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IDENTIFICATI 26 “HATER” CHE HANNO INSULTATO SUI SOCIAL L’IMPRENDITRICE CRISTINA SEYMANDI

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

NELLA MAGGIOR PARTE DEI CASI, SI TRATTA DI UOMINI SPOSATI CHE SI PRESENTANO COME “PADRI DI FAMIGLIA”, MA CHE NEL PRIVATO SPUTANO BILE CONTRO LA SEYMANDI, CON COMMENTI COME “PUTTANA”, “ZOCCOLA” .. TUTTI ITALIANI, DIPLOMATI O LAUREATI, ORA PIAGNUCOLERANNO IN TRIBUNALE

Sono tutti italiani, nessun immigrato. E, tranne due, tutti uomini. Hanno un livello di istruzione medio alto. Sono diplomati e laureati. Disseminati tra il Nord e il Sud Italia, si distinguono solo riguardo alla professione.
Sono insegnanti, poliziotti, piccoli imprenditori, commercianti. Per il resto, hanno due fattori che li accomunano. Il primo è la rappresentazione che danno di sè. Si descrivono come «coniugati» e «padri». Come uomini di «famiglia». Celebrano le nascite dei figli. Ne hanno dai due ai quattro ciascuno. Lodano le madri. Pubblicano foto dove sorridono con le mogli. Il secondo punto che li rende simili è un reato. Sono tutti presunti
diffamatori. O meglio, sono odiatori «sessisti». Li ha definiti così la gip di Torino Lucia Minutella, che sei mesi fa ha ordinato alla procura di Torino, che aveva chiesto l’archiviazione, di identificare gli haters di Cristina Seymandi.
L’imprenditrice era finita al centro delle cronache dopo la rottura del fidanzamento con il commercialista Massimo Segre. Sui social era stata etichettata come «donna infedele» e pesantemente insultata con frasi oscene.
Commenti che la giudice, che ha accolto l’opposizione di Seymandi alla richiesta di archiviazione, ha definito gravi perché «di genere». Seymandi è stata apostrofata come «putt…», in quanto donna.
Per questo è vittima di diffamazione aggravata dall’odio e dalla discriminazione. Sono passati sei mesi da quella decisione. E il pm Roberto Furlan ha terminato il lavoro. Gli indagati sono 26. Per 19, residenti in altre province, il pm ha trasmesso gli atti alle procure competenti.
Le donne sono solo due, di cui una con problemi psichiatrici.
Il primo uomo individuato ha 60 anni ed è di Roma. Sposato, fa il sindacalista. Si mostra in giacca e cravatta. Su Facebook, sotto a un articolo sul matrimonio saltato tra Seymandi e Segre, aveva scritto: «È una zocc…». Poi c’è il «reverendo», nome d’arte con cui si presenta un altro indagato. Ha 45 anni, una moglie, due figli e il ruolo di vice presidente della Croce rossa della località in cui risiede. Sui social, contro Seymandi, aveva scritto: «Oltre che andava a prendere…vuole avere pure ragione…ma vaff…»
E il più giovane degli indagati, un appassionato di musica trap di Milano: «A quanto pare la signora con gli avvocati ci va a letto», la frase oggetto del reato che gli potrebbe costare un processo. Seguono, nell’annotazione della postale, i nomi di un decoratore del Vicentino – «è una zoc…, si sappia che a lei piace così» – e quello di un addetto alla sicurezza di mezza età appassionato di «ricerche investigative paranormali».
Poi c’è un venditore di profumi della cintura di Torino: «Convivendo col suo uomo va con…». Un uomo di Lucca, che su Facebook esibisce raccolte di immagini dei primi 8 anni del figlio, del diciottesimo di un altro figlio, e che posta molte foto di quando faceva il servizio militare. «Io la chiamo zocc…», il commento postato sotto a un articolo di Famiglia cristiana.
Un poliziotto penitenziario sardo che ama le Porsche aveva invece scritto: «Da mign….a buddista». Anche lui rischia il processo. Deciderà la procura di Cagliari.
Tra gli indagati di Napoli, figura un cinquantenne . «Là buddista, qui buddana», era il post che aveva messo nero su bianco contro l’imprenditrice. Dello stesso tenore è il commento di un indagato di Cesena.
Tra gli odiatori da tastiera con più qualifiche, ci sono un libero professionista esperto d’arte che ha studiato all’Università di Ca’ Foscari. Un insegnante di Borgosesia laureato in lettere con indirizzo archeologico. Un uomo residente a Napoli laureato in storia medievale e fondatore di una casa editrice. Aveva diffamato Seymandi così: «La donna che paghi prima è la donna
che paghi meno… 700 mila euro per una escort che non ti garantisce neanche l’esclusiva… pessimo affare».
La procura di Napoli, la più veloce finora, ha già emesso contro di lui un decreto penale di condanna. Altre venti procure sono al lavoro.
In tutta Italia si continuano a indagare le posizioni degli altri diffamatori. «È un passo importante contro chi usa stereotipi di genere per offendere, tramandando una cultura profondamente sbagliata», dice Cristina Seymandi, difesa dall’avvocato Claudio Stratta.
(da agenzie)

