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“SE ANNULLIAMO IL VOTO PER VANCE POSSIAMO ENTRARE?” AL COLOSSEO, LA RABBIA DEI TURISTI AMERICANI E NON, COSTRETTI A RINUNCIARE ALLA VISITA PER COLPA DEL TOUR PRIVATO DEL VICEPRESIDENTE AMERICANO

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

COLOSSEO BLINDATO MA VANCE NON SI PRESENTA, LA RIVOLTA DEI TURISTI CHIUSI FUORI: “FATECI ENTRARE”… E DAI PARASSITI CHE AVEVANO PAGATO IL BIGLIETTO PARTONO RAFFICHE DI INSULTI A VANCE

Alle 17 in punto il cancellone di ferro del Colosseo si chiude, i dipendenti in felpa gialla e arancione escono di fretta uno dopo l’altro senza dare troppe spiegazioni. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori.
Un’ora dopo è atteso il vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, in visita al Parco archeologico nelle sue vacanze romane pasquali. Per questo il questore di Roma ha disposto la chiusura anticipata del Colosseo.
Tutti quelli che hanno prenotato il tour tra le 17 e le 18.15 devono girare i tacchi e tornare a casa, ma saranno rimborsati. Solo che nessuno lo sa (anche se sul sito ufficiale del Colosseo è annunciato da tre giorni). E quindi alle 17.40,
dopo un’ora di attesa succede l’imprevedibile: frotte di turisti, giapponesi, americani, spagnoli, inglesi, italiani, cinesi, francesi, tedeschi, rompono gli indugi, aprono i cancelletti, col bigliettino in mano tentano una improbabile incursione autonoma, scavalcano uno dopo l’altro le recinzioni del serpentone e si piazzano davanti al cancellone, muso a muso con le guardie giurate. “Vergogna”, “è uno scandalo”, “Vance vattene” e decine e decine di insulti e improperi lanciati attraverso le grate e qui irripetibili. “Vogliamo entrare” gridano pure i bambini.
Venti minuti di caos. Escono un paio di ragazzi che lavorano per il Parco a spiegare ai turisti rimasti, stavolta molto gentilmente, la ragione della blindatura, che avranno il rimborso dell’intera tariffa e la possibilità di tornare domani sfidando la calca del giorno di Pasqua. Due turisti americani li guardano rassegnati: “Se annulliamo il voto per Vance possiamo entrare?”.
(da La Repubblica)

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PAPA FRANCESCO NON RICEVE VANCE: IL RAZZISTA AMERICANO CON 40 AUTO DI SCORTA SFRECCIA TRA I PARASSITI ITALIANI E VIENE RICEVUTO SOLO DAL SEGRETARIO DI STATO PAROLIN

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

IL SEGRETARIO VATICANO PRECISA: “SCAMBIO DI OPINIONI SUI MIGRANTI” E IL SEDICENTE CATTOLICO E’ SISTEMATO

Migranti, prigionieri, rifugiati, guerre: quattro parole che durante la nuova amministrazione Trump sono sempre state all’ordine del giorno. Così è stato anche per il bilaterale tra il vicepresidente americano JD Vance e il segretario di
Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin. Un incontro che, si legge in una nota della Santa Sede, si è incentrato su uno «scambio di opinioni sulla situazione internazionale, specialmente sui Paesi segnati dalla guerra, da tensioni politiche e da difficili situazioni umanitarie».
Con una attenzione particolare dedicata «ai migranti, ai rifugiati, ai prigionieri». Saltato invece il possibile incontro tra JD Vance e Papa Francesco.
Il tema era caldo visti i passati dissapori tra lo stesso Vance e Papa Francesco. Gli ultimi avvenimenti, in particolare le aspre critiche che nelle scorse settimane il Vaticano aveva riservato alle politiche americane di rimpatrio dei migranti clandestini, lo avevano reso ancor più scottante.
All’interno del Palazzo apostolico, dove il braccio destro di Donald Trump è arrivato con la famiglia al completo, JD Vance ha parlato a tu per tu con il cardinale Pietro Parolin e con monsignor Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali.
Il dialogo, scrive la Santa Sede in una nota, è stato occasione per «esprimere compiacimento per le buone relazioni bilaterali esistenti» tra i due Paesi. E al contempo rinnovare «il comune impegno nel proteggere il diritto alla libertà religiosa e di coscienza».
La suggestione di un breve incontro con Papa Francesco è durata solo qualche ora. Vance, che è diventato cattolico da adulto, si trovava già ieri in Vaticano, dove ha partecipato alla celebrazione del Venerdì Santo nella basilica di San Pietro, accompagnato dalla moglie e dai tre figli. Domenica, invece, la famiglia Vance parteciperà alla messa pasquale a San Paolo Fuori le Mura.
I dissapori tra JD Vance e Papa Francesco
Vance in passato non ha nascosto le sue riserve nei confronti del Santo Padre. Nel 2021, quando era ancora senatore, partecipò a una conferenza online organizzata dal Napa Institute, durante la quale criticò apertamente la decisione del pontefice di limitare l’uso della messa in latino. Vance definì la scelta «una restrizione sbagliata». Ma è sul tema dell’immigrazione che le divergenze si sono fatte più marcate: il vicepresidente ha invocato il principio teologico dell’ordo amoris per sostenere la necessità di rimpatriare i migranti irregolari dagli Stati Uniti, affermando che amore e compassione dovrebbero anzitutto essere riservati alla propria famiglia e alla comunità nazionale, prima di essere rivolti agli stranieri. Papa Francesco aveva respinto questa visione, richiamandosi alla parabola del buon Samaritano e ribadendo che l’amore cristiano, per sua natura, deve essere universale e accogliente.
Il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, è arrivato questa mattina in Vaticano scortato dalle forze dell’ordine italiane e dai servizi segreti americani. In totale una scorta di 4 macchine, 36 auto e 2 ambulanze. La visita ha visto l’ingresso della delegazione Usa attraverso l’Arco delle Campane, una prassi riservata alle visite ufficiali di stato. Il corteo, composto da una quarantina di vetture tra auto di scorta e quelle del seguito, ha attraversato via della Conciliazione, che è stata momentaneamente chiusa al traffico pedonale e veicolare.
(da agenzie)

