Luglio 22nd, 2025 Riccardo Fucile
SALVINI PROPONE IL SEGRETARIO DELLA LIGA VENETA ALBERTO STEFANI, MELONI INSISTE SUL SENATORE RAFFAELE SPERANZON, DI FRATELLI D’ITALIA. ALLA FINE SI POTREBBE CONVERGERE SUL NOME DI UN CIVICO. E ZAIA? … LA DUCETTA (QUESTA VOLTA D’ACCORDO CON SALVINI), NON VUOLE UNA LISTA PERSONALE DEL “DOGE”, CHE CERTIFICHEREBBE IL SUO DOMINIO ASSOLUTO SULLA REGIONE
L’indizio lo fornisce Antonio Tajani, quando ancora su Roma c’è il sole: «Il vertice si
terrà in serata». Non dice dove, perché Giorgia Meloni impone massima riservatezza: sa che sarà difficile sciogliere il rebus delle candidature.
Stabiliscono di incontrarsi per cena a casa della premier. Sul tavolo c’è l’enorme incognita del governatore del Veneto. Uno scoglio che resta tale anche dopo il colloquio: «I leader – si
legge in una nota congiunta – torneranno a vedersi la prossima settimana per proseguire il confronto»
Nessun patto, dunque. Lo stallo prosegue. E però, almeno su un punto concordano: abolire i ballottaggi nei comuni con più di 15 mila abitanti.
È un modo per rendere contendibili Roma e Milano, un blitz destinato a generare una battaglia con l’opposizione.
Già oggi in Senato la commissione inizierà a discutere degli emendamenti. Poi si passerà al voto. L’indicazione è: fate in fretta. Non è un dettaglio, visto che la giunta di Milano sembra comunque appesa alle inchieste: meglio cambiare la legge, prepararsi a ogni evenienza. La riforma prevede di garantire a chi ottiene almeno il 40% al primo turno la maggioranza assoluta in consiglio comunale.
Ma il resto, come detto, resta da sbrogliare. Salvini propone che la candidatura in Veneto sia del Carroccio, con Alberto Stefani. Il problema è come compensare Luca Zaia, a cui comunque non vogliono concedere di presentare una lista con il suo nome.
Sulla carta, ci sarebbe un posto vacante da riempire nella compagine dell’esecutivo: ma non suona bene immaginare che al governatore uscente vada la poltrona di un nuovo ministero, solo per preservare la concordia nella coalizione.
E poi c’è Meloni, che non sembra intenzionata a regalare nulla, non almeno in fase negoziale. Punta alla Lombardia, è cosa nota. L’alternativa è prendersi il Veneto. Al vicepremier ricorda tutti i passi indietro di FdI al Nord: il partito non guida neanche una regione settentrionale. Per questo, dal cuore di Fratelli d’Italia anticipano già al mattino ciò che accadrà: nessuna inte
Nel comunicato si promette impegno per individuare «figure autorevoli e vincenti, capaci di rappresentare al meglio i territori». Su alcune candidature, a dire il vero, i veti tra alleati sarebbero caduti.
Ad esempio sul nome di Edmondo Cirielli per la Campania. Il diretto interessato, però, adesso nutre dubbi. Per questo si ragiona ancora di un profilo civico.
Almeno in Puglia la strada sembra invece decisa, a favore di Mauro D’Attis (FI).
La Campania è vicina a essere chiusa. La Lega si è sfilata dalla corsa per poter rivendicare con più forza un suo nome in Veneto. Il nome favorito è sempre stato quello del viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, di FdI, che però – dicono – adesso sarebbe meno convinto
Continuano quindi a salire le quotazioni dell’avvocato Giosy Romano, presidente della Zes unica del Mezzogiorno: un nome fatto inizialmente da Forza Italia, rimesso sul tavolo mercoledì scorso con l’ok della Lega, e che gode della stima di Meloni e di Raffaele Fitto, che lo nominò un anno fa alla guida della Zes.
