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“I CPR IN ALBANIA SONO COSTATI 114.000 EURO AL GIORNO PER DETENERE 20 PERSONE”

Luglio 25th, 2025 Riccardo Fucile

LO STUDIO DI ACTIONAID E UNIVERSITA’ DI BARI: 74,2 MILIONI DI SPESE MENTRE I CENTRI ITALIANI HANNO 263 POSTI VUOTI SU 1.164

I Cpr in Albania hanno un costo giornaliero di 114 mila euro. Il protocollo con Tirana per portare le persone in attesa di rimpatrio è «il più costoso, inumano e inutile strumento nella storia delle politiche migratorie italiane». A dirlo è il report Trattenuti, realizzato da ActionAid e Università di Bari. Che ricostruisce le spese del governo Meloni per Gjadër e Shëngjin. Per il primo sono stati realizzati 400 posti, ma è occupato
attualmente da 26 persone. Per la costruzione di entrambi sono stati sottoscritti contratti per 74,2 milioni. Il costo di ogni singolo posto è di oltre 153 mila euro. Mentre il Cpr di Porto Empedocle (50 posti) è costato un milione. Ovvero 21 mila euro a posto.
Da ottobre a dicembre
Nell’ultimo trimestre del 2024, per cinque giorni totali in cui i centri sono stati operativi, il governo italiano ha speso 114 mila euro al giorno per detenere 20 persone. Che poi sono state liberate. «Alla luce di ben 263 posti vuoti sul totale di 1164 disponibili in Italia, utilizzare il Cpr di Gjadër per detenere la popolazione straniera irregolare presente in Italia appare del tutto irrazionale e illogico», spiega a La Stampa Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid. Nel 2024, dai Cpr italiani sono stati rimpatriate solo il 10,4% delle persone che hanno ricevuto un provvedimento di allontanamento. Il minimo storico negli ultimi dieci anni.
206 persone
Dall’entrata in vigore del protocollo 206 persone sono state trasferite in Albania. La maggior parte è poi tornata in Italia. Le prime 74 sono arrivate da ottobre 2024 a gennaio 2025. Altre 132 da quando il centro è diventato a tutti gli effetti un Cpr. «Non sono dati pubblici ma li ricaviamo dalle visite ispettive», sottolinea la deputata Rachele Scarpa. Oggi, nonostante la retorica del governo, ci sono appena 26 persone, e la stragrande maggioranza è stata riportata in Italia. È una presa in giro».
(da agenzie)

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INTERVISTA A MATTEO RICCI: “NON POSSO ESSERE RESPONSABILE PENALMENTE DI ERRORI COMMESSI DA ALTRI”

Luglio 25th, 2025 Riccardo Fucile

“NON MI SONO MAI OCCUPATO DI AFFIDAMENTI O DI APPALTI. IN DIECI ANNI DA SINDACO HO DECISO 500 MILIONI DI INVESTIMENTI PUBBLICI, MAI UNA VOLTA MI SONO INTERESSATO DI CHI AVREBBE REALIZZATO I LAVORII”… “FACCIAMO L’IPOTESI CHE IL MURALE DELLA SEGRE MI ABBIA PORTATO CONSENSO: A QUESTO FINE, COSA CAMBIAVA PER ME SE A FARLO ERA TIZIO O CAIO?”