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ONDATA DI SOLIDARIETÀ PER IL CALCIATORE DELLA LAZIO PEDRO, SOMMERSO DA INSULTI E COMMENTI OMOFOBI PER AVER PUBBLICATO UNA FOTO DEL FIGLIO DI 8 ANNI CON VESTITI “FEMMINILI”

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

MA SI SCATENA LA SOLIDARIETA’: “MARC È FORTUNATO AD AVERTI COME PADRE; “LASCIA PARLARE GLI STOLTI, SI VEDE CHE SIETE FELICI”… LA STAMPA SPAGNOLA PUNTA IL DITO CONTRO I TIFOSI BIANCOCELESTI, ACCUSATI DI ESSERE “NEONAZISTI CHE IN ITALIA GODONO DI IMPUNITÀ”

Insulti. Accuse. Rabbia. Odio. Tutto per una foto che ritrae un bambino che festeggia il proprio compleanno con un abbigliamento ritenuto dai social «troppo femminile». Il bimbo in questione è il figlio del giocatore della Lazio Pedro. Nell’immagine condivisa su Instagram dallo spagnolo, Marc, 8 anni, è ritratto davanti a una torta a tema Lilo & Stitch nel parco acquatico Costa Adeje, città costiera di Tenerife: indossa una tiara scintillante e un vestitino con spalline. Nei commenti, un’ondata di attacchi omofobi e sessisti rivolti a Pedro e suo figlio.
Tanti, troppi messaggi pesanti: anche commenti chiaramente omofobi: «C’è ancora tempo per riprenderti tuo figlio, non abbandonarlo…», «Quindi un padre che fa vestire suo figlio da donna va bene e bisogna applaudirlo? Il mondo è sottosopra», «Omosessuale» o «Cancella finché sei in tempo».
Il calciatore non ha risposto e non ha voluto commentare il fatto, ma ha preso le difese del figlio Marc indirettamente: non ha cancellato la foto e ha deciso di limitare la possibilità di commentare l’immagine. Nella giornata, tuttavia, sono circolate
delle frasi inizialmente attribuite all’attaccante — ieri puntualmente in campo nelle sedute di allenamento previste durante il ritiro —, che però, tramite il club, ha smentito, palesando anche un certo fastidio per la polemica che ne è nata.
Lo scontro virtuale, fra l’altro, ha avuto diverse appendici: Fonsi Loaiza, un giornalista spagnolo piuttosto seguito sui social, per esempio, ha affermato su X che molti degli insulti pervenuti alla famiglia di Pedro arrivino da utenti tifosi della Lazio che, ha sostenuto, secondo lui è seguita da neonazisti che in Italia godrebbero di impunità.
Tale affermazione ha provocato un’alzata di scudi fra i tifosi biancocelesti che, in massa, oltre ad aver (già in precedenza) espresso solidarietà al giocatore e al bambino, hanno chiesto alla società di reagire anche dal punto di vista legale. Al momento però il club romano in tal senso non ha risposto in alcun modo.
Haters a parte, specie dopo la diffusione dei messaggi più violenti e omofobi, sono diventati tantissimi i commenti a sostegno della famiglia del giocatore della Lazio. Va infatti sottolineato che molti utenti hanno espresso massima solidarietà all’attaccante biancoceleste: «Marc è fortunato ad averti come padre», o ancora «Viva la libertà», «Lascia parlare gli stolti, si vede che siete felici», «Fai come i veri laziali: non mollare mai e vai avanti per la tua strada», «Oltre a essere un grande calciatore sei anche un grande uomo», «L’amore è la forza più potente al mondo e supera ogni pregiudizio. Auguri Marc».
Attestati di stima e d’amore, arrivati da tutte le parti del mondo, che però non possono far scivolare in secondo piano la veemenza con la quale è stata commentata da molti una foto che ritraeva un bambino felice nel giorno del compleanno.
(da agenzie)

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IL GIALLO DI GARLASCO: PER I PM, OLTRE A SEMPIO, C’ERA UN’ALTRA PERSONA NELLA VILLETTA DEI POGGI

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

GLI ESAMI SUL DNA DI “IGNOTO 3”, EMERSO DAL TAMPONE DELLA BOCCA DI CHIARA POGGI, ESCLUDONO LA CONTAMINAZIONE DA PARTE DI CHI È ENTRATO IN CONTATTO CON IL CADAVERE DELLA RAGAZZA (SANITARIA, MORTUARIA O INVESTIGATORI

