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GUERRA PER BANDE SOVRANISTE: DOPO IL NO DI FDI AL LEGHISTA SOLINAS IN SARDEGNA, I LEGHISTI DICONO NO ALLA RICONFERMA DI MARSILIO (FDI) IN ABRUZZO

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

A RISCHIO GLI ACCORDI ANCHE IN PIEMONTE, UMBRIA E MOLISE: E’ CACCIA ALLA POLTRONA

Imbarazzo, sorpresa, attesa. In Abruzzo il nuovo caso dopo quello scoppiato in Sardegna con la messa in discussione della ricandidatura del governatore uscente, Christian Solinas (Lega): caso che viene costantemente monitorato in vista di un chiarimento al tavolo nazionale del centrodestra. Salvini ha riportato tutto a bocce ferme, azzerando i precedenti accordi che nelle 5 regioni richiamate al voto nel 2024: Piemonte, Sardegna, Umbria, Abruzzo e Molise, volevano i governatori uscenti ricandidati in blocco. Ma in Sardegna ha trovato l’ostacolo di Fratelli d’ Italia, che ha invece calato il suo jolly: il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, scombinando così tutte le carte e costringendo Salvini ad andare in pressing nella partita a cinque.
Marsilio si dice tranquillo e ha già tappezzato città e contrade con i suoi manifesti elettorali. Un candidatura bis avanzata più di un anno fa dallo stesso governatore senza che nessuno tra gli alleati mettesse becco. Del resto è molto improbabile per tutti che Giorgia Meloni possa fare un passo indietro proprio su quello che è sempre stato un suo “pupillo”. Nel 2019 fu la leader di Fratelli d’Italia a spedire Marsilio nella campagna d’ Abruzzo per la sfida delle regionali. Una persona di fiducia molto vicino alla premier, strappato dallo scranno di Montecitorio e dal ruolo di tesoriere nazionale del partito, al quale fu chiesto di misurarsi con l’ex vice presidente del Csm, Giovanni Legnini, candidato del centrosinistra sorretto da una coalizione civica.
Marsilio ripagò con un risultato elettorale che consentì a Giorgia Meloni di mettere in bacheca un’altra medaglia: il primo presidente di Regione targato Fratelli d’Italia, al punto da convincere l’attuale presidente del Consiglio a scegliere proprio l’Abruzzo (il collegio dell’Aquila) per il suo ritorno in Parlamento. Non solo. Nella campagna elettorale delle ultime elezioni politiche, la premier indicò la Regione Abruzzo come un “modello” al quale ispirarsi anche per il buon governo della Nazione. Ecco perché un eventuale no dell’alleato al governatore uscente assumerebbe il peso di un affronto “personale”, oltre che politico.
D’altra parte il centrodestra, nonostante veleggi anche da queste parti con il vento in poppa dei sondaggi, si trova ad affrontare un avversario difficile alle regionali del 10 marzo, con il primo vero “campo largo” costruito in Italia dal centrosinistra attorno al nome del rettore uscente dell’università di Teramo, Luigi D’Amico.
Un’alleanza larghissima che va dal Pd ai 5 stelle, passando dalla Sinistra e i Verdi, fino ai partiti di Renzi e Calenda. Incognita nuovissima per tutti, considerata un possibile laboratorio nazionale, al netto delle resistenze di qualche leader. Come Giuseppe Conte, che al momento la ritiene solo un esperimento nato sul territorio. Quanto al destino di Marsilio, nessuno crede alla sua non ricandidatura in Regione, come si sussurra sotto voce anche a sinistra: «Impossibile, cadrebbe il governo. La Meloni li manderebbe tutti a casa«.
(da agenzie)

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IL DITTATORE BIELORUSSO, ALEXANDER LUKASHENKO, HA FIRMATO UNA LEGGE CHE GLI GARANTISCE L’IMMUNITÀ PERMANENTE DAI PROCEDIMENTI PENALI

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

LA STESSA NORMA IMPEDISCE AI LEADER DELL’OPPOSIZIONE CHE VIVONO IN ESILIO DI CANDIDARSI ALLE FUTURE ELEZIONI PRESIDENZIALI… IL “VASSALLO” DI PUTIN È AL POTERE DA QUASI TRENT’ANNI

Il presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, ha firmato una nuova legge che gli garantisce l’immunità permanente dai procedimenti penali e impedisce ai leader dell’opposizione che vivono in esilio di candidarsi alle future elezioni presidenziali.
Lo riferisce il Guardian online, precisando che si tratta di una legge che teoricamente si applica a qualsiasi ex presidente e ai membri della sua famiglia, ma che in realtà sembra mirata a rafforzare ulteriormente il potere di Lukashenko, che ha 69 anni e guida la Bielorussia da quasi 30 anni con il pugno di ferro.
Secondo il testo della nuova legge, il presidente, se dovesse lasciare il potere, “non potrà essere ritenuto responsabile delle azioni commesse in relazione all’esercizio dei suoi poteri presidenziali”.
La legge restringe inoltre notevolmente i requisiti per i candidati presidenziali, stabilendo che possono candidarsi solo i cittadini bielorussi che risiedono stabilmente nel Paese da almeno 20 anni e non hanno mai avuto un permesso di soggiorno in un altro Paese.
(da agenzie)

