Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DE “L’ESPRESSO” FA LUCE SULLA SOCIETA’ CHE CONTA 502 DIPENDENTI. “PERCHÉ RICORRERE COSÌ FREQUENTEMENTE AD AFFIDAMENTI ESTERNI PER FUNZIONI CHE APPAIONO AZIENDALI?”… GIUSEPPE DE MITA, CARO ALLE SORELLE MELONI, E’ A CAPO DEL MARKETING, IL PRESIDENTE MARCO MEZZAROMA, IMPARENTATO CON LOTITO, E’ AMICO DI FAMIGLIA DI GIORGIA E ARIANNA
Lo sport italiano è una grande famiglia. A giudicare almeno dalla sua cassaforte
pubblica, alimentata ogni anno con 83 milioni di euro dei contribuenti. Si capisce da un numero, sbalorditivo. Quello degli incarichi esterni che ogni anno la società Sport e Salute, la ex Coni Servizi, distribuisce con sempre maggiore perseveranza e generosità.
Da quando c’è il governo di Giorgia Meloni ne sono stati assegnati, dice un file nel sito Internet ufficiale, circa 2.500. Più o meno tre al giorno. Non c’è società dello Stato che possa vantare un numero paragonabile di incarichi e consulenti.
Ma una spiegazione c’è, ed è proprio nella missione aziendale. Nel 2023 Sport e Salute ha realizzato dice l’ultimo bilancio disponibile circa 800 progetti di promozione sportiva nei quartieri disagiati, nelle scuole, nelle carceri…, e serve personale qualificato.
Poi c’è la Scuola dello sport, con oltre 70 corsi e seminari e più di 50mila partecipanti, e ci vogliono tanti docenti.
Nessuno stupore, quindi, che fra quei 2.500 incarichi circa ce ne siano ben 450 o giù di lì di importo superiore a 10mila euro. Per un ammontare di 12 milioni e mezzo. Nessuno stupore nemmeno leggendo la motivazione che li accompagna: Carenza organico interno, affidamento diretto/fiduciario.
Anche se qualche dubbio può oggettivamente venire apprendendo che i dipendenti (dato 2023, il più recente) sono 502. Tanto più perché alcuni incarichi esterni sembrano tipici di funzioni aziendali, come la direzione esecutiva di contratti d’appalto riguardanti vigilanza, pulizie, arredi, antincendio…. Oppure l’attività organizzativa, operativa e relazionale al per corso di re -branding e visual identity di Sport e Salute. Va da sé che in una platea così vasta di consulenze e consulenti al servizio di una società pubblica che si occupa di sport, si trovi di tutto.
Molti sportivi famosi, al cuni impegnati come testimonial in iniziative sociali. Qualcuno magari accompagnato da un pedigree partitico, che con l’aria che tira non guasta mai. Ma nel contesto politico attuale il campione olimpico Juri Chechi, già consigliere comunale a Prato quando ancora esistevano i democratici di sinistra, è davvero una specie di mosca bianca.
C’è nella lista la campionessa olimpica Manuela Di Centa, ex deputata di Forza Italia. C’è il pallavolista Luigi Mastrangelo, ora responsabile dello sport per la Lega di Matteo Salvini, già candidato a Cuneo senza fortuna. C’è il judoka Felice Mariani, eletto nel 2018 con il Movimento 5 stelle e passato nel 2021 alla Lega che l’anno seguente lo ha ricandidato, ma sempre senza fortuna.
Dagli sportivi ai professionisti. C’è l’avvocato Riccardo Andriani, luminare del la giustizia sportiva, ex responsabile dello Sport nell’epoca d’oro di An: ora è consulente sia di Sport e Salute, sia del governo Meloni come componente della struttura di missione per gli anniversari, dove coabita con l’ex ministro dell’Istruzione leghista Marco Bussetti.
C’è Bruno Campanile, ex capo del dipartimento dello Sport del Comune di Roma con Gianni Alemanno sindaco e oggi vicepresidente vicario dell’Asi, associazione presieduta dal sottosegretario all’Ambiente di Fratelli d’Italia Claudio Barbaro. Campanile è titolare di due consulenze annuali: la prima da 100mila euro per gli “Eventi” e la seconda da 120mila per le “Strategie”.
E non è difficile imbattersi anche in altri nomi conosciuti a vario titolo nel mondo della politica. Fra questi, per esempio, quello di Cecilia Cristaudo: una lunga esperienza in Mediaset prima di affiancare la deputata prima, e ministra d
Forza Italia poi, Mara Carfagna. Incidentalmente ex compagna dell’attuale presidente di Sport e Salute, Marco Mezzaroma. Così non si può che partire da qui per spiegare come la cassaforte pubblica dello sport sia finita nell’orbita meloniana.
Fino all’agosto del 2023 comanda Vito Cozzoli, funzionario parlamentare, ex capo di gabinetto della ministra dello Sviluppo Federica Guidi disarcionato senza troppi complimenti da Carlo Calenda. Dopo quell’incidente il secondo governo di Giuseppe Conte lo spedisce all’ex Coni Servizi. Ma quando il suo mandato scade, l’aria è ormai diventata irrespirabile: Fratelli d’Italia ha stravinto le elezioni e vuole prendersi anche lo sport, dopo la salute. Con gli interessi.
Per prima cosa il cda passa da tre a cinque persone. Consiglieri sono nominati l’ex onorevole forzista Maria Spena non rieletta nel 2022, la capo segreteria del ministro della Salute Orazio Schillaci, Rita di Quinzio, e Fabio Caiazzo: designato dal ministro salviniano dell’Istruzione Giuseppe Valditara, nonostante una radiazione sportiva dopo uno scontro al calor bianco con il potentissimo patron dell’Asi, Claudio Barbaro.
E alla presidenza ecco Marco Mezzaroma, cognato ed ex socio nella Salernitana del proprietario della Lazio nonché parlamentare di Forza Italia, Claudio Lotito. Ma grande amico, dettaglio non trascurabile, delle sorelle Giorgia e Arianna Meloni con le quali trascorre una vacanza in Puglia. Mezzaroma è anche grande amico di Giuseppe De Mita, figlio dell’ex segretario Dc Ciriaco De Mita. Per la proprietà transitiva pure lui è assimilato al cerchio magico meloniano e sembra destinato a fare l’amministratore delegato. Ma qualcosa va storto
Il posto lo prende il direttore generale Diego Nepi Molineris e De Mita si consola con una poltroncina nel consiglio di Cinecittà.