«Basta confusioni e congetture». Il procuratore di Pavia Fabio Napoleone rompe il silenzio sull’indagine di Garlasco […] nel mirino ci sono illazioni, ipotesi, mistificazioni sullo stato delle indagini propinate ogni giorno da «consulenti, esperti e opinionisti».
A muovere Napoleone è stato «il continuo attribuire alla Procura valutazioni, ricostruzioni, attività in corso e persino stati d’animo». Per il procuratore che guida il pool di investigatori che indagano sulla morte di Chiara Poggi, «qualsiasi
interpretazione proveniente da soggetti estranei all’Ufficio genera solo confusione, dando vita a discussioni fittizie in cui consulenti, esperti o opinionisti commentano su ipotetiche scelte della Procura basate su congetture».
In alcuni dibattiti si è arrivati a sostenere che gli inquirenti siano «eterodiretti» dalla difesa di Alberto Stasi, condannato in via definitiva per l’omicidio di Chiara. Accuse dure, così come le parole dei consulenti — Marzio Capra per la famiglia Poggi, Luciano Garofano per Andrea Sempio — che hanno messo in dubbio la professionalità di chi ha effettuato gli accertamenti tecnici.
Ultima goccia il dibattito, a tratti grottesco, sul Dna «Ignoto 3» trovato nel tampone orale: prima il tentativo di negarne l’esistenza, poi la garza non sterile e infine la macabra ipotesi secondo cui si tratterebbe addirittura della traccia di un cadavere sulle attrezzature durante una precedente autopsia.
L’impressione è che si sia vicini a un momento cruciale dell’inchiesta. Il passo è cambiato nell’ultimo mese e mezzo. Carte alla mano sono molti gli elementi che non tornano rispetto alle parole dette in tv anche da chi, invece, a verbale ha raccontato tutt’altro o ha fatto scena muta. O peggio si è occupato delle indagini passate.
Andrea Sempio venerdì è tornato a parlare a «Quarto grado» raccontando del malore durante l’interrogatorio del 2008 — di cui non era stato dato conto nei verbali dell’epoca — e della storia dello scontrino
Ha ammesso che ci sono state pause non registrate dagli inquirenti e che addirittura è stato mandato a casa per prenderlo. Sul malore ha parlato di una «febbre» che non gli dava tregua da giorni con l’intervento del 118 in caserma. A maggio, quando la notizia era stata diffusa dalla stampa, lui e i suoi legali avevano negato qualsiasi malessere parlando di «falsità».
a a rafforzare l’azione della procura ci sarebbe anche una consapevolezza. Gli accertamenti su «Ignoto 3» e sull’ipotesi di contaminazione da parte di sanitari, mortuaria o investigatori avrebbero dato il primo responso: il profilo non corrisponderebbe a nessuno tra chi ha eseguito atti, sopralluoghi, esami e potrebbe essere entrato in contatto con il corpo o con il tampone. Resta l’ipotesi di un «inquinatore», ma si sta verificando anche quello. Se non fosse così, sono convinti a Pavia, quel Dna sarebbe quello dell’assassino e complice di Sempio.
(da “Corriere della Sera)

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GLI OSCURI RAPPORTI CON JEFFREY EPSTEIN, CON ANNESSI SOSPETTI DI ESSERE TRA I “CLIENTI” DEL GIRO DI MINORENNI DEL FINANZIERE MORTO SUICIDA IN CELLA, SONO LA PIU’ GRANDE ROGNA PER DONALD TRUMP DA QUANDO E’ PRESIDENTE

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

E’ TALMENTE IN DIFFICOLTA’ SUL CASO CHE E’ PARTITO ALL’ATTACCO INTENTANDO UNA CAUSA DA DIECI MILIARDI DI DOLLARI AL “WALL STREET JOURNAL”, MA NON E’ DETTO CHE BASTI A SILENZIARE LO SCANDALO, SOPRATTUTTO SE DAI DOCUMENTI ANCORA SEGRETI EMERGESSERO ALTRE SORPRESE IMBARAZZANTI