Per altro, ragionano nella maggioranza, è un uomo vicino agli ambienti del governatore del Pd Vincenzo De Luca e capace, quindi, di intercettare un elettorato più ampio. I sondaggi riservati non lasciano però spazio a grandi entusiasmi: il centrodestra parte in svantaggio di 15 punti.
L’argomento più spinoso, il Veneto, arriva a cena quasi conclusa, con il rischio di rovinare a tutti la digestione. Salvini continua a puntare i piedi perché considera inaccettabile non avere nessun candidato della Lega nelle cinque regioni al voto e
abbandonare la fortezza veneta, poi, in favore di un candidato di Fratelli d’Italia, sarebbe un problema anche per gli equilibri interni al partito.
Lui propone Alberto Stefani, deputato e segretario della Liga veneta, mentre Meloni insiste sul nome del suo senatore, Raffaele Speranzon. Il compromesso al quale si lavora con più insistenza nelle file di Fratelli d’Italia, nelle ultime ore, è quello di far cadere la scelta su un civico.
Uno che abbia il profilo di Francesco Rocca, presidente del Lazio, che proveniva dalla Croce Rossa, ma con un passato da militante nella destra missina. E poi va trovato un accordo con Luca Zaia, e non solo sul nome del candidato.
Meloni non vuole che Zaia si presenti con una sua lista personale, perché lo vede come uno strumento per poter dettare legge sulla futura giunta. Il governatore però non demorde: «C’è sempre stata e non è lesa maestà. Rappresenta un’ampia porzione di elettorato che spesso non vota centrodestra». È evidente a tutti i commensali: per risolvere i problemi del Veneto, una cena non basterà.
(da Repubblica)
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Luglio 22nd, 2025 Riccardo Fucile
AVEVA 50 ANNI, ERA MALATA DI SCLEROSI MULTIPLA E SI È AUTO-SOMMINISTRATA IL FARMACO LETALE: AVEVA OTTENUTO LO SCORSO NOVEMBRE IL VIA LIBERA DALL’ASL DI PERUGIA AL SUICIDIO ASSISTITO: LE ERANO STATI RICONOSCIUTI TUTTI I REQUISITI DI LEGGE
Laura Santi, la giornalista di Perugia che aveva chiesto il suicidio assistito, è morta questa mattina nella sua abitazione. La donna, 50 anni, si è auto-somministrata il farmaco letale: era affetta da una forma progressiva e avanzata di sclerosi multipla.
Accanto a lei c’era il marito Stefano, al suo fianco da sempre nella battaglia per il fine vita. «Nell’ultimo anno le sofferenza di Laura erano diventate intollerabili» ha detto l’uomo. La notizia del decesso è stata diffusa dall’associazione Luca Coscioni.
Laura Santi aveva raccontato la storia della sua malattia, i cui primi sintomi si erano manifestati nel 2000. Aveva ottenuto lo scorso novembre il via libera dall’Asl di Perugia al suicidio assistito
«La vita è degna di essere vissuta, se uno lo vuole, anche fino a 100 anni e nelle condizioni più feroci, ma dobbiamo essere noi che viviamo questa sofferenza estrema a decidere e nessun altro»: sono le ultime parole che la giornalista ha affidato all’Associazione Luca Coscioni, di cui è stata attivista e consigliera generale. «Io sto per morire. Non potete capire che senso di libertà dalle sofferenze, dall’inferno quotidiano che ormai sto vivendo. O forse lo potete capire. State tranquilli per me. Io mi porto di là sorrisi, credo che sia così. Mi porto di là un sacco di bellezza che mi avete regalato. E vi prego: ricordatemi»
(da agenzie)
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Luglio 22nd, 2025 Riccardo Fucile
IL GRIMALDELLO E’ STATO IL REGOLAMENTO ETICO, CHE RENDE INCOMPATIBILI INIZIATIVE O OSPITALITÀ NEL MONUMENTO DI SOGGETTI CHE VIOLANO L’AGENDA 2030 DELL’ONU (CHE CONDANNA TUTTE LE FORME DI VIOLENZA)
Un gioco di sponda tra Pina Picierno e Alessandro Giuli, tra la vicepresidente dem del
Parlamento europeo e il ministro della Cultura, c’è stato eccome nelle due settimane del caso Gergev.