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IL PENSIERO CHE CIRCOLA NELLA FOGNA DELL’ESTREMA DESTRA NAZIONALISTA E RELIGIOSA IN ISRAELE E CHE HA DUE ESPONENTI NEL GOVERNO, ITAMAR BEN-GVIR E BEZALEL SMOTRICH

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

DAL SOGNO DI UNA TEOCRAZIA ALLE ARMI PER TUTTI FINO ALL’INVITO AI VERI EBREI A NON FAR PARTORIRE LE MOGLI ACCANTO ALLE ARABE: TUTTE LE FRASI CHOC DI BEN-GVIR E SMOTRICH

Il Congo è niente. Da uno che un tempo invitava «i veri ebrei» a non far partorire le mogli vicino a donne arabe; da un altro che da giovane teneva in salotto il ritratto d’uno sterminatore di palestinesi nelle moschee; da un altro ancora che prima del 7 ottobre s’immaginava d’essere Nerone e sognava di bruciare Gaza con tutti quelli che ci stavano dentro: da tutta quest’estrema destra nazionalista e religiosa, non c’è da stupirsi che sia stata partorita pure l’idea di risolvere la guerra deportando tutti gazawi in Africa o vattelapesca dove.
Non è che Bibi Netanyahu fosse totalmente in disaccordo. Ma avrebbe evitato di far uscire proprio adesso il piano Congo, l’ipotesi di un’ «emigrazione volontaria» di tutti i palestinesi, addirittura il ritorno dei coloni nella Striscia. Invece i due ragazzi terribili del suo governo — l’Itamar Ben-Gvir ministro della Sicurezza alla guida degli arabofobi di Potere Ebraico, il Bezalel Smotrich ministro delle Finanze che comanda i messianisti di Sionismo Religioso —, sempre quei due han fatto piovere su Israele le condanne di Usa, Ue, Paesi arabi, Russia, Cina e insomma del mondo intero.
«Irresponsabili e pericolosi», li definisce Yair Lapid, leader dell’opposizione. Ben consapevoli e del tutto coerenti, in realtà: sulla coppia Ben-Gvir&Smotrich, per non dire degli ultrareligiosi di Ebraismo della Torah o degli ortodossi Shas che tengono in piedi il sesto governo Netanyahu, fiorisce da tempo un’antologia di citazioni celebri. Eccone alcune.
«Dobbiamo consentire a tutti i cittadini di proteggersi con le armi» (Itamar Ben-Gvir).
«È naturale che mia moglie, in ospedale, non voglia partorire accanto a chi dà alla luce un bambino che, fra 20 anni, potrebbe uccidere il suo. Servono reparti separati per ebree e arabe» (Bezalel Smotrich).
«Qui siamo i proprietari, ricordatevelo, e io sono il vostro padrone di casa» (Itamar Ben-Gvir, in un quartiere occupato di Gerusalemme Est).
«Chi brucia le case agli arabi? Commette un reato, certo. Ma non è un terrorista» (Bezalel Smotrich).
«Sogno una teocrazia. Le leggi della Torah sono molto meglio dello stato di diritto» (Bezalel Smotrich).
«C’era un tempo in cui ero un orgoglioso omofobo. Anche se non sapevo cosa volesse dire» (Bezalel Smotrich).
«Cosa farei a un bambino palestinese che lancia pietre? O gli sparo, o lo metto in prigione» (Bezalel Smotrich).
«Il Signore è uno. Non 30. Ha creato il mondo e ci ha dato la Torah. Non posso distorcere la verità dello Stato ebraico. Così come non posso legittimare il cristianesimo» (Bezalel Smotrich).
«La guerra di Gaza è un’opportunità per incoraggiare l’emigrazione volontaria dei suoi abitanti. Per i palestinesi, è una soluzione umanitaria» (Itamar Ben-Gvir).
«Se a Gaza restano 200mila palestinesi, non due milioni, tutto sarà diverso» (Bezalel Smotrich).
(da agenzie)

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IL PISTOLERO SOLITARIO: “LA COSA CHE PIÙ MI HA FERITO È IL SILENZIO DI DELMASTRO. NON SI È MAI FATTO SENTIRE”

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

IL DEPUTATO NON INTENDE DIMETTERSI (E QUANDO MAI…) E CONTINUA A SOSTENERE CHE IL MINI REVOLVER GLI SAREBBE SCIVOLATO DALLA TASCA