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LA SORA “GEORGIA” HA PROMESSO CHE L’ITALIA ARRIVERÀ AL 2 PER CENTO DEL PIL DI SPESE MILITARI, MA OMETTENDO CHE L’OBIETTIVO VERRÀ RAGGIUNTO, FORSE, NEL 2028. NEL FRATTEMPO IL SUO GOVERNO NON UTILIZZERÀ LA DEROGA UE AL PATTO DI STABILITÀ PER IL RIARMO

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

LE IMPRESE ITALIANE INVESTIRANNO 10 MILIARDI NEGLI STATI UNITI, MA NON SI SA QUALI IMPRESE, NÉ IN QUALE ARCO TEMPORALE. IN COMPENSO, È RIMASTA IN SILENZIO DI FRONTE ALLE MENZOGNE TRUMPIANE SULL’UCRAINA, E LO HA DIFESO NEGANDO CHE ABBIA CHIAMATO GLI EUROPEI “PARASSITI” (IN REALTÀ L’HA FATTO DICENDOSI D’ACCORDO CON JD VANCE..)

C’è un solo modo per riassumere la visita di Giorgia Meloni a Washington: la presidente del Consiglio si è resa complice della distruzione della democrazia e dello Stato di diritto negli Stati Uniti e si è messa a disposizione per esportare l’attacco alla democrazia liberale in Europa. Sulla base di un comune assetto di valori e di una analoga disponibilità a deportare migranti illegalmente.
Vediamo i fatti che i giornali non menzionano. La conferenza stampa di Meloni e Trump nello Studio Ovale dura 33 minuti. Meloni parla sì e no per due minuti complessivi. Nessun impegno formale è stato preso, Meloni non poteva negoziare a nome dell’Unione europea sui dazi perché può farlo soltanto la Commissione. L’incontro non ha alcun contenuto.
Eppure anche questo nulla diplomatico è pieno di contenuto politico. Meloni dice due cose inutili sulle quali si esercitano i retroscenisti: le imprese italiane investiranno 10 miliardi negli Stati Uniti, non è chiaro di chi parli e in quale arco temporale, ma è un dato che serve a rafforzare la narrazione trumpiana sul fatto che il resto del mondo che si piega ai dazi americani.
Poi Meloni ha promesso che l’Italia arriverà al 2 per cento del Pil di spese militari come previsto dagli impegni Nato, ma sottolinea che si tratta di impegni presi da governi passati. La premier omette di specificare che l’obiettivo del 2 per cento verrà raggiunto, forse, nel 2028.
Nell’immediato, la linea del governo italiano – ribadita di recente da Meloni in Parlamento – è di non aumentare le spese militari oltre quanto già previsto, e di non sfruttare la possibilità di fare debito pubblico in deroga al patto di stabilità e crescita concessa dalla Commissione europea.
Quindi, Meloni fa il contrario di quanto auspicato da Trump, ma è abile nel fargli credere di assecondare le sue richieste di condivisione degli oneri sulla sicurezza. L’unico obiettivo del vertice è compiacere Trump, confermargli l’allineamento ideologico.
Meloni condensa il suo ruolo di “ponte” tra Europa e Stati Uniti nello slogan “Make the West Great Again”, praticare un “nazionalismo occidentale” che renda grande di nuovo l’Occidente “come civiltà, non come espressione geografica”.
Giorgia Meloni si produce nella piena legittimazione del modello trumpiano e addirittura indica la volontà di costruire insieme un nuovo Occidente intorno a quella comunanza di valori.
Ora, giusto per ribadire l’ovvio, che però sfugge ai giornali italiani: l’amministrazione Trump sta usando la lotta all’ideologia woke per sottomettere le università americane, costringerle a rispondere all’esecutivo, mettere sotto tutela la ricerca, cambiare le pratiche di ammissione, smantellare ogni presidio intellettuale che le rende troppo progressiste per la Casa Bianca, in modo da renderle allineate con il nuovo corso.
Giorgia Meloni ci tiene a sottolineare la sintonia con questo tassello fondamentale della svolta autoritaria.
