Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE DEL COMUNE DI ROMA, ALESSANDRO ONORATO, INFILZA ITALO BOCCHINO, LO SPIN DOCTOR DI FRANCESCO ACQUAROLI: “DUE MESI FA IL DIRETTORE DEL SECOLO D’ITALIA HA ANNUNCIATO L’AVVISO DI GARANZIA PER RICCI. E’ INQUIETANTE. O HA DOTI DI PREVEGGENZA OPPURE….”
«Noi vinceremo queste elezioni e loro…loro avranno da questa vicenda un tale boomerang che se lo ricorderanno per tutta la vita». Matteo Ricci espelle con un urlo tutta la rabbia accumulata in queste ultime 24 ore, da quando la procura della Repubblica di Pesaro gli ha recapitato un avviso di garanzia per la vicenda ribattezzata “affidopoli”. Si è chiuso in casa, a Pesaro, fino alle cinque della sera, ancora incerto se andare avanti o gettare la spugna.
Poi, incassato anche il sostegno ufficiale del Pd, è apparso cento chilometri più a sud, in questo Royal Hotel di Fermo dove
l’assessore (romano) Alessandro Onorato ha organizzato il secondo raduno nazionale dei suoi “civici”. E dal palco, dopo un lungo giro d’orizzonte sui problemi delle Marche, alla fine è planato sulla cosa che tutti, in sala, si stavano chiedendo: resta o se ne va, lasciando il campo largo senza candidato a due mesi dal voto? Resta, anzi, raddoppia. «Se qualcuno della destra pensa di intimorirmi con questa vicenda – alza la voce – non ha capito di che pasta sono fatto! Io vado avanti a testa alta».
Poi, certo, c’è il merito delle accuse. Che lo coinvolgono indirettamente, come beneficiario del «consenso politico» che gli sarebbe derivato dalle opere – dei murales nei sottopassi di Pesaro e un mega-casco di Valentino Rossi in una piazza – realizzate con affidamenti diretti senza gara. E qui, per forza di cose, Ricci deve impostare la sua difesa scaricando il principale imputato e suo stretto collaboratore ai tempi della sindacatura, Massimiliano Santini.
Non ne fa il nome, ma inizia il racconto di quella stagione tirandolo in ballo: «Quando l’anno scorso emerge che una parte dei lavori “sotto soglia” erano stati dati a due associazioni il cui presidente (Stefano Esposto, ndr) era un amico del mio ex collaboratore, sono andato da lui e gliel’ho chiesto. “Perché ce l’hai tenuto nascosto?”. La sua risposta è stata: “Tranquilli, è tutto a posto, gli affidamenti sono corretti”. A quel punto non avevo altri elementi e ho aspettato».
Insomma, Ricci ha confidato in queste ore agli amici di sentirsi «tradito» per essersi affidato a un collaboratore infedele, questo dirà ai pubblici ministeri dai quali spera di «essere ascoltato il prima possibile».
«Ho amministrato Pesaro, prima la provincia e poi il Comune, per quindici anni e non è mai successo nulla. Se eventualmente – perché dobbiamo restare garantisti – un mio ex collaboratore ha commesso degli errori, io che c’entro? Questo è il punto. Se l’indagine dovesse provare che qualcuno ha sbagliato, io semmai sono la parte lesa, il comune è parte lesa».
Dal palco sembra però rivolgersi proprio a quella parte politica quando assicura di essere «sereno, perché ho sempre fatto l’amministratore nella piena trasparenza e nel rispetto delle regole, perché per me l’onestà viene prima di qualunque altra cosa».
Nessun attacco alla magistratura o al capo della procura che, lo sussurrano dal Pd, appartiene a una delle correnti di centrodestra.
«Io non faccio come quegli altri, resto rispettoso e fiducioso del lavoro della magistratura. Sono convinto che le accuse che mi sono state rivolte verranno comprese e riviste».
Di più Ricci non vuole aggiungere. La platea gli tributa una standing ovation, poi con la camicia bianca madida di sudore, il candidato viene circondato da sostenitori che lo incoraggiano ad andare avanti. A parlare dell’inchiesta è però Onorato, che evidentemente ne ha discusso con Ricci e può magari aggiungere qualcosa che l’indagato è bene non dica.
Questa per esempio, riguardo al capo d’imputazione per procurato “consenso” politico: «Un sindaco si deve augurare che le proprie iniziative non producano popolarità ma semmai insulti. Così sta tranquillo che non diventino reati». L’assessore di Gualtieri, che nelle Marche schiera tre civiche pro Ricci, ne ha anche per Italo Bocchino, lo spin doctor di Francesco Acquaroli: «Due mesi fa il direttore del Secolo d’Italia ha annunciato questo avviso di garanzia. O ha doti di preveggenza oppure ci deve spiegare come faceva a sapere. È davvero inquietante».