L’appuntamento è in una gelateria al centro di Pesaro. Matteo Ricci si presenta in bermuda e infradito (siamo sempre a duecento metri dalla spiaggia), la gente che entra lo saluta con simpatia. Sembra ancora il sindaco in carica, invece è la preda più pesante nel carniere dell’inchiesta chiamata “affidopoli”, con un avviso di garanzia che rischia di deragliare la campagna elettorale.
Ricci, come si sente?
«Sono commosso del grande affetto che si è acceso nelle ultime 24 ore. Tantissimi mi chiedono di andare avanti, sapendo che sono sempre stato una persona corretta e rigorosa».
Lei sostiene che i magheggi di Massimiliano Santini avvenivano alle sue spalle. Come è possibile che non si sia accorto di niente visto che si trattava pur sempre di una persona di sua fiducia?
«Intanto precisiamo una cosa: io non mi sono mai occupato di affidamenti o di appalti, non è una cosa che per legge spetta al sindaco, ma alla struttura amministrativa e dirigenziale».
I pm però la descrivono come il capo del sistema. Non era così?
«In dieci anni da sindaco ho deciso 500 milioni di investimenti pubblici e organizzato tantissimi eventi, mai una volta mi sono interessato di chi avrebbe realizzato i lavori. Figuriamoci se mi occupavo di chi faceva il murale per la Segre o il maxicasco di Valentino Rossi».
Nelle carte c’è scritto che lei avrebbe chiesto soldi a delle imprese private da girare poi alle associazioni di Stefano Esposto. Vero?
«Assolutamente no. Ogni sindaco fa appello all’imprenditoria locale per sostenere le iniziative della città, che siano sociali, culturali, sportive. Ed è quello che ho sempre fatto, ma in maniera pubblica, ringraziando poi pubblicamente le aziende che decidevano di sponsorizzare un evento o un’opera».
E allora cosa è successo?
«Che nella mia vita politica e amministrativa io ho avuto forse centinaia di collaboratori, si tratta di capire se un collaboratore che avevo scelto ha fatto degli errori oppure no e se ha tradito la mia fiducia oppure no».
Se venisse fuori che sono stati commessi dei reati?
«Ne dovrebbe rispondere personalmente. Ma non posso essere io responsabile penalmente di eventuali errori commessi da altri in
un procedimento amministrativo».
Insisto: se venisse fuori che è tutto vero?
«In quel caso io sarei la parte lesa, come il Comune di Pesaro. Vuol dire che l’amministrazione ha dato fiducia a qualcuno che ha tradito la fiducia, ma ne voglio parlare sempre usando il condizionale, i principali accusati hanno diritto di spiegare le loro ragioni».
Lei era per l’abolizione dell’abuso d’ufficio e adesso, abolito quel reato, i pm le contestano quello ben più grave di corruzione. È la sua nemesi?
«No, non mi sono pentito se è questa la domanda. E comunque, se avessi fatto pressioni per degli affidamenti, quello sarebbe stato abuso d’ufficio. Ma io non ho mai fatto alcun tipo di pressione quindi, nel mio caso, non ci sarebbe stato nemmeno l’abuso di ufficio».
Quando uscirono i primi articoli su questa vicenda, lei ha affrontato Santini, gli ha chiesto conto?
«Sì, l’anno scorso. La prima reazione è stata di chiedergli cosa fosse successo. E lui ci rispose che era tutto a posto, che tutte le fatture erano regolari. In 15 anni di amministrazione mi sono sempre fidato, fino a prova contraria, dei miei collaboratori e dirigenti».
Le contestano di aver avuto come ritorno non una mazzetta ma un aumento di popolarità. Un’utilità difficile da contestare
«Ogni amministratore ha un rapporto quotidiano con i cittadini
che lo valutano concretamente per le cose fatte. Ed è ovvio che la ricerca del consenso dei cittadini sia un elemento fondamentale della democrazia. Facciamo l’ipotesi che il murale della Segre mi abbia portato consenso: a questo fine, cosa cambiava per me se a farlo era Tizio o Caio?».
Lei conosceva Stefano Esposto?
«Di vista lo conoscono tutti a Pesaro, ma non avevo nessun rapporto diretto con lui, né di amicizia né altro. Mai avuti».
Le cose uscite su Santini sono pesanti, persino vacanze e attrezzature sportive pagate stornando i fondi pubblici. La colpisce?
«Se ci dovesse essere una condanna, col senno di poi, significherebbe che ho sbagliato a scegliere un collaboratore. Ho grande fiducia nella magistratura che sta facendo il suo lavoro. Spero che il prima possibile venga appurata la verità».
Mentre il Pd l’ha sostenuta, i 5S hanno messo in pausa la loro campagna, Conte si è messo alla finestra. Cosa gli risponde?
«Io ho spiegato tutto, quel che sto dicendo a voi l’ho detto prima a Conte. Voglio però aggiungere una cosa. La mia passione politica è iniziata nel 1984, avevo 9 anni, come ogni estate andavo alla festa dell’Unità con mio nonno, ex minatore in Belgio. E quell’anno la festa era tappezzata dai manifesti di Enrico Berlinguer, che era morto da poco. Chiesi chi fosse e lui mi rispose: era una persona onesta e perbene, stava sempre dalla parte dei più deboli. Io sono figlio di quella storia, l’onestà e la
trasparenza sono i miei valori, esattamente come lo sono dei Cinque stelle».
Nel Pd fanno notare che Italo Bocchino, lo spin doctor di Acquaroli, aveva “pronosticato” l’avviso di garanzia.
«Inquietante. Del resto, è un mese e mezzo che Bocchino mi ha scatenato contro tutta la stampa di destra. Torna fuori il solito squadrismo».
(da agenzie)

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ZELENSKY CAMBIA IDEA SULLA LEGGE ANTICORRUZIONE, L’ANALISTA: “IL DANNO ORMAI E’ FATTO, PUTIN LO SFRUTTERA’”

Luglio 25th, 2025 Riccardo Fucile

L’UE BENEDICE LA SVOLTA E ANCHE L’OPPOSIZIONE INTERNA COMMENTA: “SE CI HA RIPENSATO, SIAMO PIU’ FORTI DI PRIMA”