«La cosa che più mi ha ferito in questi giorni è stato il silenzio di Delmastro. Non si è mai fatto sentire. Ma dimostrerò che non sono stato io a sparare». Da ieri, dopo giorni trascorsi chiuso in casa con la sua famiglia, Emanuele Pozzolo ha ripreso ad avere contatti con colleghi e amici.
A loro ha affidato il suo sfogo dopo il drammatico epilogo del cenone di Capodanno, quando nella sala della Pro loco di Rosazza è partito il colpo che ha ferito Luca Campana, operaio 31enne e genero del capo scorta di Delmastro. Colpo sparato dalla sua pistola.
Chi ha parlato con lui l’ha trovato dispiaciuto, consapevole della leggerezza commessa, ma convinto delle sue ragioni.
Il revolver, racconta, gli sarebbe scivolato dalla tasca. «Una leggerezza che mi ha rovinato la vita e soprattutto ha messo in difficoltà il partito», ha confidato amareggiato aggiungendo di voler tornare al lavoro. Non subito, giusto il tempo di riprendersi dalla sospensione annunciata dal premier Giorgia Meloni nei giorni scorsi.
Giorni neri: l’inchiesta aperta dalla procura di Biella contro di lui, la denuncia della vittima e, soprattutto, l’abbandono del partito e del suo referente, Andrea Delmastro, che lo aveva fortemente voluto in Parlamento al suo fianco
«Ma sono pronto a riprendere le mie battaglie», ha rilanciato. «Non lascerò il mio incarico in ogni caso, anche se la sospensione verrà attuata. Sono lì perché i cittadini mi hanno voluto».
La versione della pistola scivolata per terra dalla tasca, l’aveva già data nell’immediatezza della vicenda. Tanto che la vittima, Campana, colpito alla coscia da circa un metro di distanza, ha voluto smentirla: «Non è vero, ce l’aveva in mano», ha dichiarato subito dopo aver sporto querela contro di lui.
Cosa può essere dunque successo? Forse Pozzolo la stava mostrando a qualcuno, considerato che si tratta di un mini-revolver, anche per lui una novità. Aveva ottenuto il porto d’armi per difesa personale il 12 dicembre. È forse partito un colpo maneggiandola?
C’è chi fa notare che in ogni caso il cane del piccolo revolver doveva comunque essere armato. E che per armarlo serve un gesto volontario. È su questi dettagli che si stanno concentrando le indagini della Procura di Biella condotte sul campo dai carabinieri.
(da il Corriere della Sera)

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LO SHOW COMPLOTTISTA

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

CLASSE DIRIGENTE IMPRESENTABILE E PSICOSI COSPIRAZIONISTA INSOPPORTABILE… MA CHI VUOI CHE COMPLOTTI CONTRO IL NULLA?