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile
L’AVVISO DI GARANZIA “TEMPESTIVO” DELLA MAGISTRATURA QUANDO RICCI ERA IN TESTA NEI SONDAGGI
Si chiamano e si richiamano. È da due giorni che Elly Schlein e Giuseppe Conte
hanno convulse conversazioni telefoniche sul «caso Ricci». Al Nazareno stanno con il fiato sospeso. Il leader del Movimento Cinque Stelle «sta facendo storie», sussurrano preoccupati al Partito democratico. «Quando si tratta di legalità io non guardo in faccia a nessuno», spiega lui alla segretaria del Pd. L’ex premier vuole capire, vuole aspettare per avere un «quadro più chiaro».
A Schlein, perciò, non resta che attendere. E riflettere con i suoi sui possibili sviluppi della situazione. I ragionamenti che vengono fatti si snodano tutti lungo lo stesso filo con un interrogativo di fondo: «Conte sta cercando di alzare la posta per la trattativa nelle altre Regioni?». Una domanda e una speranza. Perché se così fosse il Pd non avrebbe problemi: «Quella è una dinamica fisiologica nelle coalizioni». Se invece l’ex premier decidesse all’improvviso di scartare allora sarebbero guai.
Ricci sarebbe costretto a ritirarsi e senza di lui il Pd potrebbe
dire addio al sogno di strappare le Marche a Fratelli d’Italia. Se non altro perché trovare un altro candidato a poco più di due mesi dalle elezioni rappresenta una missione impossibile.
Dunque su quella partita elettorale, che al Nazareno davano praticamente per vinta, si addensano nubi: l’esito, dopo questa botta, anche se Conte non fa retromarcia, non è più scontato.
Il distacco da Francesco Acquaroli nei sondaggi era di qualche punto e al Pd prevedono già che lo stillicidio degli interrogatori, le fughe di notizie e le indiscrezioni sui giornali non aiuteranno, anche se tutti sulla buona fede di Ricci metterebbero la mano sul fuoco.
«Io son tranquillissimo — ha ripetuto lui alla segretaria — perché sul serio non mi sono mai occupato di queste cose. Erano gestite dai dirigenti del Comune. Spiegherò tutto al procuratore e chiarirò questa vicenda».
Ma di grane al Nazareno ne hanno anche altre riguardo alle Regionali che verranno. In Puglia la fibrillazione è al massimo. Antonio Decaro sta dicendo in giro che lui si trova «tanto bene a Bruxelles», che presiede una commissione di prestigio e che è «appena stato eletto eurodeputato e andarsene via dopo così poco tempo è complicato».
Ai piani alti del Partito democratico sperano che si tratti solo di una forma di pressing dell’ex sindaco di Bari per convincere il Pd a intervenire su Michele Emiliano. Elly Schlein finora non lo ha fatto. Non si è mossa per convincere il presidente uscente della Puglia a fare un passo indietro e a non candidarsi al consiglio regionale
Ma una cosa è certa: Decaro con Emiliano non scenderà mai in pista. Già adesso ha i suoi dubbi, che riguardano non solo il ruolo all’Europarlamento ma anche il rischio — spiegano i suoi — «che da presidente della Regione debba rispondere degli errori della gestione precedente».
In Puglia il centrodestra presenterà il forzista Mauro D’Attis. Un «candidato a perdere» lo hanno definito al Pd.
(da “Corriere della Sera” )
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Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile
LA DUCETTA TEME DI FARE LA FINE DI RENZI, CHE NEL 2016 FU COSTRETTO A DIMETTERSI DOPO CHE GLI ITALIANI BOCCIARONO ALLE URNE LA SUA RIFORMA COSTITUZIONALE
I sondaggi sono già stati commissionati. Incassato l’ok alla riforma della giustizia in seconda lettura, a Palazzo Chigi è partito il conto alla rovescia in vista del referendum che, annunciato dal Guardasigilli per la prossima primavera, dovrà confermare o bocciare la separazione delle carriere.
In Parlamento il ddl Nordio non ha infatti raggiunto il quorum dei due terzi previsto dall’iter di revisione costituzionale che avrebbe evitato il ricorso alla consultazione popolare.
Un appuntamento a cui Giorgia Meloni inizia a guardare con una certa apprensione. Per questo ha deciso di affidarsi agli istituti demoscopici: vuol capire cosa ne pensano gli italiani, provare a pronosticare l’esito di una battaglia che le opposizioni minacciano durissima, si vince o si perde per un solo voto, a prescindere dall’affluenza.
Preoccupata di fare la fine di Matteo Renzi, che nel 2016 fu costretto a dimettersi dopo aver visto naufragare, proprio nelle urne, la sua proposta per superare il bicameralismo perfetto.