Trump cerca di riprendere il controllo del caso Epstein, tra la causa da dieci miliardi di dollari al Wall Street Journal, la promessa di pubblicare i documenti del Grand Jury, e la distrazione della direttrice dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard, che accusa Obama di aver fabbricato il “Russiagate” per abbatterlo. Sono sempreverdi che in genere funzionano con la base del movimento Maga, e infatti alcuni leader si sono già riallineati al presidente. Resta da vedere se basterà a silenziare lo scandalo, soprattutto nel caso in cui dai documenti ancora segreti emergessero altre sorprese imbarazzanti.
Il capo della Casa Bianca sostiene di non aver mai scritto la lettera oscena per festeggiare il cinquantesimo compleanno di Jeffrey, anche perché non sa disegnare. Questa difesa è stata già smentita dalla pubblicazione di molti schizzi che aveva fatto e venduto per beneficenza, dimostrando peraltro un buon talento. Il New York Times ha ricostruito il suo rapporto con Epstein. La sua ex fidanzata Stacey Williams, che ha denunciato molestie sessuali, ha testimoniato che «erano i migliori amici».
Trump ha quindi reagito con forza, a partire dalla causa contro il Wall Street Journal per averlo diffamato con la pubblicazione del contenuto della lettera: «Nonostante le evidenti carenze nell’etica giornalistica e negli standard di accuratezza del resoconto, gli imputati Dow Jones e News Corp. – su indicazione degli imputati Murdoch e Thomson – hanno pubblicato al mondo le dichiarazioni false, diffamatorie e offensive degli imputati Safdar e Palazzolo», si legge nel documento.
Dove Murdoch è l’editore, Thomson il manager, Safdar e Palazzolo i giornalisti autori dell’articolo. Quindi la causa prosegue: «Centinaia di milioni di persone hanno già visualizzato le dichiarazioni false e diffamatorie pubblicate dagli imputati. E data la tempistica dell’articolo degli imputati, che dimostra la loro intenzione malevola, gli enormi danni finanziari e reputazionali subiti dal presidente Trump continueranno a moltiplicarsi».
Totale: dieci miliardi di dollari, che chiuderebbero il Wall Street Journal. Non è facile che la causa abbia successo, perché tocca al querelante dimostrare l’intento di diffamarlo. Per farlo Donald sarebbe costretto a testimoniare in tribunale sulla sua relazione pericolosa con Epstein, mentre Murdoch potrebbe difendersi mostrando che la lettera esiste ed è vera.
La causa però è bastata a riallineare molti leader del movimento Maga come Laura Loomer, Charlie Kirk, Jack Posobiec e Steve Bannon, che aveva girato 16 ore di interviste con Jeffrey per un documentario mai uscito ed è stato accusato da Elon Musk di essere nella lista dei suoi “clienti”. Per questo gruppo andare contro i media tradizionali dell’establishment è più importante che conoscere la verità su Epstein e quindi si sono rischierati con Trump.
(da “la Repubblica”)

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SONO TRASCORSE SOLO 24 ORE DALLA NOMINA DI MATTEO PAROLI A PRESIDENTE DEL PORTO DI GENOVA DA PARTE DI SALVINI E IL SOGGETTO E’ STATO CONDANNATO PER FALSO

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

DOVRA’ PAGARE IN MERITO ALLE CONCESSIONI NEL PORTO DI LIVORNO

Altro capolavoro sulle nuove nomine dei presidenti delle autorità portuali. Appena nominato presidente al porto di Genova Matteo Paroli si ritrova con una condanna sulle spalle per come ha operato nel porto di Livorno.
A quasi tre anni dalla prima assoluzione, arriva un colpo di scena nella vicenda giudiziaria legata alle concessioni temporanee nel porto di Livorno.
La Corte d’Appello di Firenze ha infatti riformato la sentenza con cui, nel dicembre 2022, il tribunale labronico aveva assolto con formula piena tutti gli imputati. L’unico a uscire del tutto indenne dal processo, anche in secondo grado, è Federico Baudone, dirigente di Sintermar, già assolto su richiesta della stessa procura.
La nuova sentenza ha invece condannato a un anno di reclusione (pena sospesa) per falso in atto pubblico l’ex presidente dell’Autorità portuale, Stefano Corsini, l’ex segretario generale Massimo Provinciali e l’imprenditore Corrado Neri, classe 1975.
Secondo la Corte, i tre avrebbero agito in concorso per rilasciare due autorizzazioni temporanee all’occupazione di banchine nel marzo e nel settembre 2018, considerate irregolari dalla procura.
Il procedimento ruotava attorno a un sistema di concessioni trimestrali per l’uso delle banchine 14E, 14F e 14G da parte di alcuni terminalisti. Una pratica che, secondo l’accusa, violava le regole e aggirava la necessità di avviare concessioni ordinarie più trasparenti. Di tutt’altra opinione le difese, che hanno sempre sostenuto la legittimità della scelta, presentandola come una soluzione temporanea ma efficace per evitare la paralisi
operativa del porto e, al contempo, garantire entrate maggiori all’ente. Una posizione ribadita anche in aula dall’ex presidente Corsini, che nel corso del dibattimento spiegò come, secondo lui, quella soluzione avesse permesso un incasso superiore e un miglior utilizzo delle banchine.
La Corte d’Appello ha però dato un’interpretazione diversa rispetto ai giudici di primo grado e ha ritenuto il reato configurabile, almeno per i fatti avvenuti dopo marzo 2018. Tutti gli episodi precedenti, infatti, sono stati dichiarati prescritti. Per questo motivo sono stati prosciolti altri nomi noti del settore, tra cui Corrado Neri (classe 1962), l’ex dirigente del demanio Matteo Paroli (oggi commissario straordinario del porto di Genova), il manager Costantino Baldissara, Massimiliano Ercoli di Seatrag e Luca Becce.
La Corte d’appello di Firenze ha poi condannato Provinciali, Corsini e Neri oltre a Paroli, Ercoli, Baldissara, Neri (nato nel 1974), Corrado Neri (nato nel 1962) e Becce al risarcimento danni (da quantificare con altro procedimento civile) nei confronti delle parti civili.
(da agenzie)

