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L’ELEZIONE DEL PAPA È A RISCHIO INTERFERENZA: TRA FAKE NEWS E PRESSIONI, NELLA CAPPELLA SISTINA C’È ARIA DI COMPLOTTONE

Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile

GIÀ NEL 2019 ERANO EMERSE LE MANOVRE DELLA FRONDA TURBO-CONSERVATRICE DEGLI STATI UNITI PER ORIENTARE IL FUTURO CONCLAVE … UN GRUPPO AVEVA PREPARATO UN’OPERAZIONE CHIAMATA “RED HAT REPORT”, CON UN MILIONE DI BUDGET, PER “DOSSIERARE” OGNI CARDINALE ELETTORE,… LE CALUNNIE PER TENTARE DI FAR FUORI BERGOGLIO NEL 2013

Di per sé, in otto secoli di Conclavi propriamente detti, non sarebbe una novità. L’ultima volta era accaduto il 2 agosto 1903, il secondo giorno del Conclave, quando il cardinale Jan Puzyna di Cracovia, a quel tempo sotto il dominio austriaco, pronunciò l’esclusiva, ovvero il veto dell’imperatore Francesco Giuseppe contro il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, già segretario di Stato di Leone XIII, perché era filofrancese.
Lo ius exclusivae , ossia il diritto di veto esercitato di fatto dalle potenze cattoliche, venne poi abolito dal Papa neoeletto, il patriarca di Venezia Giuseppe Sarto, che prese il nome di Pio X e pochi mesi più tardi, con la Costituzione apostolica Commissum Nobis del 20 gennaio 1904, mise le cose in chiaro: veniva condannato ogni intervento esterno sul Conclave, anche «sotto forma di semplice desiderio», e si prevedeva la scomunica latae sententiae , cioè automatica, per chiunque se ne fosse fatto latore o interprete.
Mariano Rampolla del Tindaro
Tutto molto chiaro, la commissione istituita da Sarto che aveva preparato il documento — fondandosi sulle ricerche di un giovane ma brillante minutante della segreteria di Stato, il ventisettenne Eugenio Pacelli, futuro papa Pio XII — fece un ottimo lavoro.
Non è finito, il tempo delle interferenze. Anche le calunnie per tentare di eliminare candidati sgraditi ci sono sempre state e basterebbe, nell’ultimo Conclave del 2013, la faccenda del polmone di Jorge Mario Bergoglio. Prima dell’elezione si sparse la voce che avesse un polmone solo, alcuni cardinali glielo chiesero al Conclave.
Giuseppe Sarto – Pio X
Non era vero: nel 1957, a 21 anni, aveva subito l’asportazione del lobo superiore del polmone destro a causa di tre cisti e nel frattempo «il polmone destro si è espanso fino a occupare tutto l’emitorace omolaterale» aveva spiegato lui stesso. Ma quelle erano ancora chiacchiere, anche se le calunnie possono essere tenaci e molti, dopo dodici anni di pontificato e la morte, ne restano tuttora convinti.
Il problema è che oggi le possibilità di diffondere notizie false si sono moltiplicate. Si può colpire un candidato in modo ancora più efficace, diffondendo menzogne: sulla salute, o magari sostenendo che ha coperto dei pedofili, o ancora peggio.
Il Conclave viene convocato tra i 15 e i 20 giorni dalla morte del Pontefice, quanto basta per diffondere un sospetto.
Il pontificato di Bergoglio ha conosciuto una resistenza tradizionalista in Rete ben organizzata e finanziata. Ha il suo epicentro nei settori più conservatori della Chiesa degli Usa.
Nel 2019 uscì in Francia un libro del giornalista Nicolas Senèze sullo «scisma americano», intitolato Come l’America vuole cambiare Papa . Vi si ricostruivano con acribia le manovre condotte dalla «galassia» dell’estrema destra cattolica Usa per orientare un nuovo Conclave.
Carlo Maria Vigano
Un «gruppo per un miglior governo della Chiesa» aveva presentato a possibili donatori un’operazione chiamata «Red hat report» che aveva un milione di budget per stilare «nel giro di due anni» un dossier per ogni cardinale elettore, puntando su accuse e voci di «abusi», «corruzione» eccetera. Uno degli obiettivi era modificare i profili Wikipedia dei cardinali: «Se l’avessimo fatto prima, forse non avremmo avuto papa Francesco».
La stessa galassia aveva diffuso il cosiddetto «dossier» contro Bergoglio di Carlo Maria Viganò, nel frattempo scomunicato: negli Usa ci pensò il National catholic register che fa parte della rete di Ewtn ( Eternal word television network ), epicentro mediatico dell’opposizione. A dicembre è stato aperto un sito, The College of Cardinals Report che presenta i ritratti di alcuni «papabili» anche come «risorsa per i membri del sacro collegio».
La Santa Sede ha potenziato i siti Vaticannews.va e Vatican.va , con notizie, documentazioni, biografie. Il pericolo, del resto, può arrivare da attacchi hacker anonimi. I cardinali elettori vivono i giorni del Conclave isolati tra Santa Marta e la Sistina: ambienti schermati, niente cellulari né pc. Ma tutto questo non vale nei giorni precedenti.

(da Corriere della Sera)

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IL FUNERALE DI PAPA FRANCESCO È STATO PAGATO DA PIERSILVIO BERLUSCONI? NEL TESTAMENTO DI BERGOGLIO SI FA UN RIFERIMENTO A UN ANONIMO “BENEFATTORE”, CHE HA PROVVEDUTO A PAGARE PER LA SEPOLTURA A SANTA MARIA MAGGIORE DEL PONTEFICE

Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile

L’IMPORTANTE COPERTURA DELLE RETI MEDIASET DURANTE L’ULTIMO RICOVERO AL GEMELLI DEL PAPA … AL MOMENTO DELLA MORTE DI BERGOGLIO, BERLUSCONI JR HA MANDATO UNA MAIL A TUTTI I DIPENDENTI ELOGIANDO L’OPERATO DEL PONTEFICE

