Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
RISULTATO? L’ITALIA GOVERNATA DALLA “MERAVIGLIOSA GIORGIA” (COPYRIGHT TRUMP) SARÀ UNO DEI PAESI PIÙ COLPITI DAI DAZI A PIOGGIA IN ARRIVO DOMANI DA WASHINGTON …. E GLI ELETTORI INIZIANO AD ACCORGERSI DEL BLUFF DA “CAMALEONTE” DELLA PREMIER: FRATELLI D’ITALIA È SCESO AL 26,6%, E IL GRADIMENTO PER LA STATISTA FROM GARBATELLA È CROLLATO AI MINIMI DAL 2022
La special relationship con Trump era solo nella capoccetta bionda di Giorgia Meloni. La Ducetta sognava di diventare il “ponte” tra Usa e Ue e si è ritrovata friendzonata da The Donald.
Come è noto, la premier ha cercato disperatamente di organizzare un viaggio a Washington sognando di farsi ricevere dal “dazista-in-chief” così da offrirsi ai suoi fan come una statista di rilievo internazionale. Una rilevanza che il presidente americano non ha riconosciuto, evitando di concedere udienza
L’obiettivo della statista from Garbatella era trattare sui dazi, per conto dell’Europa, e spuntare qualche concessione commerciale, prima del 2 aprile.
Ma alla vigilia del “giorno della liberazione” (così l’ha proclamato Trump), di negoziati sull’asse Roma-Mar-a-Lago non se ne vedono: a trattare per conto dell’Europa c’è l’unica potenza nucleare del Continente, la Francia di Emmanuel Macron, e l’Italia, che avrebbe dovuto ricevere un trattamento di favore da Trump in ragione dei buoni uffici di “I am Giorgia”, vista anche la tanto sbandierata amicizia con Elon Musk, rischia di ricevere il contraccolpo più pesante dalla guerra commerciale.
Qualcosa gli italiani devono averlo capito, facendo slalom tra la propaganda di Tele-Meloni e dei trombettieri di Palazzo Chigi sparpagliati tra Rai e Mediaset.
Come certifica l’ultimo sondaggio di Pagnoncelli, non certo un pericoloso comunista, Fratelli d’Italia è sceso al 26,6%, il dato più basso da molto tempo a questa parte (Fdi è tornato alle percentuali delle elezioni dell’autunno 2022, quando ottenne il 26%).
Ancora più allarmante, per Giorgia Meloni, è il dato sul suo gradimento personale, sceso al 41%, anch’esso ai minimi dal 2022.
Una situazione che, vista l’intransigenza mostrata da Trump verso gli europei “scrocconi”, non è destinata a migliorare. Le piccole e medie imprese italiane, che hanno contribuito non poco al successo elettorale di Giorgia Meloni e del centrodestra, attratte da ipotetici tagli delle tasse, sono le più esposte ai dazi americani. Come riporta oggi “La Stampa”, sei aziende italiane su dieci sono preoccupate delle conseguenze.
E anche i cittadini “semplici” non sembrano gradire i distinguo del Governo: secondo un sondaggio di Yougov, il 56% è favorevole a una “ritorsione” dell’Ue contro le tariffe trumpiane.
Il contrario di quanto prospettato dalla premier, che al Senato, aveva definito “rappresaglie” le eventuali risposte dell’Ue agli Stati uniti. Fino a evocare un “circolo
vizioso nel quale tutti perdono” (dimenticando che è Trump, non l’Europa, a voler imporre dazi).
Come al solito, i nodi economici verranno al pettine: oltre ai dazi, c’è la questione Pnrr. Oggi è stato nientemeno che Raffaele Fitto, ex ministro meloniano promosso commissario europeo, a stroncare la balzana idea di Giorgetti e Meloni di prorogare la scadenza del Piano nazionale di ripresa e resilienza: “I traguardi e gli obiettivi del recovery devono essere raggiunti entro agosto 2026”. Il che vorrà dire, per il Governo, rinunciare a qualche miliardo di progetti, per non rischiare guai con Bruxelles
Venerdì, nel frattempo, è stato convocato il consiglio dei Ministri. In programma anche un’altra riunione, mercoledì, in cui dovrebbe essere varato il Def, il Documento di economia e finanza, che dovrà essere trasmesso a Bruxelles entro fine mese.
Come scriveva qualche giorno fa Mario Sensini sul “Corriere della Sera”, sarà sostanzialmente vuoto: “Il documento che arriverà tra un paio di settimane in Parlamento sarà un documento asciutto, comunque diverso dai Def del passato, che indicavano gli andamenti correnti e quelli programmatici di finanza pubblica, dando già l’idea in primavera degli sforzi da fare con la manovra per restare negli obiettivi.