Sconfitti gli otoliti che le invalidavano l’equilibrio fisico, la Sorella d’Italia resta vittima dei fantasmi che le agitano l’immaginario politico. Nel Meloni-Show di Capodanno — tre ore di gaia auto-consacrazione, tra bugie colossali e vittimismi universali — la presidente del Consiglio è riuscita finalmente a controllare l’ira funesta e inconsulta che sempre la tradisce quando interviene in Parlamento o incrocia i pochi giornalisti ancora capaci di farle qualche vera domanda.
Almeno per una volta, il training psicologico cui si è sottoposta prima della conferenza stampa ha funzionato: la postura guerresca e romanesca dell’agit-prop di Colle Oppio ha lasciato il campo a una posa più misurata e a una prosa più calibrata, quasi degne di una donna di Stato piuttosto che di una tribuna della plebe.
Ma le buone notizie dal Pianeta Meloni finiscono qui. Per il resto, nella prima uscita pubblica del 2024 la premier ha clamorosamente riconfermato i due deficit “strutturali” sul piano della cultura politica zavorrano il suo partito e il suo governo: una classe dirigente impresentabile, una psicosi cospirazionista insopportabile.
Il primo deficit è imbarazzante: la classe dirigente di Fratelli d’Italia è impresentabile, più di quanto lo fu quella di Alleanza Nazionale. Anche Gianfranco Fini, nel ’94, ebbe un problema analogo a quello che oggi assilla Giorgia Meloni. Ma con una variante e un’attenuante. La variante è che lui allora aveva Pinuccio Tatarella, mentre lei oggi ha Giovambattista Fazzolari (e “ho detto tutto”, come diceva Totò). L’attenuante è che allora per l’ex Msi sdoganato a sorpresa da Berlusconi la svolta di Fiuggi si era appena consumata, mentre oggi FdI arriva a Palazzo Chigi avendo avuto tutto il tempo per rinnovarsi e rifondarsi. Non l’ha fatto, se non attraverso i riti e i miti un po’ infantili di Atreju, Frodo e Bilbo Baggins.
Il risultato è l’onorevole Emanuele Pozzolo, il cowboy per una notte che ha trasformato Biella in Forcella. Il suo mini-revolver North American LR22, che al Cenone spara e ferisce Luca Campana, è la smoking gun dell’inadeguatezza di un intero ceto politico. La prova regina della “matrice” nera di una dirigenza improvvisata e incrostata di vecchi rancori ideologici e di nuovi furori demagogici. Un impasto rancido di Pro-God e Pro-Gun, Pro-Patria e Pro-Life, No-Vax e No-Pass, e via delirando.
Sono gli “irresponsabili” di cui parla Meloni, i Delmastro e i Mollicone, i La Russa e Lollobrigida, le Santanchè e le Montaruli, che combinano un casino a settimana mentre lei, in splendida solitudine, tira la carretta e avverte: “Non voglio più fare questa vita”. E invece le tocca. Perché fa il pane con la farina che ha. E Fratelli d’Italia è questa farina. Non ce n’è un’altra.
Non a caso il massimo dell’intransigenza che la leader può annunciare e applicare nei confronti di Pozzolo è una “sospensione” (naturalmente previo passaggio dai probiviri, prassi burocratica un po’ kafkiana e assai poco consona al partito “maschio” e decisionista che Giorgia ama raccontare). Il fatto è che se dovesse espellere tutti quelli come lui, in Parlamento e nei consigli regionali o comunali non resterebbe quasi più nessuno.
È un problema enorme, per il governo e per il Paese: per reggere altri quattro anni, la destra al potere può permettersi questo Circo Barnum di pagliacci e pistoleri, nani e ballerine?
Il secondo deficit è allarmante: Meloni non guarisce dalla psicosi cospirazionista, che la ammorba da anni. Ma qui l’aggravante non è una, diventano due.
Intanto – finché era all’opposizione in totale e ostinata solitudine, a celebrare il culto del “polo escluso”, della marginalità e dell’alterità – il ricorso alla lisergica paccottiglia complottarda rientrava nel cliché collaudato di tutti i populismi dell’ultradestra: l’odio contro i Poteri Forti e il capitalismo attinto direttamente dal Ventennio, la campagna contro le lobby Lgbtq e il gender mutuato dai camerati ungheresi e polacchi, il Piano Kalergi sulla sostituzione etnica e il Grande Reset pandemico, la lotta contro le tecnocrazie bruxellesi e i “banchieri usurai” alla Soros, l’attacco alla cancel culture condivisa con i trumpisti americani. Ora che Meloni guida una grande nazione, l’uso e l’abuso di questo ciarpame ideologico non le è più consentito.
Ma stavolta c’è anche di più. Nel ritirare fuori dall’armadio i soliti spettri della congiura giudo-pluto-massonica, la premier allude a chi voleva “dare le carte in Italia”, accenna a chi le “ha chiesto ruoli”, rispolvera la frase clou delle consultazioni che hanno anticipato la nascita del suo governo, “non sono ricattabile”.
Ma si ferma qui. Di più non dice, non spiega, non chiarisce, come scrive giustamente Stefano Cappellini. Ha visto cose che noi umani, evidentemente, ma si guarda bene dal dare un nome alle cose. Chi trama contro l’Italia? La Spectre Globale, la Grande Finanza? Chi ordisce piani segreti contro il governo legittimo del Paese? Una loggia, la P4 e la P5, la Chiesa di Bergoglio, il Quarto Partito degli Industriali di cui parlava De Gasperi? Nessuno lo sa.
Siamo alle chiacchiere da Bar Sport, messe in giro da una premier trasfigurata in “Influencer di Stato”. Hanno ragione i segretari di Pd e M5S, Schlein e Conte, a chiederle di fare nomi e cognomi o di tacere per sempre, concentrandosi semmai sui guai seri che assillano l’Italia, dal lavoro povero alla sanità devastata. Ma anche qui: peccato solo che le opposizioni, rissose e divise, non siano in grado di offrire all’Italia uno straccio di alternativa credibile. E anche questo è un gigantesco problema, di qui alla fine della legislatura.
Rimane il refrain vittimistico della Underdog: la “donna del risentimento” (parafrasando la formula di Luc Boltanski in Enigmi e complotti). Ed è grave. Soprattutto se lo si collega alle frottole istituzionali e costituzionali che abbiamo ascoltato nella stessa conferenza stampa.
Sul premierato Meloni mente, sostenendo che con la riforma appena varata i poteri del Presidente della Repubblica non cambiano, mentre sappiamo che il Capo dello Stato non potrà più nominare il presidente del Consiglio eletto direttamente dal popolo né scegliere un premier tecnico in caso di cortocircuito delle maggioranze parlamentari.
Sulla Consulta Meloni manipola, attaccando la sinistra in vista della prossima elezione di quattro membri laici (appuntamento che preoccupa non poco Sergio Mattarella) e poi trattando Giuliano Amato come “nemico del popolo” (solo perché ha segnalato il pericolo di una deriva polacca per le accuse rivolte da ministri e sottosegretari all’operato della Corte).
Nell’uno e nell’altro, la Sorella d’Italia manifesta un altro limite, che è suo e della sua destra: un’incapacità innata nel maneggiare le istituzioni, un’alterità ostile nel dialogare con gli organi di garanzia.
Come osserva Giovanni Orsina sulla Stampa, chi governa, tanto più se pretende di lasciare il segno, deve trovare una propria misura nell’affrontare i contropoteri, le tradizioni amministrative, le competenze che incarnano le strutture dello Stato. Le deve controllare e se necessario riformare, ma parlando il loro linguaggio e rispettando le loro prerogative.
Meloni non lo fa. Preferisce evocare il golpe bianco e i poteri opachi, tuffarsi nel mare torbido delle illazioni inverificabili e delle cospirazioni innominabili. Così, in una paradossale eterogenesi dei fini, lei stessa finisce per assestare un colpo mortale alla trasparenza del potere, che è il core business di ogni democrazia.
Massimo Giannini
(da repubblica.it)

