoscere anche Zhenya».
La speranza di riabbracciarsi però si interrompe quando le telefonate di Danya cominciano a non esserci più. «Danya è qui in sede, non è partito per l’Ucraina», a rispondere al telefono ora sono i colleghi dell’unità. Poi neanche più quelli.
La famiglia del ragazzo continua a chiamare ma ora dall’altra parte della cornetta una musichetta allegra ha perfino preso il posto del segnale acustico per lasciare messaggi. Da lì il silenzio più assoluto fino a quel terribile 27 febbraio.
«Stavo andando al lavoro, avevo il turno di notte», ricorda Lyuba intervistata da Novaya Gazeta, il periodico russo indipendente con ancora qualche giornalista sfuggito agli arresti di Putin. «Arriva un sms: “Sono un ufficiale dell’esercito ucraino, sai dov’è tuo figlio?”». Di seguito il nome, il cognome, la data di nascita di Danya. «È nostro prigioniero, in Ucraina».
Il messaggio continua con la foto di un giovane bendato. «L’ho subito riconosciuto», racconta Lyuba che va avanti a ricordare. «Subito dopo hanno chiamato in collegamento video, lui era senza volto coperto e ci hanno fatto parlare. La prima cosa che ho chiesto è stata: “Figlio, hai firmato il contratto?”. Ha detto: “No, mamma, non ho firmato”».
Quella conversazione con suo figlio Lyuba l’ha registrata. Il video che conferma la cattura è la sua principale prova di quanto l’esercito russo abbia mentito e stia tuttora mentendo. «Le richieste scritte sono state inviate agli uffici della procura militare e distrettuale, al comando del distretto militare occidentale, all’FSB, all’unità militare. Siamo stati nell’ufficio di registrazione e arruolamento militare, nell’ufficio del procuratore militare, alla Croce Rossa», elenca l’avvocato Anna Smirnova che aiuta Lyuba Vorobyeva gratuitamente.
«Per il momento non c’è alcuna conferma ufficiale della cattura del soldato Vorobyov da parte del Ministero della Difesa ma non c’è nemmeno una confutazione. Se tutto quello che Lyuba ha visto è un fotomontaggio o un falso, che si mostri alla madre un figlio vivo e sano», continua Smirnova.
«Ho dato loro un figlio»
«Vi chiedo di trovare mio figlio, di informarmi su dove si trova e sullo stato di salute. Vi chiedo di prendere urgentemente misure per riportare mio figlio nel territorio della Federazione Russa. Vi chiedo di verificare la legittimità del suo coinvolgimento in un’operazione militare sul territorio dell’Ucraina e di riferire sui risultati di tale controllo».
L’appello della madre del giovanissimo soldato ora si rivolge a chiunque possa aiutarla. Dove esattamente Danya sia stato fatto prigioniero e dove si trovi ora Lyuba non lo sa.
«Da un messaggio di un numero ucraino sconosciuto sappiamo solo del trasferimento di Danya per opera della polizia militare ucraina ma niente di più», continua la madre. Nel frattempo l’esercito russo tace, non una mezza parola. «È questa indifferenza e indifferenza per i nostri figli – non solo per mio figlio – che colpisce», denuncia Lyuba. «Ho dato loro un figlio per adempiere al dovere verso la Patria e guardate come lo trattano».
«La pressione per non farci parlare
Oltre al dolore per la scomparsa di Danya la famiglia del giovane soldato ora subisce una forte pressione mediatica dal Paese che dovrebbe aiutarla. Quando sulle reti televisive sono apparse le prime notizie di un connazionale che era stato fatto prigioniero, sui Vorobyov si è riversato fango: accusati di costruire falsi e di mentire su tutta linea.
«Ci sono stati appelli che consigliavano di non ricevere giornalisti. Sentivamo che si temeva una protesta pubblica, perciò hanno tentato in tutti i modi di evitare il rilascio di informazioni al di fuori della famiglia e della regione», racconta Smirnova.
Tutta Sokol e una buona metà della regione conoscono già la storia di Danya. I volontari hanno creato un gruppo di aiuto sui social network cercando come possono di scambiarsi informazioni. Lyuba chiede senza sosta sullo scambio di prigionieri ma le uniche strade sono quelle non ufficiali.
Quelle ufficiali, sia russe che ucraine, scelgono ancora di non confermare nessuno scambio. «Danya tornerà. Pregherò. Riuscite a immaginare quante madri stanno pregando in questo momento? Dio non potrà farlo per tutte credo».