Non è un caso che abbia già messo le mani avanti. Dichiarando che se il risultato dovesse essere negativo, lei non se ne andrà e neppure l’esecutivo subirà conseguenze. Ma il Pd non la pensa così. «Questa non è una riforma della giustizia, è il tentativo di delegittimare e assoggettare la magistratura al governo per indebolire la nostra democrazia», ha tuonato ieri la segretaria Elly Schlein.
Con il referendum, appunto. Mobilitando gli elettori per far prevalere il no. Grazie anche ai tanti comitati e associazioni che si stanno già attivando. Uno scontro che si preannuncia cruento. La maggioranza non ha difatti alcuna intenzione di mollare.
Meno che mai a un passo dal veder coronato il sogno di Silvio Berlusconi. «Siamo tranquilli, il referendum è uno straordinario strumento di democrazia diretta», sparge ottimismo Francesco Paolo Sisto, viceministro alla Giustizia.
La riforma della giustizia – in realtà della separazione delle carriere dei magistrati – sarà la sola varata in questa legislatura. All’inizio erano tre, una per ogni partito della maggioranza: ma Meloni s’è disamorata del premierato, ha capito che può raggiungere lo stesso obiettivo con una nuova legge elettorale, più facile da approvare, che contenga l’indicazione del nome della candidato o candidata premier sulla scheda, cosa tra l’altro che metterebbe in difficoltà il centrosinistra, non pronto a questa scelta.
Quanto all’autonomia differenziata, la bandiera della Lega, è stata talmente sforacchiata dalla Corte costituzionale, da ridursi a un relitto.
Dopo l’approvazione finale della riforma nel prossimo autunno inverno, nella primavera 2026 ci sarà il referendum confermativo.
E qui l’incognita che si prepara è abbastanza grossa, perché è vivo il ricordo di quello del dicembre 2016, sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi, in cui l’allora premier venne sconfitto 40 a 60, uscì da Palazzo Chigi e si giocò la carriera.
Si disse che l’errore di Renzi era stato quello di aver trasformato il voto in un referendum su se stesso; e di aver contemporaneamente sottovalutato il fronte dei Professori, guidati dall’ex-presidente della Consulta Gustavo Zagrebelski
Da questo punto di vista la prova a cui va incontro Meloni è senz’altro meno pericolosa per lei, perché la riforma della separazione delle carriere dei giudici – a differenza di quella, centrale, di Renzi che cancellava sostanzialmente il Senato e accoppiata con la riforma elettorale rafforzava molto il premier – è parziale, riguardando solo la magistratura, che non gode di grandi consensi nell’opinione pubblica.
Meloni poi starà attenta a non mescolarla con la riforma elettorale che ha in mente, non diversa nella filosofia da quella di Renzi, per non dare un argomento in più ai suoi avversari. Ma non potrà evitare che alla fine il referendum sia su di lei e sfoci, o nella sua prima sconfitta, o in una nuova vittoria, decisiva per le politiche del 2027.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile
A 63 ANNI AVRA’ PURE IL VITALIZIO
Il generale Roberto Vannacci è andato in pensione lo scorso febbraio. Otto mesi dopo
l’elezione al parlamento europeo. A 56 anni appena compiuti. «Tutto alla luce del sole, ho pagato 44 anni di contributi, quanti vanno in pensione con 44 anni di contributi? Ho maturato il diritto, lo prevede la normativa», fa sapere oggi al Fatto Quotidiano. «Non capisco perché vi fate gli affari miei», aggiunge. E alla domanda su quanto prende di pensione, risponde: «Informatevi, siete gli investigatori dell’incubo» (cit. Dylan Dog). Un generale di divisione secondo i conti a spanne dei suoi colleghi prende circa 5 mila euro netti al mese.
Al quale si dovrebbe quindi cumulare lo stipendio da europarlamentare. Ovvero circa 8 mila euro al mese.
«Non sono l’unico europarlamentare che prende la pensione», precisa. E nega che senza la carica gli sarebbe convenuto rimanere nell’esercito fino a 61 anni: «Chi l’ha detto? Magari sarei andato a fare il responsabile di una società di sicurezza in Nigeria, in Iraq o altrove. Sono ingegnere e ho altre tre lauree, un curriculum come il mio non ce l’ha nessun politico e io dovevo stare là a fare scartoffie».
In caso di rientro avrebbe avuto un avanzamento a generale di corpo d’armata: « Non sarei comunque rientrato dopo 5 anni per scaldare una sedia a 60 anni e andare in pensione a 61», fa sapere lui. A 63 anni, aggiunge Il Fatto, avrà anche il vitalizio da europarlamentare. Ovvero il 3,5% dell’indennità per ogni anno di mandato.