Quanto alla lotta all’immigrazione illegale: un paio di giorni prima di Meloni, sulla stessa poltrona nello Studio Ovale, stava seduto il dittatore di El Salvador
Nayib Bukele, che è l’equivalente del premier dell’Albania Edi Rama per Meloni, cioè il complice che permette, a fronte di un compenso, di organizzare un sistema di deportazione e detenzione illegale di migranti, sfidando i tribunali domestici.
La differenza è che Trump è arrivato più avanti di Meloni in questo: deporta immigrati irregolari senza alcuna accusa e senza processo in El Salvador, in un carcere di massima sicurezza finanziato dagli Stati Uniti e dal quale nessuno esce.
L’amministrazione Trump ha deportato – per errore, come ha dovuto ammettere – un cittadino salvadoregno in America da 13 anni, Kilmer Abrego Garcia, senza processo, senza ragione, salvo il tentativo di giustificare la cosa a posteriori sostenendo – senza prove – che fosse membro di una gang. La Corte suprema, oltre che un giudice federale del Maryland, ha ordinato a Trump di riportarlo indietro.
I giornalisti americani gliene chiedono conto durante la conferenza stampa con Meloni, il presidente si limita a rispondere che bisogna parlarne con gli avvocati ma che la sua amministrazione sta facendo “un lavoro fantastico nello spedire fuori dal Paese i criminali che Biden aveva lasciato entrare a centinaia di migliaia”.
Meloni non dice una parola, non potrebbe, non è previsto dal protocollo e non ha certo intenzione di dissentire. Ma questo è un silenzio complice. L’approvazione, tacita ed esplicita, della più clamorosa violazione dei diritti umani e della Costituzione americana della quale Trump si è reso responsabile fin qui.
L’unico altro momento degno di nota è quello in cui Giorgia Meloni si premura di non rinnegare l’appoggio dell’Italia all’Ucraina, senza però indisporre Trump.
Le parole di Meloni sono prive di senso: “Penso che ci sia stata chiaramente una invasione e che l’invasore da quel punto di vista fosse Putin e la Russia ma non è questo… oggi quello che rivela è il fatto che oggi lavoriamo, stiamo lavorando, per arrivare a una pace che sia giusta e duratura”.
E’ chiaro che se “non rivela”, che poi sarebbe “non rileva” il fatto che la Russia abbia invaso l’Ucraina e se la pace va negoziata a prescindere da questo insignificante dettaglio, le premesse non sono le migliori per Kiev e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Poi Trump nega di aver dato le colpe a Zelensky della guerra, cosa che ha fatto più volte, e nega anche di aver chiamato gli europei parassiti, cosa che ha fatto, e Giorgia Meloni lo appoggia in questa ennesima bugia.
Quindi, il comune Occidente da rendere “di nuovo grande” che Meloni vuole costruire assieme a Trump è un occidente fatto di attacchi alle università, deportazioni illegali, e negazione della realtà. Un bel programma
A conferma di questi nuovi rapporti tra Stati Uniti e Italia, il giorno dopo il vertice alla Casa Bianca, Giorgia Meloni ha accolto a palazzo Chigi anche il vice presidente JD Vance con la moglie Usha Chilukuri.
Vance e signora sono venuti in Italia per la Pasqua per sancire qual è il senso e l’utilità dell’Italia nella geopolitica dell’amministrazione Trump: un Paese con un governo ideologicamente allineato dove passare le vacanze.
(da Appunti)

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DATI EUROSTAT: CAMPANIA, CALABRIA E SICILIA LE TRE REGIONI PEGGIORI IN UE PER L’OCCUPAZIONE, SIAMO IL TERZO MONDO DELL’OCCIDENTE, ALTRO CHE SPARARE CAZZATE PER I GONZI