Resta però nei paraggi come consulente, fino a quando la politica di nuovo rompe gli indugi e il figlio di Ciriaco viene assunto il 13 gennaio 2025 come super dirigente. Pronto per il probabile balzo, l’anno prossimo. Intanto lo stipendio è di 180mila fissi più 45mila variabili. Totale: 225mila.
È il top aziendale dei dirigenti, a un sof fio dai 230mila di Stefano D’Albora, manager in passato nello staff del Comune di Roma targato Alemanno, ex ad di Coninet rimpiazzato da Valeria Panzironi (225mila).
E chissà se in previsione di questa prestigiosa new entry le retribuzioni dei dirigenti di Sport e Salute beneficiano nel 2024 di incrementi spettacolari, sia pure formalmente legati a nuove funzioni. Lo stipendio di Marco Befera, incidentalmente figlio dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera,
sale in un anno da 137mila a 183mila euro. Quello di Roberta Odoardi da 150mila a 187mila.
Quello di Monica Rufo da 137.500 a 175mila. Da 193mila a 212mila, invece, lievita la paga di Luigivalerio Sant’Andrea, ex commissario di governo della società degli impianti per le olimpiadi invernali di Milano -Cortina: rientrato l’anno scorso a Sport e Salute ha trovato il suo posto occupato da Emiliano Curi (194mila) e si è dovuta improvvisare per lui una direzione Real estate. Sorprendente.
Ma ciò che altrove può apparire così, qui non lo è affatto. È normale che una società pubblica che eroga così tante consulenze e ha 502 dipendenti, autorizzi molti dei suoi stipendiati ad avere incarichi esterni? Quasi tutti gratuiti, per la verità. Però anche il tempo è denaro.
Nel biennio 2023-2024 una novantina di dipendenti sono stati autorizzati a svolgere 240 incarichi esterni. Uno, Marcello Degennaro, ha fatto l’assessore allo Sport al Comune di Barletta. Altri due, Francesca Orlando e Raffaele Pane, sono rispettivamente capo e vice capo dell’ufficio legislativo del ministro dello Sport Andrea Abodi. Francesca Orlando è anche consigliera del vicepremier di Forza Italia Antonio Tajani
Sergio Rizzo
per l’Espresso
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Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile
DA POLITICO NAVIGATO È RIUSCITO A FAR CAMBIARE IDEA ALLA DUCETTA, PUNTANDO SUI GROSSI PROBLEMI CHE HANNO IN
COMUNE ITALIA E GERMANIA (TU HAI SALVINI, IO I NAZISTI DI AFD) E PROPONENDOLE DI FAR DIVENTARE FRATELLI D’ITALIA UN PUNTELLO PER LA MAGGIORANZA PPE ALL’EUROPARLAMENTO, GARANTENDOLE L’APPOGGIO POLITICO ED ECONOMICO DELLA GERMANIA SE SOSTERRA’ LA ROTTA DI KAISER URSULA, SUPPORTATA DALL’ASSE FRANCO-TEDESCO
Anche l’irriducibile Giorgia Meloni, davanti agli scatti continui di follia di Donald Trump dai dazi alle minacce di invadere Panana e Groenlandia, dopo le prime perplessità, sta iniziando a cambiare rotta.
Per la Statista della Garbatella, dal primo momento rapagazza pom-pon del tycoon, non deve essere facile strambare allontanandosi dal Caligola di Mar-a-Lago, dopo averlo tanto elogiato.
Ma la politica impone bagni di realtà, soprattutto a chi governa, e quando il gioco si fa duro e insostenibile, bisogna essere pronti a cambiare idea.
L’antico sogno della Ducetta di essere il “ponte” tra Usa e Ue è svanito, cancellato dall’incontenibile egolatria di Trump, che non vuole mediatori ma solo obbedienti vassalli pronti a “baciargli il culo”. Spodestata dall’unico possibile incarico che le avrebbe conferito autorevolezza internazionale al pari di Macron e Starmer, la sora Giorgia ha spiegato le vele in direzione Bruxelles.
Innanzitutto ha precisato che il suo viaggio a Washington, previsto il 17 aprile, non è “in rappresentanza dell’Europa” ma un mero incontro tra Stati Uniti e Italia. Un’ovvietà, visto che la politica commerciale è di competenza dell’Unione, ma ammetterlo esplicitamente è un enorme passo avanti per la Reginetta di Coattonia.
L’incontro del 17 aprile si terrà quindi in un clima profondamente diverso dal blitz del 4 gennaio, quando Meloni volò a Mar-a-Lago per discutere con il tycoon della liberazione di Cecilia Sala dalla galera iraniana. Allora, la Ducetta volle indossare la divisa di “trumpiana doc”: adesso, dopo le mattane daziste delle ultime settimane, sarebbe suicida fare asse con il proprio carnefice.
In secondo luogo, ad aprire gli occhi a Giorgia Meloni è intervenuta una lunga telefonata, in inglese, con il cancelliere tedesco in pectore, Friedrich Merz. Un colloquio in cui il politico cristiano-democratico ha provato a offrire alla premier italiana una serie di considerazioni per farle mutare pelle.
Le ha detto senza mezzi termini che entrambi hanno in comune un pericoloso “nemico”: per Merz esterno al governo, le svastichelle di Afd, per la Meloni interno alla sua maggioranza, Matteo Salvini.
Da primi ministri, devono fronteggiare l’assalto di forze putiniane e turbo-trumpiane, ben confortate dal social del miliardario Elon Musk, sempre più minacciose per la stabilità e per l’economia del Vecchio Continente.
Per arginare le insidie dei rispettivi governi, Merz ha proposto alla Meloni di diventare, con Fratelli d’Italia, un puntello per la maggioranza all’Europarlamento, attualmente tenuta insieme dall’asse Popolari e Socialisti.