Il caso è più unico che raro: pacifiche proteste di piazza contro azioni del governo cheniente hanno a vedere con la guerra, in un Paese invaso e sotto legge marziale. Non ricordiamo altri esempi. Quel che è successo e che sta succedendo a Kyiv è una conseguenza del tentativo da parte di Volodymyr Zelensky di accentrare il potere e proteggere chi vi partecipa. È anche la
dimostrazione che una parte importante della società ucraina è pronta a difendersi da ogni involuzione autoritaria e dal retaggio sovietico della corruzione. È una conferma del rifiuto del modello moscovita e della scelta liberale e pro-europea fatta undici anni fa con Euromaidan e la Rivoluzione della dignità.
Se il presidente tornerà indietro sulla decisione di assoggettare all’esecutivo le agenzie anticorruzione e ne garantirà l’indipendenza, la democrazia e la voglia di resistere contro i russi potrebbero uscirne rafforzate — dicono gli oppositori di Zelensky e gli analisti. Altrimenti, instabilità politica e frustrazione sociale favoriranno il Cremlino. Sia sul campo di battaglia che in trattative che rischiano di sfociare in un negoziato-capestro.
Deriva autocratica
“Purtroppo, Zelensky sta diventando sempre di più un autocrate”, dice a Fanpage.it Oleksiy Goncharenko, deputato indipendente all’opposizione nella Verkhovna Rada — il parlamento unicamerale ucraino. “Il tentativo di mettere sotto il suo controllo le agenzie indipendenti è in linea con un processo in atto da tempo. E che è il motivo di fondo delle manifestazioni di protesta. Adesso il presidente è sotto pressione sia da parte della società civile che da parte dei nostri alleati europei. Vedremo molto presto se la legge con cui sembra ora voler correre ai ripari rispetterà davvero l’indipendenza degli istituti che indagano sulla corruzione. O se sarà solo un modo di
prender tempo”. Restano pochi giorni prima della pausa estiva della Rada. Sennò se ne riparla a fine agosto. Kyiv rischia di trovarsi troppo a lungo in una situazione politica anfibia, col rischio di una crisi di legittimità al vertice. Nel peggior momento possibile.
Cambio di rotta
Il Nabu, l’agenzia ucraina anticorruzione, ha dichiarato che il disegno di legge ‘riparatorio’, presentato in Parlamento nella serata di giovedì, “ripristina tutti i poteri procedurali e le garanzie d’indipendenza” sia del Nabu che della procura speciale Sapo. Entrambi gli organismi hanno contribuito alla stesura del testo e sollecitano l’adozione immediata dell’iniziativa presidenziale per evitare minacce ai procedimenti penali in corso. L’Ue ha accolto con favore la correzione di rotta: “Sosteniamo finanziariamente l’Ucraina, ma il supporto è vincolato a trasparenza, riforme giudiziarie e governance democratica”, ha dichiarato un portavoce. Messaggio ribadito da leader europei come Ursula von der Leyen, Friedrich Merz e il premier britannico Keir Starmer, con cui Zelensky ha discusso della crisi.
Tempismo da kamikaze
L’attacco all’indipendenza di Nabu e Sapo è arrivato proprio mentre l’Europa sta prendendo in mano l’acquisto e la distribuzione degli indispensabili armamenti americani Usa all’Ucraina dopo il più o meno parziale disimpegno da parte
Donald Trump. Un tempismo da manuale del disastro. A Bruxelles son rimasti sorpresi. I politologi che seguono più da vicino le vicende di Kyiv, per niente: “La mossa del duo Zelensky-Yermak è solo l’ultimo tassello di un consolidamento in vista di una fase decisiva della guerra e di negoziati molto difficili con i russi”, spiega a Fanpage.it Balasz Jarabik, analista di R.Politik. “Volevano assicurarsi che tutto fosse sotto controllo, a Kyiv”.
Andriy Yermak, vecchio amico e collega di Zelensky ai tempi delle sue grandi produzioni cinematografiche e oggi capo dell’Ufficio della Presidenza, è sempre più potente. Gli si oppongono personaggi come l’ex presidente Petro Poroshenko e quella che gli esperti di Ucraina definiscono “minoranza attiva”— con ampia rappresentanza nei media — che non vuole alcun accordo con la Russia. La ex Primo ministro Yulia Timoshenko, leader della Rivoluzione arancione del 2004, ha invece votato a favore dell’accentramento dei poteri anti-corruzione, indignando la piazza.
Amici in bilico
Secondo il deputato Goncharenko, i tempi son stati dovuti alla fretta: gli istituti anticorruzione hanno indagato troppo in alto e persone vicine a Zelensky rischiano il processo. Il presidente voleva impedirlo: “Il suo amico Chernysov, in particolare. E ho informazioni secondo cui anche su altre persone dell’entourage presidenziale le indagini si stanno stringendo”, afferma.