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

LA CAMPANIA E’ LA REGIONE EUROPEA CON IL PIU’ BASSO TASSO DI OCCUPAZIONE FEMMINILE

Arranca ancora l’occupazone al Sud Italia, con tre regioni che restano tra le peggiori quattro in Ue. Secondo le ultime tabelle Eurostat riferite al 2024, dopo
la Guyana, regione d’Oltremare francese, le aree con il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni più basso sono la Calabria con il 44,8%, in aumento di 0,2 punti sul 2023, la Campania con il 45,4%, in aumento di un punto percentuale e la Sicilia con un tasso di occupazione del 46,8% con la crescita di 1,9 punti percentuali. In Ue in media il tasso di occupazione è al 70,8% mentre in Italia nel complesso è al 62,2%.
Se si escludono regioni d’Oltremare ultime 4 posizioni tutte italiane
Se si escludono le regioni d’Oltremare, Guyane e Reunion per la Francia (per la Mayotte non ci sono i dati) e Melilla e Ceuta per la Spagna, e si guarda solo a quelle sul territorio europeo le regioni del Sud Italia sono le peggiori in assoluto per tasso di occupazione e prendono gli ultimi quattro gradini della classifica con l’aggiunta della Puglia, che segna un tasso del 51,2% anche se in aumento di 1,5 punti. Rispetto alle regioni con il tasso di occupazione più alto come Zeeland (84,5%) la distanza supera i 30 punti e sfiora i 40 per la Campania.
Campania regione europea con il tasso di occupazione femminile più basso
La crescita del lavoro nel Sud è superiore a quella media in Ue (+0,4 punti) ma il divario è ancora troppo ampio soprattutto a causa della bassa occupazione femminile. La Campania con il 32,3%, e quindi meno di una donna tra i 15 e i 64 anni al lavoro, è la regione europea con il tasso di occupazione femminile più basso, seguita dalla Calabria con il 33,1% e la Sicilia con il 34,9%. il tasso è aumentato in Campania e in Sicilia più velocemente della media Ue che ha segnato una crescita di 0,5 punti dal 65,7% al 66,2% ma la distanza con l’Ue appare ancora siderale con oltre trenta punti in meno.
Nel complesso in Italia occupazione femminile al 53,3%
Nel complesso in Italia per le donne il tasso di occupazione è al 53,3% a fronte del 66,2% medio in Ue ma mentre nelle regioni del Nord il tasso si avvicina alla media Ue e nel caso della provincia autonoma di Bolzano con il 68,6% la si supera, nel Meridione l’obiettivo è lontano.
Se nel complesso in Italia per uomini e donne la distanza con l’Ue si è ridotta a 8,6 punti (70,8 il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni in Ue, 62,2 in Italia) dagli 8,9 del 2023 per gli uomini il divario è di appena 4,3 punti a fronte dei 12,9 che hanno le donne. Ma anche per gli uomini le differenze territoriali sono evidenti con alcune regioni della Germania sopra l’84% degli uomini in età da lavoro occupato e la Calabria che con il 56,6% fa meglio solo di alcune regioni
d’Oltremare come Reunion e Guadalupe.
(da agenzie)

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LO ASPETTANO IN 15 (ITALIANI) ALL’USCITA DA SCUOLA E LO MASSACRANO CON I TIRAPUGNI: LA SPEDIZIONE PUNITIVA PER AVER DIFESO UN AMICO DAI BULLI A MONTEBELLUNA

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

IL DIRIGENTE SCOLASTICO VALUTA L’ESPULSIONE PER CHI HA PARTECIPATO ALL’AGGRESSIONE… MA CACCIATELI IN GALERA E BUTTATE LA CHIAVE: LE FOGNE VANNO DEPURATE

Lo hanno aspettato davanti a scuola in quindici e lo hanno picchiato a sangue con calci e tirapugni perché aveva preso le difese di un compagno vittima di bullismo, riprendendo un pestaggio contro di lui. Un quindicenne di Montebelluna, in provincia di Treviso, è finito in ospedale dopo essere stato vittima di un’aggressione da parte di una baby gang di giovanissimi italiani d
seconda generazione, tutti tra i 15 e i 16 anni di età. Ora il dirigente scolastico dell’istituto Einaudi Scarpa, Massimo Ballon, starebbe valutando l’espulsione di tutti i ragazzi coinvolti, che sono stati prontamente individuati dalle forze dell’ordine.
La spedizione punitiva ripresa e messa sui social
Il «regolamento di conti» è avvenuto poco prima della campanella delle 8 di mattina. Il giovane, sceso dall’autobus ignaro di tutto, si è trovato di fronte un capannello di quindici ragazzi. Hanno iniziato a insultarlo e picchiarlo: calci, pugni – anche con un tirapugni – per poi lasciarlo sanguinante a terra. Tutti attorno gli altri studenti, con lo smartphone in mano per registrare i video finiti sui social media. Immediato l’intervento dei carabinieri di Montebelluna e di una ambulanza del Suem 118, che ha trasferito il ragazzo all’ospedale San Valentino.
Il sindaco di Montebelluna: «Purtroppo non è un caso isolato»
Una situazione non isolata, e che anzi negli ultimi mesi si è più volte ripresentata in tutta Italia e nello stesso Veneto. A Valdobbiadene, dallo scorso gennaio il sindaco ha disposto presidi fissi delle forze dell’ordine nelle vicinanze degli istituti scolastici, nelle aree esterne e in corrispondenza delle fermate degli autobus. Una soluzione a cui, secondo il Corriere del Veneto, starebbe pensando anche il primo cittadino di Montebelluna, Adalberto Bordin; «Da mesi abbiamo introdotto una pattuglia fissa della polizia locale in centro durante il weekend. Quello che è successo purtroppo non è un caso isolato».
(da agenzie)