Merz ha anche elencato alcuni dei 145 punti di quello che sarà il suo programma da cancelliere della Repubblica federale tedesca.
Sostegno indefesso all’Ucraina, alleanza di ferro con la Polonia in chiave anti-russa, e allargamento del gruppo Weimar (Germania-Francia-Polonia) a Italia, Spagna e, anche se è fuori dall’Ue, Gran Bretagna che dovrà porsi come direttorio guida dell’Unione e dare al Continente quella stabilità politica che con Trump, dopo 80 anni, è venuta a mancare con l’alleato a stelle e strisce.
Il pragmatico Merz, da navigato politico, ha provato a ingolosire Giorgia Meloni garantendole l’appoggio politico-economico della Germania se si dimostrerà una vera europeista, sostenendo la rotta tracciata da Ursula von der Leyen e supportata dall’asse franco-tedesco.
La Ducetta, da un lato, ha ribadito al Cancelliere di essere un alleato affidabile, di essere dalla parte dell’Unione europea, rimarcando nello stesso tempo le difficoltà a gestire il guastatore trumputiano Salvini che, a differenza di Afd per Merz, è nella maggioranza di Governo con il ruolo di vicepremier.
Con questo carico di cultura del potere elargito e incassato dal prossimo Cancelliere, la premier volerà a Washington per incontrare il Caligola della Casa Bianca.
La postura della premier non potrà più essere quella della cheerleader, tutta moine e occhioni spalancati: le mosse di Trump stanno scavando non solo terrorizzando gli elettori di Fratelli d’Italia ma hanno aperto un solco profondo all’interno degli equilibri della maggioranza di governo in Italia, con Salvini ormai a fare guerriglia pro-Donald e anti-Ue creando più di un imbarazzo alla Meloni. I dazi, per quanto sospesi, restano una spada di Damocle sull’export e sull’economia italiana, legata indissolubilmente ai partner europei, in particolare tedeschi.
Senza contare che le ultime, indecenti, dichiarazioni del cowboy coatto della Casa bianca sui leader che lo chiamano per “baciargli il culo”, secondo la ricostruzione del “Corriere della Sera”, hanno “scioccato” Giorgia Meloni, al punto che pure il suo ex cognato Francesco Lollobrigida, secondo “Repubblica”,
ha dovuto ammettere: “Non ho alcuna simpatia per le politiche di Trump”.
Come si comporterà a Washington e nelle prossime settimane la “meravigliosa leader” (copyright Trump) nei confronti della Casa Bianca? Riuscirà finalmente a pensare da Statista e non da leader di un partito d’opposizione, pensando al futuro del Paese e non solo alla sopravvivenza della maggioranza, appesa alle ubbie leghiste? Lo sapremo solo vivendo…
(da Dagoreport)
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Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile
GIORGIA MELONI POTREBBE LASCIARE IL VENETO ALLA LEGA SE IN CAMBIO OTTIENE LA LOMBARDIA. MA SALVINI PUÒ PERMETTERSI DI PERDERE LA GUIDA DI UNA REGIONE CASSAFORTE (IL BUDGET DELLA SANITA’ LOMBARDA E’ IL PIU’ RICCO D’ITALIA) CHE AMMINISTRA DAL 2013?
Bocciato il terzo mandato, che poi per Luca Zaia sarebbe stato il quarto, la partita
del Veneto — unica regione al voto quest’anno, a meno che non si slitti al 2026, con il centrodestra sicuro di (ri)passare all’incasso — continua ad agitare la maggioranza. La Lega non ha alcuna intenzione di cedere la guida della Regione, Fratelli d’Italia da tempo fa notare i numeri: sia alle scorse Politiche che alle Europee a livello regionale la fiamma ha stracciato il Carroccio.
Come andrà a finire?
Probabile che Giorgia Meloni ceda adesso, chiedendo in cambio poi Friuli Venezia Giulia e/o Lombardia, quando sia Massimiliano Fedriga che Attilio Fontana, entrambi leghisti, termineranno i loro secondo mandati.
Non che la questione così sarebbe risolta, perché al congresso leghista a Firenze
Massimiliano Romeo, capogruppo al Senato e segretario della Lega Lombarda, era stato netto: tutte le regioni a guida Lega dovranno restare tali. «Penso che sia interesse della coalizione di centrodestra che una forza come la Lega, che ha esperienza di buon governo da tanti anni, voglia riconoscersi ancora nella guida di quelle Regioni », ha ribadito ieri da Milano.
Ora, già domani in provincia di Vicenza alla “Spring school” organizzata dal centrista Antonio De Poli si ritroveranno seduti attorno ad un tavolo i dominus della coalizione in Veneto: Luca De Carlo (FdI), Alberto Stefani (Lega), Piergiorgio Cortellazzo (Fi) e lo stesso De Poli.
Tema: “centrodestra a confronto”.
«Cambia il bomber ma squadra che vince non si cambia…», spiega De Carlo, già più cauto rispetto al passato quando FdI sembrava voler premere sull’acceleratore. Solo che la Liga veneta rispose subito per le rime agli alleati: se non ci date il governatore, andiamo per la nostra strada. Considerato che nel 2020 la lista Zaia da sola fece il 45 per cento, e un altro 17 la Lega, una minaccia che ha fatto raffreddare le mire dei meloniani. Stefani, l’assessora Elena De Berti o il sindaco di Treviso Mario Conte sono i nomi caldi lighisti. «È legittimo che la Lega chieda la presidenza. Io comunque ho il cuore in pace», commenta Zaia.
Ma neanche uno scambio sarà così semplice. Fedriga ad esempio ha già detto che vorrebbe correre per il suo terzo mandato e che «la Corte costituzionale sancisce che le Regioni a statuto ordinario devono stare dentro i principi della norma nazionale, quindi il limite dei due mandati esclude le Regioni a statuto speciale, quindi anche il Friuli».
Probabile che il Consiglio friulano decida quindi di varare una norma ad hoc per sbloccare una nuova corsa di Fedriga nel 2028.