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E ALLA FINE I SOVRANISTI FANNO ENTRARE PIU’ IMMIGRATI DI CHI LI HA PRECEDUTI

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

SERVONO 500.000 IMMIGRATI NEL PROSSIMI 3 ANNI, 165.000 GIA’ NEL 2026, IL GOVERNO DEL “BLOCCO NAVALE” CON IL DECRETO FLUSSI SMENTISCE SE STESSO

Ciascuno leghi alle parole un volto. Chi ha parlato del pericolo di una grande “sostituzione etnica” ai danni della nostra identità? E chi organizza da sempre in Parlamento la resistenza contro l’“invasione incontrollata” magrebina? E chi ha ipotizzato perfino il blocco navale pur di fermare gli ingressi
indesiderati? Giorgia e ancora Giorgia e ancora Giorgia. La destra televisiva e quella governativa unite nel fronte della fermezza. Meno immigrati cioè meno delinquenza, cioè meno caos. Semplice, lineare, ragionevole. Poi però la realtà si intestardisce a rendere incredibile ciò che ritenevamo certo. Esempio? Questo governo ha valutato che servano almeno 500 mila nuovi immigrati nei prossimi tre anni, e almeno 164 mila di essi solo nel 2026. Saranno braccia soprattutto dall’Africa. Nere come il carbone. Braccia per sostenere l’agricoltura, come chiedono le associazioni sindacali e padronali (anche di destra), per dare possibilità all’industria pesante di effettuare i turnover, per offrire alle famiglie badanti e baby sitter a buon prezzo.
Giorgia Meloni, quella del pericolo della imminente sostituzione etnica, ha firmato col decreto flussi, come ha ricordato Tito Boeri, ex presidente Inps, il più alto numero di ingressi per anno nel nostro Paese. Ha addirittura fatto meglio di Silvio Berlusconi, che pure era stato di manica larga, (147 mila ingressi autorizzati). Il dire è una cosa e il fare è dunque un’altra. E così quei mollaccioni di centrosinistra, inchiodati dall’accusa di aprire porte e finestre agli africani perdigiorno, risultano incredibilmente assai più severi nel registrare gli ingressi. Il governo di Enrico Letta ne accettò 48 mila, quello di Matteo Renzi addirittura 14 mila, e Paolo Gentiloni premier ne autorizzò 31 mila. Tra il dire e il fare c’è sempre dunque un mare di mezzo. E le vicende dei due governi Conte portano
esattamente a riferire che la sinistra, ops, è assai più rigida della destra. Il secondo governo Conte, quello col Pd e gli altri di sinistra, riduce di un terzo gli ingressi autorizzati dal primo Conte, quello con Salvini.
Domanda: e la più grande sanatoria di irregolari residente in Italia da chi fu fatta? Lui, Silvio Berlusconi, insieme a Umberto Bossi e Gianfranco Fini firmarono il più vasto reclutamento di forza lavoro illegale: 647 mila regolarizzazioni. Tra il dire e il fare.
(da agenzie)