Lavoro usurante
Vannacci ha 56 anni e 44 di contributi. Perché è entrato nell’esercito a 17 anni. E perché ogni anno nei corpi speciali ne vale 1,2 anni. Lui è stato paracadutista incursore già a capo della Brigata Folgore e del Reggimento Col Moschin. 56+44 è “quota cento”, quella che vorrebbe la Lega di cui Vannacci è vicesegretario e che invece non c’è per nessuno (ci vuole 103). «Quota cento non si applica ai militari, informatevi», replica. Il divieto di cumulare pensione e redditi da lavoro non è mai stato applicato agli incarichi elettivi. E non esiste più dal 2009.
(da Open)
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Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile
LE IMMAGINI DELLA STRISCIA RICORDANO I DEPORTATI EBREI NEI CAMPI DI STERMINIO… L’IGNAVIA DELL’EUROPA DI FRONTE A UN PAESE CRIMINALE
La foto risalta sulla copertina del quotidiano inglese Daily Express del 23 luglio: un bambino scheletrico, fra le braccia della madre, con un sacco nero della spazzatura come pannolino. La sua bocca è aperta quasi a gridare aiuto. È un bambino di Gaza e sta chiaramente morendo di fame. Che dire davanti a questa foto e alle altre che appaiono nelle pagine interne, altrettanto terribili? Anche l’indignazione sembra impotente di fronte a immagini così angosciose, il dolore che proviamo lascia il tempo che trova. Mentre ci indigniamo e ci addoloriamo, quel bambino e tanti altri come lui muoiono. Sono immagini che ricordano il Biafra della fine degli Anni Sessanta e – mi azzardo a dirlo anche se ho fin qui rifiutato di fare paragoni con la Shoah – le immagini dei deportati ebrei nei campi. Sono le immagini della fame che porta alla morte.
Proviamo a dare dei dati, quelli dell’autore dell’articolo, Giles Sheldrick, in primo luogo, anche per evitare che ci sia qualcuno che obietta che non di un bambino di Gaza si tratta, che le foto sono finte, opera probabilmente dell’AI, che a Gaza non c’è nessuna carestia. Il piccolo si chiama Muhammad Zakariya Ayyoub al-Matouq, vive in una tenda nella Striscia, e pesa come un bambino di tre mesi, 6 chili, mentre prima pesava nove chili. Non è quindi un neonato, anche se lo sembra. Il segretario di Stato per gli affari esteri, il laburista David Lammy, ha espresso parole di indignazione che vanno ben oltre ogni possibile approccio diplomatico. I dati sui bambini a rischio come Mohammad sono veramente terribili: 900.000 bambini di Gaza sono esposti alle conseguenze della fame, 70.000 sono già in uno stato gravissimo di denutrizione.
Da quando l’accesso agli aiuti portati dalle organizzazioni internazionali è stato bloccato dal governo israeliano e affidato all’organizzazione israeliano-statunitense Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), è iniziata la carestia, che sta raggiungendo oggi livelli gravissimi. A questa si aggiungono gli attacchi
dell’esercito di Israele, che spara sulla folla in attesa di cibo e acqua. Si susseguono le voci di gazawi privi di cibo da giorni, di medici e infermieri che non riescono più a lavorare per la debolezza, gli appelli delle tante Ong e delle organizzazioni internazionali, dell’Onu per bocca del suo segretario Guterres, dei pochi giornalisti palestinesi ancora in grado di dare notizie. La risposta del governo di Israele è una sola: a bloccare gli aiuti è Hamas, la carestia non esiste, e chi ne parla, a cominciare da Guterres, è antisemita. Ma è da allora, da quando la fame e la mancanza di medicine e cure mediche sono diventate un’arma nelle mani di Israele, che l’atteggiamento del mondo è cambiato anche fra molti di quanti ancora esitavano a condannare il governo di Netanyahu.
Intanto, mentre Gaza muore, in Israele le strade si riempiono di manifestanti che recano in alto le foto dei bambini palestinesi morti per fame o sotto i bombardamenti, che gridano di porre fine alla guerra, di far entrare aiuti sufficienti a Gaza. Sappiamo che non bastano, non sono sufficienti a far cadere questo governo, a imporre almeno una tregua. Accanto a loro, vediamo le immagini di ragazzi e ragazze giovanissimi che bruciano le cartoline precetto perché non vogliono arruolarsi e contribuire al genocidio in atto. Andranno in prigione per questa scelta. Nel suo colloquio con Dio davanti a Sodoma, Abramo chiese a Dio di non distruggere Sodoma finché ci fossero stati fra i suoi abitanti almeno dieci giusti. Basteranno questi giusti che oggi gridano in Israele il loro orrore di fronte a quanto succede a salvare Israele o almeno il suo onore?