In politica altri tre anni sono un’era geologica, gli equilibri possono cambiare e quindi prima Milano (2026) e poi la Lombardia (2028) diventano temi sui quali si può cominciare a ragionare. «È abbastanza sciocco che presidenti apprezzati non possano essere riconfermati anche oltre i due mandati», è l’opinione di Attilio Fontana. Si sapeva già che l’avvocato di Varese non si sarebbe ricandidato, a prescindere dal parere della Consulta. Ma anche qui, la Lega e Matteo Salvini possono permettersi di perdere la guida di un territorio che amministrano dal 2013? “Ovvio, spero che la Lombardia resti alla Lega», dice ancora Fontana.
(da La Repubblica)
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Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile
IL 75% DEGLI ITALIANI VIETEREBBE AI PROPRIETARI DI PIATTAFORME SOCIAL DI ENTRARE IN POLITICA
Presentata oggi a Roma nella sede della Luiss, l’indagine dal titolo “Gli italiani e l’Occidente. Appartenenza e valori” realizzata da Youtrend, con il commento affidato a Lorenzo Pregliasco, Founding Partner della società, in occasione della prima tappa della decima edizione del Festival del Sarà – Dialoghi sul futuro ideato e diretto da Antonello Barone, festival che ha la sua sede centrale a Termoli (Campobasso) e il cui tema è “Incognita Occidentale. Democrazia. Economia. Libertà”.
Questi i principali risultati della ricerca: per gli italiani Trump non incarna tutti i valori occidentali: più capitalismo e individualismo, meno democrazia, uguaglianza e stato di diritto; gli italiani si sentono più appartenenti alla cultura mediterranea (85%) ed europea (83%) che a quella occidentale (81%). Ancor meno alla Nato (67%); per gli elettori di centrosinistra l’Europa primo fattore identitario (83%); per gli italiani i valori dell’Occidente risiedono più nei grandi paesi europei (91%) che negli Usa (85%).
Inoltre ritengono che l’Ucraina è Occidente (66%); la Turchia (22%) e la Russia (24%) no. I giovani sono preoccupati: nella fascia 18-34 anni solo il 43% pensa che l’Italia faccia parte molto dell’Occidente. Inoltre gli italiani criticano le politiche di tutela sociale: poco garantiti poveri e lavoratori precari (83%), comunità Lgbtq+ (64%), migranti e stranieri (63%) e persone con disabilità (63%).
“La nostra ricerca per il Festival del Sarà – ha spiegato Lorenzo Pregliasco di Youtrend – conferma che siamo in una fase di ridefinizione e rimescolamento del concetto di Occidente; un termine che, nell’opinione pubblica italiana, è associato innanzitutto a libertà di parola (78%), democrazia (78%) e capitalismo (77%), più che a equità sociale (56%) e uguaglianza (65%)”. Il Festival del Sarà in questa prima tappa della decima edizione è promosso dalla Camera di Commercio del Molise e può contare sui patrocini della Luiss, dell’ASvIS, dell’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia, di Motus-E e dell’Associazione Città dei Motori – Anci.
Per due italiani su tre è accettabile moderare i contenuti sui social se questo limita la disinformazione. Il dato emerge dall’indagine Youtrend ‘L’Occidente e i suoi valori’, diffusa in occasione della decima edizione del Festival del Sarà in corso a Roma alla Luiss. L’indagine analizza voci quali l’appartenenza identitaria dell’Italia, l’Occidente e i suoi valori e, appunto, il tema della libertà di parola. Emerge dunque che per gli italiani, temi come capitalismo, libertà di parola e democrazia sono i valori più vicini all’Occidente.
Dal focus sulla libertà di parola, risulta che è più vicina ai valori dell’Occidente per laureati e elettori del centrosinistra. Nello specifico: il 65% degli interpellati ritiene utile “moderare attivamente i contenuti pubblicati sui social, limitando fake news e disinformazione ma riducendo la libertà di parola”; il 23% ritiene
utile “permettere completamente la libertà di parola sui social, anche a costo di lasciare spazio a disinformazione e fake news”. Gli under 35 e gli over 65 sono i più favorevoli a moderare i contenuti sui social per limitare la disinformazione.Ancora, il 75% degli italiani vieterebbe ai proprietari di piattaforme di entrare in politica e che sarebbe quindi giusto vietare a Elon Musk e Mark Zuckemberg di ricoprire incarichi politici. Risponde “sicuramente sì” il 53% degli intervistati e “probabilmente sì” il 22%. Il Festival del Sarà è ideato e diretto da Antonello Barone, evento con la sua sede principale a Termoli (Campobasso) in questa prima tappa della decima edizione è promosso dalla Camera di Commercio del Molise.
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Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile
A SANTA MARTA STA INCONTRANDO MOLTI CARDINALI ELETTORI, CHE PARTECIPERANNO AL PROSSIMO CONCLAVE. VUOLE ESSERE SICURO CHE CONVOGLINO I LORO VOTI SU QUELLO CHE CONSIDERA IL SUO EREDE NATURALE: IL SEGRETARIO DI STATO, PIETRO PAROLIN
Papa Francesco ha fatto una visita a sorpresa nella Basilica di San Pietro in sedia a
rotelle, mentre indossava le cannule nasali per l’ossigeno. È stata la prima volta in cui è apparso senza gli abiti papali.
Sono in molti a chiedersi come mai Papa Francesco, da poco uscito dal Policlinico Gemelli dopo 38 giorni di ricovero, abbia fatto uno sforzo sovrumano per rimettersi nuovamente alla guida della Chiesa, mostrandosi ai fedeli presenti alla Basilica di San Pietro, nonostante l’evidente sofferenza, senza abito talare e un poncho da gaucho rioplatense.
Il Pontefice sa di essere al crepuscolo della sua vita: a 88 anni, dopo i numerosi problemi di salute, Bergoglio è consapevole che il tempo stringe. Eppure, la sua lucidità invidiabile lo sta spingendo ad agire. Il suo sguardo non è circoscritto al suo personale presente, ma al futuro della Chiesa.
In questi giorni, il Papa sta incontrando molti cardinali elettori, che parteciperanno al prossimo Conclave. Da scaltro gesuita sa che molti dei porporati che in questi anni gli hanno mostrato fedeltà e devozione, un attimo dopo la sua dipartita potrebbero scegliere di mandare in libera uscita il loro voto per sciegliere il nuovo Papa.