L’ex vice Primo ministro e ministro per l’unità nazionale Oloksiy Chernyshov nel 2025 è stato incriminato per corruzione e il suo dicastero è stato unito a quello della Politica Sociale. In precedenza, l’amico del presidente era stato a capo del grippo energetico Naftogaz e governatore della regione di Kyiv. “Le investigazioni delle agenzie indipendenti stavano avvicinandosi allo stesso Zelensky, che con la sua mossa ha passato il Rubicone per sistemare la questione”, aggiunge il politologo Jarabik. Il suo problema è che si è ritrovato senza l’esercito.
Un regalo per Putin
“L’Ucraina sta vivendo una fase di destabilizzazione interna, proprio come auspicava Putin”, continua Balasz Jarabik. “Le proteste hanno incrinato la fiducia tra una parte attiva della società civile e il governo di Zelensky. Una minoranza influente — fatta di Ong, media ed élite filoeuropee — si sente tradita, temendo che il sogno europeo si allontani. La crisi di fiducia è un regalo per la Russia, perché indebolisce l’unità nazionale nel pieno del conflitto”.
L’iniziativa anti-Nabu non era necessaria, ed è stato un grosso errore politico a cui pare che si voglia porre rimedio. “La fiducia del Paese nei confronti del Presidente può essere ristabilita solo se la nuova legge non lascerà alcun dubbio sull’indipendenza delle indagini sul malaffare”, sostiene Oleksiy Goncharenko. “In quel caso, le proteste rientrerebbero e forse non ci sarebbero serie conseguenze, per l’Ucraina”, pensa anche Jarabik. Ma
scenario potrebbe anche essere più cupo: “Un passo indietro di Zelensky evidenzierebbe che il suo potere è limitato, e questo può influire negativamente su ogni futuro negoziato con i russi”. Il Cremlino con chi ritiene debole non chiede, comanda.
Nessuna divisione sulla guerra
Una cosa è certa, queste proteste non hanno niente a che vedere con la stanchezza per la guerra. Nessuno sta chiedendo la resa, nessuno si sta lamentando per i continui bombardamenti, per l’elettricità che va e viene, per tutte le sofferenze degli ultimi tre anni e mezzo. “I bombardamenti russi non hanno provocato manifestazioni contro il governo. La sofferenza per lo stato di guerra, nemmeno. La rabbia per tutto ciò è solo nei confronti di Mosca, non certo nei confronti di Zelensky”, rileva il politologo. “Siamo stanchi, esausti. Tutto è molto difficile. Ma sulla guerra non vi è alcuna frattura sociale, in Ucraina”, sottolinea il deputato Goncharenko. “Vogliamo un cessate il fuoco il prima possibile, vogliamo la pace. Non c’è vera divisione su questo, nel Paese. Né mai ci sarà”. “Tutto questo potrebbe addirittura finire per renderci più forti”, continua Goncharenko.
“Se la lotta alla corruzione sarà rilanciata ci sarà un impatto diretto anche in prima linea. Parte dei fondi destinati all’esercito sono purtroppo sottratti da criminali, o mal gestiti. Se riusciremo a proteggere la democrazia dall’interno e a garantire l’indipendenza degli organismi anti-corruzione, allora sì, sarà un passo avanti. Non significa considerarli perfetti. Purtroppo, non
lo sono. Forse dopo questa crisi, faranno di più e meglio”. L’ottimismo di Goncharenko viene messo alla prova proprio in queste ore.
Maidan, ancora
L’indipendenza, le libertà e il desiderio di separare il proprio da quello di Mosca, sottraendosi alle eredità dell’Urss — e la corruzione sistemica ne è tra le peggiori — furono in fondo le ragioni per cui il 21 novembre 2013, anniversario della Rivoluzione arancione, un gruppo di manifestanti si riunì sotto il monumento dell’Indipendenza nella Maidan Nezalezhnosti, a Kyiv. Nei mesi successivi quel gruppo diventò Euromaidan. A innescare la protesta era stato il sommesso post su Facebook di un giovane giornalista di origine afghana, Mustafa Nayyem.
Nei giorni scorsi Mustafa è tornato in piazza. “In piedi tra la gente, mi sono sorpreso a pensare che in Ucraina è cresciuta una generazione che non ha bisogno di essere persuasa, spronata o motivata a difendere se stessa e le proprie libertà”, ha poi scritto su Facebook. “C’erano tanti giovanissimi. Quando stavamo creando Nabu e Sapo, andavano ancora a scuola. Oggi sono usciti sotto la pioggia, senza clamore né eroismi, semplicemente perché considerano le agenzie contro la corruzione qualcosa che gli appartiene. E non c’era nulla di particolarmente solenne in tutto ciò. Non hanno bisogno di incoraggiamenti o grandi parole. Si mostrano per ciò che sono. E sono incredibilmente belli e liberi nella loro onestà”. Anche Euromaidan iniziò sotto la
pioggia.
(da Fanpage)