Vorrei chiedere a quanti ancora se la sentono di sostenere che foto come queste sono parte della propaganda di Hamas, ebrei o non ebrei che siano, di smettere almeno di negare. Continuino a credere che Israele sta compiendo uno sterminio necessario, lo dicano anche, ma non neghino la realtà di queste immagini, non tolgano a quei bambini anche il loro nome, il loro dolore.
(da La Stampa)
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Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile
“IL PROBLEMA E’ CONSENTIRE CHE LA CONSEGNA DI CIBO E AIUTI SIA GESTITA DALLO STESSO STATO CHE COMPIE IL GENOCIDIO”
“Non è una guerra, nella Striscia non c’è un esercito palestinese schierato contro
l’Idf”. Francesca Albanese, sotto sanzioni americane, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati, di fronte al moltiplicarsi quotidiano delle immagini di bambini denutriti nella Striscia ha una convinzione: “La fame a Gaza è un crimine calcolato scientificamente dal governo israeliano, un obiettivo da raggiungere per convincere i palestinesi che sopravviveranno ad andarsene nel fenomeno che a Tel Aviv chiamano migrazione volontaria”.
Da Gaza “i genitori ci raccontano che i loro figli piangono fino ad addormentarsi per la fame”. Lo ha detto ieri il direttore
generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus…
E a chi sopravviverà tra questi bambini il danno delle malnutrizioni avrà un effetto devastante sul processo di crescita, oltre al trauma.
Lei definisce da tempo “genocidio” quel che succede nella Striscia dall’8 ottobre 2023.
Aggiungo che si tratta di uno dei genocidi più crudeli della Storia, perché perpetrato con l’uso di tecnologia e mezzi da Ventunesimo secolo.
Kaïs Saied, presidente della Tunisia, ieri ha mostrato a Massad Boulos, inviato del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, le foto di bambini denutriti di Gaza e, fra queste, l’immagine di un bambino in lacrime che mangia della sabbia. Come si può accettare tutto questo?
È quasi inimmaginabile per la nostra mente accettare che la fame lunga mesi possa spingere a mangiare la terra e i sassi. I palestinesi della Striscia sono privati di tutto, Israele ha l’obiettivo di ridurre quelle persone, bambini compresi, allo stato ferino. I bisogni primari più elementari vengono negati a una popolazione di 2 milioni di persone che viene continuamente sfollata e sbattuta da una parte all’altra della Striscia, 365 chilometri quadrati, adesso in larga misura sempre più verso sud.
C’è anche il divieto dell’Idf di bagnarsi al mare, ma perché?
Perché devono negare ai disperati privi di acqua corrente anche la possibilità di lavarsi in mare. Sono tutti elementi dello stesso progetto criminale di Israele, attuato col pieno sostegno e con la
complicità degli Stati Uniti.
Quale progetto criminale?
La pulizia etnica. Che si sta attuando con il genocidio nella Striscia di Gaza, ma anche con lo svuotamento della Valle del Giordano o con l’istallazione di altri 300 check-point in Cisgiordania.
Ritornando alla fame, ci sono 953 camion fermi da settimane tra il valico di Kerem Shalom e Zikim. Altro elemento che dimostra il disegno di una fame programmata, calcolata, voluta da Israele?
Certo. Il problema a monte è consentire la responsabilità di distribuire gli aiuti allo stesso Stato accusato di crimini contro l’umanità e pensare che possa farlo attraverso questa Ghf, la Gaza Humanitarian Foundation, a rigor di diritto internazionale. Hanno creato un meccanismo infernale.
Il presidente Herzog ieri ha sostenuto: “Israele è fermamente impegnato nel rispetto delle norme del diritto internazionale umanitario. Anche nel mezzo di una guerra, stiamo facendo tutto il possibile per aiutare i civili in difficoltà, in conformità con il diritto internazionale e i nostri valori israeliani ed ebraici”.
Intanto non è una guerra, perché non mi risulta che ci sia un esercito palestinese schierato contro un esercito israeliano. Per il resto siamo, invece, di fronte a una situazione giuridica che non consentirebbe neppure di discutere con Israele la questione degli aiuti umanitari, è tutto sbagliato. La sfacciataggine di quel che vogliono fare è ben raffigurata nel video realizzato con l’intelligenza artificiale dalla ministra israeliana Gila Gamliel: la sfacciataggine dei dettagli, con i nuovi coloni che mangiano nei
nuovi ristoranti proprio mentre i bambini e le persone muoiono di fame. Ma Israele non uscirà da questo orrore con lo stesso candore con cui ci è entrato dopo il 7 ottobre.
Ha citato il 7 ottobre, molti osservatori ripetono il ritornello: tutto questo non ci sarebbe stato senza il 7 ottobre. Non è così?