Chi è il misterioso benefattore che pagherà la sepoltura nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore di Papa Francesco? Nel testamento diffuso dalla sala stampa vaticana, infatti, c’è un riferimento alle spese per la preparazione della tomba del Pontefice. Ma Rolandas Makrickas, l’arciprete coadiutore della basilica papale di Santa Maria Maggiore, che ha ricevuto tutte le istruzioni per disporre della somma, si è chiuso nel silenzio.
Secondo ‘Affaritaliani.it’ la rosa degli ‘indiziati’ si sarebbe ridotta a due persone.
Si parla con insistenza di un lascito testamentario voluto da Silvio Berlusconi e affidato al secondogenito Piersilvio. In alternativa, la donazione (si parla di una cifra pari a un milione di euro) sarebbe arrivata dalla Corona di Spagna, voluta da Re Felipe VI e dalla Regina Letizia per ricordare la devozione del Paese alla Chiesa e alla Madonna.
Ma l’ipotesi Berlusconi, scrive Affaritaliani.it viene accreditata dai più visto lo sforzo di copertura delle reti Mediaset durante la malattia del Papa e dal momento della sua morte. Piersilvio Berlusconi ha mandato una mail a tutti i dipendenti elogiando professionalità e impegno ma anche tempestività, garbo e rigore, ”all’altezza del ruolo che siamo chiamati a svolgere”.
Il segreto sul benefattore, comunque, rimane ufficialmente custodito nel conto corrente bancario della Popolare di Sondrio, intestato al Capitolo di Santa Maria Maggiore con ‘causale’ Donazione Basilica Papale di Santa Maria Maggiore. Lo stesso Iban che viene usato per le donazioni delle persone ”qualunque”.

(da agenzie)

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IL METODO TRUMP PER TROVARE UN ACCORDO È UNA TRUFFA: L’IMPORTANTE È CONCLUDERE LA TRATTATIVA, NON IMPORTA COME

Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile

GLI USA VOGLIONO COSTRINGERE L’UCRAINA AD ACCETTARE UNA RESA TOTALE: LA CRIMEA E LE ZONE OCCUPATE ANDRANNO A PUTIN, E AL POVERO ZELENSKY MANCO UNA GARANZIA DI SICUREZZA

Mosca ha capito che Trump non è interessato a quale tipo di accordo stringere, basta averne uno.
Lo stesso principio Mosca lo ha insegnato all’Iran e i risultati si vedono: alla Casa Bianca importa poco se un accordo sul nucleare rimanga un rischio per Israele e tutto il medio oriente, se le garanzie di sicurezza e di sorveglianza sul progetto del nucleare iraniano sono reali o fittizie. Come va contro le priorità di Israele, lo sta facendo con l’Ucraina.
Il presidente americano, ascoltando Steve Witkoff, l’inviato speciale mandato a risolvere tutte le crisi e che negozia anche con gli iraniani, ha approvato un piano di pace che prevede la cessione da parte dell’Ucraina dei territori occupati da Mosca e il riconoscimento americano della Crimea come Russia.
Questo piano non prevede garanzie di sicurezza per Kyiv e gli americani erano pronti a imporlo agli ucraini durante il vertice di Londra, se non fosse che Volodymyr Zelensky li ha preceduti dichiarando che l’Ucraina non avrebbe mai riconosciuto la sovranità russa sulla Crimea, è anche una questione costituzionale.
Anziché vedere l’errore di un accordo punitivo e poco lungimirante, Trump ha accusato il presidente ucraino di “mandare avanti lo sterminio” con il suo rifiuto di cedere la Crimea.
“Può avere la Pace – scrive Trump sulla sua piattaforma Truth – oppure continuare a combattere per altri tre anni e perdere l’intero paese”. E conclude: “Siamo molto vicini a un accordo, ma l’uomo ‘che non ha le carte’ (autocitazione dall’incontro con Zelensky nello Studio ovale) adesso deve finalmente concludere”.
La logica di Trump e Witkoff è semplice: non negoziano per impedire in futuro che Putin attacchi di nuovo l’Ucraina o un altro paese ai suoi confini, non negoziano per evitare che Teheran venga privato della capacità di avere armi nucleari.
L’arte dell’accordo sta tutta nel concluderlo, indipendentemente dai costi futuri, dai tradimenti nei confronti degli alleati come Israele o come l’Ucraina, che in questo momento l’Amministrazione americana vede come dei piantagrane, “sabotatori” (come direbbe Araghchi) nel mezzo della sua strada facile e sbrigativa verso una pace ingiusta.
Gli Stati Uniti si sono mossi alle spalle di Kyiv, dalle parole di Trump emerge che un’intesa generale con Mosca esiste già. Anche il negoziato con Teheran è iniziato alle spalle di Israele, che su un accordo ora non ha voce in capitolo.

(da Il Foglio)

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SONDAGGIO: L’APPROVAZIONE DI TRUMP TRACOLLA AL 40%: UN CALO DI 7 PUNTI PERCENTUALI RISPETTO A FEBBRAIO, DOVUTO SOPRATTUTTO AI TIMORI PER L’ECONOMIA

Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile

IL 59% DEGLI AMERICANI NON È D’ACCORDO CON LA GUERRA COMMERCIALE INTAVOLATA DAL TYCOON, E IL 55% DISAPPROVA I TAGLI DEL “DOGE” MUSK