Ufficialmente la decisione di annullare il concerto del maestro moscovita è stata presa da Tiziana Maffei, che dirige la Reggia di Caserta. Un comunicato scarno, senza le motivazioni. Paura delle proteste (annunciate) degli attivisti ucraini? La Questura di Caserta stava monitorando la situazione e si stava preparando a gestire la piazza.
Nulla di nuovo.
A quanto pare, dunque, il grimaldello utilizzato potrebbe essere stato un altro: il regolamento etico della Reggia vanvitelliana. È da lì che bisogna partire per ricostruire la vicenda e scoprire i protagonisti. In fondo basta mettere in fila le dichiarazioni pubbliche per comprendere che l’intervento di Giuli ha cambiato il finale di un evento, per certi versi, storico: il ritorno di Valery Gergiev su un podio europeo.
È il 15 luglio quando l’europarlamentare dem chiede l’intervento del governo italiano: «Il concerto va annullato perché viola il regolamento etico della Reggia di Caserta che tra le sue linee guida rende incompatibili iniziative o ospitalità di soggetti che violano l’agenda 2030 dell’Onu che tra gli altri, al punto 16 condanna tutte le forme di violenza, di tortura, di traffico di armi e denaro e chiede a tutti l’accesso ad una giustizia equa. Valori che evidentemente sono distanti anni luce da Gergiev e dal regime di cui è sponsor, testimonial e complice». Inoltre è un sito Unesco.
La risposta di Giuli non si fa attendere: «L’arte è libera e non può essere censurata. La propaganda però, anche se fatta con talento, è un’altra cosa. Per questo motivo il concerto dell’amico e consigliere di Putin, Valery Gergiev, voluto, promosso
pagato dalla Regione Campania e che si terrà nella Reggia di Caserta, autonoma nella scelta di quali eventi ospitare, come tutti gli istituti autonomi del ministero della Cultura, rischia di far passare un messaggio sbagliato».
Tra i due c’è uno scambio pubblico, ma anche privato.
Terminato ieri, con due note a distanza di pochi minuti l’una dall’altra. «In queste settimane, da quando ho sollevato il caso all’opinione pubblica — spiega Picierno — si sono moltiplicate le azioni di sostegno e di partecipazione. Associazioni, premi Nobel, intellettuali, cittadini da ogni parte d’Italia uniti da un sentimento profondo di libertà, di prossimità al popolo e al governo ucraino, di contrasto all’aggressione dell’autarca del Cremlino e dei suoi megafoni, anche quando distortamente confusi con le espressioni della musica e dell’arte. Che devono restare libere e non strumento di propaganda. La lotta non finisce certo oggi». Domenica prossima la Reggia di Caserta non ospiterà il concerto. Ma la vicepresidente Ue annuncia comunque una manifestazione.
(da agenzie)
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Luglio 22nd, 2025 Riccardo Fucile
“SE FOSSE COERENTE DOVREBBE DIMETTERSI PERCHE’ FA PARTE DI UNA MAGGIORANZA CHE SOSTIENE L’UCRAINA”
«Se Vannacci fosse coerente dovrebbe dimettersi. Perché è vicesegretario di un partito che appoggia un governo che ha
empre fatto del sostegno a Kiev un punto qualificante della sua politica estera».
Lo dice al Corriere della Sera la segretaria di Noi Moderati Mara Carfagna, commentando le parole del generale che ha detto di preferire Putin a Zelensky. «Vannacci si diletta a fare propaganda pro Putin, ma ciò che pensa e dice è assolutamente in contrasto con quello che fa il governo da lui sostenuto. È un problema di coerenza. La linea di politica estera del governo non la detta certamente Vannacci e la politica estera del governo Meloni è basata sul supporto all’Ucraina. Un supporto che mi trova pienamente d’accordo».