Il 7 ottobre si è consumato un atto terroristico di una violenza inaudita, una minaccia e un colpo durissimo inferto da Hamas a Israele e alla sua sicurezza. Ma quel che succede dall’8 ottobre 2023 non è giustificabile, non è uso legittimo di autodifesa ai sensi della Carta delle Nazioni Unite. Il 7 ottobre non può giustificare la distruzione totale di Gaza e dei suoi abitanti.
L’altra obiezione che è divenuta un ritornello è questa: anche Dresda è stata bombardata e rasa al suolo per sconfiggere il nazismo.
Credo che non sia sbagliato, invece, iniziare a considerare un altro paragone. Quanto è avvenuto agli ebrei in Europa negli anni precedenti l’Olocausto: la disumanizzazione, la ghettizzazione. Perpetrate a livello transnazionale e con un importante ruolo dei media. L’odio contro gli ebrei di allora ricorda molto l’odio contro i palestinesi oggi. Rinchiudere nei ghetti, affamare, deportare. C’è tutto. Anche l’Italia vedeva e partecipava a tutto, nel 1938 approvò le leggi razziali. Oggi, allo stesso modo, è forse lo Stato ad aver dato il maggior supporto politico, diplomatico e di immagine opponendosi alla sospensione dell’accordo di associazione tra Israele e Unione europea.
Quindi anche l’Italia è complice, anche noi siamo colpevoli per le immagini provenienti da Gaza?
Certo. Inoltre l’Italia possiede il 30,2 per cento della Leonardo, che andrebbe portata in giudizio per continuare a fornire armi che Israele usa nel genocidio della Striscia: i soci azionisti dovrebbero sapere che fanno affari sulla morte dei bambini, sulla malnutrizione mostrata da tante immagini in queste ore (fra cui quelle del piccolo Muhammad Zakariya Ayyoub al-Matouq di Gaza City, un anno e mezzo, pubblicata in queste pagine, che stanno indignando il mondo, o come quella di Osama al-Raqab, 5 anni, di Khan Younis, pubblicata in prima pagina su questo giornale, ndr). E l’Italia avrebbe l’obbligo di vigilanza.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile
LE RAGAZZE SONO STATE RICEVUTE AL QUIRINALE: “AVETE RESO ONORE AL NOSTRO PAESE”
“Vi ho chiesto di venire qui facendo una deviazione nei vostri programmi per ringraziarvi e farvi complimenti: ringraziarvi per lo splendido Europeo che avete fatto” rendendo “onore alla maglia e alla bandiera del vostro Paese”. Lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella rivolgendosi al Quirinale alle azzurre della Nazionale di calcio femminile, eliminate dopo una prova splendida dall’Inghilterra campione in carica nella semifinale dell’Europeo, a Ginevra. “In tutti gli interventi – ha aggiunto il capo dello Stato – è emerso come lo sport sia un elemento necessario e fondamentale, un’avanguardia, dato che gli atleti che emergono trascinano con il loro incoraggiamento ragazzi, ragazze e bambini”.
Mattarella: “Dalla preistoria le donne faticano”
Mattarella ha poi fatto riferimento “all’art 3 della Costituzione sull’uguaglianza, le pari opportunità, le pari condizioni: dalla preistoria tutto è stato sempre più difficile per le donne” situazione che, “per fortuna, si sta superando. Ma c’è ancora tanta strada da fare”, ha subito ammonito. “Lo sport è di esempio, può migliorare le relazioni sociali, le rafforza e le consolida”. E in questo, ha detto ancora rivolgendosi alle azzurre, “avete dato un contributo importante per rendere il Paese più giusto e consapevole”.
Le lacrime della capitana Girelli
“Meritiamo rispetto e visibilità: il calcio femminile, in Italia, ha fatto tanta strada ma ha ancora fame”: non è riuscita a trattenere le lacrime, Cristiana Girelli, capocannoniere dell’Italia donne, nel suo intervento al Quirinale. “Vogliamo sognare in grande – ha detto la capitana delle azzurre – perché sappiamo che sulle nostre spalle non abbiamo solo la maglia azzurra, ma il sogno di tante bambine che vogliono arrivare lì dove siamo noi: ogni bambina
con un pallone in mano ha diritto a sognare”. Girelli, rievocando la semifinale persa con l’Inghilterra, ha ricordato: “Siamo arrivate a un minuto dalla finale, ma non è quel minuto che ci qualifica: è il cammino. Questa non è una squadra, ma un collettivo che sa cadere senza spezzarsi”.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile
CHIARA BRUSON NON CI HA PENSATO DUE VOLTE: “NON HO PAURA, PROVO SOLO PENA PER CHI SA SOLO ODIARE E MINACCIARMI DI MORTE”… “QUALCUNO PENSA DI POTERSI COMPRARE TUTTO CON I SOLDI E LA VIOLENZA: NE RISPONDERA’ ALLA GIUSTIZIA”
«Oggi sono stata minacciata. È la seconda volta da quando sono sindaca, ma è la
prima in cui mi vedo costretta a raccontarlo pubblicamente. Lo faccio perché non posso accettare il silenzio davanti alla violenza»: la denuncia via social porta la firma di
Chiara Buson, sindaca di Rubano.