Ora che sono in vigore le nuove regole Ue centrate sulla spesa, ma non sono state ancora modificate le leggi di contabilità nazionale basate sul deficit, Governo e Parlamento stanno cercando un accordo «transitorio» sui contenuti che dovrà avere il nuovo Def, o Rapporto sull’attuazione del Piano di bilancio, come si chiamerà”
Oltre alla trattativa “interna”, però, c’è il tema dei soldi: in attesa di capire quanto potrà influire il piano “Rearm Eu”, infatti, c’è da trovare qualche decina di miliardi per confermare le solite misure, come il taglio del cuneo fiscale. Mentre la Germania spende 1000 miliardi in un mega piano di investimenti, noi stiamo a contare gli spicci nel salvadanaio.
E se i media internazionali (ultimo, il “New York Times”), hanno svelato il bluff “camaleontico” della Meloni, anche la luna di miele con gli elettori potrebbe presto diventare “di fiele”.
Quando i risparmi verranno erosi e le serrande delle aziende inizieranno a chiudersi, che succederà?
(da Dagoreport)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
LA VICECAPOGRUPPO DI FDI, AUGUSTA MONTARULI, È IN DOLCE ATTESA, LA FEDELISSIMA DELLA MELONI, GIA’ CONDANNATA PER PECULATO, DA PIÙ DI UN ANNO È LEGATA ALL’EX CALCIATORE DEL SASSUOLO, ALBERTO POMINI
Tra Fratelli e sorelle (per tacer dei già compagni ed ex cognati) a regalare un sorriso a
Giorgia Meloni, mai tesa come ora, fortuna che c’è la notizia che la famiglia politica cresce. E stavolta non sono i sondaggi a dirlo, perché quando sarà il momento del lieto evento non ci saranno bandierine da appuntare sulla mappa, ma un fiocco rosa o azzurro, ancora non si sa, sulla porta di casa di Augusta Montaruli.
Già, la parlamentare torinese, fedelissima della premier con cui ha condiviso la dirompente nidiata di Atreju e la susseguente ascesa al potere, è il dolce attesa. Nessuna comunicazione ufficiale, così come nessuna smentita peraltro rapidamente e felicemente a sua volta smentibile, ma tra i pochi con cui fino ad ora condiviso la felicità, c’è da giurarci, c’è proprio la premier, nonché capo di quel partito dove, sempre come Giorgia, Augusta è approdata arrivando del Msi e più precisamente dal Fronte della Gioventù.
Augusta Anita Laura Montaruli, classe ’83, avvocato, ma a 21 anni già candidata sindaco nel piccolo comune di Pessinetto, poi scranno in consiglio comunale, quindi in Regione dove inciamperà nell’inchiesta di Rimborsopoli per cui, condannata, si dimetterà dopo pochi mesi da sottosegretario all’Università nel Governo Meloni dove entra con già una legislatura da deputata alle spalle.
L’ultimo scontro con il piddino Marco Furfaro è diventato un must con quel “bau, bau, bau” ripetuto dalla deputata all’avversario e rapidamente salito nella classifica dei video più visti.
Meno incline a raccontarsi nel privato, l’Augusta non ha tuttavia celato per molto la sua relazione con l’ex calciatore del Sassuolo Alberto Pomini, ammettendo prima a Un giorno da pecora di essersi innamorata follemente e poi svelando volto e nome del compagno in una foto di un bacio appassionato su Instagram. Adesso la notizia della dolce attesa che oltre a fare felici i futuri nonni, regalerà un sorriso anche a “zia Giorgia”.
(da lospiffero.com)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
IL NOSTRO PAESE È TERZULTIMO IN EUROPA PER PERCENTUALE DI LAUREATI …SIAMO ANCHE POCO ATTRATTIVI PER I LAVORATORI QUALIFICATI: L’ITALIA E’ ULTIMA NELL’UE PER STRANIERI LAUREATI “INGLOBATI” NEL MERCATO DEL LAVORO …IL TASSO DI NATALITÀ NEL 2024 È ULTERIORMENTE SCESO DA 1,2 A 1,18 FIGLI
Non partono più come nel secolo scorso con la valigia di cartone, tante speranze e poche competenze, ma comunque hanno ripreso ad emigrare. Giovani come allora, ma altamente istruiti. Il futuro perso di un’Italia che fatica a essere competitiva perché terzultima in Europa per percentuale di laureati, ma che scende proprio all’ultimo gradino se andiamo a contare quanti sono gli stranieri con un diploma di laurea in tasca che vengono a lavorare da noi.