Bergoglio invece è molto preoccupato di blindare la propria successione, e vuole convicnere i cardinali elettori a non disperdere le proprie preferenze, ma a convogliarle su quello che Bergoglio considera il suo erede naturale, ovvero il segretario di Stato Pietro Parolin.
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Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile
SI VA DA PRENOTAZIONI PIÙ RAPIDE PER I PAZIENTI CHE PRIMA SI SONO FATTI VISITARE PRIVATAMENE DA MEDICI PUBBLICI, ALLE AGENDE ILLEGALMENTE CHIUSE FINO AL CASO SICILIANO DOVE SI È SCOPERTA UNA CORSIA PREFERENZIALE PER AMICI E PARENTI… IL DOPPIO LAVORO DEI MEDICI CHE SFOCIA NEL CONFLITTO DI INTERESSE E IL PROBLEMA DEI GETTONISTI
Il caso da film horror è quello della Asl di Trapani, dove un migliaio di esami istologici attendono da mesi di essere refertati. Come è accaduto a Maria Cristina Gallo, che dopo otto mesi di attesa ha visto il suo tumore degenerare in metastasi. Casi limite, si dirà. Mica tanto, vien da pensare quando si scopre che proprio in Sicilia i Nas hanno scoperto l’esistenza di quello che definiscono “SovraCup” regionale, che non raccoglie le richieste dei Cup dalle singole aziende sanitarie ma che in pratica serve a immettere in una corsia preferenziale gli amici degli amici.
Ma gli esempi di mala gestione delle liste di attesa si trovano a Sud come al Nord: sfogliando quel libro degli “orrori e degli errori” che sono le inadempienze regionali nell’applicare il decreto taglia liste di attesa della scorsa estate, l’Agenas segnala irregolarità nel 27% delle 2.836 strutture ispezionate dai Nas. Irregolarità che vanno dalle prenotazioni più rapide per i pazienti che prima si sono fatti visitare privatamene da medici pubblici alle agende illegalmente chiuse, accertate in 184 strutture ispezionate da Nord a Sud.
Ma le zone grigie dove inefficienza e illegalità si sovrappongono sono molte. In Lombardia, quattro medici di famiglia sono stati denunciati per aver “moltiplicato” le prescrizioni per lo stesso esame, permettendo ai loro assistiti di «prenotare più appuntamenti» e scegliere il più conveniente.
In Toscana, dieci oculisti sono finiti sotto inchiesta per «saturazione dolosa delle liste d’attesa con fittizie prenotazioni». A Milano, un’inchiesta è stata avviata su presunti «abusi nella gestione delle liste d’attesa» in un’azienda sanitaria locale, dove pazienti già visitati in libera professione sarebbero stati «illecitamente agevolati nella calendarizzazione di prestazioni sanitarie erogate dal Ssn» .
Il doppio lavoro dei medici sfocia nel conflitto di interesse perché fatta la legge in molte strutture si è trovato l’imbroglio. I dottori non possono infatti erogare più
prestazioni nel privato che nel pubblico, ma in diversi ospedali si è scoperto che il calcolo non veniva fatto sulle ore del singolo medico bensì su quelle dell’intero reparto. Così il più gettonato primario che, ad esempio, di visite private ne fa 100 risulta in regola grazie alla media dei medici del suo reparto che magari ne fanno zero. E quanto questo possa influire sulla buona gestione dei servizi offerti è facile intuirlo quando si vede che oltre il 50% della spesa sostenuta privatamente dagli assistiti è una scelta obbligata dalle liste di attesa. Per abbattere le quali il decreto ha anche remunerato a 100 euro l’ora gli straordinari dei medici.
Per ridurre i tempi c’è anche chi continua ad appoggiarsi ai “gettonisti” remunerati fino a 100 euro l’ora.
Pratica che il ministro Schillaci aveva bandito ma che nel Lazio ha finito per sfociare anche nella denuncia di sei medici «sprovvisti di specializzazione», mentre un settimo è risultato persino privo di laurea. In Puglia alla ginecologia dell’ospedale di San Severo su 11 medici 8 erano gettonisti, di cui quattro ultrasettantenni, mentre al pronto soccorso di Lecce sono stati arruolati persino nonni medici di 80 e passa anni.
In Puglia, Emilia Romagna e a macchia di leopardo anche in altre aree del Paese è emerso un errato utilizzo delle classi di priorità inserite dai medici di famiglia nelle prescrizioni, segnando per urgente quello che non lo è e viceversa.
Ma desta più di un sospetto quanto emerso in Campania, dove su 21.962 prime visite cardiologiche, che di solito non andrebbero rimandate troppo in là, a 19.288 è stato assegnato il codice P di “programmabile”, che dà tempo alla Asl fino a 120 giorni per erogare la prestazione. Stessa percentuale bulgara si riscontra per le mammografie. Un modo per risultare in regola quando non lo si è.
(da agenzie)
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Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile
IL FALSO PROBLEMA DEL DISAVANZO COMMERCIALE… IL “WALL STREET JOURNAL”: “STA FACENDO PIÙ DANNI ALLA PROPRIA CAUSA E AL PROPRIO PAESE DI QUANTI NE STIA FACENDO AL PARTITO COMUNISTA CINESE”
«Sta andando tutto secondo i piani», assicura la Casa Bianca, e viene quasi da
sorridere di fronte a questa lettura ottimistica, che tenta di vendere la parziale marcia indietro di Donald Trump sui dazi come un trionfo. In realtà, Trump sta improvvisando, e sarebbe utile se avesse una vera strategia, in particolare nei confronti della Cina.
Il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha dichiarato che l’obiettivo commerciale degli Stati Uniti è sempre stato isolare la Cina come principale trasgressore. Un approccio che ha le sue ragioni: le pratiche predatorie di Pechino includono attacchi informatici contro aziende e istituzioni americane, furto di proprietà intellettuale, trattamento discriminatorio delle imprese USA in Cina, e la disinformazione sul Covid-19.