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“BOCCHINO E’ UN VEGGENTE O HA RAPPORTI CON QUALCHE TOGA BRUNA?”

Luglio 25th, 2025 Riccardo Fucile

SULL’AVVISO DI GARANZIA A RICCI, RENZI DICE QUELLO CHE MOLTI PENSANO: “BOCCHINO, INVIATO NELLE MARCHE DALLA MELONI PER FAR RECUPERARE VOTI AD ACQUAROLI, AVEVA PARLATO DI AVVISO DI GARANZIA IN ARRIVO PER RICCI…”

«È un profeta visionario o ha rapporti con qualche toga bruna?», è questa la domanda che si pone Matteo Renzi, e molti altri nel centrosinistra, a proposito di Italo Bocchino e la vicenda
dell’avviso di garanzia al candidato alla presidenza delle Marche, Matteo Ricci. Nel mirino del leader di Italia Viva c’è l’attuale consigliere per la comunicazione di Francesco Acquaroli, il candidato del centrodestra, che da settimane profetizzava l’arrivo di un avviso di garanzia per Matteo Ricci.
Il punto è che la profezia si è avverata. Tre giorni fa, Ricci ha confermato di aver ricevuto un avviso di garanzia dalla procura di Pesaro nell’ambito dell’inchiesta “Affidopoli”, che riguarda presunta corruzione per atti contrari a doveri d’ufficio durante il suo mandato da sindaco. Ma già a inizio giugno, Bocchino aveva pubblicamente messo in dubbio la candidatura di Ricci, parlando di «notizie sull’inchiesta» che avrebbero avuto «un loro peso».
Renzi: «Quiz dell’estate»
Il leader di Italia Viva incalza con ironia: «Si pone il grande quiz dell’estate: Italo Bocchino ha rapporti con qualche toga bruna o qualche esponente dei servizi? Oppure è semplicemente un profeta visionario che la società contemporanea inspiegabilmente non riconosce come un grande veggente?». Ricci stesso, intervistato a In Onda su La7, ha espresso il suo stupore: «Da un mese e mezzo Bocchino diceva a tutti che mi sarebbe arrivato un avviso di garanzia. Una cosa inquietante, anche per come sono stato attaccato quotidianamente dai giornali di destra».
Il libro presentato una settimana fa
A rafforzare i sospetti, anche il luogo scelto da Bocchino, una
settimana fa, per presentare il suo ultimo libro “Perché l’Italia è di destra“: la sala del consiglio provinciale di Pesaro, la stessa dove Ricci ha esercitato il suo mandato per cinque anni.
Sul palco, lo stesso Bocchino ha scherzato su di lui: «Dovrei spolverare la poltrona come Berlusconi con Travaglio, ma vi risparmio la scenetta». Poi il colpo: «Auguro a Ricci di non finire dentro l’inchiesta, ma la condanna politica è forte e sicura».
(da Dagoreport)

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MACRON ROMPE IL FRONTE DEI VILI: LA FRANCIA RICONOSCERA’ LA PALESTINA

Luglio 25th, 2025 Riccardo Fucile

LE REAZIONI DEI DUE CRIMINALI CHE DOVREBBERO ESSERE IN GALERA

Con una mossa che rischia di riscrivere gli equilibri diplomatici occidentali in Medio Oriente, Emmanuel Macron ha annunciato l’intenzione della Francia di riconoscere ufficialmente lo Stato palestinese. La dichiarazione è arrivata a sorpresa nella serata di ieri, con la pubblicazione sui canali social dell’Eliseo della lettera inviata al presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, in quattro lingue: inglese, arabo, ebraico e francese . La data indicata per la formalizzazione dell’impegno è settembre, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Si tratterebbe, se confermata, del primo riconoscimento di uno Stato palestinese da parte di una grande potenza occidentale e segnerebbe una frattura politica significativa rispetto alla linea
seguita finora dagli alleati del G7, in particolare gli Stati Uniti.
Il consigliere di Macron: «Il 7 ottobre non sarebbe accaduto con uno Stato palestinese»
Nella missiva resa pubblica, Macron parla di una scelta coerente con «l’impegno storico» della Francia per «una pace giusta e duratura in Medio Oriente» e, soprattutto, volta ad accelerare i negoziati per una tregua nella Striscia di Gaza. A fare eco alla lettera di Macron è arrivata la dichiarazione dello storico consigliere speciale di Macron per gli affari israelo-palestinesi, Ofer Bronchtein: «Il 7 ottobre non sarebbe accaduto in presenza di uno Stato palestinese», ha detto in un’intervista radiofonica in lingua ebraica all’emittente pubblica israeliana Kan. «Tutti parlano da 40 anni della soluzione dei due Stati. Mi fa arrabbiare che la gente dica che incoraggiamo il terrore», ha affermato il consigliere presidenziale. «Se ci fosse stata la sovranità palestinese a Gaza, sono convinto che il 7 ottobre non ci sarebbe stato. La sovranità è responsabilità» conclude.
Non si è fatta attendere la reazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha bollato la mossa di Macron come «una ricompensa al terrorismo», accusando la Francia di voler guidare «una crociata contro lo Stato ebraico».
Toni altrettanto duri sono arrivati da Washington: il segretario di Stato Marco Rubio ha ribadito l’opposizione americana a ogni riconoscimento unilaterale dello Stato palestinese: «sarebbe uno schiaffo in faccia a tutte le vittime del 7 ottobre».
Lo stallo in Europa
La decisione di Macron ha spiazzato anche molti partner europei. Se da un lato Paesi come la Spagna hanno già riconosciuto lo Stato palestinese, altri, come Germania, Regno Unito e Italia, mantengono un approccio più prudente. Proprio Londra, poche ore prima dell’annuncio francese, aveva convocato colloqui trilaterali con Berlino e Parigi per discutere della crisi umanitaria a Gaza. Resta però da capire quale Stato palestinese verrà effettivamente riconosciuto. I contorni territoriali non sono stati definiti da Macron e questo solleva interrogativi sulla portata effettiva della decisione. Come sottolinea il New York Times, quello di Macron potrebbe essere un gesto simbolico, una «manifestazione di virtù», che rischia di non avere conseguenze concrete.
(da agenzie