A certificare la nuova emigrazione italiana è l’ultimo rapporto Istat sulla popolazione italiana, sempre più vecchia e in crisi di natalità, tanto che il già bassissimo tasso di fecondità delle donne nel 2024 è ulteriormente sceso da 1,2 a 1,18 figli. Non occorre essere matematici per dedurre che continuando di questo passo nel giro di qualche decennio la popolazione italiana rischia di dimezzarsi.
Nell’ultimo anno 191 mila abitanti hanno lasciato l’Italia, il numero più alto dal Duemila, con un balzo del 20,5% rispetto al 2023. Di questi, 156 mila sono cittadini italiani, aumentati del 36,5%. E in maggioranza giovani: 93.410 hanno tra i 18-39 anni e quasi 20 mila sono under 17. In tutto 113 mila giovani e giovanissimi (+36%) sono partiti per l’estero contro 370 mila nascite lo scorso anno. […]
Emerge dai dati della Fondazione Nord Est, elaborati su quelli Istat: tra chi sceglie di lasciare l’Italia, il 48% ha una laurea. Erano il 36% solo nel 2019. Lo stesso report della Fondazione smentisce la favola in cui si è crogiolata per anni la politica italiana, secondo cui questi fenomeni migratori altro non sarebbero che normali dinamiche dei mercati nei Paesi avanzati. Infatti, se gli altri Paesi attraggono i nostri giovani, noi non esercitiamo lo stesso appeal.
Tra le destinazioni preferite, l’Italia risulta essere infatti ultima, indicata da appena il 6% dei giovani europei per un’esperienza di lavoro. In testa c’è la Svizzera (34,2% delle preferenze), agli ultimi posti la Svezia (14,1%) e la Danimarca (10%). E se Francia, Germania e Regno Unito fornissero i dati a Eurostat, l’Italia figurerebbe molto più indietro. Resta comunque il fatto che per ogni giovane straniero che sceglie di venire a lavorare nel nostro Paese, quasi 9 under 34 italiani se ne vanno all’estero.
Certo, i giovani sono sempre più internazionali, mobili e curiosi verso altre culture. Ma attenzione. Da noi la mobilità è diventata un obbligo per mancanza di alternative: quando si va via, non si torna più.
«La questione più grave – spiega Alessandro Foti, ricercatore in immunologia al Max Planck Institute di Berlino e autore del libro Stai fuori! Come il Belpaese spinge i giovani ad andare via – non è solo che i nostri giovani vanno altrove: è anche e soprattutto che da noi non ne arrivano dagli altri Paesi europei. Nonostante i luoghi comuni sul seducente fascino del Belpaese, la realtà ci dice il contrario: i giovani italiani vanno in massa in Inghilterra, Germania e Francia, ma gli inglesi, i tedeschi e i francesi non ci pensano neanche a venire da noi, se non per fare le vacanze mangiare la pasta o il gelato».
Un tema non è all’ordine del giorno del dibattito pubblico. «È stato veicolato il messaggio dell’invasione degli immigrati sui barconi. Beh, si rimane a bocca aperta leggendo che in Italia in quattro anni sono sbarcati 131.210 immigrati e nello stesso periodo hanno spostato la residenza all’estero 497.240 italiani, come raccontano i dati della Fondazione Migrantes». Ma quali sono i motivi che spingono tanti giovani altrove?
«Gli italiani – prosegue Foti- vedono ormai da anni un peggioramento delle proprie condizioni salariali e di potere d’acquisto». Inoltre siamo uno dei Paesi europei con il mercato del lavoro giovanile più fragile e un livello di occupazione tra le giovani generazioni molto basso. Non basta: i neolaureati italiani hanno più difficoltà a trovare un lavoro dignitoso: l’Italia è addirittura penultima in Europa per livello occupazionale dei 20-34enni laureati da tre anni.