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IN RAI DIVENTERÀ IMPOSSIBILE FARE INCHIESTE, LA NUOVA CIRCOLARE CHE IMPONE LA CONSEGNA DI TUTTO IL GIRATO DEI FILMAKER ALLA TV PUBBLICA È PENSATA CHIARAMENTE PER CONTROLLARE IL LAVORO DEI FREELANCE DI “REPORT

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

DOPO LA DENUNCIA DI RANUCCI, ANCHE L’USIGRAI INTERVIENE: “NON C’È ALCUNA GARANZIA PER LA PROTEZIONE DELLE FONTI GIORNALISTICHE. SI RISCHIA DI VIOLARE LE PREROGATIVE DI RISERVATEZZA DEL LAVORO DELLE GIORNALISTE E DEI GIORNALISTI

S’infiamma la polemica sulla nuova circolare della Rai che impone l’utilizzo della propria piattaforma per «la gestione, la consegna e l’archiviazione dei prodotti dei filmaker esterni alla Rai». A sollevare il caso è stato il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, il cui programma d’inchieste su RaiTre si basa proprio su materiale raccolto e girato da freelance che viene poi montato in Rai e quindi trasmesso.
Questa modalità, al momento, consente alla Rai il controllo editoriale nella fase terminale della produzione, a poco tempo della messa in onda. Di qui il sospetto avanzato dal giornalista che quel controllo, la Rai voglia esercitarlo prima, a partire dal materiale girato, anche con intenti censori.
La circolare prevede che i filmati dei freelance vengano consegnati «vergini», cioè senza tagli, alla piattaforma Rai. In questo modo però le fonti dei servizi giornalistici verrebbero rivelate. La motivazione addotta dalla Rai è evitare «archiviazioni disomogenee e soprattutto non sicure, visto il transito di materiale potenzialmente riservato su piattaforme esterne e, molte volte, non soggette alla legislazione comunitaria».
Sul punto il sindacato dei giornalisti Usigrai è perentorio: «Il sistema di archiviazione delle immagini dei filmaker esterni, per i servizi e le inchieste dei programmi delle direzioni di genere, non presenta alcuna garanzia per la protezione delle fonti giornalistiche.
Usigrai chiede all’azienda un immediato confronto su tutta la materia, «al fine di prevedere una adeguata organizzazione dei sistemi di archiviazione e le necessarie garanzie alla riservatezza del lavoro giornalistico [….]».
(da agenzie)

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PER UNA MEZZA CONCESSIONE (UN VAGO IMPEGNO A INCONTRARE L’UE A ROMA), TRUMP IMPONE MOLTI DIKTAT A GIORGIA MELONI: NEL COMUNICATO DEL VERTICE ALLA CASA BIANCA, IL TYCOON FA CAPIRE ALLA DUCETTA CHE LA “SPECIAL RELATIONSHIP” HA UN COSTO DA PAGARE

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

L’ITALIA DEVE SGANCIARSI DALLA CINA E RIDURRE L’INFLUENZA DEI COLOSSI TECNOLOGICI COME HUAWEI; DEVE DEPORRE I PIANI DI UNA WEBTAX CONTRO I BIG DELLA SILICON VALLEY; DEVE COMPRARE GLI F-35 AMERICANI INVECE DI SVILUPPARE I CACCIA DI NUOVA GENERAZIONE CON GRAN BRETAGNA E GIAPPONE; DEVE APRIRE LE PORTE A STARLINK DI ELON MUSK E AUMENTARE LE IMPORTAZIONI DI GAS NATURALE DAGLI USA FINO A 10 MILIARDI DI METRI CUBI (CHE ALTRO, UNA FETTINA DI CULO PANATO?)