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ANCHE LO SCIAMANO RINNEGA TRUMP: “’ UN IMPOSTORE”

Luglio 25th, 2025 Riccardo Fucile

IL SIMBOLO DELL’ASSALTO A CAPITOL HILL_ “FANCULO QUESTO PEZZO DI MERDA”

Ci mancava lo sciamano di QAnon. Jake Angeli Chansley, 38 anni, è il simbolo dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Le sue corna e la bandiera americana dipinta sulla faccia lo hanno reso noto in tutto il mondo. E oggi anche lui se la prende con Donald Trump per il caso Epstein. «Fanculo questo pezzo di merda. Un impostore», scrive su X Angeli, che ha preso tre anni e mezzo di carcere per l’assalto alla Casa Bianca ma è stato liberato di recente.
Il vaffa dello sciamano
Il vaffa dello sciamano è il simbolo del progressivo e sempre più violento distacco del popolo MAGA dal suo presidente. L’affaire Epstein e i suoi risvolti – compreso il ruolo di Bondi nell’informare Trump della presenza del suo nome nei file dell’indagine – stanno mettendo in pericolo il consenso del tycoon presso la sua base. Proprio il presidente che aveva promesso giustizia sul caso che sembrava coinvolgere l’intera
élite democratica ora è accusato di avere avuto relazioni strette con Epstein e di averle messe a tacere. E tutte quelle chiacchiere sul Deep State che Trump avrebbe dovuto combattere comincia a portarsele via il vento. D’altronde è Trump che ha cambiato idea. E anche piuttosto rumorosamente.
«Il ministro della Giustizia dovrebbe convocare una conferenza stampa e spiegare in termini generali quello che sappiamo sul caso Epstein. Un’esposizione metodologica, senza fare nomi perché si rischia di distruggere esseri umani che non hanno fatto niente di male solo perché hanno avuto rapporti con lui», ha detto a marzo parlando con Bill O’Reilly, ex Fox.
Poi il dietrofront. Dopo che a maggio la ministra Pam Bondi e il suo vice Todd Blanche lo avevano informato delle citazioni nel dossier. Le giravolte di Trump su Epstein sono innumerevoli. Nel 2002 l’aveva definito «un tipo straordinario del quale sono amico da quindici anni: uno che ama le belle donne come me e preferisce sceglierle tra le più giovani». Nel 2019, dopo l’arresto settimana dal tentativo di un parlamentare repubblicano, sostenuto dai democratici, di forzare il voto su una risoluzione che chiedeva la pubblicazione dei documenti giudiziari sul finanziere pedofilo. Ma il presidente repubblicano della Camera Mike Johnson ha bloccato il voto, citando la necessità di proteggere le vittime. Di fronte a questa paralisi, i leader repubblicani hanno deciso di sospendere le attività dei legislatori per tutto il mese di agosto
(da agenzie)

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L’EX MAGISTRATO FELICE CASSON DISTRUGGE CARLO NORDIO: “FORSE HA DIMENTICATO LA SUA STORIA”

Luglio 25th, 2025 Riccardo Fucile

L’EX COLLEGA A VENEZIA: “NORDIO DICE CHE HA CAMBIATO IDEA SULLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE A CAUSA DI UN SUICIDIO? E COSA C’ENTRA?”… “SUL CASO ALMASRI HA RACCONTATO UN SACCO DI BALLE”