(da La Stampa)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
SI SPACCA IL PPPE
Fallisce, almeno per ora, l’assalto delle destre europee a Life, il programma di
finanziamento dell’Unione europea per l’Ambiente, e alle Ong che ne beneficiano. I tre partiti dell’arco di destra al Parlamento europeo – Ppe, Ecr e Patrioti – hanno provato per la seconda volta a far passare una mozione che censurava i finanziamenti dati dalla Commissione europea alle organizzazioni della società civile nell’ambito di Life, ma la spallata non è riuscita. È stato lo stesso esecutivo europeo, che pure aveva ribadito anche questa mattina tutta la sua buona fede nella costruzione del programma e il rigore nella distribuzione dei fondi, a far deragliare il blitz. In commission
Ambiente del Parlamento europeo infatti un rappresentante della Commissione ha sorpreso gli eurodeputati annunciando una dichiarazione della Commissione per prendere in carico i dubbi sollevati dai partiti di destra e assicurare il massimo rigore e trasparenza sui fondi alle Ong. Il testo sarà adottato dal collegio dei commissari martedì, ha detto il rappresentante Ue, che s’è guardato bene però dall’anticiparne l’esatto contenuto. A quel punto i due co-firmatari della mozione di punta – l’olandese Sander Smit del Ppe e il meloniano Pietro Fiocchi di Ecr – si sono trovati spiazzati. Alla fine hanno deciso di procedere comunque con la loro mozione. Ma hanno finito per schiantarsi: è stata bocciata sul filo di lana, con 41 contrari e 40 favorevoli. L’altra mozione, presentata in solitaria dai Patrioti, è stata respintaanch’essa con un più netto 50 no contro 30 sì. Evidente la spaccatura del Ppe dopo la mossa della Commissione.
L’esultanza di Decaro (Pd)
L’esecutivo Ue per il momento vede dunque salva la sua reputazione, e il programma Life la sua struttura. Ma l’appuntamento potrebbe essere solo rinviato. Ppe e Ecr hanno dimostrato di nuovo stasera di essere pronti a dare l’assalto a interi pezzi dei programmi gestiti dalla Commissione per far passare la nuova agenda anti-Green Deal e, perché no, anti-Ong. Per il momento però esultano i Socialisti & Democratici, che stamattina avevano avvertito sulla gravità del tentativo di spallata, anche per la valenza politica di un asse delle destre che sposterebbe gli equilibri al Parlamento europeo. «Stasera in commissione abbiamo salvaguardato il programma Life e il finanziamento pluriennale del programma Ue destinato alla lotta al cambiamento climatico, al ripristino della biodiversità e alla qualità della vita. Un programma che solo in Italia ha finanziato 1077 progetti con oltre 2.145 milioni in favore di Comuni, Università, Ong, agricoltori e imprese. Molti gruppi politici cercano di boicottare Life per mere questioni ideologiche con l’intento di colpire le Ong che in questi anni hanno dimostrato di avere a cuore tanto le sorti del pianeta quanto quelle delle vite umane. Per quanto ci riguarda l’obiettivo è quello di far proseguire le attività di uno dei programmi europei più longevi e di successo che ha tra i suoi obiettivi più importanti finanziare progetti sui territori che ci aiutino a tutelare l’ambiente. Non salveremo questo pianeta con l’ideologia strumentale», ha dichiarato soddisfatto l’ex sindaco di Bari Antonio Decaro (Pd), che presiede la commissione Ambiente dell’Europarlamento.
(da lastampa.it)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
COSI’ L’ITALIA RISCHIA DI NON AVERE PIU’ FUTURO
Ci si preoccupa in modo quasi ossessivo della denatalità, molto meno del continuo drenaggio di giovani che lasciano l’Italia per cercare altrove occasioni di vita e lavoro migliori. Un drenaggio che non solo assottiglia la già ridotta quota di giovani, ma di conseguenza riduce anche ulteriormente il tasso di natalità possibile. A partire e non tornare sono per lo più giovani con un buon livello di istruzione, che, se rimanessero in Italia, prima o poi troverebbero un’occupazione e talvolta la hanno già trovata. Ma che non trovano nel mercato del lavoro italiano condizioni di lavoro, di remunerazione, di riconoscimento, all’altezza delle loro aspettative, che invece vedono più facilmente realizzate altrove. Così come, se donne, vedono più facilmente realizzabile farsi una famiglia, avere figli, senza rinunciare al lavoro. Sono legittimamente choosy, perché possono effettivamente scegliere uscendo dai confini nazionali.
È positivo che i giovani si muovano, facciano esperienze altrove, anche decidano di proseguire la propria vita altrove. Spostarsi, confrontarsi con società organizzate poco o tanto diversamente da quella di partenza, con altre culture, è un grande arricchimento, se non necessario, auspicabile in un mondo globalizzato dove non si può (più) rimanere rinchiusi nel proprio piccolo mondo auto-referenziale. E dove essere nomadi, per dirla con Stefano Allievi nel suo ultimo bel libro Diversità e convivenza (Laterza), è diventata una condizione umana diffusa non solo perché è fortemente aumentata la mobilità e con essa le migrazioni, ma perché il mondo, l’altrove, entrano continuamente nella vostra vita quotidiana, nelle persone che incontriamo, le immagini che vediamo, le notizie che riceviamo, gli strumenti che utilizziamo.