Il governo e l’Occidente
Inoltre «il fatto che il governo italiano condivida questa linea di sostegno a Kiev con tutto il mondo occidentale è un dato importante. La posizione di Vannacci, invece, che per fortuna è meramente personale, è una posizione che isolerebbe l’Italia dal contesto europeo e internazionale. Per dirla in breve, Vannacci è politicamente irrilevante».
Sull’annullamento del concerto di Gergiev «mi sono espressa nei giorni scorsi chiedendolo ma chiedendo anche trasparenza a De Luca. Perché la cosa più scandalosa è l’utilizzo dei fondi di coesione. Vorrei sapere quanti soldi erano stati preventivati per il cachet e l’organizzazione del concerto di un direttore d’orchestra filo putiniano che ha sposato la propaganda del Cremlino. Chiedo se è corretto utilizzare i fondi di coesione, che la legge prevede debbano essere usati al fine di ridurre i divari territoriali, per dare un palcoscenico a un artista amico di Putin. Quale riduzione di divario infrastrutturale, economico e sociale
questo concerto avrebbe prodotto? Queste sono le domande a cui De Luca dovrebbe rispondere».
(da agenzie)
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Luglio 22nd, 2025 Riccardo Fucile
MUSICA A TUTTO VOLUME E SLOGAN DA PARTE DI UN GRUPPO DI ATTIVISTI CHE HANNO COPERTO L’INTERVISTA IN DIRETTA SULLA TV PUBBLICA ARD
Domenica a Berlino, un’intervista della tv pubblica tedesca Ard alla leader
dell’estrema destra Alice Weidel è stata disturbata da una protesta decisamente rumorosa. Rivendicata dal gruppo Centre for Political Beauty, noto per le sue azioni provocatorie, gli attivisti avevano posizionato un autobus con altoparlanti ad alta potenza dall’altro lato del fiume Sprea, nel cuore del quartiere governativo della capitale, diffondendo musica e slogan anti-AfD durante la trasmissione.
La trasmissione faceva parte del ciclo di interviste estive che coinvolgono i principali leader politici tedeschi. L’audio degli altoparlanti ha reso quasi impossibile il confronto, a tal punto che sia Weidel che il giornalista Markus Preiß si sono dovuti piegare in avanti più volte per riuscire a capirsi.
Il Centre for Political Beauty non è nuovo ad azioni eclatanti. Poche settimane fa aveva affisso uno striscione sul Teatro Maxim Gorki con una fotomontaggio provocatorio in cui Weidel e il leader della CDU Friedrich Merz si baciavano.
(da agenzie)
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Luglio 22nd, 2025 Riccardo Fucile
IL VIDEO FAKE SU BARAK OBAMA POSTATO DA UN CRIMINALE CHE IN AMERICA SAREBBE GIA’ POTUTO FINIRE SULLA SEDIA ELETTRICA
Il video fake di Obama arrestato e ammanettato alla Casa Bianca in presenza di Trump, che lo deride come il bianco deride il nero tornato in catene, è ributtante; ma lo è cento, mille volte di più perché chi lo ha postato è il presidente degli Stati Uniti. Così che si sappia che lo sghignazzo social, la canaglia che niente sa e niente vuole sapere di diritti della persona, di garanzie, di rispetto umano, e gode solo quando può linciare il nemico e sputare sul suo cadavere, oggi è al potere.
Stupido è chi lo stupido fa, diceva un eroe dell’America ingenua
e gentile, Forrest Gump. Canaglia è chi la canaglia fa, possiamo dire oggi, in piena legittimità, di Trump, campione del “popolo” nella sua più scadente — e per questo virgolettata — versione: quella di una massa rancorosa e violenta, indifferente al dolore e all’ingiustizia; e così stupida, per giunta, da genuflettersi ai miliardari.