Ma non è affatto chiaro cosa vogliano Trump e Bessent dalla Cina, né quale sia la strategia per ottenerlo. Vogliono davvero un disaccoppiamento completo delle due economie? Perché questo sembra suggerire un dazio del 145%. Ma ciò comporterebbe una massiccia discontinuità economica nel breve e medio periodo, considerando che si parla di circa 600 miliardi di dollari di scambi commerciali bilaterali che scomparirebbero o dovrebbero trovare nuove rotte. Un disaccoppiamento selettivo e mirato, limitato ai settori strategici, avrebbe più senso.
Eppure non è questo che dice Trump: mercoledì ha ribadito di sperare ancora in un accordo commerciale con la Cina. I dazi, in questa logica, sarebbero una leva negoziale per costringere il presidente Xi Jinping al tavolo. Il problema è che i dazi sono armi rozze, che colpiscono i consumatori americani tanto quanto gli esportatori cinesi. E i mercati stanno dicendo proprio questo: anche l’economia statunitense ne soffrirà.
C’è poi la contraddizione con cui Trump gestisce altre questioni legate alla Cina. Sta facendo un favore a Xi Jinping rifiutandosi di applicare una legge approvata dal Congresso che impone la vendita di TikTok, controllata dalla cinese ByteDance.
Trump rifiuta anche di imporre sanzioni alle aziende cinesi che acquistano petrolio dalla Russia, contribuendo così a finanziare la macchina bellica di Mosca. Con queste
scelte, Trump invia a Xi il messaggio che non è serio nel contrastare gli abusi della Cina.
Se Trump facesse sul serio, la strategia migliore sarebbe quella di coinvolgere gli alleati nella lotta contro il mercantilismo cinese. Ma non sembra interessato neppure a questo. Nella sua prima presidenza ha sprecato l’occasione migliore per isolare la Cina, uscendo dal Trans-Pacific Partnership, un accordo commerciale che escludeva Pechino. La Cina ha poi concluso un proprio accordo con molti dei Paesi abbandonati dagli Stati Uniti.
In questo mandato, Trump sta punendo apertamente quegli stessi alleati di cui avrebbe bisogno per costruire una strategia coerente. Ha imposto dazi al Canada e al Messico, insultando persino l’orgoglio nazionale canadese. Ha colpito il Giappone con il 24% di dazi, la Corea del Sud con il 25%, l’Europa con il 20%, il Vietnam con il 46% — quest’ultimo paradossalmente beneficiario del calo delle esportazioni cinesi verso gli USA dopo i dazi del primo mandato.
Ora questi dazi sono sospesi per 90 giorni, ma tutti questi Paesi sanno bene che Trump potrebbe ripristinarli in qualsiasi momento. Ha anche offeso il Giappone rifiutando che Nippon Steel acquistasse U.S. Steel, nonostante l’impegno a investire miliardi nella manifattura americana. Perché questi alleati dovrebbero fidarsi ora di Trump, se chiede loro di unirsi contro l’avanzata dell’intelligenza artificiale cinese? Se non possono accedere al mercato statunitense, potrebbero dover puntare su quello cinese.
Il problema ideologico di Trump — o almeno uno dei tanti — è la sua ossessione per il disavanzo commerciale degli Stati Uniti, sia con gli amici che con i rivali. Ma il disavanzo, dal punto di vista economico, non è un problema reale. E se esistono problemi commerciali con gli alleati, possono essere affrontati con accordi bilaterali o multilaterali
Il vero grande problema del commercio globale è l’abuso delle regole del libero scambio da parte del regime autoritario cinese. Ma la politica tariffaria di Trump, disordinata e improvvisata, non risolverà questo problema. Finora, sta facendo più danni alla propria causa e al proprio Paese di quanti ne stia facendo al Partito Comunista Cinese.
(da agenzie)
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Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile
CESARE PARODI: “DALL’AUMENTO DELLE FATTISPECIE A NUOVE AGGRAVANTI”
Il presidente dell’Anm Cesare Parodi, in un’intervista a Fanpage.it, torna a esprimere perplessità sul decreto legge sulla sicurezza, approvato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri.
I primi dubbi l’Anm li aveva manifestati poco dopo il via libera al provvedimento, che aveva definito “inquietante”. Il segretario dell’associazione, Rocco Maruotti, aveva bocciato il decreto, sostenendo che “sembra avere solo un duplice obiettivo: da una parte, creare nella collettività un problema che non esiste”, in assenza di un allarme sociale o di questioni emergenziali legate all’ordine pubblico, e “dall’altra, tentare di porre le basi per la repressione del dissenso”. Parodi da parte sua ha sottolineato che si tratta di un documento “che non ha mezze misure”, e che per certi aspetti è “molto restrittivo e punitivo”.
“Sul decreto Sicurezza sono state fatte alcune valutazioni di sintesi, che però dovranno essere approfondite. Ma c’è un dato: sia l’Associazione italiana dei professori di diritto penale sia le Camere Penali, hanno stigmatizzato una serie di aspetti che sono stati definiti fortemente negativi, dall’aumento delle fattispecie, all’introduzione di nuove aggravanti che non sembrerebbero trovare una loro ragionevolezza intrinseca, alla penalizzazione del dissenso”, ha detto a Fanpage.it. Parodi non dovrebbe comunque affrontare questo tema durante l’incontro fissato con il ministro della Giustizia Nordio il prossimo 15 aprile: l’incontro sarà dedicato soprattutto ai problemi di efficienza della giustizia.
All’inizio del suo mandato ha avuto subito un confronto con la premier Meloni, per discutere della riforma della Giustizia che contiene la separazione delle carriere. Pensa ci sia modo di fare delle modifiche prima che venga approvata?
Il confronto mi sembrava un momento assolutamente indispensabile per tutta una serie di ragioni che vanno dal rispetto istituzionale alla necessità di mostrarsi dialoganti. Non ci illudevamo di modificare le opinioni del governo perché sapevamo che questi aspetti erano oggetto di un preciso impegno verso gli elettori, ma ci tenevamo molto a manifestare le ragioni della nostra non adesione a questo progetto, che sono ragioni non certamente legate alla casta dei magistrati e alla difesa di privilegi, ma a una serie di difese di principi costituzionali che per noi sono assolutamente fondanti. Vogliamo far capire che le nostre sono ragioni tecniche, ma non certamente politico-ideologiche, di pura natura oppositiva.