Il problema è che l’Italia sta diventando per una parte dei suoi giovani un posto in cui non si vuole vivere, in cui non vale la pena di investire il proprio futuro. Tantomeno attrae giovani molto qualificati di altri paesi, rispetto ai quali il saldo è ampiamente negativo. È un paese in cui venire in vacanza, o passare un anno di studio, non in cu
fermarsi per farci la propria vita. Per altro, anche per una buona parte dei migranti che arrivano da paesi poveri o in guerra, o sotto una dittatura, l’Italia è pensata come un luogo di passaggio, una porta di entrata per un altrove più desiderabile, anche se poi sono costretti a rimanere qui. Una percezione certo non favorita dalla retorica anti-migranti e dalle lungaggini per ottenere il permesso di soggiorno, per non parlare della cittadinanza.
Senza seri investimenti nel creare situazioni più favorevoli ai giovani da parte non solo del governo, ma degli amministratori locali e delle imprese, il fenomeno del drenaggio dei giovani, specie dei più istruiti, non potrà che accentuarsi. Del resto, un’indagine Istat recente ha rilevato che già tra gli adolescenti il 34% da grande vorrebbe vivere, lavorare, farsi una famiglia all’estero, una percentuale che supera il 38% tra gli stranieri.
(da agenzie)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
E MAGARI GLI RIESCE
Calenda si è definitivamente dato all’avanspettacolo. Sarebbe anche una buona notizia,
perché l’uomo non è privo di doti dialettiche e dunque mediatiche, solo che Calenda continua a intestardirsi nel voler fare quello che proprio non gli riesce neanche a pregare. Ovvero il “politico”. Ecco tutte le sfumature di Calenda.
È il Calenda che si compiace di bastonare l’avversario nell’agone televisivo, dunque quello più bullo e smargiasso. A volte gli riesce e a volte no. Più spesso no.
Dottor Jekyll e Mr Hyde. Pochi “politici” (si fa per dire) sono spaventosamente bipolari come Calenda. In privato è fumantino ma educato, divertente, autoironico, autocritico e in alcuni casi persino un po’ timido. Poi si accende la lucina delle
telecamere e gli parte lo sbrocco sistematico. Un pit bull pariolino aduso allo sclero, che passa ormai il 97% della sua vita a dissociarsi da quel che ha combinato tre secondi prima
Smemorato. Il “leader” (va be’) di Azione (chi?) ama parlare di tutto. Tranne che di Gaza e Cisgiordania. Lì diventa più muto di un pesce palla, regredendo allo stadio evolutivo di Friedman nostrano. Se l’argomento è la Palestina, Calenda si trasforma una firma di terza fila del Foglio. Peccato.
Finto Oppositore. Calenda ama dire in tivù (dove vive 7 giorni su 7) che lui non fa opposizione a prescindere, ma sceglie di volta in volta. Una paraculata come un’altra per mascherare la sua natura centrodestrorsa, resa evidente tre giorni fa – in quella baracconata caciottara e sguaiata che è stata l’assise di Azione – da quella prima fila satura di Meloni, Crosetto, Donzelli, Picierno e Rosato. Tutti entusiasti e ridanciani. Son soddisfazioni
Io sono stoca**o. Calenda ama dare lezioni a tutti, parlando sempre dall’alto di stoca**o, anche se ha meno voti del mio testicolo destro. Mah.
Centrista. Calenda ama dire che “il mio elettorato mi ha detto di collocarmi al centro”. E anche solo questa frase, tenendo conto che Azione non ha sostanzialmente elettori, ci rivela che Calenda sente le voci.
Aggressivo-trucido. Calenda ama così tanto l’imitazione di Crozza da alzare ogni giorno l’asticella della sua coattitudine. Ne è prova quel suo rinnovato desiderio – molto “liberale” – di voler “cancellare” i 5 Stelle. Il giovine Calenda recitò in Cuore, l’ultimo Calenda è un Tomas Milian che non ce l’ha fatta. Daje!
Io ci sono stato. Calenda ripete che di Ucraina devono parlare solo quelli che ci sono stati. Se fosse vero, Barbero non potrebbe parlare di Medioevo perché non l’ha mai visto, e Papa Francesco non dovrebbe disquisire di Dio e aldilà non avendo ancora (si presume) incontrato né l’uno né l’altro. Quando arriva l’ambulanza?