(da agenzie)
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Marzo 20th, 2022 Riccardo Fucile
AL MOMENTO CI SONO 19 PICCOLI PAZIENTI: LE ULTIME QUATTRO BIMBE SONO SOPRAVVISSUTE AI BOMBARDAMENTI DI BUCHA, DUE HANNO PERSO IL BRACCIO SINISTRO
Visita a sorpresa, sabato pomeriggio intorno alle 16, di Papa Francesco all’Ospedale
Pediatrico Bambino Gesù per visitare il reparto dove si trovano i bambini ricoverati arrivati dall’Ucraina in questi ultimi giorni.
In questo momento sono 19 i bambini ucraini nei reparti dell’ospedale e nella sede dì Palidoro, mentre quelli arrivati dall’inizio della guerra sono circa 50″.
Alle 5 del mattino di martedì 15 marzo quattro bambine di Bucha – Lydia Felice Sergeevna e Kateryna Martynenko Anatoliyivna, 7 anni, Oleksandra Filipchuk Antonivna, 9 anni, Sofia Isaeva Valerievna, 13 anni – sopravvissute per miracolo ai bombardamenti sono arrivate a Roma, dopo un viaggio di 48 ore da Kiev a bordo di un’ambulanza e due auto, grazie all’aiuto dei volontari dell’associazione Pro Sma onlus. Le prime due erano le più gravi, con ferite da arma da fuoco al cervello. Le altre due hanno perso un arto, entrambe il braccio sinistro.
Al contrario degli altri piccoli pazienti ucraini che già erano ricoverati all’ospedale – con loro il conto è salito a 33, di cui 6 già dimessi e altri 9 seguiti in day hospital ambulatoriale – le quattro bambine non sono affette da patologie pregresse.
Fino a pochi giorni fa la loro era una vita perfettamente normale. “Lydia non aveva nemmeno i vestiti indosso, solo una canottiera sporca di sangue, ma nel giro di un’ora l’ospedale le ha fornito tutto, persino qualche giocattolo”, racconta Liliya Sobrino Palashchuk, fondatrice dell’associazione che dell’inizio del conflitto è riuscita a portare in salvo a Roma 40 bambini.
(da agenzie)
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Marzo 20th, 2022 Riccardo Fucile
OLTRE CINQUE PUNTI DIVIDONO I PRIMI DUE PARTITI DALLA LEGA IN CADUTA LIBERA
Fratelli d’Italia ancora in testa, Pd secondo ma con una buona risalita, Lega terza. E’
quanto emerge, comparando i dati con quelli della settimana precedente, dal sondaggio Dire-Tecnè, realizzato il 18 marzo 2022 su un campione di mille persone.
Il partito di Giorgia Meloni, guadagna ancora uno 0,1% passando al 21,7% delle preferenze. I dem crescono di uno +0,2% portandosi al 21,4% e accorciano così la distanza da Fdi.
Continua invece il calo della Lega che scende di un ulteriore -0,2% attestandosi al 15,9%. Il Carroccio sette giorni fa era al 16,1% .
M5s, quarto, con il 12,4% (+0,1%). Forza Italia al 10,7 (+0,1%).
Azione e Europa+ (-0,1%) è ora al 4,9%. Italia Viva al 2,9% (-0,1%). Europa Verde al 2,3% (-0,1%). Sinistra Italiana al 2,1% (-0,2%).
(da agenzie)
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Marzo 20th, 2022 Riccardo Fucile
NON SI HANNO PIU’ NOTIZIE DO VICTORIA ROSHCHYNA DA OTTO GIORNI
Di Viktoria Roshchyna, detta Vika, si sono perse le tracce dallo scorso 12 marzo.
A denunciarlo è l’emittente televisiva per la quale lavora, la Hromadske, che su Twitter riferisce che la reporter è tenuta prigioniera dai russi. “Non riusciamo a metterci in contatto con lei. Chiediamo alla comunità internazionale di aiutarci a trovare e a farla rilasciare”, riferisce l’emittente.
Citando testimoni, Hromadske scrive che l’ultima volta che la giornalista è stata vista si trovava a Berdiansk. “Il 16 marzo abbiamo saputo che il giorno precedente è stata arrestata dalle forze russe”, spiegano i colleghi di Vika, che postano una fotografia della donna e spiegano che, dall’inizio della guerra, stava lavorando dal sud e dall’est dell’Ucraina.
A confermare le accuse alle forze di sicurezza e ai militari russi è giunto anche l’ufficio del procuratore generale in Ucraina, come riportato da LaPresse. Per ora, da parte di Mosca non arrivato alcun commento in merito alla vicenda.