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D’ANNUNZIO, ELBA E RED-BOX: IL SESTO SENSO DI GIAMBRUNO

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

GRAZIE , CI ERI MANCATO

Mi sono imbattuta nell’intervista che Andrea Giambruno ha coraggiosamente concesso all’interno del format YouTube “Red box”. Se ignorate cosa sia “Red box”, scatola rossa, vi basti sapere che è presentato, sotto al titolo, come un programma “in cui i personaggi varcano la soglia di una dimensione fuori dal tempo: una scatola nera immersa in un’atmosfera intensa”. Solo che il programma si chiama scatola rossa e le pareti sono rosse.
Insomma, dove c’è Giambruno c’è un incidente cromatico. Lo avevamo lasciato al “Watergate dei completi sartoriali blu estoril”, e lo ritroviamo nella scatola nera che però è rossa. Comunque, l’intervista è appassionante, zeppa di domande scomode. “Se ti dico rosso a cosa pensi?”. “Al cuore, all’amore, a mia figlia che mi dorme accanto”. Come andavi a scuola?
“Insomma”. Tra parentesi, mentre lui parla di scuola partono delle immagini stock di studenti di colore, come se si fosse diplomato in Angola, cosa di cui forse Meloni non era a conoscenza. Racconta la sua laurea in filosofia, presa perché “la filosofia mi ha permesso di centrare me stesso all’interno di un macrosistema”. Considerato che non è riuscito a centrare se stesso neppure in uno studio di Rete 4, deve aver frequentato i corsi di filosofia presso la mensa dell’università.
Poi il tono si fa serio: “Odio il politicamente corretto, non si può più dire niente, c’è il pensiero unico”. E un attimo dopo: “Le critiche costruttive le accetto, ma quelle ai miei capelli no”. Insomma, dammi del fascista ma non toccare il mio ciuffo identitario. Poi dice di avere la passione per il giornalismo e quando pronuncia la parola, si apre un box accanto alla sua immagine con la definizione del termine “giornalismo”. Non si capisce perché, se sia una spiegazione per il filosofo Giambruno o se serva a non confondere l’intervista con un tutorial su come sopravvivere al pensiero critico con solo spazzola e fon.
La raffica di domande continua, i ficcanti quesiti gli si conficcano nella pelle come spine di cactus. “Qual è il ricordo più bello nel tuo lavoro?”. Giambruno rompe la barriera spazio-tempo: “Quello che verrà”. Lui ha ricordi direttamente dal futuro, come Marty McFly. “Perché ti piace il giornalismo?”. “Mi piace raccontare le cose e dare una verità più veritiera possibile”. Un versione premium della verità insomma. “Qual è il tuo libro preferito?”. Qui Giambruno si illumina, ha una
chicca imprevedibile da giocarsi per stupire lo spettatore: “Uno che mi ha appassionato… che mi è piaciuto fin da subito… è … Il piacere di Gabriele D’Annunzio!”. Chissà lo shock quando scoprirà che i Beatles non sono malaccio.
Anche le sue rivelazioni sulla figlia avuta da Giorgia Meloni sono molto lucide: “Mia figlia è sveglia, capisce prima di altri, ha preso da me sesto senso e sensibilità!”. In effetti tra Giambruno e Giorgia Meloni, vuoi mettere: la madre governa il Paese, lui fa fatica a domare il ciuffo. Speriamo solo che la figlia sia meno sensibile all’umidità. E poi, la domanda finale, quella che non lascia scampo all’intervistato: “Qual è la tua dimensione preferita? “L’Elba”. Viene il dubbio che sia l’Erba, ma sono pensieri meschini. Grazie Giambruno, ci eri mancato.
(da ilfattoquotidiano.it)

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SAREBBE TROPPO BELLO

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

TRUMP RISCHIA DI PERDERE LA FACCIA ED IL POTERE PER MANO DELLA PARTE PEGGIORE DEI SUOI SOSTENITORI

Sarebbe troppo bello e troppo giusto se davvero Donald Trump dovesse perdere la faccia e il potere per mano della parte peggiore dei suoi sostenitori, la coorte paranoica e complottista di QAnon, convinta che il mondo sia nelle mani di una lobby di pedofili e sporcaccioni, e ora molto turbata dal possibile coinvolgimento di Trump nella vicenda Epstein.
Trump ha cavalcato con cinismo quei movimenti fanatici e malati, e le povere persone che ne sono vittime. Ne ha chiesto il voto e ne è divenuto l’idolo, in quanto giustiziere della Sodoma democratica, e purificatore dell’America. Non ha altro punto di riferimento che il denaro, specialmente il suo, e i panni del moralizzatore gli calzano come il saio all’assatanato. Eppure proprio quello è il viatico che un pezzo della destra profonda americana gli ha concesso.
Ora, la sola idea che in quelle fattorie, in quei drugstore, in quei fastfood, in quelle fabbriche qualcuno dei suoi possa cominciare a dubitare della sua condotta sessuale, torcendogli contro la stessa arma infetta agitata, senza alcun elemento di realtà, contro l’establishment dem (colpevole di ben altri misfatti, per esempio il salvacondotto fiscale concesso ai colossi del web); l’idea che lo sconcio moralismo (ossimoro) adoperato contro i “nemici” possa ritorcersi contro di lui, come accade al pistolero che inciampa e si spara da solo: beh, è un’idea davvero entusiasmante.
Come sappiamo, le cose troppo belle e troppo giuste sono accadimenti rarissimi, come un sei al Superenalotto. Ma almeno la speranza che accada, quella possiamo permettercela.
(da repubblica.it)

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MILANO LUCCICANTE: PUNTANDO AL CIELO HA PERSO LA STRADA

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

E’ DI NUOVO SCONTRO TRA GARANTISTI E GIUSTIZIALISTI MA , AL DI LA’ DELLE VICENDE GIUDIZIARIE, E’ CAMBIATA LA CITTA’, SEMPRE PIU’ “GENTIFRICATA”