Con l’avvicinarsi del centesimo giorno del secondo mandato del presidente Donald Trump, il 40% degli americani approva il modo in cui sta svolgendo il suo incarico – un calo di 7 punti percentuali rispetto a febbraio.
E, sebbene Trump continui a ricevere alti consensi dai suoi sostenitori più convinti, molte delle sue principali azioni politiche sono viste più negativamente che positivamente dall’opinione pubblica:
Il 59% degli americani disapprova l’aumento delle tariffe doganali da parte dell’amministrazione, mentre il 39% le approva.
Il 55% disapprova i tagli che l’amministrazione sta attuando ai dipartimenti e alle agenzie federali, mentre il 44% li approva.
Anche l’uso dell’autorità esecutiva da parte di Trump è oggetto di critiche: il 51% degli adulti statunitensi afferma che sta definendo troppe politiche attraverso ordini esecutivi. Percentuali molto più basse ritengono che ne stia facendo il giusto numero (27%) o troppo pochi (5%).
Le opinioni degli americani (incluse quelle sull’economia e le tariffe) sono rimaste sostanzialmente invariate durante il periodo dell’indagine, tra il 7 e il 13 aprile.
Con molte delle azioni dell’amministrazione che affrontano sfide legali nei tribunali federali, vi è un ampio consenso – in gran parte bipartisan – sul fatto che l’amministrazione debba porre fine a un’azione se un tribunale federale la dichiarasse illegale.
Il 78% degli americani afferma che l’amministrazione Trump dovrebbe rispettare una sentenza di un tribunale federale, percentuale che sale all’88% se a pronunciarsi fosse la Corte Suprema.
Il 91% dei Democratici e il 65% dei Repubblicani ritiene che l’amministrazione debba interrompere un’azione se un tribunale federale la giudicasse illegale; questa percentuale aumenta al 95% tra i Democratici e all’82% tra i Repubblicani se a pronunciarsi fosse la Corte Suprema.
Tuttavia, l’ultimo sondaggio nazionale condotto dal Pew Research Center, svolto tra il 7 e il 13 aprile su un campione di 3.589 adulti, rileva differenze partitiche molto più marcate nella valutazione complessiva dell’operato di Trump e di alcune sue politiche chiave.
Sette Repubblicani o indipendenti filo-repubblicani su dieci (o più) approvano:
La performance di Trump come presidente (75%
I tagli dell’amministrazione al governo federale (78%)
L’aumento dei dazi doganali (70%)
L’abolizione delle politiche di diversità, equità e inclusione (DEI) nel governo federale (78%)
Per contro, maggioranze ancora più ampie tra i Democratici e gli indipendenti filo-democratici esprimono disapprovazione nei confronti di:
La performance di Trump come presidente (93%)
I tagli dell’amministrazione al governo federale (89%)
L’aumento dei dazi doganali (90%)
L’abolizione delle politiche DEI nel governo federale (86%)
L’attuale indice di approvazione di Trump, pari al 40%, è in linea con quello registrato nello stesso periodo del suo primo mandato. Tuttavia, rimane inferiore a quello di altri presidenti recenti nei primi mesi della loro presidenza.
Tra i predecessori di Trump, a partire da Ronald Reagan, l’unico altro presidente che non ha goduto del sostegno della maggioranza dopo 100 giorni in carica è stato Bill Clinton (49% di approvazione nell’aprile del 1993).
Nell’aprile 2021, il tasso di approvazione di Joe Biden era del 59%, anche se sarebbe sceso significativamente al 44% entro settembre dello stesso anno.
Con le loro stesse parole: come gli americani valutano i primi mesi della presidenza Trump
Quando è stato chiesto agli americani cosa apprezzano di più — e di meno — delle azioni dell’amministrazione finora, sono emersi temi simili in entrambe le domande, sebbene con intensità diverse.
Azioni sull’immigrazione
Le azioni in materia di immigrazione sono in cima alla lista delle cose che gli americani dicono di apprezzare maggiormente dell’amministrazione: il 20% cita l’immigrazione, inclusi il 7% che menziona specificamente le espulsioni promosse da Trump. Tuttavia, le azioni in materia di immigrazione, comprese le deportazioni, sono anche indicate dall’11% degli americani come l’aspetto che meno apprezzano dell’amministrazione.
Approccio alla governance
Circa due americani su dieci (22%) descrivono un aspetto dell’approccio di Trump al governo come ciò che apprezzano di meno dell’amministrazione. Questo include riferimenti alla “negligenza” (3%), alle nomine nel Gabinetto e in altri incarichi (2%), alla percezione di attacchi contro studi legali e università (2%), e a termini come “autoritario” o “dittatore” (3%). Al contrario, l’11% degli americani cita il fatto che “mantiene le promesse” o “porta a termine le cose” come l’aspetto che più apprezzano.
La fiducia nella gestione dell’economia da parte di Trump – a lungo considerata
un suo punto di forza – è diminuita.
Attualmente, il 45% degli americani esprime fiducia nella capacità di Trump di prendere buone decisioni sull’economia, il valore più basso registrato per lui nei sondaggi del Pew Research Center a partire dal 2019. Tuttavia, il suo indice di fiducia economica rimane più alto rispetto a quello di Biden durante tutta la sua presidenza. Circa la metà (48%) esprime fiducia in Trump sull’immigrazione – l’ambito in cui riceve il punteggio più alto.
Metà degli americani afferma che le politiche di Trump stanno indebolendo la posizione internazionale degli Stati Uniti rispetto a quelle di Biden.
Circa quattro su dieci (38%) ritengono invece che le politiche di Trump stiano rafforzando la posizione internazionale degli Stati Uniti. Le opinioni sull’impatto delle sue politiche sull’economia sono quasi identiche.

(da agenzie)

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COSA PENSANO GLI ITALIANI DELL’EUROPA: L’ULTIMO SONDAGGIO SVELA LE OPINIONI SULL’UE

Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile

FIDUCIA NELLA COLLABORAZIONE EUROPEA, MA MENO OTTIMISMO SUL FUTURO PERSONALE

Quando si parla di Europa, le opinioni si dividono spesso tra entusiasmo e scetticismo. Ma cosa pensano davvero i cittadini? Per capirlo, ogni anno il Parlamento europeo commissiona una serie di sondaggi, l’Eurobarometro, che raccoglie le opinioni dei cittadini dei 27 Paesi membri su temi che riguardano l’Unione e il suo ruolo nel mondo. L’edizione invernale del 2025 fotografa un momento delicato: tra instabilità internazionale, cambiamenti climatici, sfide tecnologiche e crisi economiche, l’Unione Europea è chiamata a rafforzare la propria voce e la propria capacità di azione. Ma cosa si aspettano le persone? Dove vedono i punti di forza dell’UE? Dove, invece, notano delle mancanze?Guardare ai risultati italiani permette di cogliere un sentimento diffuso: un misto di realismo, aspettativa, ma anche distanza. Il confronto con la media europea è utile per capire non solo cosa pensiamo noi, ma anche come ci collochiamo nel contesto più ampio dei popoli europei.
Il ruolo dell’UE nel mondo: cresce l’importanza, ma l’Italia resta prudente
Alla domanda su come cambierà il ruolo dell’Unione Europea nel mondo nei prossimi anni, il 44% degli europei risponde che sarà “più importante”. Anche in Italia questa visione è condivisa (43%), ma affiancata da una maggiore prudenza e incertezza: una percentuale significativa di italiani (5%) dichiara di non avere un’opinione, contro il 3% della media europea. Questo piccolo scarto può sembrare marginale, ma racconta qualcosa di più profondo: una distanza emotiva o forse una mancanza di riferimenti concreti. In Italia si percepisce un certo scollamento tra l’istituzione “Europa” e la vita quotidiana; è come se molti cittadini faticassero a riconoscere il ruolo dell’UE nei grandi scenari internazionali, o comunque non lo sentissero del tutto vicino
Difesa e sicurezza: fiducia nell’UE, ma con qualche riserva
In uno scenario globale sempre più instabile, il tema della sicurezza è tornato prepotentemente al centro del dibattito. E qui l’Unione Europea viene vista come un attore importante. Il 66% degli europei crede che l’UE abbia un ruolo fondamentale nella protezione dalle crisi internazionali e dalle minacce alla sicurezza. Anche in Italia questo giudizio è condiviso dal 63% dei cittadini. Ma, ancora una volta, l’adesione italiana sembra più contenuta, più fredda. Non c’è infatti un netto rifiuto, ma nemmeno un’adesione convinta. È come se l’Unione fosse vista più come una necessità pratica che come un progetto politico sentito. Un ombrello utile, dunque, ma non sempre affidabile.
Su cosa dovrebbe concentrarsi l’UE? Le priorità di italiani ed europei
Agli intervistati è stato chiesto poi cosa dovrebbe fare l’UE per contare di più a livello globale. Le risposte mostrano una certa coerenza tra i diversi Paesi: la competitività economica e industriale è indicata come una delle priorità principali (32% in Italia, 34% in Europa). In un contesto dove le grandi potenze, Cina, Stati Uniti, India, si contendono la leadership economica, rafforzare l’industria europea appare una scelta quasi obbligata. Ma accanto alla crescita economica, emergono anche nuove urgenze: in Italia, ad esempio, il 36% dei cittadini ritiene fondamentale investire nella difesa e nella sicurezza comune, una percentuale superiore alla media europea (31%). Anche l’indipendenza energetica è vista come strategica: il 33% degli italiani la indica come priorità, contro il 27% degli europei. Non è un caso: la guerra in Ucraina e il caro bollette hanno reso evidente quanto l’energia sia una questione non solo economica, ma geopolitica.
C’è poi un’attenzione italiana verso la sicurezza alimentare (25%) che supera quella della media europea (23%). Un segnale che riflette, forse, la centralità della filiera agroalimentare nel nostro Paese, ma anche una maggiore preoccupazione per la stabilità e la qualità dell’alimentazione.
Un’Europa più unita? Gli italiani dicono sì
L’idea poi che l’Unione Europea debba essere più coesa raccoglie consensi ovunque: l’89% degli europei, e l’88% degli italiani, è convinto che gli Stati membri debbano collaborare più strettamente per affrontare le sfide globali. È uno dei dati più chiari e trasversali del sondaggio: l’unità, dunque, non è solo auspicata, è sentita come necessaria.
Ma l’Italia si distingue anche per un’altra convinzione: per funzionare davvero, l’Unione ha bisogno di più strumenti e più risorse. Lo pensa l’82% degli italiani, contro il 76% della media UE. Questo dato riflette forse una certa frustrazione: l’idea che l’Europa “potrebbe fare di più”, ma non le viene concesso il potere necessario.
Le vere preoccupazioni dei cittadini: inflazione, lavoro, povertà
Quando si passa dalle strategie globali ai bisogni quotidiani, le risposte diventano ancora più indicative. Gli italiani indicano con forza tre priorità:
Il costo della vita, spinto dall’inflazione, è la prima preoccupazione (43%).
Segue il lavoro, che in Italia preoccupa molto di più rispetto alla media europea (37% contro 29%).
Terza, ma non meno importante, è la lotta alla povertà e all’esclusione sociale (31%).
Qui si vede bene come le priorità siano tangibili, quotidiane, legate alla qualità della vita reale. E si nota anche un maggiore interesse per temi come l’aiuto allo sviluppo e l’uguaglianza di genere, che in Italia ricevono un’attenzione leggermente superiore rispetto alla media europea. In controtendenza, invece, il tema della migrazione: per il 22% degli europei è una priorità, in Italia lo è solo per il 13%. Un dato che va interpretato con attenzione: più che disinteresse, potrebbe indicare un assestamento del dibattito dopo anni di emergenze percepite.
Il futuro personale? Gli italiani ci credono poco
Infine, il dato forse più amaro: solo l’11% degli italiani pensa che il proprio tenore di vita migliorerà nei prossimi cinque anni. È una delle percentuali più basse in Europa: la maggioranza (76%) pensa che non cambierà nulla, mentre un altro 11% si aspetta un peggioramento. Non si tratta necessariamente di pessimismo, ma piuttosto di una visione stanca e forse disillusa. Come se il cambiamento positivo fosse visto come qualcosa di raro, quasi improbabile.
(da Fanpage)

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DOMANDA: SE PUTIN VENISSE AI FUNERALI DEL PAPA SAREBBE ARRESTATO? NO, PERCHE’ SIAMO DEI CACASOTTO

Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile

IL GOVERNO DEI VILI NON HA MAI RESO ESECUTIVO IL MANDATO DI CATTURA PER CRIMINI DI GUERRA… E IN OGNI CASO PUTIN NON VERREBBE PERCHE’ HA UNA PAURA FOTTUTA CHE QUALCUNO LO GIUSTIZI ALL’ESTERO

I funerali di Papa Francesco, in programma sabato 26 aprile, richiameranno da tutto il mondo numerosi leader politici, cosa che richiederà un forte impegno diplomatico (basta pensare a Donald Trump e Volodymyr Zelensky, e come è andato il loro ultimo incontro). Una persona che certamente non ci sarà, e che d’altra parte avrebbe fatto montare le tensioni diplomatiche in modo forse ingestibile, è Vladimir Putin. Al suo posto verrà la ministra della Cultura Olga Ljubimova. Sul presidente russo pende un mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale a marzo del 2023 per crimini di guerra. Ma la verità è che, in Italia, Putin non avrebbe problemi. Quel mandato infatti non è mai
stato reso esecutivo dal ministero della Giustizia.
La questione è sia giuridica che politica. È noto che il governo Meloni non veda di buon occhio la Corte dell’Aja. L’ha criticata per il mandato d’arresto nei confronti del premier israeliano Netanyahu e soprattutto l’ha attaccata nel caso Almasri.
Con Vladimir Putin si pone in parte la stessa questione che era emersa con Benjamin Netanyahu, ovvero la possibilità che uno Stato decida di non arrestare una persona – nonostante il mandato di cattura internazionale – se questa è un capo di governo in carica.
Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, il mandato di arresto spiccato nei confronti di Putin il 17 marzo 2023 è arrivato negli uffici del ministero della Giustizia e da lì non si è mai mosso. Il ministro Nordio non lo ha trasmesso alla Procura generale di Roma: il passo necessario perché da qui arrivasse alla Corte d’Appello e quindi diventasse esecutivo.
In sostanza, se oggi il presidente russo si trovasse in Italia nessuna forza di polizia avrebbe il diritto di arrestarlo. Se questo avvenisse sarebbe una sorta di ripetizione del caso Almasri: non essendosi attivato il ministero della Giustizia, nel giro di poche ore dovrebbe arrivare obbligatoriamente la scarcerazione.
Come detto, la questione è sia giuridica che politica. Il diritto internazionale, infatti, lascia uno spiraglio per quei Paesi che non vogliono arrestare i capi di governo in carica. Queste persone tecnicamente hanno immunità quasi assoluta dai processi e anche dagli arresti e le altre forme di coercizione.
Ciò non toglie che un Paese come l’Italia, che aderisce allo Statuto di Roma che regola la Corte penale internazionale, ha allo stesso tempo l’obbligo di rispettare i suoi mandati di arresto. Anche perché la stessa Corte ha già sostenuto che questa immunità non debba valere per i crimini di guerra, il genocidio e i crimini contro l’umanità.
In questo caso però evidentemente ha prevalso la ragione politica. E se per il premier israeliano Netanyahu il governo ha ammesso più o meno apertamente che non verrebbe arrestato se entrasse in Italia, per Vladimir Putin la cosa è passata sotto traccia. Per di più, anche altri alti funzionari russi sono colpiti da un mandato di arresto internazionale. Per loro non c’è immunità che tenga. Eppure anche nei loro casi il governo italiano non si è mosso, lasciando inattivi i mandati di cattura.
(da agenzie)