L’ex magistrato Felice Casson è stato per vent’anni a Venezia collega dell’attuale ministro Carlo Nordio. E ricorda benissimo la lettera contro la separazione delle carriere che il Guardasigilli ha firmato nel 1994: «Ma io non lo firmai, non perché non fossi d’accordo, semplicemente non ero iscritto all’Associazione
magistrati, non ho mai fatto parte di alcuna corrente». Casson non capisce perché Nordio dica che ha cambiato idea dopo il suicidio di un indagato: «Cosa c’entra con la separazione delle carriere?», dice a Concetto Vecchio che lo intervista per Repubblica.
Nordio, ricorda Casson, «ha iniziato come giudice in tribunale nel 1978, molti anni dopo è passato a fare il pubblico ministero. Il mio stesso percorso: prima ho fatto il giudice istruttore, solo negli ultimi dieci anni sono passato nelle funzioni inquirenti». Ora che è contrario alla separazione delle carriere «forse ha dimenticato una parte della sua stessa storia». E anche sul caso Almasri «ha raccontato un sacco di balle». Anche se lui cerca «di giudicarlo dai fatti, sulla persona mi avvalgo della facoltà di non rispondere».
Del suo passaggio da giudice a pm ricorda «una grande ricchezza anche professionale. La forza della cultura dei diritti. La possibilità di vedere il processo da più punti di vista». Per il centrodestra la separazione renderà il processo più giusto. «Ma io non ricordo un solo caso di assoluzione o di condanna per il fatto di essere stati colleghi tra giudici o pm».
La separazione delle carriere
Negli anni ha chiesto di cambiare funzione l’un per cento dei magistrati. Di fatto la separazione c’è già: «Il vero vulnus è che il pubblico ministero non deve essere isolato facendone un corpo
autonomo. Anche perché questo sarebbe il primo passo per portarlo sotto il controllo diretto dell’esecutivo».
Ma questa è una battaglia del centrodestra da anni «per un fatto vendicativo, verso una magistratura che dà fastidio». Perché ci stanno riuscendo soltanto adesso, dopo tanti proclami? «In Parlamento hanno una maggioranza schiacciante, e quindi riescono a fare passare tutto. E poi il clima nel Paese è cambiato».
(da Open)

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BLITZ SULLE OLIMPIADI, POLTRONE FINO AL 2033: MATTARELLA STOPPA LA LEGA