Gli Stati Uniti «valuteranno» se partecipare a Roma a un incontro con l’Europa. Se si entra nel merito dei dossier sul tavolo del bilaterale, però, il bilancio si complica. Scavando dietro le quinte del vertice, si tocca con mano l’enorme pressione esercitata dal tycoon. Gli indizi sono disseminati nel comunicato
congiunto finale. Godere di una «relazione speciale» ha un prezzo. E questo prezzo viene reclamato sulla web tax, il gas liquido, Starlink. E sulla Cina, che i repubblicani considerano il rivale sistemico da combattere.
Giovedì, attorno a mezzogiorno e mezza (orario di Washington): si chiudono le porte del salone della Casa Bianca. Trump scorre il menu del pranzo, poi esprime a Meloni questo concetto: «Devi capire una cosa, a noi l’Europa non piace». Il segnale è chiaro: con noi o contro di noi. A Roma viene chiesto di collaborare su punti cruciali, indipendentemente dalle regole continentali. Semmai, rompendo il fronte comune europeo.
Su cosa si esercita la pressione americana, dunque? Uno dei pallini (a dire il vero bipartisan) è quello della web tax. Ecco perché nel comunicato si mette nero su bianco un impegno che la premier avrà difficoltà a rispettare: «Abbiamo concordato sulla necessità di un ambiente non discriminatorio in termini di tassazione dei servizi digitali». Difficile per Meloni, in realtà, fare passi indietro sulla tassa ai colossi del web. Al massimo, Roma potrebbe limare la “porzione italiana” della tassazione digitale, contravvenendo però alle posizioni pubbliche assunte negli ultimi anni.
Ma è la Cina l’assillo dell’amministrazione Trump. C’è un richiamo pesante, nel comunicato: «Riconosciamo la necessità di proteggere le nostre infrastrutture e tecnologie critiche e sensibili, motivo per cui ci impegniamo a utilizzare solo fornitori affidabili in queste reti. Non esiste fiducia più grande della nostra alleanza strategica, motivo per cui non può esserci discriminazione tra fornitori statunitensi e italiani».
È un passaggio che condensa vari avvertimenti. Il primo: Roma riduca l’influenza dei colossi tecnologici cinesi, a partire da Huawei. Non solo con il golden power, ma anche evitando di equiparare le norme protezionistiche ai Paesi extra Ue: distinguere, insomma, tra Pechino e Washington.
È un capitolo che si interseca con quello della difesa. L’Italia è impegnata nel progetto per i caccia di nuova generazione con Gran Bretagna e Giappone, mentre gli Stati Uniti devono vendere i loro F-35. Il pressing Usa prova a rallentare il patto trilaterale, oppure a immaginare forme di collaborazione Difesa vuol dire anche premere su Meloni su spazio e satelliti. Qui la faccenda si fa più complessa. Ai progetti spaziali americani per le missioni su Marte l’Italia collaborerà con «tecnologia spaziale». Ma è evidente che conta
soprattutto il dilemma attorno a Starlink. La Casa Bianca considera Roma l’anello debole della resistenza europea a Space X. E prova a sfilarla dal progetto continentale alternativo ad Elon Musk (che la premier incontra a margine del colloquio). Ancora la “fiducia” tra alleati, che significa: con noi, o contro di noi. E soprattutto: assieme, contro la Cina.
Ma non è tutto. A porte chiuse, gli americani bocciano il partenariato Roma-Pechino, siglato da Meloni per superare la Via della Seta. È la linea del prossimo ambasciatore americano in Italia, Tilman Fertitta, che partecipa al vertice. Semmai, è l’invito, bisogna concentrarsi su un progetto alternativo, richiamato nel comunicato finale: la Via del Cotone.
«Lavoreremo insieme per sviluppare il corridoio economico India-Medio oriente-Europa, collegando i partner tramite porti, ferrovie e cavi sottomarini». È il mondo che ha in mente Trump, senza cinesi e con una bussola: gli accordi di Abramo. Infrastrutture e porti: un richiamo cruciale. Ferrovie potrebbe essere della partita, nel prossimo futuro. Ma pesa soprattutto la promessa di espandere l’impegno di Fincantieri in America. Il colosso italiano ha già interessi a Marinette, in Wisconsin, con enormi commesse per navi da guerra, e in Florida. Trump vuole rafforzare anche la flotta commerciale.
E poi c’è il gas. È un altro dei dossier su cui Trump batte cassa con Roma. L’impegno è quello di «aumentare le esportazioni di gas naturale liquefatto Usa verso l’Italia» fino a 10 miliardi di metri cubi.
(da La Repubblica)

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LA DENUNCIA DEL PD E DI AVS: “LA LEGA SFRUTTA L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER FOTO RAZZISTE”

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

PRESENTATA ALL’AGCOM SEGNALAZIONE FORMALE… LE FOTO UTILIZZATE PER ENFATIZZARE LA CRIMINALITA’ DI STRANIERI IMMIGRATI DOVE APPAIONO COME BESTIE FEROCI

Si alza il livello dello scontro attorno all’uso dell’intelligenza artificiale. Ora i riflettori sono sulla politica. Il Partito Democratico e Alleanza Verdi e Sinistra
hanno presentato all’Agcom una segnalazione formale contro la Lega, accusando il partito guidato da Matteo Salvini di aver diffuso sui propri canali social immagini generate artificialmente perché sarebbero «razziste, xenofobe e islamofobe».
Le immagini finite sotto accusa ritraggono presunti criminali, quasi esclusivamente uomini stranieri, in particolare neri, nell’atto di compiere furti, rapine o violenze, spesso nei confronti di donne.
La denuncia del Pd e Avs: «Prendono di mira categorie specifiche»
L’elemento critico, secondo i denuncianti dell’opposizione, non è solo la violenza rappresentata, ma il fatto che le immagini siano create con l’intelligenza artificiale per enfatizzare l’origine etnica degli aggressori. «Stanno usando l’intelligenza artificiale per prendere di mira categorie specifiche di persone, immigrati, arabi, rappresentandoli sistematicamente come ladri, stupratori o aggressori», ha dichiarato il senatore Antonio Nicita (Pd), firmatario della segnalazione, al Guardian. «Si tratta di un uso strumentale e pericoloso delle nuove tecnologie, che contribuisce a creare un clima di paura e di odio nei confronti di chi ha origini straniere», ha aggiunto.
Duro il commento del deputato di Avs Francesco Emilio Borrelli: «Le immagini create dall’IA sono frutto di precise istruzioni: vengono generati uomini neri nell’atto di rapinare o aggredire donne. È una strategia che mira chiaramente a instillare paura tra i cittadini italiani, manipolando la percezione della realtà». Spetterà ora all’Agcom fare le valutazioni del caso.
(da Open)