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RAYMOND LEO BURKE , CONSIDERATO L’ANTI-FRANCESCO, SI CONCIA COME MALGIOGLIO: ADORA I PARAMENTI TRADIZIONALI COME LO STRASCICO E I CAPPELLONI A TESA LARGA

Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile

LA LUNGA SERIE DI SCAZZI CON IL PAPA ARGENTINO… IL NEGAZIONISMO SUL COVID E L’AMICIZIA CON BANNON

Raymond Leo Burke, il cardinale trumpiano che in questi anni ha guidato la fronda ultraconservatrice contro papa Francesco, si avvia a testa bassa e passo svelto verso la riunione ma viene raggiunto di corsa da un premuroso segretario che gli fa cambiare traiettoria e evitare il crocchio di giornalisti che lo aspettano al varco.
Michael Czerny e Timothy Radcliffe lo hanno già capito, sbucano da dietro il colonnato berniniano e infilano il cancello chiacchierando tra di loro, l’uno (il gesuita) vestito di rosso l’altro (il domenicano) non ha rinunciato alla veste bianca.
Fernando Filoni passa ma sta parlando al telefono e fa ciao ciao con la mano, Gianfranco Ghirlanda risolve il problema entrando direttamente in macchina, Gianfranco Ravasi affronta impavido la selva di microfoni e telecamere: «Papa Francesco voleva essere sepolto sotto l’ombra di una donna, Maria», dice parlando di Santa Maria Maggiore, «è il segno del desiderio che aveva che la Chiesa facesse di più per le donne ».
In Vaticano è iniziato il dopo Bergoglio, l’aria mesta del lutto si mescola velocemente al brivido dell’elezione del successore. Da qui al Conclave i cardinali si riuniranno quasi ogni giorno in “congregazioni generali”, la prima si è svolta ieri mattina, un’ora e mezza per decidere quello che in realtà era già deciso – la salma del Papa sarà esposta da oggi a San Pietro, i funerali saranno sabato – ma soprattutto per dare l’abbrivio alla grande macchina del Conclave.
I cronisti provano a carpire qualche notizia, le prime indicazioni sul prossimo Papa, le priorità per la Chiesa del futuro, ma niente. È il momento delle incombenze procedurali, a partire dal giuramento della segretezza «su tutto ciò che in qualsiasi modo abbia attinenza con l’elezione del Romano Pontefice». La seconda congregazione generale si tiene questo pomeriggio ma solo dopo i funerali di Francesco inizieranno le vere e proprie discussioni per individuare l’identikit del successore.
CHI È RAYMOND LEO BURKE? IL CARDINALE NATO NEL
WISCONSIN
Il più grande critico di Papa Francesco,tradizionalista e anti-vaccinista che sarebbe il primo pontefice americano, è tra i principali candidati alla sua successione. Il cardinale Raymond Leo Burke, 76 anni, è su posizioni diametralmente opposte al Papa su quasi tutte le questioni controverse che affronta la Chiesa cattolica.
Leader de facto dell’ala conservatrice della Chiesa, è noto per la sua opposizione intransigente a qualsiasi apertura nei confronti delle persone LGBTQ, dei divorziati e del ruolo delle donne.
Francesco è arrivato a essere così in disaccordo con Burke da rimuoverlo dal ruolo di prefetto della Segnatura Apostolica, il tribunale supremo della Chiesa, e da privarlo perfino del suo appartamento gratuito a Roma.
Con il peggiorare delle condizioni di salute del papa, alle prese con una polmonite, Burke è con ogni probabilità il cardinale che Francesco meno vorrebbe vedere come suo successore.
I cardinali sono eleggibili al conclave solo fino agli 80 anni, ma solitamente vengono eletti in età più giovane; Francesco stesso, tuttavia, aveva 76 anni al momento della sua elezione, e il suo predecessore Benedetto XVI ne aveva 78.
Burke è nato in una cittadina rurale del Wisconsin, il più giovane di sei figli di Thomas e Marie Burke, entrambi di origine cattolica irlandese.
È cresciuto in una fattoria casearia fino a quando, nel 1955, suo padre fu colpito da un tumore al cervello, quando Burke frequentava la seconda elementare.
Mentre Thomas Burke era in fin di vita, riceveva regolarmente la comunione da un sacerdote del luogo, cosa che lasciò un’“impressione enorme” sul giovane Raymond.
Burke entrò nel Seminario Holy Cross a La Crosse, Wisconsin, e, dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1975, servì come parroco e insegnante di liceo.
Il vescovo lo mandò poi alla Pontificia Università Gregoriana di Roma per studiare diritto canonico, una prospettiva che, come Burke ha ammesso, inizialmente non lo entusiasmava.
Fu però un sacerdote più anziano a notare la sua demotivazione e a prenderlo sotto la propria ala: Burke si appassionò al diritto canonico, disciplina di cui oggi è considerato uno dei massimi esperti.
Nel 2004 fu nominato arcivescovo di Saint Louis, incarico che mantenne fino al 2008, quando Benedetto XVI lo chiamò a Roma per nominarlo prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, la corte più alta della Chiesa.
Due anni dopo, il papa lo creò cardinale.Diventato progressivamente una figura di spicco tra i tradizionalisti più intransigenti, Burke entrò in rotta di collisione con il nuovo papa riformista Francesco già nel primo anno del suo pontificato.
Nel dicembre 2013, Francesco rifiutò di rinnovare la nomina di Burke come membro della Congregazione per i Vescovi, l’organismo che assiste il papa nella selezione dei nuovi vescovi.
«Si ha l’impressione — o così viene interpretato dai media — che lui pensi che parliamo troppo di aborto, troppo dell’integrità del matrimonio inteso come unione tra un uomo e una donna», rispose Burke.
«Ma su questi temi non possiamo mai parlare abbastanza.»
Nel ottobre 2014, fu talmente indignato dal fatto che il Sinodo sulla Famiglia vaticano avesse proposto di ammorbidire l’approccio papale all’omosessualità, che decise di intervenire pubblicamente.
«Molti mi hanno espresso le loro preoccupazioni. In questo momento molto critico, c’è una forte sensazione che la Chiesa sia come una nave senza timone», disse.
«Si sentono un po’ con il mal di mare, perché avvertono che la nave della Chiesa ha perso la rotta.»
Un rapporto preliminare diffuso dall’incontro confidenziale rivelava la proposta di superare l’approccio del “tutto o niente” che i cattolici hanno storicamente mantenuto nei confronti delle situazioni “irregolari”, come i genitori non sposati.
Aggiungeva che vi sono “elementi positivi” nelle relazioni omosessuali che possiedono “doni e qualità” che la Chiesa non dovrebbe rifiutare.
Quello stesso anno, Francesco aveva anche dichiarato che la teoria dell’evoluzione di Darwin non contraddice la fede nella creazione divina dell’universo, e quando gli era stato chiesto del matrimonio gay aveva risposto: «Chi sono io per giudicare?»