Il popolo — nel senso della somma immensa di differenti persone — non è così, almeno non tutto, e comunque mai in modo irreversibile. Chi, nella stanza più rappresentativa del Palazzo, si comporta e parla come un guappo di strada, porta la responsabilità, enorme, di far sentire i peggiori, i più prepotenti, sbrigativi, iniqui, incolti, autorizzati a esserlo: se il Capo dei Capi si porta da sopraffattore, perché mai noi non dovremmo? Semmai, il suo primato è la prova che la sopraffazione è la sola regola che governa il mondo.
Non si sa come andrà a finire. Ma finché ci restano il fiato e la libertà di dire che quel video è schifoso, bisogna dirlo. Nella speranza che se ne renda conto, prima o poi, anche qualcuno che non se ne era accorto.
(da La Repubblica)
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Luglio 22nd, 2025 Riccardo Fucile
LA BADILATA DI STERCO, MINACCE E INSULTI PIOMBATA ADDOSSO AI DUE AMANTI PIZZICATI DALLA KISS CAM DURANTE IL CONCERTO
La badilata mondiale di sterco, minacce, insulti e maledizioni piombata addosso ad
Andy Byron e Kristin Cabot, i due amanti pizzicati dalla “kiss cam” (?) durante il concerto dei Coldplay, dice molto sulla ferocia – e sulla deficienza – di questi tempi miserevoli.
Da giorni non si parla d’altro o quasi. Dopo la pubblicazione del video, divenuto virale come capita puntualmente ai video più innocui e/o imbecilli, i due protagonisti sono stati spiati, spulciati, vivisezionati e vomitati dal mondo tutto (i social, sì, ma anche non poche testate in via teorica autorevoli, a conferma di come ormai la demenza sia trasversale). Si è così venuti a sapere che Byron era Ceo della società The Astronomer Company, e che la sua amante e collega si era sposata da pochissimo. Byron è stato addirittura indotto a dimettersi dall’azienda, perché (ha “spiegato” l’azienda) “i leader dovrebbero stabilire lo standard sia nella condotta che nella responsabilità, e recentemente tale standard non è stato soddisfatto”. Milioni di internauti – evidentemente con una vita di merda e un’idea della libertà altrui paragonabile a quella delle comari di Bocca di Rosa – sono andati a caccia della identità dei fedifraghi, premurandosi che la moglie di Byron e il marito della Cabot venissero a conoscenza del tradimento e divorziassero dai due zozzoni. Siamo ormai al delirio più totale e alla ferocia più gratuita, e quel che è peggio è che molti ci ridono pure su. Per carità: un po’ di evasione fa bene. L’ironia ci sta e le cose serie sono altre. La vicenda, per quanto piccola in sé e derubricale (i
una società sana) con un liberatorio “e sticazzi?”, è però assai emblematica della nostra contemporaneità.