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IL MISTERO DELLA PSICHE DI CROSETTO

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

UN POLITICO NON DEVE CERCARE DI FARE IL SIMPATICO, GLI SI CHIEDE SOLO DI ESSERE RISPETTABILE

La grottesca baruffa social di Capodanno del ministro Crosetto ha raccolto, sui media di ogni ordine e grado, commenti quasi unanimemente critici. Archiviato, con danno a carico del solo Crosetto, il piccolo incidente, resta però una grande domanda – e i lettori dell’Amaca sanno quante volte, in varie forme, me la sono fatta.
La domanda è questa: ma per quale mistero della psiche una persona molto nota, che ricopre una carica statale di primo livello, sente il bisogno di rendere pubbliche le sue inezie private (nel caso, una partita di burraco) e poi si incazza se qualcuno, tra i numerosi passanti, non apprezza e fa le pernacchie?
Passi per gli influencer, che sono la versione contemporanea dell’uomo-sandwich e sul web hanno scelto di esibirsi per mestiere; passi per chi si sente solo e sconosciuto (ce ne sono tanti) e trova conforto anche in una piccola manciata di contatti; passi per le star, che devono governare i loro greggi di fan; ma i politici, che già sono ogni due minuti sui giornali e nei tigì, vanno nei talkshow, sono sovraesposti e stringono le mani e fanno i selfie di gruppo prima e dopo i comizi, per quale stravagante pulsione devono esibire sui social perfino la loro residua fettina di privacy?
La risposta corrente è che vogliono “fare i simpatici” per dimostrare che sono “uguali a noi”. Ma è una risposta che non convince: per quanto ruffiano, anche il politico più scadente sa bene che non è questa fuffa demagogica, al contrario è la ricerca del prestigio perduto il vero problema della classe dirigente.
Che non deve essere simpatica e ciarliera, deve essere rispettabile e saper dosare le parole. E dunque, Crosetto: perché infilzarsi da solo su quello spiedo?
(da repubblica.it)

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CLINICHE, QUOTIDIANI E LACCHE’: COSI’ REGNA ANGELUCCI. IL LEGHISTA MAGO DEI RIMBORSI

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

COMPRA UN OSPEDALE DA DON VERZE’ PER 270 MILIARDI E LO RIVENDE ALLA REGIONE LAZIO PER 319… ASSENZE RECORD IN PARLAMENTO, AMICO DI TUTTI, DA MELONI A RENZI