Intanto, l’emittente per cui lavora Viktoria Roshchyna dice di aver mantenuto il riserbo per due giorni sulla vicenda: “Abbiamo fatto ogni sforzo per ottenere il rilascio della nostra giornalista, attraverso i nostri canali. Ma ogni tentativo è stato vano”, scrive la redazione su Facebook.
L’appello dei colleghi di Vika: “Chiediamo alla comunità ucraina e internazionale di unirsi alla campagna per il suo rilascio”.
Vika scriveva del suo lavoro sui social come di una missione, anche negli ultimi post: “Sono andata nelle regioni occupate per dare voce a persone che hanno vissuto senza connessione tutto questo tempo, sotto gli spari, e con il rombo dei carri armati russi. Nei piccoli villaggi, gli invasori si sentono ‘eroi’, sparano ai civili, danno fuoco alle auto, uccidono, saccheggiano. Trasformano la vita delle persone in inferno, traumatizzando la psiche dei bambini. Mi hanno rubato gli strumenti di lavoro, ma non mi toglieranno la voglia di dire la verità sui loro crimini. Non perdonerò mai la Russia. Mai più. Bruceranno all’inferno. E saranno assicurati alla giustizia”.
(da agenzie)
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Marzo 20th, 2022 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL SINDACO DI BROVARY… L’UFFICIALE RUSSO STUPRATORE INDIVIDUATO E GIUSTIZIATO DALLE FORZE ARMATE UCRAINE
“I vicini di casa mi hanno telefonato per raccontare dello stupro di Maryna. L’hanno
trovato nuda e confusa vicino al figlio piccolo. Ma ancora non siamo riusciti a portarla in salvo”. Ihor Sapozhko è il sindaco di Brovary, città ucraina di circa 140mila abitanti. Al Corriere della sera ha raccontato la tragica vicenda che ha coinvolto la moglie dell’amico Oleksiy Zdorovets, ex segretario della municipalità, ucciso a sangue freddo dai russi, prima di accanirsi su di lei.
I soldati russi hanno fatto irruzione nella loro abitazione nel villaggio di Nova Bohdanivka e assassinato a sangue freddo Oleksiy.
Pare lo stessero cercando, come del resto danno la caccia a tutti i leader politici locali. Sui social locali è pubblicato anche il nome dello stupratore, l’ufficiale russo Michail Romanov, che si era scagliato contro altre prigioniere e sarebbe già stato ucciso dai soldati ucraini.
La vicenda di Maryna e Oleksiy non è un caso isolato: “I soldati russi violentano le donne ucraine. Sappiamo che avviene, lo raccontano sottovoce tanti tra coloro che scappano dalle zone occupate. Siamo già a conoscenza di casi specifici. Dai racconti dei testimoni risulta che alcuni comandanti russi aizzano i loro soldati ad aggredire le mogli e le figlie dei nostri militari o dei volontari vicili combattenti che trovano nelle case. Ci hanno detto da più fonti che almeno in una circostanza hanno violentato le nostre soldatesse catturate durante la battaglia all’aeroporto di Hostomel”.
(da agenzie)
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Marzo 20th, 2022 Riccardo Fucile
FU UNO STRANO ACCORDO TRATTATO DIRETTAMENTE TRA CONTE E PUTIN, CHE COMPRENDEVA VENTILATORI DIFETTOSI, POCHE MASCHERINE E UNA SFILATA DI CARRI ARMATI E BANDIERINE RUSSE, UN’OPERAZIONE DI PROPAGANDA E SPIONAGGIO
«Qui fodit foveam, incidit in eam». «Chi scava la fossa, ci finisce dentro». Alle sette di sera di venerdì 3 aprile 2020, il generale russo Igor Konashenkov – un uomo che è oggi uno dei quattro russi incaricati di gestire l’invasione in Ucraina, assieme a Vladimir Putin, al ministro della Difesa Sergey Shoigu, al capo delle forze armate Valery Gerasimov – pubblicò un post di duro attacco a La Stampa sul sito del Ministero della Difesa di Mosca.
Cosa era successo per meritarsi quella che a molti parve una seria minaccia? E che ruolo ebbe l’Italia, che ora viene allusivamente minacciata da Mosca, che ci ha sempre trattato come anello debole dell’Europa, negli anni dei populisti al potere?
La Stampa aveva raccontato, in una serie di inchieste, alcuni dati di fatto, sulla base di tante fonti politiche e militari convergenti. Uno, che la cosiddetta missione di «aiuti russi all’Italia per il Covid» era stata trattata direttamente da Vladimir Putin con Giuseppe Conte.