Volendo chiuderla con una battuta, potremmo dire che se vai a vedere un concerto dove esiste una roba chiamata “kiss cam”, un po’ te le cerchi. Eppure, anche solo in questa idea apparentemente innocua dei Coldplay, non c’è solo un elemento cafonal e odiosamente melassoso, tipico della musica della band (primi due/tre dischi a parte). Quella “kiss cam” è una palese incarnazione (una delle tante) del Grande Fratello. Non esiste più privacy, sei sempre controllato e non puoi farti i fatti tuoi neanche durante un concerto. Max Pezzali, durante i concerti, mette in guardia il pubblico attraverso una scritta sui maxischermi: “Attenti a chi baciate durante il prossimo brano. Potreste essere ripresi”. Lo faceva già da prima del caso-Coldplay, e ci aveva visto lungo. Quello che è capitato ai due amanti dimostra poi altre due cose. La prima è il bigottismo che impera nel nostro mondo: puoi rubare, puoi violentare, puoi ammazzare e non succede quasi nulla. Se però “tradisci”, parte puntualmente la reazione pruriginosa e falsamente puritana degli ipocriti, che nel loro privato fanno (o sognano) le peggiori porcate, ma che – se sentono odore di corna – partono coi kalashnikov. Questo bigottismo porta con sé l’altro elemento profondamente perverso, che è la sproporzione tra “colpa” e punizione. Ogni giorno assistiamo nell’indifferenza generale a massacri, stermini, genocidi. Se però un tizio tradisce la moglie e magari fa pure la figura da pirla in mondovisione, il branco si scatena. E parte il sempiterno “dagli all’untore”. Se Byron e Cabot hanno meritato una tumulazione così brutale, cosa
dovrebbero meritare i Netanyahu vari? Domanda ovviamente inutile, perché molti dei moralisti minchioni che si sono scatenati vigliaccamente contro la coppia illegittima, sono senza dubbio fan dei Netanyahu e derivati. O peggio ancora, neanche sanno chi sia. Il nostro presente è ormai un greatest hits di miseria e follia. Ci indigniamo per le stronzate e non facciamo niente di fronte all’apocalisse. Sindachiamo sulle vite altrui, mentre nel frattempo buttiamo via le nostre. Siamo feroci coi deboli e vigliacchi coi forti. Insensibili alle tragedie e permalosissimi sulle boiate. Drogati di voyeurismo, ignoranza, invidia e menefreghismo. E il mondo che abbiamo tirato su ne è prova. Che spettacolo!
(da ilfattoquotidiano.it)
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Luglio 22nd, 2025 Riccardo Fucile
SULLO SFONDO LA CRISI DI MILANO E I VETI NEL CENTRODESTRA
Meglio districare la matassa dei dazi, ben vengano le questioni geopolitiche ma se c’è di mezzo la politica interna, ecco allora forse per Giorgia Meloni le cose iniziano a complicarsi. O forse a diventare più noiose.
Sicché il vertice – chez Giorgia – sui candidati alle prossime regionali diventa il tormentone che il centrodestra si trascina per tutta la giornata. Niente pranzo dei quattro leader (la premier, i vice Salvini e Tajani e Lupi) ma riunione serale tra l’aperitivo e la cena, dopo che Meloni ha incontrato il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga e il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Si cerca la “ciccia”. E cioè i nomi di coloro che dal Veneto alla Campania e poi di nuovo giù fino alla Puglia cercheranno di portare a casa il risultato.
Si parte dallo stallo alla messicana. Tutti contro tutti, veti su veti. Con sullo sfondo il guazzabuglio di Milano con Tajani che preferisce un civico e quindi boccia Lupi di Noi moderati.
Tutto il dibattere nel centrodestra ruota intorno al Veneto, unica regione data per riconfermata il prossimo autunno. Su questo Matteo Salvini non transige: il dopo Zaia deve passare anche da noi. Il nome sul tavolo resta quello di Alberto Stefani, uno dei vicesegretari del partito di via Bellerio, con le idee molto chiare. In questo gioco di veti e controveti, veline e veleni, la linea salviniana non cambia: se non esprimeremo noi il candidato siamo pronti a correre da soli.
Con tutto il rischio di un’impresa che potrebbe anche resuscitare il centrosinistra (sarebbe, questo sì, un miracolo). Per Fratelli d’Italia confermare il Veneto agli alleati significa comunque giocare sulle altre regioni ancora senza candidato dove la
vittoria risulta essere un’impresa abbastanza complicata.
Il vertice di ieri sera è stato accompagnato dalla spinta di Edmondo Cirielli in Campania (è il viceministro meloniano degli Esteri) con la possibilità di lasciare la Puglia a Forza Italia (si fa, tra gli altri, il nome del tajaneo Mauro D’Attis).
Insomma fino a ieri sera di sicuro c’era al massimo la spartizione dei partiti per le varie regioni e la divisione sempre del centrodestra sul caso Milano. Con FdI che frena sulle dimissioni del sindaco Beppe Sala, la Lega che spinge, Forza Italia in mezzo ma pronta a bocciare l’idea Lupi, che piace invece al partito di Meloni, a partire dal presidente del Senato Ignazio La Russa.