Asino. Calenda sa di Stellantis, ma non sa nulla di politica internazionale (son tre anni che le sbaglia tutte). In politica è spesso un asino conclamato. Le elezioni le perde quasi sempre. Passa il tempo a prendere gli scarti di Forza Italia e derivati (per poi farsi puntualmente sfanculare). È riuscito a farsi infinocchiare (nel 2022!) da Renzi ed è arrivato a proporre la Moratti come jolly deluxe per battere la destra (ciao core). Ha quasi tutti i media a favore, e nonostante questo nei sondaggi non sale mai. Vorrebbe essere ago della bilancia, ma al massimo è l’alluce valgo del Parlamento.
Mai visto un “politico” (si fa sempre per dire) che ci gode così tanto a prendere sberle e inciampare a raffica: ripigliati, Carlo.
(da Andrea Scanzi)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
LA SURREALE ORDINANZA DEL COMUNE
Per l’arrivo di Giorgia Meloni a Limbadi sono bandite… le pecore. Ai pastori toccherà tenerle al chiuso per un giorno intero, giovedì 3 aprile, quando la premier e il ministro dell’Interno Piantedosi giungeranno nel comune vibonese per l’inaugurazione della nuova sede della Stazione dei carabinieri, in un immobile confiscato alla cosca Mancuso.
Nelle scorse ore infatti, appena ufficializzata la notizia della visita dei due componenti del Governo, il sindaco ha emanato un’ordinanza parecchio singolare, che prevede per l’intera giornata del 3 aprile «l’assoluto divieto» di pascolo e transito di greggi sul territorio comunale. Nel provvedimento firmato dal primo cittadino Pantaleone Mercuri i motivi indicati sono di sicurezza pubblica: si è ritenuto infatti «opportuno», si legge, adottare l’ordinanza a scopo cautelativo «per evitare intralcio al normale flusso della circolazione dei mezzi di soccorso».
La premier Meloni insomma non vedrà le pecore e le caprette limbadesi, che pure non sono poi così tante, ma per quel giorno dovranno accontentarsi di non brucare erba.
Intanto nel paese – poco più di tremila abitanti – fervono i preparativi per una visita istituzionale che ha colto di sorpresa i più. Già nei giorni scorsi erano stati effettuati dei sopralluoghi da parte delle autorità competenti, mentre oggi un via vai di carabinieri (diverse decine) e di operai ha “invaso” le strade. Interventi di pulizia delle principali vie e del verde, sistemazione di staccionate e anche un escavatore a lavoro nell’anfiteatro comunale antistante la scuola media. Qui si sono concentrate anche delle prove tecniche, alla presenza di numerosi militari. Presumibilmente – anche se non è stato ancora reso noto un programma ufficiale – parte della cerimonia, con inizio alle ore 17, avrà luogo proprio nell’anfiteatro che l’anno scorso peraltro accolse la festa provinciale per i 210 anni dell’Arma. Poco distante si trova la villa dei Mancuso, confiscata nel 2005, poi sede dell’Università antimafia e oggi nuova Stazione dei carabinieri di Limbadi.
In caso di mancata osservanza delle disposizioni contenute nell’ordinanza saranno applicate le sanzioni amministrative previste dal Codice della Strada
(da agenzie)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
CONDANNATO PER UN’ALTRA CASA DI PREGIO
Nel 2022 il tribunale di Roma gli ha intimato di pagare 68mila euro per canoni inevasi.
L’appartamento di lusso è in via Flaminia. La sentenza dà ragione alla proprietaria.
Il ministro che non pagava affitti in appartamenti di pregio è a tutti gli effetti una saga. L’incipit del terzo capitolo è questo: «La sesta sezione del tribunale civile di Roma condanna Guido Crosetto al pagamento, in favore di […] della somma di euro 68.069,99, a titolo di canoni di locazione, oltre agli interessi legali dalle singole scadenze mensili». Sei aprile 2022, sei mesi prima che il fondatore di Fratelli d’Italia giurasse da ministro della Difesa, una giudice respingeva ogni «sua richiesta» e lo obbligava al risarcimento «delle spese di lite, che liquida in euro 4.015, oltre al 15 per cento per spese generali e accessori di legge».
La sentenza, che ha dato torto al cofondatore di Fratelli d’Italia, ha scritto un’altra pagina di questa storia segnata da lusso, debiti e ordine di sfratto. L’ultima vicenda è iniziata nel 2019 ed è terminata nel 2022, in una singolare continuità di guerre a carte bollate con i proprietari delle case prese in affitto. L’attuale ministro, nel giro di otto anni, ha seminato debiti con privati e società per un totale di oltre 120mila euro, che con gli interessi e pignoramenti sono più che raddoppiati. Saldati solo dopo che è intervenuto il tribunale di Roma.