Tra l’altro il ministro Nordio proprio pochi giorni fa ha ammesso che la riforma della Giustizia non c’entra nulla con la velocizzazione dei processi, al contrario di quanto avevano sostenuto altro esponenti di maggioranza, che avevano invece messo in relazione la separazione delle carriere con una “giustizia più rapida”.
Il ministro ha assolutamente ragione sotto questo profilo. Lo ha detto lui, l’ha detto la senatrice Bongiorno, questa riforma non tocca l’efficienza della giustizia. È una modifica ordinamentale che serve a ridefinire i ruoli e che quindi non ha una ricaduta sull’efficienza in senso stretto. È bene dirlo, la gente deve sapere che si tratta di questo e non di altro. Il che non vuol dire che non sia importante. Ma vuole dire che i problemi concreti, quelli che tutti i giorni affrontiamo, restano da risolvere
I rapporti tra magistratura e governo non si può dire che siano idilliaci al momento. L’esecutivo è tornato a parlare ultimamente di sanzioni disciplinari nei confronti dei magistrati che hanno comportamenti che possono compromettere “la credibilità personale, il prestigio e il decoro dell’istituzione giudiziaria”. Il ministro Nordio ha citato come esempio lo sciopero dei magistrati del 27 febbraio scorso, o la partecipazione a convegni in sedi di partito. Si sta dicendo che i magistrati non possono avere un’opinione? Si vuole mettere insomma un bavaglio alla magistratura?
Sul discorso delle sanzioni disciplinari, c’è stato un immediato allarme da parte nostra. Ma su questo aspetto c’è stata un’immediata smentita e non c’è al momento, mi è stato assicurato pubblicamente, un’intenzione di introdurre sanzioni disciplinari, che sarebbero fortemente penalizzanti. Lo sciopero è stato contestato da molti, hanno detto che non avremmo potuto e dovuto scioperare. Io ripeto anche oggi, se anche i magistrati non possono scioperare, e non è vero, i cittadini sì, e noi siamo anche
cittadini. E i cittadini, possono assolutamente e devono scioperare. L’80% dei magistrati hanno scioperato in difesa di principi che secondo noi vanno a tutela dei cittadini. A questo 80% aggiungiamo pure almeno un altro 10% di colleghi che condividono i motivi dello sciopero, ma non lo strumento sciopero. Sugli intenti, sugli obiettivi, c’è assoluta, ferma unitarietà.
Quindi lo strumento sciopero potrebbe essere riutilizzato in futuro?
Al momento non ne abbiamo parlato. Non avrebbe molto senso forse nell’immediato riproporlo, ma non possiamo assolutamente escludere nulla. Direi che è stata una prima tappa importante, riuscita, di un percorso di comunicazione, di manifestazione di pensiero, che avrà molte altre tappe che stiamo organizzando, ma non è un qualcosa che si va a opporre al governo.
Questa legge (la riforma della giustizia ndr) non è ancora tale. C’è una procedura complessa, articolata, che si svolge su un arco temporale con fasi differenti, che è in corso di valutazione. Noi ci inseriamo in questa fase: se c’è una concreta possibilità che il referendum suggelli questo percorso generale, credo che inserirsi nel dibattito democratico – previsto dalla Costituzione, la quale consente qualunque forma di manifestazione della volontà popolare – sia un qualcosa di assolutamente legittimo.
L’ultimo scambio a distanza tra governo e magistratura è avvenuto in occasione dell’approvazione del decreto legge sulla Sicurezza, che voi avete definito “inquietante”. Quali sono gli aspetti più problematici?
Spesso siamo stati fatti oggetto dell’accusa di voler invadere il campo del potere esecutivo e legislativo. Non è così. Ci sono state sicuramente delle prese di posizioni da parte della politica che ci hanno fortemente addolorato, perché i magistrati possono sicuramente sbagliare, ma ci spiace quando le critiche non sono rivolte al merito dei provvedimenti, ma si dice che i provvedimenti vengono fatti intenzionalmente per ostacolare le politiche del governo. Noi questo non possiamo condividerlo. Questa percezione, purtroppo, quando viene pubblicizzata, ha un impatto fortemente negativo nei confronti dell’intera categoria e quindi evidentemente potrà avere dei riflessi sulle intenzioni di voto dei cittadini. Difendo la buona fede dei magistrati, possono prendere provvedimenti che magari non sono condivisi, ma certamente non sono frutto di una volontà politica o oppositiva nei confronti del governo
Sul decreto Sicurezza sono state fatte alcune valutazioni di sintesi, che però dovranno essere approfondite. Ma c’è un dato: sia l’Associazione italiana dei professori di diritto penale sia le Camere Penali, hanno stigmatizzato una serie di aspetti che sono stati definiti fortemente negativi, dall’aumento delle fattispecie, all’introduzione di
nuove aggravanti che non sembrerebbero trovare una loro ragionevolezza intrinseca, alla penalizzazione del dissenso. Questo non lo abbiamo detto noi. Lo hanno detto le Camere Penali, che di solito sono un organo molto ascoltato, che ha fatto delle critiche molto precise e molto dure a questo decreto, così come hanno fatto i professori universitari. Sono sicuramente delle critiche autorevoli e dettagliate, non strumentali. Vedremo se in sede di conversione del decreto il governo terrà conto di alte opinioni, che di solito hanno un peso specifico nell’ambito del panorama nazionale.
Parlerete anche di questo il prossimo 15 aprile all’incontro con il ministro Nordio?
Questo non è un tema che è stato previsto per l’incontro, perché è un tema estremamente recente. L’incontro dovrebbe avere per oggetto soprattutto una serie di punti che avevamo già evidenziato nell’incontro con la presidente Meloni, che riguardano proprio l’efficienza in concreto della giustizia. Abbiamo dei problemi enormi di personale amministrativo carente, di geografia giudiziaria e di edilizia giudiziaria, problemi che riguardano la stabilizzazione degli UPP, ma soprattutto di informatica giudiziaria che non funziona come dovrebbe. Sarebbe errato pensare che queste tematiche siano svincolate dal discorso sulla riforma. Se i cittadini, che poi saranno chiamati a esprimere la loro opinione, si troveranno in tutto questo periodo a fare i conti con una giustizia che non funziona, che idea potranno avere di noi?