Luglio 25th, 2025 Riccardo Fucile

BLOCCATO L’EMENDAMENTO CHE ESTENDEVA PER SETTE ANNI LA SOCIETA’ MILANO-CORTINA CHE GESTIRA’ LE INFRATRUTTURE

Ufficialmente, è solo un emendamento al decreto Sport ritirato all’ultimo secondo a Montecitorio. In realtà, è la fotografia di un pesante blitz della Lega sulle olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026, fallito anche grazie al vaglio del Colle. È infatti il Quirinale, si apprende da qualificate fonti di maggioranza, a stroncare la proposta avanzata dal Carroccio e fortissimamente voluta da Matteo Salvini. È il momento di massima tensione di una giornata vissuta dalla destra sulle montagne russe. E culminata nel rinvio del voto finale sul decreto: la maggioranza non riesce neanche a garantire il numero legale in aula.
I fatti, innanzitutto. L’emendamento della discordia targato Lega recita: «Al fine di valorizzare l’esperienza e le competenze maturate dalla società Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026 S.p.A. (…) nella realizzazione e nella gestione di infrastrutture complesse (…) — si legge nel testo presentato dal salviniano
Gianangelo Bof — può essere disposta (…) la prosecuzione dell’operatività della medesima Società sino al 31 dicembre 2033 per la realizzazione di infrastrutture inserite nel Piano complessivo delle opere olimpiche (…) con termine di consegna dei lavori successiva al 31 dicembre 2026». Di fatto, un clamoroso allungamento di sette anni della “vita” di un contenitore creato solo per occuparsi delle infrastrutture dei Giochi. E che, secondo ciò che è reperibile sul web, conta ben 67 dipendenti.
Attorno a questa proposta, alla Camera si scatena una battaglia sotterranea durissima. Da giorni, infatti, Palazzo Chigi aveva trasmesso al Carroccio alcuni dubbi sull’emendamento. E non lo aveva fatto a caso: secondo fonti di maggioranza, era stato il Quirinale — dopo un vaglio ufficioso preventivo, frutto del dialogo con il sottosegretario Alfredo Mantovano — ad avanzare pesanti perplessità su questa e su altre previsioni contenute nel dl Sport. Per lunghi giorni, però, senza risultati.
Alla vigilia del voto, arriva una riformulazione della norma del leghista (sempre concordata con il ministero delle Infrastrutture). Il Carroccio accetta di ridimensionare l’operato della società dopo il 2033 alle infrastrutture «strettamente» legate alle olimpiadi Milano-Cortina (resta un dubbio: di quali opere si tratta, se i giochi terminano nel 2026?). In mattinata arriva il parere favorevole del Tesoro guidato da Giancarlo Giorgetti. A quel punto, l’aula viene sospesa: serve l’ok del comitato dei
nove. Ed è a questo punto della storia che il blitz fallisce. Facendo saltare la norma voluta da Salvini.
È Palazzo Chigi a mobilitare i rappresentanti dell’esecutivo in Aula. E questo avviene — si apprende — dopo numerosi contatti con il Quirinale. Il deputato del Carroccio capitola, ritirando l’emendamento. Ma non basta. Un altro durissimo scontro si consuma sull’articolo 9 ter, un’altra idea che non entusiasma il Colle. Si tratta della norma con cui il governo decide di finanziare la sicurezza per le Olimpiadi con 43 milioni di euro tratti dal Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di mafia, usura, e agli orfani di femminicidio. Soldi non spesi, si difendono dall’esecutivo. E che si potranno comunque rifinanziare a fine anno. La previsione comunque passa, tra le proteste delle opposizioni.
Ciononostante, il governo è costretto a frenare la sua corsa. In Aula manca il numero legale: servirebbero 125 deputati di maggioranza, ma la conta si ferma a 118. Un caso che, a sera, approda sul tavolo di Meloni. Anche perché solo poche ore prima, al Senato, si sfiora un altro clamoroso incidente: il Codice dello Spettacolo passa con soli nove voti di scarto (56 a 47), un filo sopra il limite del numero legale. Mancano all’appello metà dei parlamentari, molti sono meloniani. Tanto che il ministro Luca Ciriani si lamenta con il capogruppo di FdI Malan.
Ma il terreno su cui rischia davvero di scivolare il centrodestra è, come detto, il decreto Sport. Passa infatti anche un altro
emendamento “sensibile”, che modifica quanto annunciato alla vigilia sulle Atp finals. In estrema sintesi: l’esecutivo aveva deciso di entrare in un nuovo “comitato tecnico di gestione” dell’evento, riservando a Sport e Salute — controllata dall’Economia — la nomina di due dei sei membri del nuovo organismo ( altri due agli enti locali interessati). L’obiettivo è mettere in minoranza la Federazione Tennis. E la mossa viene giustificata con il contributo concesso dallo Stato alla manifestazione. Dopo un durissimo scontro, arriva la parziale retromarcia affidata a un emendamento di Forza Italia: Binaghi potrà evitare la nuova governance, a patto di rinunciare alle risorse statali. Infine, l’America’s Cup ospitata a Napoli nel 2027. L’esecutivo stabilisce che i tre delegati italiani del Comitato che si occuperà dell’evento saranno scelti da Sport e Salute, dal ministero dello Sport e dal comune di Napoli. A sorpresa, viene esclusa la Regione.
(da La Repubblica)

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LO SGUARDO CORTO DEL CAPITALE

Luglio 25th, 2025 Riccardo Fucile

IL CASO DI POVEGLIA, LA PICCOLA ISOLA VENEZIANA, E’ UNA MEDICINA PER L’ANIMA

Mentre le cronache sono dominate da grattacieli, grafici immobiliari al rialzo, accelerazioni urbanistiche, leggere il reportage veneziano di Giampaolo Visetti su Poveglia, la piccola isola davanti a Malamocco che un manipolo di veneziane e veneziani ingegnosi è riuscito ad affittare per farne un parco pubblico, è una medicina per l’anima.
Invece del centesimo grande albergo a misura di invitati alle
nozze di Bezos, ecco un bene comune. Erba, canneti, piante aromatiche come rara eccezione al cemento e agli ori del turismo di lusso da un lato, alla devastazione dell’overturismo dall’altra.
Verso la fine del racconto mi ha colpito la breve frase di una delle animatrici del progetto Poveglia: “La politica sceglie la scorciatoia delle privatizzazioni”. Il termine “scorciatoia” è folgorante. Dà l’idea di un “tutto e subito” che punta diritto a fare profitto in tempi brevi; ché dei tempi medi e lunghi, poi, se ne dovranno occupare i posteri. (Parentesi: valutare i tempi medi e lunghi sarebbe il lavoro naturale della politica).
Questo sguardo “corto” è la principale imputazione — non moralistica: operativa — a carico del nostro sistema economico-produttivo. Spremere il pianeta come un grosso agrume, finché ce n’è, ce n’è, chi verrà dopo si arrangerà: conviene? A chi? E per quanto?
Il bene pubblico, diversamente da quello privato, ha come presupposto il lungo periodo. Non prevede di fare cassa, ma di garantire la comunità, la sua coesione, il suo benessere, la sua cultura. Pensa in là, “vede” il tempo, fa eccezione alla regola. A Venezia l’esistenza dei veneziani (che non sono pochissimi: circa 50 mila esseri viventi) è un ostacolo rilevante all’idea che ogni metro di terra emersa sia a disposizione del miglior offerente.
(da repubblica.it)

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