Aggiunge Buson nel post pubblicato sul proprio profilo Facebook: «Fortunatamente ho una registrazione dell’accaduto, che depositerò alle forze dell’ordine. Le parole che mi sono state rivolte sono gravi: mi è stato annunciato che avrei ricevuto una “visita armata”, mi è stato augurato di essere violentata. Lo stesso augurio è stato rivolto a mia madre e alla mia segretaria. Non ho paura. Ma provo una pena profonda per chi riesce a esprimere tanto odio. Mi difendo, sì. Lo faccio per me, ma anche per chiunque sia bersaglio di minacce e intimidazioni. Lo faccio per dire con forza NO alla violenza, NO ai soprusi, NO a chi crede di poter comprare tutto con i soldi o imporsi con la forza. E lo scrivo qui, perché non posso permettere che su un fatto così grave vengano diffuse bugie o banalizzazioni. La verità è chiara. E la verità, stavolta, ha anche una voce registrata. Chi ricorre alla violenza non deve farlo mai più. Né con me, né con nessun altro».
Tra i primi attestati di vicinanza a Chiara Buson è arrivato quello di Sergio Giordani, sindaco di Padova e presidente della Provincia di Padova: «Esprimo la massima solidarietà e vicinanza alla sindaca di Rubano Chiara Buson, minacciata di morte nella sua veste di amministratrice. Primi cittadini e prime cittadine sono sempre in prima linea con impegno e passione. Anche nella diversità di vedute la comunità e i cittadini devono sempre rispettare questo sforzo perché è democrazia, guai a travalicare il limite di linguaggi o comportamenti violenti».
Chiara Buson, esponente del Partito Democratico, è stata eletta sindaca di Rubano con una lista di centrosinistra a giugno 2024.
Nelle elezioni ha battuto al ballottaggio l’imprenditore Luigi Sposato, sostenuto da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, ottenendo il 55,4% delle preferenze
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile
“LE FORZE PROGRESSISTE GUARDINO ALLE COSE CHU UNISCONO INVECE CHE A QUELLE CHE DIVIDONO”… “A GENOVA SONO STATA CHIARA, IO METTO A DISPOSIZIONE LA MIA VITA, MA SOLO SE SIETE UNITI”… “NON MI INTERESSA AVERE LA TESSERA DI UN PARTITO, CONTA DARE UNA SPERANZA AGLI ITALIANI CON UN PROGETTO SERIO: SOLO COSI’ TORNERANNO A VOTARE. A GENOVA SIAMO PASSATI DAL 44% AL 52% DI VOTANTI”
L’importante è muoversi: serve a prendersi spazi, ottenere attenzioni, sondare umori. Ecco perché, nell’ampia prateria del centro della politica nazionale, in questi mesi e in questi giorni in particolare hanno detto, fatto, proposto in tanti. Da Matteo Renzi a Dario Franceschini, il primo a tratteggiare le potenzialità di una nuova forza politica capace di arrivare al 10 per cento, aggregando tutti i piccoli partiti di centro. Da Ernesto Maria Ruffini a Alessandro Onorato, il super assessore romano che oggi a Fermo nelle Marche ha radunato 200 tra sindaci e sindache, consigliere e assessori con l’idea di “continuare un percorso che sta creando dal basso un nuovo progetto civico nazionale”.
Ecco perché, a maggior ragione, da Genova arriva il messaggio ai naviganti del volto nuovo sulla scena, la neo sindaca della città Silvia Salis, civica centrista e riformista, una delle figure che lo stesso Franceschini ha invitato a tenere d’occhio in chiave nazionale tra le preoccupazioni dem. «Io posso solo dire che sono sindaca da due mesi, e ho tanto da fare: – è la sua risposta, almeno per ora – chi vuole bene a me e a Genova, mi deve lasciare lavorare qua».
Le cose cambiano in fretta, però, in politica. E a indicarla come papabile futuro volto buono per una leadership al centro del centrosinistra sono stati Renzi e Franceschini, non proprio i primi due di passaggio..
«Ma sono appena diventata sindaca di una grande città, il mio è un impegno delicato e totalizzante che non può prevedere distrazioni. Il mio orizzonte, ora, è quello di un Comune lasciato
in condizioni disastrose dalla destra, delle decisioni da prendere sulle partecipate, sull’Imu, sul ciclo dei rifiuti. Non altro».
Insisto. Franceschini l’ha indicata come una delle tre figure a cui guardare per una futura guida nazionale. Qualcosa vorrà pur dire.