Sabato 21 marzo del 2020 c’era stata una telefonata tra l’allora premier italiano e il presidente della Russia. La Stampa raccontò che i due avevano concordato che la Russia avrebbe mandato in Italia degli aiuti per la pandemia di Covid 19, ma un insolitamente laconico comunicato della presidenza del Consiglio sorvolava su questo aspetto.
Rivelammo che gli «aiuti» sarebbero arrivati con una spedizione militare russa, attraverso giganteschi aerei militari cargo a Pratica di Mare, con un security clearance (controllo doganale solo sulle merci).
Dentro gli aerei vi sarebbero stati 22 autocarri militari e 120 medici militari russi, specialisti nella guerra batteriologica, alcuni provenienti da teatri di guerra (tipo i Paesi africani alle prese con Ebola) e sotto il controllo del ministero della Difesa di Mosca.
Scoprimmo che il capo della missione era Sergey Kikot, già in guerra in Siria per la Russia, il generale a cui la Russia affidò la difesa di Bashar Assad al processo a L’Aja, dall’accusa (ormai provata) di aver usato gas sui civili a Ghouta, in Siria.
Lo stesso generale era incaricato in patria di vigilare sullo smantellamento dei laboratori chimici sovietici (poi riconvertiti nei «Novichok Labs»).
Le nostre fonti sostennero, come fu riferito, che l’entità degli aiuti era limitata, «all’80% inutile», come poi i fatti confermarono (326 mila mascherine, il solo Egitto ne aveva mandate due milioni, e seicento ventilatori polmonari, alcuni dei quali – si apprenderà dopo – facevano parte di un lotto di ventilatori che finì sotto inchiesta negli Usa per gravi difetti: in sostanza, s’incendiavano).
Venne fuori anche che il dono non era poi un dono (all’Italia era stato chiesto il pagamento del carburante dei voli). Tra l’altro, l’Italia ha già dei reparti NBC, chimici e batteriologici, all’avanguardia nella Nato: che bisogno c’era di farsi mandare quelli russi?
L’operazione fu chiamata dal Cremlino «Dalla Russia con amore», e diverse fonti di alto livello ce la presentarono come operazione di propaganda, con la sfilata (mai avvenuta prima in un Paese Nato) di camion militari e bandiere russe per seicento chilometri da Roma a Bergamo, e con possibilità molto seria di una operazione di intelligence, dissero diverse fonti on the record.
Molti dei militari arrivati erano inquadrati nel GRU, i servizi segreti militari di Mosca. Mesi dopo il New Yorker rivelò le parole di uno dei direttori dell’Istituto Gamaleya: il primo Dna del coronavirus – usato dai russi per elaborare il vaccino Sputnik – era stato isolato da un cittadino russo che si era ammalato in Italia il 15 marzo.
Putin vide nel Coronavirus un’opportunità per incunearsi anche fisicamente nel teatro italiano. Il ministro della Sanità, Roberto Speranza, seppe della cosa all’ultimissimo momento. Farnesina e Difesa non ebbero la parola decisiva, che invece arrivò con certezza da Palazzo Chigi.
Non sorprende ora che venga minacciato il ministro Lorenzo Guerini, uno dei più istituzionali in quella opaca e pericolosa vicenda. In quella fase anche oligarchi russi erano all’opera. Alisher Usmanov – ex capo di Gazprominvest e poi di Metalloinvest, di casa da noi, oggi sanzionato col sequestro totale degli asset – fece importanti donazioni sul Covid alla Sardegna.
L’ambasciata italiana a Mosca, retta allora da Pasquale Terracciano, in un comunicato ufficiale del 14 maggio 2020 annunciò che il capo del Fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev (altro oligarca importantissimo, finito in diverse pagine dell’inchiesta di Robert Mueller, già ospite un anno prima, nel giugno 2019, della famosa cena a Villa Madama offerta da Palazzo Chigi, quella delle foto di Conte e dei suoi vice Salvini e Di Maio sorridenti accanto a Putin), veniva insignito dell’onorificenza dell’Ordine della Stella d’Italia «a titolo di riconoscimento da parte della Repubblica italiana al supporto del Fondo russo nella lotta contro la pandemia da coronavirus».
In quel comunicato si leggeva anche: «Il Fondo russo sta collaborando con le società italiane nel campo delle tecnologie mediche, ai fini della ricerca dei nuovi strumenti di lotta contro il coronavirus», e si faceva riferimento a collaborazioni con precise società italiane, anche «riguardo al trattamento del Coronavirus con i medicinali derivati dal plasma sanguigno umano».
Vi fu, in seguito, una forte propaganda russa per far produrre o adottare il vaccino Sputnik in Italia, e una collaborazione con l’Istituto Spallanzani: l’obiettivo non fu raggiunto, anche perché l’Ema non autorizzò mai il vaccino russo.