È il nababbo delle residenze lungodegenti con rimborso pubblico garantito. È il re Mida dei parlamentari, con stipendio pubblico per la mancia ai camerieri. È il re dell’editoria e dei suoi finanziamenti pubblici. Nel suo genere: un fuoriclasse del rimborso. Con immunità parlamentare incorporata, a scanso di inchieste, e il 99 per cento delle assenze in Aula.
A volte la faccia è tutto. Quella di Antonio Angelucci, detto Tonino, corrucciata per vocazione al risparmio estetico, è più di metà della sua celebrata biografia. Che alla fiammeggiante ricchezza di oggi, incoronata da cliniche, giornali, politica, ville, potere, tre Ferrari indossate come maglioni a primavera, una gialla, una azzurra, una rossa, giustappone le ceneri dei suoi ruvidi natali d’Abruzzo nel paesello di Sante Maria, mille anime e il cielo di pietra, provincia de L’Aquila, anno 1944, molti milioni di euro fa.
Oggi mister miliardo Angelucci, deputato fantasma da quattro legislature, prima in Forza Italia, poi nella Lega di Salvini, amico di tutti, dalla buonanima di Berlusconi a D’Alema, dalla Meloni a Renzi, passando per Denis Verdini e Dell’Utri, accende e spegne la luce sulla intera filiera dei quotidiani della mejo destra italiana, dal melonissimo Libero dello spasimante Mario Sechi, alle grigie colonne del Giornale di Alessandro Sallusti, passando per il quasi clandestino Il Tempo, tutti addetti a nascondere il caso Tommaso Verdini, tutti a bastonare i magistrati, appena possibile.
Non contento del malloppo di soldi e di potere, Angelucci progetta da qualche mese il colpaccio della carriera, avendo fatto sapere che è stato quel fenomeno in lingua estera di John Elkann a chiamarlo per offrirgli il pacchetto completo dei suoi ultimi spiccioli editoriali, Radio Capital, più l’ex gioiello Repubblica, a prezzo scontatissimo, pur di levarsi di torno dalla inutile Italia che gli ingombra il fatturato planetario. Cifra ancora troppo esosa per l’Angelucci padre che tratta e per l’Angelucci figlio, Giampaolo, detto Napoleone, l’erede designato dell’impero, visti i debiti che si dovrà accollare, compresa quella moltitudine di giornalisti difficili da domare, difficili da smaltire. Anche se le vie dell’incentivo sono infinite, quanto il Mille proroghe di ogni fine anno.
Più di mezzo secolo fa il primo lavoro incorpora la sua leggenda, portantino all’ospedale San Camillo di Roma, con in tasca la sola licenzia media. Ma il cervello finissimo che gli consente, appresa l’arte del sindacalista di corsia, di studiare gli ingranaggi della Sanità, metterseli in tasca e insieme con una cordata rilevare la sua prima casa di riposo a Velletri.
In qualche decennio moltiplica il seme in una foresta di cliniche lungo l’Appennino, 22 strutture, dal reatino alla Puglia, 3500 posti letto, 4 mila dipendenti, mille medici. Più un istituto di ricerche a Boccea, Roma. E una serie infinita di investimenti immobiliari, compresa la villa madre, quella ai Castelli che fu di Sofia Loren e di Carlo Ponti.
Come nella migliore tradizione italiana tutto l’impero sta all’estero, in Lussemburgo, capofila la Tosinvest, 500 milioni di fatturato, forzieri scudati a suo tempo, dove “Tosi” non è voce del verbo tosare (l’Italia, gli italiani, gli elettori, le casse del parlamento) ma l’acronimo delle iniziali Tonino e Silvana, la prima amatissima moglie con cui scalò il cielo. Con un occhio alla competenza e due alla politica, qualche volta in rotta di collisione con le moleste procure.
A essere capziosi, dove ha guai giudiziari, ha cliniche. E dove ha cliniche, ha batterie di avvocati che l’hanno sempre condotto in salvo. In Abruzzo, anno 2008, è coinvolto nella Sanitopoli che travolge il presidente Ottaviano Del Turco. L’anno dopo tocca a una inchiesta per truffa da 170 milioni di euro ai danni della Regione Lazio. Poi ancora alla Regione Puglia, quando i magistrati indagano su un finanziamento da 500 mila euro a Raffaele Fitto, l’attuale pattinatore del Pnrr, allora candidato presidente: altra inchiesta affondata.
Il suo capolavoro contabile porta la data del 1999 a Roma. Compra da don Verzè un ospedale intero che fa parte del gruppo San Raffaele. Sborsa 270 miliardi di lire. Qualche mese per lucidare le maniglie ed ecco la bella occasione di rivenderlo alla Regione Lazio per 319 miliardi di lire, 50 in più con un solo giro di giostra. Scoppia lo scandalo. Al governo c’è Giuliano Amato. Ministro della Sanità è Umberto Veronesi. Presidente della Regione è Francesco Storace. Al prezzo si aggiunge la convenzione che tutti i servizi ospedalieri saranno garantiti dalla Tosinvest, per nove anni, più nove, paga Pantalone, cioè la Sanità. Evviva.
Baciato dalla generosità pubblica, qualche volta contraccambia. Quando Massimo D’Alema gli chiede di accollarsi le mura del Bottegone, la sede storica del pci, non si tira indietro, compra, anche se non con soldi suoi, ma facendoseli prestare dalla Banca di Roma del suo amico Cesare Geronzi. Lo stesso vale quando Denis Verdini deve restituire 10 milioni al tribunale dopo il crack del Credito Fiorentino, lui è pronto a prestarglieli, ci mancherebbe, salvo prendersi in pegno la sua villa seicentesca.
Generoso ma non fesso. Generoso, ma non con tutti. Belpietro vorrebbe vendergli La Verità e l’Eni l’agenzia Agi, ma lui nicchia. Le rare volte che si presenta alla Camera è un assalto all’arma bianca. Di solito si porta dietro un tale Ferruccio, amico storico, che gli fa da scaccia folla. “Da lui vogliono tutto – racconta una deputata amica –. Soldi, sponsorizzazioni, il ricovero per la nonna, pranzi, cene, feste, un giro in Ferrari, un boccone di filetto. Sono scene bruttissime”.
Leggendaria è la sua riservatezza. Oppure commovente: mai una intervista né in privato né in pubblico. Mai una dichiarazione. Mai un pensiero o un discorso che giustifichi il suo mandato parlamentare, prudentemente iniziato dopo le prime inchieste, e che oggi lo vede addirittura membro fantasma della Commissione Cultura, scienza e istruzione.
Due volte vedovo, cinque figli, a Milano ha appena finito di arredare il suo personale palazzo dei giornali, dietro lo Scalo Farini, sfilato ai tipi dell’agenzia La Presse. Tre piani di vetri e cemento, 50 posti auto, l’ultimo piano cablato per le dirette tv e per quelle radiofoniche. Chissà, forse un giorno parlerà alla Nazione, ma solo se troverà un buon rimborso spese per farlo.
(da ilfattoquotidiano.it)

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LA PARABOLA DI MELONI: DAL SOVRANISMO ALLE PRIVATIZZAZIONI IN NOME DEI PARAMETRI EUROPEI

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

ALLA FACCIA DELLA TUTELA DEL PATRIMONIO NAZIONALE, ORA VUOLE VENDERE AI PRIVATI FERROVIE E POSTE: SEMPRE AL SERVIZIO DEI POTERI FORTI