«E io ribadisco, chi vuole il mio bene mi deve lasciare lavorare nella mia città. Detto questo, è vero che c’è un grosso tema di leadership a sinistra. Un tema che, sia chiaro, prescinde da me. Io ne vengo dall’esperienza nello sport, dove per vincere ti devi affidare sempre a chi può e sa farlo. A destra, questo, è un meccanismo chiarissimo. A sinistra, c’è un grosso problema con i leader e le figure vincenti».
A chi dobbiamo considerarlo rivolto, questo suo messaggio?
«A chi nel campo progressista sente la necessità di differenziarsi, rispetto a quelli che possono unire il campo. Lo dico sempre, da subito, è servito anche nella mia coalizione, qui a Genova: le differenze tra alleati vanno comunque gestite, tanto vale farlo governando, invece che all’opposizione».
In qualche modo lo dice anche Elly Schlein. Come sono i suoi rapporti, con la segretaria del Pd?
«La apprezzo moltissimo, direi ci siamo sostenute apertamente. Sta facendo veramente un grande sforzo per far sì il campo rimanga “testardamente unitario”, come dice lei. Se verrà realmente condivisa, questa linea, con dentro davvero tutti, per la destra sarà un grosso problema».
In quell’unitario, dice lei, ci vogliono tutti. Pensa nel 2027 sarà possibile davvero vedere schierato sulla stessa scheda il campo larghissimo, dai renziani ai postgrillini?
«Il punto è semplice, è che la sinistra per espandersi deve consolidare un elettorato di centro sinistra. Il centrodestra, al contrario del centrosinistra, non ha nessuna capacità espansiva. Loro, uniti, prenderanno la somma delle percentuali dei loro partiti. Noi, unendo le forze, possiamo solo crescere. Io l’ho visto succedere a Genova, in modo netto. Il campo unito e una proposta solida riporta le persone a votare, può conquistare anche quell’elettorato di centrosinistra sfiduciato che per anni si è allontanato. A Genova alle ultime elezioni aveva votato il 44 per cento, a questo giro il 52. La sinistra è diversa dalla destra, sono profondamente diversi i rispettivi elettorati, e l’Italia non è un Paese di destra, è un Paese progressista».
Cosa ne pensa, delle ultime vicissitudini giudiziarie che hanno coinvolto due figure di peso della scena nazionale a sinistra, il sindaco di Milano Beppe Sala e l’ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci?
«Penso che bisognerebbe essere garantisti con tutti, ma esserlo veramente. Non come il centrodestra, che si professa tale con gli esponenti di primo piano, e poi manda a pestare le seconde linee. Le stesse che si rendono protagoniste a vicende anche ben più gravi di un avviso di garanzia, e io ne so qualcosa (il riferimento è al caso dossieraggio che ha coinvolto l’ex assessore di Fdi a Genova Sergio Gambino, ndr). Bisogna essere garantisti sempre, non a targhe alterne».
Oggi c’era chi la aspettava a Fermo, dove Onorato ha riunito amministratori civici di tutto il Paese per indicare una nuova rotta nazionale, oltre che per portare la propria solidarietà a
Ricci.
«Io mi muovo da Genova solo per questioni legati al futuro della città, o eventi che possono servire al ruolo di governo della città. Posso andare una sera alla Festa dell’Unità di Milano, di certo non nelle Marche per una giornata intera».
Cosa ne pensa, dell’iniziativa degli amministratori di Onorato?
«Penso ci sia un grande movimento civico, in questo Paese, che va tutelato e sostenuto, anche perché serve a riavvicinare alla politica gli italiani. La proposta di Onorato è intelligente, risponde con intelligenza all’esigenza di trovare figure nuove, civiche, con cui rilanciare l’iniziativa della politica. Chiediamocelo, perché sta avendo tanta attenzione».
Perché?
«Perché bisognerebbe interrogarsi, sul perché i cittadini guardino con sempre più crescente fiducia ai civici, e sempre meno alle figure politiche».
Perché, secondo lei?
«Perché la figura civica avrà sempre un approccio più pratico alle cose di quello più ideologico di una politica. Io, quando mi è stato chiesto di candidarmi sindaca a Genova, ho detto l’avrei fatto solo a patto il campo progressista si fosse presentato unito. Metto a disposizione della città la mia vita, ma solo se le forze del centrosinistra corrono insieme».
È un modo per lasciare poca speranza ai partiti che le hanno chiesto di prendere la tessera, presumo tanti, questo?
«Non è mia intenzione entrare in nessun partito, non ne sento l’esigenza. I partiti della mia coalizione a Genova mi sostengono apertamente, non ho nessuna necessità altra, lascio speculare gli altri. Del resto sono stata raccontata prima come una pericolosa comunista e poi come una liberale camuffata da donna di sinistra. Ho fatto tutto l’arco progressista, ma sono una civica».
(da Repubblica)
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