Il papa reagì rimuovendo Burke dal Tribunale Supremo e nominandolo patrono dell’Ordine Sovrano Militare di Malta, un incarico perlopiù cerimoniale.
All’epoca, Francesco insistette che il cambiamento era stato deciso mesi prima e che non si trattava di una punizione, ma gli eventi furono ampiamente interpretati come collegati.
Solo tre anni più tardi, Francesco spogliò Burke di tutti i suoi incarichi effettivi nell’Ordine, lasciandogli solo il ruolo onorifico, dopo che quest’ultimo aveva cospirato per rimuovere un alto funzionario che aveva autorizzato l’acquisto di preservativi per la popolazione del Myanmar
Il papa inviò un “delegato speciale” per esercitare le funzioni del patrono, e fu successivamente confermato che Burke era stato “di fatto sospeso”.
Burke fu esplicito nella sua condanna dei preti pedofili durante la crisi che travolse la Chiesa, ma attribuì ripetutamente la colpa al femminismo e all’omosessualità
Nell’agosto 2015 affermò che la responsabilità era del “femminismo radicale che ha assaltato la Chiesa e la società fin dagli anni Sessanta”.
Poi, nel 2019, insieme al cardinale tedesco Walter Brandmüller, sostenne che la “colpa principale” dello scandalo era da attribuire alla “piaga dell’agenda omosessuale”, e non ai sacerdoti stessi.
Burke dichiarò che i preti colpevoli di abusi su minori “erano femminilizzati e confusi circa la propria identità sessuale”.
Il successivo grande scontro di Burke con papa Francesco avvenne nel 2016, quando fu uno dei quattro cardinali conservatori che lo sfidarono pubblicamente sulla dottrina.
Invitarono Francesco a chiarire alcuni punti attraverso una serie di “dubia”, o dubbi, che resero pubblici dopo che il papa non rispose formalmente.
Al centro del contendere c’erano alcuni insegnamenti contenuti in un documento di 260 pagine intitolato Amoris Laetitia (La gioia dell’amore), un testo fondamentale nel tentativo di Francesco di rendere la Chiesa più inclusiva e meno condannante.
Francesco auspicava una Chiesa meno rigida e più compassionevole verso i membri “imperfetti”, come i divorziati risposati, affermando che “nessuno può essere condannato per sempre”.
Francesco sembrò schierarsi con i progressisti che proponevano il cosiddetto
“foro interno”, in cui un sacerdote o un vescovo, in dialogo personale con l’individuo, valutano caso per caso […]. I conservatori contestarono questi sviluppi e i quattro cardinali chiesero al papa di “risolvere quei dubbi che sono causa di disorientamento e confusione”.
Un dubia è generalmente considerato una sfida formale, seppur formulata in modo educato, alle parole di un papa, alla quale il pontefice può scegliere di rispondere con un responda per chiarire la propria posizione.
Burke irrigidì la propria posizione dopo che Francesco non rispose, minacciando in più occasioni di “correggerlo formalmente”.
“È qualcosa che chiaramente è piuttosto raro. Ma se non vi è risposta a queste domande, allora direi che si tratterebbe di compiere un atto formale di correzione di un grave errore,” affermò.
Ribadì questa posizione nell’aprile 2018, insistendo: “Come questione di dovere, il papa può essere disobbedito”.
Burke e l’altro conservatore Athanasius Schneider pubblicarono quindi una replica a quelli che ritenevano essere errori contenuti nell’agenda del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica del 2019.
Scrissero che essa sembrava “non solo in dissonanza con il vero insegnamento della Chiesa, ma persino contraria ad esso”
Sostenevano che vi fosse un “panteismo implicito” nella sua apertura ai riti pagani delle tribù indigene, soprattutto alla luce di precedenti dichiarazioni di Francesco secondo cui la “diversità di religioni” sarebbe “voluta da Dio”.
I due si opposero anche a quanto ritenevano fosse un sostegno al clero sposato e a un ruolo maggiore delle donne nella liturgia.
Burke fece affermazioni forti sulle conseguenze di consentire alle donne un ruolo più ampio nella Chiesa — perfino per quanto riguarda le ragazze che servono come chierichette.
“I ragazzini non vogliono fare cose insieme alle bambine. È semplicemente naturale. Le bambine erano anche molto brave nel servire all’altare. Così molti ragazzi col tempo si allontanarono,” disse.
Egli affermò che la Chiesa stava venendo “femminilizzata” e che il “femminismo radicale” che “ha assalito la Chiesa e la società dagli anni ’60 ha lasciato gli uomini molto emarginati”.
Altrettanto netta fu la condanna di Burke nei confronti del matrimonio tra
persone dello stesso sesso, durante il periodo in cui il tema era in discussione negli Stati Uniti, e invitò i cattolici a non votare per alcun politico che lo sostenesse.
Burke fu anche un critico esplicito dei vaccini anti-Covid durante la pandemia, poiché alcuni di essi erano stati sviluppati con l’ausilio della ricerca sulle cellule staminali.
Arrivò persino a rilanciare una bizzarra e smentita teoria del complotto secondo cui i vaccini conterrebbero microchip che permetterebbero allo Stato di “controllare le persone riguardo alla salute e ad altre questioni che possiamo solo immaginare”.
Burke affermò anche falsamente che il vaccino faceva parte di un sinistro complotto per “promuovere la loro agenda malvagia” e facilitare un’altra teoria del complotto, quella del “Grande Reset”.
Contrasse poi lui stesso una forma grave di Covid e fu intubato per circa una settimana, ma si riprese completamente.
Uno dei temi su cui Francesco e Burke non sono in disaccordo è l’aborto, condannato in larga parte dai cattolici, ma il papa ha criticato il cardinale per aver posto maggiore enfasi su altre questioni.
Burke arrivò a chiedere che ai politici americani cattolici favorevoli al diritto all’aborto, come John Kerry e Joe Biden (che menzionò esplicitamente), fosse negata la comunione.
Sosteneva che non farlo “indebolisce la fede di tutti. Dà l’impressione che debba essere moralmente corretto sostenere l’aborto procurato.”
Il tradizionalismo di Burke si estende anche alla sua insistenza sull’uso della Messa tridentina, risalente al XVI secolo e celebrata in latino.
Francesco, nel 2021, ha limitato le circostanze in cui era consentito l’uso della Messa tridentina, sostenendo che essa rappresentava un punto di aggregazione per la resistenza tradizionalista ai cambiamenti modernizzatori del Concilio Vaticano II del 1962.
Burke definì queste restrizioni “severe e rivoluzionarie” e mise in discussione l’autorità del papa di emetterle, in una lunga replica scritta.
Posizioni tanto tradizionaliste portarono a un piccolo scandalo quando fu fotografato con un galero, un cappello a larga tesa ormai desueto, un tempo indossato dai cardinal
Burke cercò di chiarire l’episodio al National Catholic Register nel 2015, spiegando che si trattava di un regalo ricevuto dall’organizzatore di una conferenza sulla liturgia a cui aveva partecipato in una diocesi del sud Italia.
“Non ho idea di dove l’abbia preso. Lo tenevo in mano e ovviamente non avevo alcuna intenzione di indossarlo regolarmente, ma mi chiese di metterlo per almeno una foto,” raccontò.
“È stata l’unica volta in cui ho messo quel cappello sulla testa, ma, purtroppo, quella foto è stata pubblicata in tutto il mondo, e qualcuno la usa per dare l’impressione che io vada in giro così. Ma non l’ho mai indossato, nemmeno per una cerimonia.”
Sia il papa che Burke hanno più volte insistito sul fatto di non considerarsi “nemici”, nonostante i frequenti scontri.
Francesco disse esplicitamente “Non considero il cardinale Burke un nemico” nel 2017, dopo le conseguenze del dubia dell’anno precedente.
Il papa smentì poi un resoconto secondo cui avrebbe definito Burke un nemico durante un incontro del 20 novembre 2023 con i capi dei dicasteri vaticani, convocato per discutere della punizione inflitta al cardinale per le sue ultime critiche al pontefice.
Il mese precedente, Burke aveva nuovamente sfidato Francesco riguardo alle benedizioni per le coppie dello stesso sesso e alla comunione per i cattolici divorziati.
Francesco rispose questa volta con una lettera in cui confermava e rafforzava la sua posizione, revocando parzialmente il divieto per i sacerdoti di impartire benedizioni a coppie gay — a patto che non si desse l’impressione che la relazione fosse equivalente al matrimonio eterosessuale.
Durante la riunione, fu deciso che Burke aveva usato i suoi privilegi contro la Chiesa, e gli furono revocati l’appartamento gratuito a Roma e lo stipendio mensile di 5.000 euro.
Burke giurò che sarebbe rimasto a Roma anche pagando un alloggio di tasca propria, ma continuò a negare di considerare Francesco un nemico.“È chiaro che il papa non mi vuole in alcuna posizione di leadership, che non mi vede come il tipo di persona a cui affidare una direzione forte delle cose,” disse al New York Times
“Ma non ho mai avuto l’impressione che pensasse che fossi suo nemico
“Quando ho visto direzioni che giudicavo dannose nella Chiesa, quando ho assistito a tutta questa discussione nel sinodo sulla famiglia che metteva in discussione le fondamenta dell’insegnamento della Chiesa sulla sessualità umana, ho dovuto intervenire perché era mio dovere.”
Nella stessa intervista, Burke cercò anche di minimizzare il suo legame con Steve Bannon, alleato di Donald Trump e fervente cattolico.
Ha servito nel consiglio dell’Dignitatis Humanae Institute, gruppo di attivismo cattolico di destra fondato da Bannon, fino a quando si dimise nel 2019 e ruppe i rapporti con lui per via del progetto di realizzare un adattamento cinematografico del libro In the Closet of the Vatican.
Burke dichiarò di aver incontrato Bannon solo tre o quattro volte “per discutere dell’insegnamemento cattolico”, come farebbe qualsiasi sacerdote con “un membro del laicato”.
(da agenzie)