Tra domande di gossip politico, spari alle feste di capodanno e richieste di andare in bagno, sulla maggior parte dei media il resoconto della conferenza stampa di fine anno tenuta ieri dalla premier Giorgia Meloni – rimandata da fine dicembre a inizio gennaio per motivi di salute – somiglia più a un appuntamento di colore piuttosto che a una questione politica. Le domande presentate in conferenza stampa, cui hanno avuto accesso solo giornali facenti parte del sistema mainstream, non sono state certo particolarmente degne di nota. Ciononostante, trattando delle misure economiche su cui il governo intende puntare, Giorgia Meloni ha nuovamente svelato la trasformazione di Fratelli d’Italia da forza politica sedicente sovranista a partito che, in nome degli equilibri e dei vincoli di bilancio stabiliti a Bruxelles, prepara un nuovo piano di vendita dei gioielli di Stato. La premier ha infatti ribadito che si va verso la privatizzazione di Poste Italiane e Ferrovie, nella prospettiva di ridurre la presenza dello Stato «dove non necessario».
«Nella Nadef abbiamo stabilito l’obiettivo di 20 miliardi di privatizzazioni nel triennio 2024-2026», ha detto Giorgia Meloni nel corso della conferenza stampa, spiegando con uno stratagemma narrativo che la sua idea è quella di «ridurre la presenza dello Stato dove non è necessaria e riaffermare la presenza dello Stato dove invece è strategica», ma sempre nell’ottica di una apertura al mercato. E, nello specifico, in seguito al «segnale dato con Mps» – il cui 25% è stato ceduto per 950 milioni – Meloni proseguirebbe sulla scia delle privatizzazioni con la cessione di quote di Poste e Ferrovie. D’altronde, il ritorno all’austerità è stato ufficialmente sancito dai contenuti della legge di Bilancio, con privatizzazioni per 20 miliardi, e, soprattutto, dal via libera al Nuovo Patto di Stabilità, che la stessa Meloni ha confessato non essere quello che avrebbe voluto. Per reperire risorse attenendosi ai rigidi parametri europei il governo avrà due sole vie possibili: l’aumento delle tasse o tagli alla spesa pubblica, che per Paesi come il nostro ammontano almeno a 10-12 miliardi l’anno. E, di aumentare le tasse, Meloni ha detto di non avere alcuna intenzione. Furbescamente, dopo il via libera al Patto di Stabilità, con il piccolo “colpo teatro” della bocciatura del MES il governo è riuscito senza troppa fatica a veicolare i media mainstream verso la narrazione di un “braccio di ferro” con l’Europa, da cui, in realtà, sono stati accettati a testa bassa i diktat più restrittivi e impattanti. Con evidenti conseguenze sulle tasche dei cittadini, che con le maxi privatizzazioni potrebbero vedersi notevolmente alzati i costi dei servizi. Sono passati solo pochi anni da quando Meloni, dall’opposizione, tuonava contro il “fallimento in Italia e in Europa” delle “politiche imposte dall’Ue” all’insegna della “austerità”, ritenendo necessario “un imponente piano nazionale ed Europeo di investimenti pubblici in infrastrutture, trasporti, rete digitale, edilizia scolastica e messa in sicurezza del territorio”, o da quando invitava i “burocrati ciarlatani” di Bruxelles, Junker in testa, a “preparare gli scatoloni” in vista di un radicale cambio di marcia in Europa con l’avvento dei “sovranisti” al potere.
Prime vittime dei progetti di privatizzazione meloniana potrebbero dunque essere Poste e Ferrovie. Che hanno un comune denominatore: il fatto di essere pienamente in salute e di portare molto denaro nelle casse dello Stato. Basti pensare che, nei primi nove mesi del 2023, Poste Italiane ha registrato un notevole successo finanziario, presentando un utile netto di 1,5 miliardi di euro, che rappresenta un aumento del 5,8% rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente. A metà dicembre, ha addirittura vinto l’“Oscar di Bilancio 2023” nella categoria “Grandi imprese quotate”, avendo raggiunto livelli molto alti “in termini di rendicontazione finanziaria e di integrazione di informazioni relative a tematiche di sostenibilità”. Nell’aprile del 2023, in occasione dell’approvazione del bilancio in Cda, è stato reso noto Gruppo Ferrovie dello Stato ha archiviato il 2022 con ricavi in crescita a 13,7 miliardi di euro, registrando un incremento complessivo di 1,4 miliardi di euro (+12%), rispetto all’esercizio 2021. Un utile netto di 202 milioni di euro, +5%, e pari a +9 milioni di euro sull’anno precedente. Ciononostante, il governo Meloni – ormai pienamente convertitosi all’ottica neoliberista propria di quelli che un tempo additava come traditori della volontà popolare – vuole tirare dritto.
Stefano Baudino
( da lindipendente.online)