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CONTI, TESSERE, BUCHI: CALENDA MANAGER SOLO DI SE STESSO

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

I TRUCCHI DELL’EX MINISTRO CHE HA FATTO FLOP ANCHE NELLA GUIDA DELLE AZIENDE

E se alla fine, come consigliava il re Franceschiello, Carlo Calenda stesse facendo ’a faccia feroce solo per nascondere una intrinseca debolezza?
Il personaggio è abile, ha saputo galleggiare dentro un’Italia fatta di relazioni e amichettismo, ha avuto una brillante esposizione politica, ma dove andrà? Con il solito stile provocatorio ha inviato alla segretaria del Pd questo messaggio: “Se mi chiede di scegliere tra Conte e Salvini, allora torno a fare il manager”. Ma guardando alla storia passata anche quella prospettiva appare fragile. Così come fragile sembra la sua vittoria al recente congresso di Azione e il controllo di un partito che pure è stato plasmato attorno alla sua persona.
La vita lavorativa di Calenda inizia, per sua ammissione, grazie a una raccomandazione. Lo disse alla Confessione di Peter Gomez che la sua carriera in Ferrari dipese dal fatto che suo padre fosse andato a scuola con Luca Cordero di Montezemolo che gli fece fare uno stage, “non retribuito” di un anno. Da lì, diventa “responsabile relazione con le istituzioni finanziarie” e “responsabile customer relationship management”. Non certo un ruolo di direzione strategica, ma ha meno di 30 anni. Nel 2004 arriva Sergio Marchionne e Calenda se ne va, o viene messo alla porta, per approdare in Sky a fare il “responsabile marketing di prodotto e programmazione” in una televisione in cui prodotti e programmazione vengono comunque decisi altrove. Ma va bene. L’incarico forse più produttivo è però quello tra il 2004 e il 2008 di “direttore affari internazionali” in Confindustria, dove lo chiama ancora Montezemolo divenuto presidente. È un incarico di relazioni e lui, viaggiando per il mondo con i principali imprenditori italiani, ne coltiva a iosa e gli saranno utili in futuro.
Sicuramente lo aiutano a diventare, nel 2008, quando Montezemolo esce da Confindustria, il direttore generale dell’Interporto campano, presieduto dall’imprenditore Giovanni Punzo, già accostato alla camorra, senza condanne, e comunque uomo anch’egli di grandi relazioni. Negli anni in cui è direttore generale di Interporto, Calenda gestisce un’azienda che annuncia costantemente la propria futura grandezza ma che intanto si gonfia di debiti e contributi pubblici. Quando lui arriva, nel 2008, il debito verso le banche ammonta a 308 milioni di euro soprattutto in virtù di un accordo siglato l’anno prima con il pool Mps-Unicredit-Intesa. Debito che negli anni in cui Calenda è un top
manager non scende, anzi nel 2010 vengono attivati altri finanziamenti, con Banco di Napoli e Bnl, per altri 70 milioni. La situazione richiede un aumento di capitale della Interporto, nel 2009, di 11 milioni di euro ma anche uno di 120 milioni della controllante, la Cisfi di Punzo di cui 30 milioni saranno sottoscritti, guarda un po’, da Mps, Unicredit e Intesa. Interporto nel 2011, nella sua relazione annuale, dichiara di “aver investito 750 milioni per sviluppare un sistema di 2 milioni di mq di infrastrutture logistiche” e allo stesso tempo di aver ottenuto “contributi a fondo perduto per 190 milioni” e ne attende ancora 40 dalla Regione. Dal sistema bancario ha incassato complessivamente 484 milioni. Eppure la relazione si chiede seriamente cosa fare nel futuro. Nel 2009 era stata costituita, con grandi prospettive di “piattaforma integrata” nel trasporto merci a livello nazionale la Interporto Servizi Cargo, di cui Calenda è stato presidente. A gennaio 2023 la Isc è stata liquidata, i contratti disdetti e avviata la procedura di licenziamento collettivo di 113 dipendenti. Insomma, un fallimento anche manageriale. Per affrontare l’indebitamento bancario Interporto inizia la lunga trattativa con gli istituti di credito per rinegoziare i prestiti, resa necessaria anche dai bilanci del 2013, ultimo in cui Calenda è in azienda, che vedono un rosso di 14,137 milioni, frutto del calo del fatturato e di un indebitamento bancario di 272 milioni. Il negoziato con le banche è affidato a Ernst & Young e porterà nel 2016 a un accordo che prevede la creazione di un “convertendo”, un prestito obbligazionario da 102 milioni, diventati poi 109, che si affianca al debito “senior” da 110 milioni. Quando Mps va gambe all’aria ed è salvata dallo Stato, la società di Giovanni Punzo, diretta da Calenda, è tra le principali aziende debitrici. E così accade che quando il M5S chiede che la lista dei principali debitori di Mps venga resa pubblica a opporsi è proprio Carlo Calenda: “Lo fai per nascondere i debiti di Carlo De Benedetti” è l’accusa che gli viene rivolta. In realtà aveva qualcosa che lo riguardava più da vicino.