Il contenzios
Quest’ultima vicenda, scoperta da Domani, è un guaio anche per il governo Meloni, i cui esponenti hanno sempre attaccato gli occupanti di case, i cattivi pagatori, quelli da prendere «per la pelle del culo» come auspicato dal sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. Addirittura è stato inserito un articolo nel ddl Sicurezza per inasprire l’occupazione degli alloggi dopo la richiesta di sfratto. E come si fa ora con un ministro che ha incassato un’ordinanza di rilascio dell’immobile perché non pagava il canone?
Dopo i pignoramenti per debiti per una casa di via Margutta e con la società che detiene l’immobile dell’Hotel de Russie, il terzo capitolo della saga è ambientato a Roma nord. In una residenza storica dove gli appartamenti in vendita superano il milione di euro, mentre gli affitti si aggirano tra i 3mila e i 5mila euro al mese. «Qui hanno abitato professionisti, personaggi dello spettacolo, professori, è un posto meraviglioso per clienti vip», ci racconta un consulente immobiliare. E i politici? «In uno degli appartamenti ha abitato anche Guido Crosetto, ma poi è andato via, la sua permanenza è durata pochi mesi», dice.
La replica del de Russie
Anche questa storia immobiliare, però, è finita male. Con un contenzioso legale, ancora una volta per affitti non pagati. Seguito da una controversia tra le parti e da un pronunciamento del tribunale civile di Roma chiamato a chiarire i termini della questione. La sentenza, può rivelare Domani, ha condannato l’attuale ministro della Difesa, dando ragione alla proprietaria dell’immobile.
La casa a Roma nord
Ma riavvolgiamo il nastro. L’ultima sventura immobiliare del fondatore di Fratelli d’Italia è durata circa un anno e mezzo: a partire dal 2019, solo due anni prima aveva subito il pignoramento causa debiti con Albergo di Russia spa. Nel marzo dello stesso anno Crosetto ha lasciato lo scranno di deputato per dedicarsi alla presidenza di Aiad, la confindustria degli armamenti. Tentativo estremo di rispondere alle critiche sui conflitti di interessi: tuttavia resterà coordinatore del partito e tre anni dopo dalla lobby degli armamenti salterà direttamente al ministero della Difesa.
intanto Crosetto, cancellate le due ipoteche precedenti, affitta a Roma nord, zona Ponte Milvio. Sceglie una dimora costruita cent’anni fa a pochi passi dal Tevere. I vicini di casa sono gente che conta: immobiliaristi, principi del foro, star dello spettacolo. L’affitto concordato con la proprietaria si aggira sui cinquemila euro mensili. Una cifra che poteva essere sostenuta da Crosetto, che al tempo incassava consulenze ben remunerate dalle aziende del settore armamenti come Leonardo ed Elettronica Spa.
La sconfitta di Crosetto
E infatti all’inizio con la proprietaria di casa è filato tutto liscio con contratto sottoscritto nel 2019.
I problemi sono sorti alla fine del 2020. Per quattro mesi, dal novembre 2020 al febbraio 2021, infatti, il meloniano non paga l’affitto. Viene così citato in giudizio per morosità. Crosetto per la terza volta viene accusato ancora una volta di essere un cattivo pagatore. A quel punto la titolare dell’appartamento decide di intimare – con apposito atto di citazione – lo sfratto per il mancato pagamento dell’affitto, al quale si aggiungono gli oneri accessori, in tutto poco sopra i 20mila euro. Ma l’attuale ministro non è rimasto a guardare, respingendo con forza tutte le richieste perché ritenute infondate e chiedendo il pagamento dei danni patrimoniali e no alla signora.
I suoi avvocati avevano proposto anche una soluzione alternativa: la compensazione delle spese, visto che all’interno dell’immobile, al primo piano del meraviglioso palazzo d’epoca, Crosetto avrebbe eseguito lavori migliorativi e non previsti dagli iniziali accordi. Ma Crosetto, alla fine, ha dovuto abbandonare la casa dopo
un’ordinanza di rilascio emessa dal tribunale nel 2021. La vicenda si è chiusa l’anno successivo quando il tribunale civile di Roma ha sciolto il contratto e condannato Crosetto a pagare 68mila euro tra affitti e interessi legali.
Insomma, tutte le pretese del fondatore di Fratelli D’Italia sono state respinte, quelle della proprietaria accolte.