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NEVE, CHE TRISTEZZA LE SETTIMANE BIANCHE SOLO PER RICCHI

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

QUANDO LA NEVE ERA PER TUTTI

Ho un abbonamento a molte riviste in edicola, che comprende anche le riviste di gossip di vario tipo. Si potrebbero prendere i numeri degli anni Ottanta, Novanta, Duemila. Per i ricchi, oggi soprattutto influencer e calciatori, la vacanza sulla neve è da sempre un rito inevitabile, come le foto da mettere, oggi, sui profili social. Piumini e caschi iper tecnici per la neve, cappelli, sciarpe, maglioni firmati stile montagna, per il pomeriggio. Foto di cioccolata bianca, sauna in albergo, tutto è rimasto quasi uguale negli anni.
Solo che, nel frattempo, è cambiato tutto. Il clima stravolto sta facendo scomparire la neve a una velocità che forse neanche gli stessi climatologi si aspettavano. Sull’Appennino praticamente non nevica più, tranne le poche cime sui duemila metri. E così sulla Alpi, dove lo zero termico è sempre più in alto, dove, soprattutto, la neve è praticamente soprattutto quella sparata. Se si va sulle alpi di inverno, ormai, lo spettacolo è tristissimo. I paesini un tempo coperti di neve, le cui foto vecchie di anni sono spesso ancora utilizzate per le pubblicità, ingannando chi guarda, non hanno più neve e sono asciutti. I boschi intorni sono grigi, secchi, senza neve.
Ma allora dove si scia? Semplice. Ci sono pochi comprensori, sopra i duemila metri, la cui neve si alimenta con decine e decine di bacini artificiali. Il che significa un consumo di acqua inimmaginabile, un consumo di energia altrettanto inimmaginabile. Ma gli impianti non si possono fermare, l’economia delle neve neanche, si continua finché si può, sfruttando il possibile, come se non si sapesse che presto non sarà possibile neanche avere artificiale, a causa delle temperature elevate.
Ma la cosa più triste è un altra. Un tempo la neve era accessibile a tutti. Sia a quelli a basso reddito, che comunque la vedevano ogni tanto davanti casa, sia a quelli a medio reddito, che andavano sui piccoli impianti con l’Appennino, costi bassi, tanto divertimento, oppure sulle montagne vicino casa, se residenti al nord.
La neve era davvero per tutti, banalmente, semplicemente. Oggi chi è povero non la vede più da nessuna parte, il ceto medio neanche, perché la settimana bianca costa troppo persino per chi ha entrate “normali”.
Chi resta? Il ceto alto o altissimo, appunto, i super borghesi, oppure calciatori, veline, influencer, attori. Che non resistono a compiere un rito ormai svuotato di ogni senso, che vogliono a tutti i costi insegnare ai figli a sciare – comprensibile, per carità – senza però rendersi conto primo, che i figli non potranno più farlo in futuro, secondo, che quella neve, che pure loro pagano a caro prezzo, è pagata soprattutto però dalla collettività. In termini di devastazione ambientale, di acqua sprecata e altro ancora.
Ma che importa. Sembra impossibile rinunciare a un rito borghese che è diventato l’emblema sia della crisi climatica, sia dell’aumento inverosimile delle diseguaglianze. Per compensare i numeri bassi, infatti, si aumentano i servizi di lusso per ricchi. Così l’economia è salva, mentre la giustizia sociale, l’eguaglianza, la parità tra bambini e tanto altro no.
È un discorso moralista? Forse. Sono andata a volte a sciare, poche, sbagliando anche io, certamente, ma quello che ho visto è stato abbastanza sconvolgente. Ragazzi inconsapevoli che fanno le piste velocissimi, salvo poi mettersi in maglietta per il caldo a bere. Piste fatte ormai di strisce di neve artificiale e intorno nulla. Vip e personaggi famosi, che immediatamente postavano le foto della neve sui social pochi minuti dopo aver fatto una pista. E non importa che gli incidenti siano in aumento, perché la neve è sempre di meno e sempre più affollata, e finta, cioè meno morbida e naturale, e non importa che i costi stiano lievitando così tanto che, ormai, con la spesa per una settimana bianca ci fai il giro del mondo. Ciò che conta, ripeto, è il rito, l’albergo, la sauna, la cioccolata, lo scarpone firmato, le foto, l’eccitazione per una natura che è solo ormai una cartolina posticcia, che bisognerebbe avere il coraggio di denunciare.
Ci si aspetterebbe, almeno, qualche azione di buon senso dalla politica, locale e nazionale. Invece si continuano a dare fondi per impianti destinati a non avere neve, perché già a basse quote oggi, mentre l’unica cosa utile sarebbe smantellare tutti gli impianti fantasma sul territorio e investire su forme di turismo alternativo. A denunciare la situazione restano, come al solito, le associazioni. Che invocano da anni politiche diverse dai cannoni sparaneve. Che chiedono consapevolezza, che invocano scelte diverse. Niente: continuiamo a fare come se nulla fosse. E quando la neve artificiale finirà, faremo come a Dubai, dove ci sono piste da neve totalmente finte, dove scieranno sempre i ricchi. Non ci sarà il caratteristico chalet di montagna – o forse sì, fino anch’esso – ma loro sapranno abituarsi al lusso di altro tipo. Gli altri, invece, dovranno vivere in un paese sempre più caldo, persino d’inverno. E dove bisognerà spiegare ai bambini perché quei disegni e cartoni di Natale hanno sempre quello strano bianco sopra. Perché non sapranno più neanche di che cosa si tratta
(ilfattoquotidiano.it)

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