Nell’aria: nomi da bruciare, nomi coperti e tentazioni di cambiare le regole del gioco in corso. Come la proposta di legge presentata al Senato per far scendere al 40 per cento la soglia utile per vincere al primo turno evitando così il ballottaggio. Norma che sulla carta potrebbe aiutare le coalizioni più strutturate invece che quelle più larghe (vedi il centrosinistra). Per questo c’è tempo. Per le regionali. In attesa di un vertice a casa Meloni che avrà bisogno di un altro richiamino, magari fra una settimana.
(da il Foglio)
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Luglio 22nd, 2025 Riccardo Fucile
AVEVA RAGIONE LANDINI…. IL LIMITE E’ TROPPO BASSO E IMPEDISCE ALLA LEGGE DI FUNGERE DA DETERRENTE PER I DATORI DI LAVORO
Se non lo hanno abrogato gli aventi diritto, lo ha almeno segnalato la Corte
Costituzionale: il limite a sei mensilità per l’indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese è incostituzionale.
È la conclusione a cui la Consulta è giunta in merito all’articolo 9, comma 1 del decreto legislativo 23/2015 e che già era stata fulcro di uno dei quattro quesiti sul lavoro del referendum di inizio giugno, arrivato corto rispetto al quorum.
Secondo la Corte, fissare un tetto rigido e così basso non permetterebbe ai giudici di valutare singolarmente, e quindi differenziare tra loro, i vari casi di interruzione di rapporto non legittima. E al contempo non consentirebbe alla legge di adempiere al suo scopo specifico: fungere da deterrente per i datori di lavoro
L’articolo incostituzionale e chi è coinvolto
L’articolo 9, comma 1, del Dl 23/2015 stabilisce che l’ammontare delle indennità risarcitorie «non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità» dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio. Un limite che è valido nel caso di licenziamenti illegittimi da parte di un datore di lavoro che non raggiunga i requisiti dimensionali dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, vale a dire che abbia meno di 16 lavoratori presso un’unità produttiva e comunque non occupi più di sessanta dipendenti.
I punti critici secondo la Consulta: perché è incostituzionale
La Consulta ha puntato il dito sul limite – inteso come «massimo, fisso e insuperabile» – perché impedirebbe di valutare in maniera congrua la gravità del vizio del licenziamento. Al tetto massimo andrebbe infatti aggiunta la «previsione del dimezzamento degli importi indicati agli articoli 3, comma 1, 4, comma 1, e 6, comma 1, del citato decreto legislativo numero 23 del 2015». In questo modo, l’indennità complessiva andrebbe a circoscriversi entro «una forbice così esigua da non consentire al giudice di rispettare i criteri di personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento». E al contempo non assicurerebbe «la funzione deterrente della stessa identità nei confronti del datore di lavoro». È per questo che i giudici costituzionali hanno «auspicato un intervento legislativo», che vada a espungere dal dettato normativo l’utilizzo del criterio del numero di dipendenti come esclusivo indice rivelatore della forza economica dell’impresa». Detto più
brevemente: il numero di dipendenti non indica la statura dell’azienda.
L’ultimo referendum e il quesito sul lavoro
Il nodo dei licenziamenti illegittimi nelle piccole e medie imprese era già stato tra i protagonisti degli ultimi quesiti referendari, nel giugno 2025. Il secondo quesito era proprio focalizzato sulle «Norme sui licenziamenti individuali», chiedendo l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604. Lo scopo era però il medesimo: abbattere il tetto di 6 mensilità per permettere il superamento di questo rigido confine, in base ai singoli casi. Il limite massimo era stato concepito nel 2015 per spingere le piccole realtà produttive ad assumere, senza temere il rischio di alti indennizzi in caso di cessazione di rapporti, seppur illegittima. Una situazione che però ha penalizzato – e tuttora penalizza – milioni di lavoratori italiani.
(da Open)
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