Da Tangentopoli sono passati trentatré anni, un terzo di secolo, e niente, a partire dalle carte della Procura, rimanda a quel terremoto che rase al suolo il potere dei partiti della prima Repubblica. Allora venne messo a nudo, con qualche rudezza giudiziaria, un sistema di simbiosi strutturale tra partiti e imprenditori, fondato sulla corruzione. Da moltissimi conosciuto ma da tutti taciuto per l’evidente ragione che era illegale. Conveniente e illegale.
Questa volta è sotto accusa un metodo consolidato, molto disinvolto, molto discusso ma alla luce del sole, di facilitazione/accelerazione delle pratiche edilizie, così che i grattacieli possano sbucare in fretta (ma anche i tre studentati di Rogoredo, Greco e San Leonardo che avrebbero dovuto accogliere 1500 studenti fuori sede e sono bloccati per effetto dell’inchiesta); in più, vengono indagate alcune ambiguità di ruolo tra le parti in causa – costruttori, progettisti, consulenti, amministratori – che gli inquirenti ritengono reato.
Si spera che il prevedibile dibattito tra giustizialisti e garantisti si attenga, come dovrebbe essere, alla materia dell’inchiesta e non cada nella tentazione di un remake nostalgico, anche perché sarebbe una nostalgia molto malposta. Trent’anni fa eravamo tutti molto più giovani, ma anche molto più impreparati all’improvviso, tremendo cozzo tra potere giudiziario e potere politico. L’irruzione delle manette nella Polis sollevò emozione enorme e costruì tifoserie tutt’ora attive, anche se i capi ultras sono attempati. Ma ci vollero poi anni per capire che contare sulla magistratura per cambiare le classi dirigenti significa, sostanzialmente, rinunciare a fare politica; o disimparare a farla.
Nemmeno Milano è la stessa di trentatré anni fa. Da allora ha subìto – o a seconda dei punti di vista ha scelto – la più rapida e profonda trasformazione della sua storia bimillenaria. Lo skyline è irriconoscibile, irto e scintillante degli acciai e dei vetri di grattacieli sorti a decine. Quartieri che i vecchi milanesi (ma
nemmeno tanto vecchi) ricordano modesti e rattoppati, come congelati in un lunghissimo dopoguerra, sono stati ridisegnati ex novo, con enorme rimbalzo sui prezzi delle case. Si chiama “gentrificazione”, e vuol dire: via quelli di reddito basso, che non possono più permettersi di abitare lì e saranno rimpiazzati dai benestanti. Ma vuol dire anche: una botta di energia e di nuova vita.
Quanto alla vecchia “Milano da bere” degli anni Ottanta, con la sua ostentazione di griffe e di ninnoli che parve a molti, compreso chi scrive, una sostituzione futile e poco sostanziosa del vecchio tessuto produttivo industriale, è appena uno sbiadito ricordo di fronte alla vera e propria esplosione turistica, commerciale e ricreativa seguita all’Expo.
Locali, movide, ristoranti, mangerie e mescite in certi quartieri non hanno soluzione di continuità, come una filiera infinita di luoghi di ritrovo sempre pieni e in costante mutamento – ho dovuto farmi spiegare che cosa sono i “shisha bar”.
I portoni delle case sembrano intrusi tra le vetrine e i dehors che li assediano. Fracasso, chiacchiere in strada, musica, luci accese fino all’alba, molto alcol e una palpabile circolazione di polverine e pastiglie, i residenti con i tappi nelle orecchie e al mattino molto lavoro per la nettezza urbana.
Ma la maggioranza rumorosa non conosce orari, e d’altra parte la fine del modello industriale e la diffusione capillare di un vero e proprio personal work (ogni persona uno smartphone, ogni smartphone un’azienda) ha sbriciolato il tempo e lo ha reso
disponibile a qualunque uso. A timbrare ancora il cartellino è una minoranza assediata.
Nella sua vecchia struttura urbana, medievale e raccolta, la nuova Milano è riuscita a stipare una quantità inverosimile di punti di ritrovo, vetrine, convivi, showroom dentro i cortili, come se il Salone del Mobile fosse un modello endemico e permanente. Con gli uffici impilati nei grattacieli, e le attività finanziarie nell’alto dei cieli (forse il dito di Cattelan davanti alla Borsa proprio questo vuol dire: se volete capire dove abita il vero potere economico, guardate lassù), tutto il resto della città sembra una immensa colatura di attività umane le più disparate, con forte impronta multietnica, lontana anni luce dall’antropologia impiegatizia, operaia, vetero-borghese e nuovo-ricca della Milano “classica”, quella del primo boom economico, che Giorgio Bocca ha descritto così bene in quel libro fondamentale del Novecento italiano che è “Il Provinciale”. Sceso dalle sue Alpi in una Torino molto formale, inamidata e classista, fu poi stregato e come risucchiato dal vorticoso dinamismo milanese e perfino dalla pacchianeria dei “cumenda” e dalla fame sociale del largo indotto circostante, che voleva buttarsi alle spalle la penuria contadina. Amò profondamente Milano ma la visse e la raccontò, nel pieno del Grande Boom dei Cinquanta e Sessanta, e poi nelle sue fasi di assestamento, come il luogo nel quale la sua antica morale “di montagna” era spazzata via da una modernità febbrile, laboriosa e di pochi scrupoli. “L’onestà non era più di moda, tutti