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COME SI SVOLGERÀ IL FUNERALE DI PAPA FRANCESCO? LE ESEQUIE VERRANNO CELEBRATE SABATO 26 APRILE, ALLE 10, DAL CARDINALE DECANO GIOVANNI BATTISTA RE

Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile

AL CENTRO DEL SAGRATO DI PIAZZA SAN PIETRO CI SARÀ LA BARA DI BERGOGLIO, A SINISTRA I CARDINALI E A DESTRA LE DELEGAZIONI DEI CAPI DI STATO E DI GOVERNO (TRA GLI ALTRI, SONO ATTESI TRUMP, ZELENSKY, VON DER LEYEN, MACRON E GUTERRES) … 500 MILA I FEDELI PREVISTI PER IL FUNERALE CHE TERMINERÀ CON IL CORTEO VERSO SANTA MARIA MAGGIORE, DOVE VERRA’ SEPOLTO BERGOGLIO

Un appuntamento di tutti, o quasi, i leader mondiali per l’ultimo saluto a papa Francesco. Si ritroveranno uno accanto all’altro sabato mattina alle 10 a San Pietro alla sinistra del feretro del Pontefice che più di tutti ha lottato per la pace in quella che aveva definito «la terza guerra mondiale a pezzi».
Sarà una giornata complessa per i vertici dell’ordine pubblico e dell’ intelligence impegnati nella sicurezza dell’evento, al quale seguirà fra due ali di folla un altro momento storico con la partecipazione di 250 mila persone: il trasferimento delle spoglie del Santo Padre nella Basilica di Santa Maria Maggiore per la tumulazione lungo un percorso di circa sei chilometri in pieno centro storico.
Per domani è previsto l’arrivo a Roma del presidente americano Donald Trump con la first lady Melania, una settimana dopo la visita del suo vice JD Vance, l’ultimo ad aver incontrato Francesco. Ci sarà anche Volodymyr Zelensky, presidente ucraino con il quale il tycoon non parla di persona dal burrascoso incontro di un mese fa alla Casa Bianca. Con lui la moglie Olena.
Non ci sarà invece Vladimir Putin, ma in rappresentanza della Federazione russa è stata annunciata la presenza della ministra della Cultura Olga Ljubimova. Atteso infine il segretario generale dell’Onu António Guterres.
Al momento Pechino è invece ferma al messaggio di cordoglio del ministro degli Esteri Guo Jiakun, al quale non ha fatto seguito alcun annuncio su una delegazione in Vaticano. Per Taiwan presente Chen Chien-Jen, ex vicepresidente e già premier, amico di Bergoglio che ha incontrato sei volte.
Dopo le polemiche per il silenzio di Benjamin Netanyahu e per la decisione del ministero degli Esteri di cancellare un messaggio di cordoglio per Francesco, che si è espresso a più riprese contro i bombardamenti a Gaza usando anche la parola «genocidio», la rappresentanza di Tel Aviv a San Pietro sarà affidata all’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Yaron Zeidman.
Nutrita la rappresentanza del Vecchio Continente, a cominciare dalle istituzioni Ue: la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, i presidenti del Consiglio António Costa e del Parlamento Roberta Metsola
Quindi il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco uscente Olaf Scholz con il presidente Frank-Walter Steinmeier, il premier britannico Keir Starmer, il presidente polacco Andrzej Duda, i suoi colleghi Marcelo Rebelo de Sousa (Portogallo) con il premier Luís Montenegro, Tamas Sulyok (Ungheria) forse anche con il primo ministro Viktor Orbán, Michael Higgins (Irlanda) con il premier Michael Martin, Alexander Van der Bellen (Austria) con il cancelliere Christian Stocker, Natasa Pirc Musar (Slovenia) con il primo ministro Robert Golob, e Zoran Milanovic (Croazia) con il capo del governo Andrej Plenkovic.
Poi i capi di Stato dei Paesi baltici: Gitanas Nauseda (Lituania), Edgars Rinkevics (Lettonia) e Alar Karis (Estonia). E ancora: il primo ministro belga Bart De Wever, con l’olandese Dick Schoof, il greco Kyriakos Mitsotakis, lo svedese Ulf Kristersson, la vicepremier spagnola Maria Jesús Montero.
Confermata la presenza del principe William per il Regno Unito, del re e della regina del Belgio Filippo e Mathilde, dei reali olandesi Guglielmo Alessandro e la moglie Maxima, del sovrano svedese Carlo XVI Gustavo e della regina Silvia. I principi ereditari norvegesi Haakon e Mette-Marit, Alberto II e la moglie Charlène Wittstock del Principato di Monaco, re Felipe VI di Spagna e la regina Letizia.
Anche per la presenza di numerose delegazioni straniere, oltre alle massime istituzioni italiane, il piano di sicurezza prevede percorsi blindati per i cortei in arrivo e poi in partenza dagli aeroporti di Fiumicino e Ciampino. Bonifiche continue nell’area di San Pietro con una zona rossa allargata, varchi per i filtraggi con i metal detector, divieti di accesso anche a piedi. Riprese video in 3D dall’alto, tiratori scelti, bazooka antidroni. In campo ci saranno quasi 11 mila uomini (sono state sospese le ferie e i permessi, tutti sono stati richiamati in servizio).
(da agenzie)

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UN FACCIA A FACCIA INFORMALE TRA URSULA VON DER LEYEN E DONALD TRUMP, AI FUNERALI DI PAPA FRANCESCO, AFFONDEREBBE IL SUPER SUMMIT SOGNATO DA GIORGIA MELONI CHE IMMAGINAVA DI TRONEGGIARE COME UNA MATRONA ROMANA AL TAVOLO DEI NEGOZIATI USA-UE

Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile

IL SUO RUOLO DI “GRANDE TESSITRICE” FINIREBBE NEL CASSETTO, SVELANDO IL NULLA COSMICO DIETRO AL VIAGGIO ALLA CASA BIANCA DELLA SCORSA SETTIMANA… MACRON-MERZ-TUSK-SANCHEZ NON VOGLIONO ASSOLUTAMENTE LA MELONI NEL RUOLO DI MEDIATRICE, PERCHÉ NON LA CONSIDERANO EQUIDISTANTE

Ieri “Repubblica” ha dato contezza dell’irritazione di Giorgia Meloni per Il possibile incontro tra Ursula von der Leyen e Donald Trump, a Roma, a margine del funerale di Papa Francesco, sabato 26 aprile.
Un faccia a faccia tra i due leader bypasserebbe le ambizioni della premier, che vuole a tutti i costi essere il pontiere tra Washington e Bruxelles, ed è faticosamente riuscita a strappare a Trump la promessa di sedersi a un tavolo con i vertici europei a Roma
Il sogno della diplomata alla scuola professionale Amerigo Vespucci è di troneggiare, nel ruolo di Richelieu in gonnella, al centro di un tavolo di negoziati ai cui lati dovrebbero esserci Donald Trump e il suo segretario al Tesoro, Scott Bessent, e Ursula von der Leyen e il Presidente del Consiglio europeo, il portoghese Antonio Costa per l’Ue.
Come scrive Simone Canettieri sul “Foglio”, “Giorgia Meloni lavora a un incontro tra Europa e Usa fra maggio e giugno a Roma, come si sa. Se poi sabato Ursula e Donald si stringeranno la mano, tanto di guadagnato, ma la premier non vuole caricare l’evento di aspettative.
Il rischio è chiaro a tutti dalle parti del governo: sminuire la portata del viaggio alla Casa Bianca della scorsa settimana, inciampare in un incontro che, se non ben preparato dai rispettivi sherpa, potrebbe far saltare anche quello futuro”.
Se Ursula e Donald si incontrano sabato, il summit immaginato dalla premier per celebrare il suo ruolo internazionale di “grande tessitrice” finirebbe nel cassetto.
Cosa che non dispiacerebbe affatto al gruppetto degli euro-leader Macron-Merz-Tusk-Sanchez, che non gradiscono l’attivismo della Statista from Garbatella, né il suo ipotetico ruolo di “arbitro” tra Usa e Ue.
Il cancelliere tedesco in pectore Friedrich Merz ha fatto ben notare alla Meloni quanto sia improponibile per lei l’abito di leader equidistante, considerando:
.Il rapporto “speciale” con Elon Musk, invitato ad Atreju e poi al Congresso della Lega
.La corrispondenza d’amorosi sensi con Trump che durante l’incontro a Mar-a-Lago l’ha lodata come la leader che “ha assaltato l’Europa”
La posizione della Meloni sui dazi: unica leader insieme a Orban a chiedere all’Europa di non procedere con una “ritorsione” (come se fosse stata Bruxelles a iniziare la guerra commerciale).

/da agenzie)

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