Il partito del Sud Resta il partito, dove Calenda appare il re incontrastato. All’ultimo congresso è stato rieletto segretario con l’85,7% dei voti, mentre Giulia Pastorella, la sua avversaria, ha ottenuto il 14,3% con una partecipazione al voto di circa 13.700 iscritti. C’è però anche un’altra verità. Pastorella ha infatti ottenuto quel magro risultato in virtù di un regolamento che imponeva di raccogliere dei sottoscrittori a livello provinciale pari almeno al 5% degli iscritti (con in più un complesso sistema legato al numero di iscritti provinciali).
Pastorella non ha ottenuto i sostegni prescritti dal regolamento in moltissime province, presentandosi solo nel 31% dei collegi elettorali. Però, conteggiando i voti ottenuti nelle province in cui si è candidata, il vantaggio di Calenda è stato solo del 54 contro il 46% con la candidata segretaria vincente nelle zone rilevanti e produttive (decisive apparentemente per un partito come Azione) come Milano (55%), Varese (51%) Bergamo (54), il Trentino Alto Adige (88), Imperia e Savona, gran parte del Veneto e soprattutto le province di Vicenza e Verona, Trieste oppure, in Emilia, Bologna (54%) e Reggio Emilia. “Il risultato ottenuto dalla nostra mozione ‘Azione dipende da noi’ è storico e straordinario” dichiarava in quei giorni il sito della oppositrice. “Abbiamo ottenuto la vittoria in oltre la metà delle province in cui ci siamo presentati”.
Calenda però si è fatto forte di due elementi: essersi presentato in solitaria nel 70% delle province, dove la sua avversaria non era presente, grazie a un regolamento eccessivamente rigido, e la grande infornata di voti al Sud, in particolare in Campania che con oltre 6.500 iscritti ha espresso 58 delegati su 300 al congresso nazionale. Pastorella, alla fine, non ha voluto dare battaglia in quello che, molti dei suoi sostenitori, definiscono una sorta di “tradimento”: “Ha acconsentito a parlare solo 3 minuti e mezzo al congresso nazionale” dice uno di loro nell’anonimato, “mentre doveva pretendere almeno di farsi eleggere presidente del partito”.
Il paradosso del voto, comunque, è che il paladino della borghesia produttiva e fustigatore del voto meridionale del M5S, prospera grazie a quello stesso bacino elettorale: i delegati al congresso provenienti da Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, infatti, sono stati 112 su 300 e tutti per Calenda (tranne uno di Taranto) in rappresentanza di circa 10 mila iscritti su un totale di 16 mila. Sempre secondo i suoi oppositori, poi, la gestione del partito non è certamente espressione dei nuovi ceti produttivi (la critica viene in particolare dal Veneto). Si punta il dito contro la gestione Rosato, transfuga renziano e da tempo in predicato di passare a Forza Italia e che ha perso il congresso nella sua città, Trieste. Si lamenta l’eccessivo peso che ha il vicesegretario Andrea Mazziotti di Celso, sponsor della candidatura, con sicura elezione, di Valentina Grippo, “paracadutata” da Roma in Veneto e figlia di Eugenio Grippo dello studio studio Gianni Origoni, Grippo, Cappello & Partners di cui Mazziotti è partner. Mal sopportato è il ruolo di figure come l’ex Cisl Giovanni Faverin,
responsabile del lavoro pubblico di Azione, costretto a dimettersi dalla segreteria della Funzione pubblica Cisl di Padova nel 2017 per “Violazione delle norme di tesseramento e contributive” e oggi finito in Azione (dove in segreteria nazionale siede anche l’ex segretario Cisl, Raffaele Bonanni, dimessosi dopo lo scandalo della sua pensione).
In questo contesto continuano le fughe dal partito: se ne sono andate le due golden lady berlusconiane, Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, pochi giorni fa l’ex senatrice Barbara Masini, in Veneto c’è aria di esodo e soprattutto non si capisce quale sia la prospettiva politica. Forse ancora il terzo polo che si è già rivelato, nel 2022, il sesto ma che domani, se non superasse il quorum elettorale, potrebbe risultare addirittura non classificato. Intanto, la consegna al partito è: facite ’a faccia feroce.
(da ilfattoquotidiano.it)

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