(da agenzie)
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Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile
PICCOLO PROBLEMA: POSSONO ACCEDERE A QUELLE INFORMAZIONI SOLO I CLIENTI. CIOÈ LO STATO, CHE PERÒ NEGA DI AVER MESSO SOTTO CONTROLLO IL CELLULARE DEL GIORNALISTA (PROPRIO PER QUESTA RAGIONE, PARAGON HA SOSPESO I CONTRATTI CON I SERVIZI TRICOLORE)
C’è una strada percorribile per sapere chi ha spiato con uno spyware israeliano il
direttore di Fanpage.it, Francesco Cancellato. Ed è quella di chiedere a Paragon Solution, la società produttrice del software Graphite, utilizzato per monitorare gli attivisti della ong Mediterranea. E forse anche il giornalista.
L’azienda di Tel Aviv può rintracciare nei database le attività svolte con i propri sistemi. Questo avrebbero detto i rappresentanti di Paragon mercoledì al Copasir. […] in sostanza, hanno confermato che i loro clienti sono enti governativi. In Italia, come all’estero. Hanno anche spiegato che le attività svolte con il software Graphite sono rintracciabili tramite i loro database.
Un passaggio questo che ha fatto riflettere alcuni che lo hanno ascoltato. Soprattutto su un aspetto, ossia la segretezza delle informazioni sull’utilizzo di un software in mano ai Servizi segreti, ma del quale possono sapere molto anche soggetti privati stranieri.
Il punto è che, secondo quanto ricostruito dal Fatto, per evitare di portare fuori notizie riservate, in passato, sarebbe stata creata una sorta di schermatura: ogni numero intercettato corrisponderebbe a un codice e nei database della società risulterebbe solo questo e non dunque il telefonino target.
Solo l’intelligence dunque potrebbe rivelare all’azienda a cosa corrisponda quel numero identificativo. Con i propri database […] la società potrebbe provare a risalire a chi ha istallato il software nel cellulare di Cancellato. Ma chi può chiedere di effettuare queste ricerche, però, ha spiegato sempre Paragon, sono solo i clienti. Ossia l’Italia.
E qui si crea il cortocircuito: perché il governo pubblicamente e l’intelligence segretamente davanti al Copasir hanno confermato di non sapere nulla dello spyware trovato nel cellulare del giornalista. Diverso il caso degli attivisti, come il fondatore di Mediterranea Luca Casarini, ma anche David Yambio e Beppe Caccia. Nel loro caso c’è la certezza che siano stati monitorati dai Servizi segreti.
Dopo le dichiarazioni al Copasir, si scopre ora che Paragon potrebbe risolvere il mistero Cancellato. L’Italia potrebbe chiedere alla società di ricercare nei suoi
database. Il che però significherebbe anche ammettere che le questioni italiane sono affari di società private di Tel Aviv.
] Paragon, hanno spiegato, non ha mai venduto il suo software ad attori “non statali”. All’estero come in Italia. La sospensione del contratto è arrivata dopo le notizie di stampa che raccontavano l’uso «fuori dalla policy» nei confronti, cioè, di attivisti e di giornalisti.
Una sospensione che per il momento resta tale: il contratto è sospeso almeno fino al termine di quella che l’azienda ha chiamato una “due diligence” ma che in realtà è una vera indagine che il Copasir sta compiendo e che si concluderà nelle prossime settimane con la relazione al parlamento.
La questione gira attorno alle intercettazioni effettuate sugli attivisti di Mediterranea e sul giornalista Francesco Cancellato, direttore di Fanpage. Se infatti […] è provato che sono state effettuate, con tutte le autorizzazioni del caso, intercettazioni preventive, in un lavoro di contrasto sull’immigrazione clandestina,su Luca Casarini e altri esponenti dell’Ong, resta il caso Cancellato.
Governo e Servizi hanno negato di aver mai ascoltato il direttore di Fanpage. Paragon ieri ha escluso che possano averlo fatto agenzie private perché il software non era e non poteva essere loro in uso.
Chi allora? È una domanda che si stanno ponendo anche le procure che indagano sulla vicenda Paragon. La direzione nazionale antimafia ha preso il coordinamento delle indagini nate dalle denunce degli “spiati” in tutta Italia (Roma, Napoli, Bologna, Palermo e Venezia). Ci sono state già diverse riunioni nelle quali si è fatto un punto e ci si è divisi i compiti su come muoversi. Da quanto risulta a Repubblica, sono in attesa di ricevere alcuni elementi e, a stretto giro, si procederà con delle richieste di rogatorie per ottenere i dati da Paragon. Potrebbero però non essere necessarie.
In un primo momento si era detto che i server della società fossero soltanto all’estero (è uno dei motivi per cui le procure non avrebbero potuto utilizzare il software) e, dunque, da fuori Italia devono arrivare le informazioni per ricostruire una vicenda complessa.
In realtà la società ha spiegato che la risposta può arrivare anche dall’Italia: i database vengono dati anche a chi acquista il servizio (costosissimo: 30 milioni di euro vale il contratto firmato con i Servizi ha scritto Il Fatto quotidiano) e dunque per sapere chi ha spiato Francesco Cancellato potrebbe bastare chiedere alla nostra intelligence
Non è scontato però che la risposta possa arrivare. Perché i Servizi hanno sempre negato che Cancellato sia stato un target. E, proprio al Copasir, sono state sollevate una serie di distinguo tra le attività fatte sul telefono di Cancellato e quelle di Casarini
e gli altri di Mediterranea
Su tutto questo proverà a fare un po’ di chiarezza anche il Comitato per la sicurezza che nel giro di due settimane dovrebbe consegnare al Parlamento la relazione in cui si fa il punto sulle audizioni e si indicano anche le strade da intraprendere per regolamentare un sistema – quello dei captatori informatici – che invece al momento è assai deregolamentato. È l’obiettivo che si è posto anche Giovanni Melillo, il numero uno della Dna, non a caso, ha assunto il coordinamento delle diverse indagini.
(da agenzie)
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