(da La Stampa)
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Marzo 20th, 2022 Riccardo Fucile
COME NEI TEMPI PEGGIORI DEL REGIME COMUNISTA
Vladimir Putin è finito vittima della propria diffidenza. Il giallo durato 24 ore del suo
discorso ai fedelissimi, interrotto all’improvviso in diretta televisiva da un’orchestra con coretti patriottici, ha appassionato gli amanti delle cospirazioni, curiosi di capire cosa fosse successo in quei secondi allo stadio Luzhniki di Mosca. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha parlato di «guasto tecnico del server», senza precisare cosa intendesse
Le tv ucraine avevano trasmesso spezzoni del discorso del presidente russo dove si sentivano distintamente dei fischi e dei boati dal pubblico, sostenendo che la diretta fosse stata censurata.
Qualcuno aveva sospettato un sabotaggio: la protesta nel mezzo del telegiornale della redattrice Marina Ovsiannikova ha svelato l’esistenza di un fronte di dissenzienti nel cuore della propaganda russa.
E pare che sia stato proprio quell’incidente ad aver rovinato il comizio-concerto per gli otto anni dall’annessione della Crimea: le dirette della televisione russa vengono ora trasmesse con tre minuti di ritardo.
Di conseguenza, mentre sui teleschermi di tutte le Russie stava ancora parlando il presidente, sul palco dello stadio c’era già il coro militare che insieme al cantante Oleg Gazmanov tuonava «Sono stato fatto in URSS, Ucraina, Crimea, Bielorussia e Moldavia, sono il mio Paese», che si è sovrapposto alla finta diretta.
Impossibile capire per ora se si sia trattato di un errore, o del gesto consapevole di un tecnico: poco prima, si era spento il microfono alla portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, che ha proseguito ad arringare la folla con l’espressione commossa, senza che si udisse una sola parola.
Se doveva essere uno sfoggio di unanimità spettacolare, il comizio non è stato all’altezza dell’intento. Lo sforzo organizzativo è stato immenso: 203 mila partecipanti, dentro e fuori lo stadio, decine di autobus e treni, bandiere e slogan nazionalisti ovunque, ornati della Z che da segno distintivo dei mezzi militari russi in Ucraina è diventata il nuovo simbolo dell’orgoglio russo, depositato curiosamente in una lettera dell’alfabeto latino che in cirillico non esiste.
Ma anche se almeno cinque giornalisti indipendenti erano stati arrestati prima di poter raggiungere lo stadio, diverse telecamere hanno documentato l’esodo dei fedelissimi di Putin ancora prima dell’inizio dell’evento, e numerosi partecipanti hanno sostenuto sui social di essere stati costretti a unirsi alla manifestazione, o con le minacce o con incentivi.
Una tecnica tipica dei “puting”, come vengono chiamati i comizi per il presidente, un neologismo formato da “Putin” e “meeting”: l’iniziativa dal basso è sempre mal vista, meglio scegliersi il popolo Potiomkin per evitare sorprese, e alle aziende comunali di Mosca era stata inviata l’ordinanza di formare il pubblico soltanto da «persone con fisionomia slava», nessun asiatico o caucasico.
Gli impiegati pubblici sono stati attirati con la promessa di un permesso retribuito, gli studenti con quella di esami condonati, molti sono venuti per un pasto gratis e per un concerto di star televisive. Ma la star principale doveva essere ovviamente Vladimir Putin, che ha tenuto segreta la sua partecipazione fino all’ultimo.
Il presidente russo è apparso sull’immenso palco a sorpresa, con un look smart casual, composto da una dolcevita color avorio che spuntava da sotto un piumino blu, identificato subito dai blogger come un modello di Loro Piana da 13 mila euro. Intorno a lui, una struttura enorme a gazebo, che secondo alcune voci sarebbe in realtà una gabbia di vetro antiproiettile. Chi si aspettava un discorso storico ritrova però un copione già ben noto sul “genocidio” e i “nazisti” di Kiev, condito da citazioni bibliche («non c’è amore più grande che dare la propria anima per gli amici»), proclami di grandezza russa e invocazioni di neosanti bellicosi come l’ammiraglio Fyodor Ushakov, che costruì Sebastopoli.
Putin si interrompe spesso, non si capisce se perché si dimentica il testo, perde di vista il gobbo o fa una pausa per un’ovazione che non arriva.
Il pubblico del “puting” tace, qualcuno fischia, la maggioranza resta indifferente a tutto, anche ai fucili che gli vengono puntati addosso dai cecchini presidenziali appostati sotto il tetto.
(da La Stampa)
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