Dopo la sentenza di primo grado cosa è accaduto? C’è stato un accordo tra le parti? Il ministro ha pagato tutta la somma a quel punto dovuta? Anche stavolta il ministro non vuole rispondere a Domani («siete dei delinquenti», ha detto), ma chi lo conosce bene fa sapere che «lui apre contenziosi solo per principio, perché pensa di subire torti», ma alla fine, «paga sempre e si mette d’accordo».
Anche in questo caso è stato il tribunale a obbligarlo. La saga degli affitti non pagati non è ancora finita: bisogna ancora capire perché il ministro è stato costretto a pagare 60mila euro alla Albergo di Russia spa.
(da Editoriale Domani”)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
“GIUDICI INDIPENDENTI HANNO CONSIDERATO CHE C’È STATA UNA VIOLAZIONE DELLE REGOLE” … “LE PROTESTE DI LE PEN? IN PASSATO È SEMPRE STATA FAVOREVOLE ALLA DIFESA DELLA MORALITÀ PUBBLICA” … “È CURIOSO CHE IN CERTI PAESI CI SIANO ESPONENTI CHE PROTESTANO PERCHÉ LA GIUSTIZIA DIFENDE I DIRITTI DEI CONTRIBUENTI EUROPEI”
Dopo la sentenza il gioco democratico è falsato in Francia?
«Direi di no. La democrazia e lo Stato di diritto non si riducono alle elezioni. Giudici indipendenti hanno considerato che c’è stata una violazione delle regole del Parlamento europeo e del diritto penale francese. E di che cosa si tratta? Di uso fraudolento di denaro pubblico da parte di una persona che aspira a diventare presidente della Repubblica», dice Sylvie Goulard, già eurodeputata e ministra della Difesa, ora docente alla Bocconi di Milano e autrice del saggio Grande da morire (Il Mulino) sui rischi di un nuovo allargamento della Ue.
L’esecuzione immediata dell’ineleggibilità, senza aspettare l’appello, era inevitabile?
«La legge del 9 dicembre 2016 sulla lotta contro la corruzione riconosce questo potere al giudice. È la legge, votata dal Parlamento. E, come dite voi in Italia, “la legge è uguale per tutti”».
Che cosa pensa delle dure proteste del Rn?
«Noto che in passato sono sempre stati favorevoli alla difesa della moralità pubblica e alla repressione delle frodi e della corruzione e anche a pene di carattere automatico».
Le reazioni di sdegno immediate, da Orbán in Ungheria, al Cremlino, a Salvini in Italia, dicono qualcosa del posizionamento internazionale del Rn
«Lo lascio alla riflessione dei lettori. È comunque curioso che in certi Paesi ci siano esponenti politici che protestano perché la giustizia difende i diritti del contribuente europeo. Marine Le Pen e gli altri del Rn sono stati condannati perché hanno usato in modo indebito soldi dei contribuenti europei, non francesi».
È sorpresa dal cambiamento del Rassemblement national, che si è sempre proposto come il partito «mani pulite e testa alta»?
«Nel Vangelo c’è la parabola della pagliuzza nell’occhio altrui, che siamo sempre pronti a notare, mentre non ci accorgiamo della trave che abbiamo nel nostro occhio».
Nei 2017, quando Emmanuel Macron ha conquistato l’Eliseo, lei è stata nominata ministra della Difesa. È scoppiato lo scandalo degli assistenti parlamentari nel suo partito di allora, il MoDem di François Bayrou, e lei ha preferito dimettersi contro il parere dello stesso Macron. Come mai?
«Mi sono dimessa per rispetto dell’esercito francese e dei cittadini, E l’ho fatto sapendo che non avevo fatto niente di male».
Com’è finita l’inchiesta?
«Per me si è conclusa con un non luogo a procedere totale e definitivo . Nel mio caso, la giustizia francese ha indagato per sei anni. Non è stato piacevole, ma ho potuto vedere che la giustizia si è comportata in modo indipendente. I giudici hanno fatto il loro lavoro. Lo Stato di diritto è questo. Esiste una separazione dei poteri, l’esecutivo, il legislativo, l’ordine giudiziario».
Senza Marine Le Pen, i giochi si riaprono per la candidatura a destra nel 2027?
«In realtà i giochi non si erano ancora chiusi, Marine Le Pen non era stata già eletta, non esageriamo. Mancano ancora due anni e si parla di tanti possibili candidati a destra, da Retailleau a Darmanin a Villepin. Bisognerà vedere chi passa al secondo turno. E poi c’è sempre l’appello, che potrebbe ribaltare la situazione giudiziaria di Le Pen. Anche questo è Stato di diritto».
(da Corriere della Sera)
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