parlavano di soldi, solo i soldi davano rispettabilità”. Più chiaro di così…
Ogni giudizio estetico su questa nuova Milano, che possiamo chiamare del Secondo Grande Boom, è ovviamente legittimo. Nell’esaltazione per lo skyline oggi molto simile a quello delle metropoli di Occidente, con qualche decennio di ritardo; così come nella ripulsa, con annesso rimpianto dei caseggiati di ringhiera, anche in pieno centro, dove il popolo si sentiva a casa sua. Il giudizio etico (che comunque non spetta alla magistratura inquirente, il cui prezioso, fondamentale lavoro, da proteggere con intransigenza dalle rappresaglie politiche, è individuare reati, non emettere giudizi morali) è ugualmente controverso, perché la vitalità e la ricchezza di Milano, con relativi vantaggi, sono state costruite anche a prezzo dell’esclusione progressiva non solamente dei “poveri”, categoria dickensiana che non rassomiglia al confuso melting pot sociale delle nuove città; anche dal ceto medio, gli artigiani e i bottegai, gli impiegati pubblici, gli insegnanti, gli studenti non figli di ricchi, per i quali una casa a Milano non è più abbordabile se non per via ereditaria, a patto si possa poi mantenerla. E si sono spostati nell’immenso hinterland, ex milanesi centrifugati.
Il giudizio etico sarebbe poi in buona parte coincidente con il giudizio politico, che non può consistere solo in una somma di convenienze. Ne è valsa la pena? È meglio adesso di prima? Quale prezzo è stato fatto pagare ai deboli? Le politiche sociali del Comune – che pure hanno, a Milano, l’antica tradizione del
socialismo filantropico – sono sembrate un argine generoso ma minimo per soccorrere i vecchi esclusi (i milanesi, soprattutto anziani, che non ce la fanno più a reggere ritmo e prezzi) e quelli nuovi, gli immigrati non assorbiti dalla metropoli. Più che legittimo chiedersi, a fronte della sproporzione annichilente tra l’onda gigantesca degli affari e dello sviluppo edilizio e la fragilità delle difese sociali, chi e come avrebbe dovuto fare qualcosa per contrastarla, quella sproporzione annichilente.
Ma questo, come ognuno capisce, non è un problema “milanese”, è un problema nazionale e mondiale. È la mancanza di una alternativa, per dirla semplice; di altri modelli economici e sociali che nessuno sembra avere il tempo di progettare, forse nemmeno di pensare.
La finanza corre veloce, accumula tra i suoi immensi poteri anche quello di progettare le città, e il mondo, e le abitudini degli umani, ed è costantemente a cose fatte che la politica si interroga.
La politica è diventata, nella migliore delle ipotesi, un “dopo” che rimugina sul già accaduto, mai un “prima” che progetta il futuro come se potesse davvero plasmarlo.
Così che, nella morte conclamata di ogni visione diversa delle cose, e della vita, il rapper Marracash, cresciuto nei vecchi caseggiati popolari della Barona, mi racconta sconsolato che l’unico sogno residuo dei ragazzi del suo quartiere è diventare uguali ai ricchi. «Adorano certi influencer che solo vent’anni fa avrebbero mangiato vivi».
La sola cosa che rimpiango della Milano in cui sono cresciuto è l’antica, diffusa certezza che la politica avesse gambe e testa quante ne bastavano per governare il domani.
Tutto il resto no, non lo rimpiango, piazza Gae Aulenti è cento volte più bella, pulita e socievole delle sterpaglie e dei marciapiedi scassati che ospitavano, quando ero ragazzino, un triste lunapark, e i quartieri gay friendly dove si mangia coreano, etiope, mongolo e palestinese sono molto migliori di certe torve periferie della mia infanzia dove anche i “capelloni” erano guardati come balordi da stigmatizzare.
Ma la politica – se non è pura amministrazione di forze e di movimenti già in atto per loro conto – quella è la vera presenza mancante nello skyline della mia città: e forse di tutte le città del mondo.
(da repubblica.it)

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