Destra di Popolo.net

TILMAN FERTITTA, IL DIPLOMATICO DEI SETTE MARI

Agosto 19th, 2025 Riccardo Fucile

UNA VOLTA LA CARRIERA DIPLOMATICA ERA UNA COSA SERIA, CON TRUMP E’ DIVENTATA UNA FARSA

«L’americano Tilman Fertitta, diventato di recente ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, è stato avvistato al largo del mare di Tropea, a bordo del suo lussuoso superyacht chiamato Boardwalk». La notizia corre sui social e la pagina “Tropea Social” pubblica anche una foto, quella che mettiamo in copertina.
A conferma, anche un video, che ci ha mandato un nostro lettore, nel quale si percepisce appieno il lusso dell’imbarcazione all’ancora al largo di Tropea.
«Tilman J. Fertitta – si legge sulla pagina web dell’ambasciata statunitense in Italia – è ambasciatore degli Stati Uniti in Italia e a San Marino. Ha presentato le sue credenziali al Presidente Sergio Mattarella il 6 maggio 2025. L’ambasciatore, nato a Galveston, Texas, e vissuto per tutta la vita a Houston, Texas, è un uomo d’affari miliardario americano, personaggio televisivo, autore di best-seller del New York Times e proprietario di squadre sportive professionistiche».
Il Boardwalk è una delle piu’ belle imbarcazioni costruite dal 2010 ad oggi. È stato comprato dall’imprenditore americano Tilman Fertita per 40 milioni di dollari. È lungo quasi 50 metri e può raggiungere i 24 nodi di velocita’ massima. Lo yacht dispone di 3 ponti, una cucina professionale, 12 camere da letto, 15 bagni, e grandi saloni e anche una piattaforma per l’atterraggio dell’elicottero privato.
Feritta è sbarcato a Tropea per una passeggiata e un immancabile gelato. Tra le tappe dell’ambasciatore, anche il Carbone Cocktail Bar. La visita è stata celebrata con foto e post social per l’occasione.

(da ilvibonese.it)

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CAMPANIA, DILEMMA A DESTRA: SPUNTA IL SOLITO NOME DI CARFAGNA

Agosto 19th, 2025 Riccardo Fucile

COMMISSIONATO UN SONDAGGIO PER TESTARE CIRIELLI E LA DEPUTATA DI NOI MODERATI… IN CALABRIA OK A TRIDICO

A parte i due governatori uscenti, Roberto Occhiuto in Calabria e Francesco Acquaroli nelle Marche, il centrodestra arranca nella scelta dei candidati nelle altre quattro Regioni che andranno al voto in autunno, a partire dal Veneto.
I leader della maggioranza si vedranno la prossima settimana o a inizio settembre con in mano i sondaggi, commissionati sui territori, in cui viene chiesto alla base di scegliere tra diversi nomi in campo. E in Campania, dove si dovrebbe andare alle urne a metà novembre, nella terna dei nomi è spuntato quello dell’ex ministra Mara Carfagna.
Nel maggio scorso la segretaria di Noi moderati aveva messo sul tavolo la sua disponibilità, «se me lo dovessero chiedere, farei una serie riflessione», aveva detto. E poi dal partito è arrivata
un’indicazione ancora più chiara: «Per noi la candidata in Campania è Carfagna», diceva Maurizio Lupi. Così nell’ultimo sondaggio fatto dalla coalizione, insieme al viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli di Fratelli d’Italia c’è proprio l’esponente di Noi moderati.
Gli elettori di centrodestra oltre che sui nomi si sono espressi anche sul tipo di profilo del candidato, se politico o civico. Una strada quest’ultima che a quanto trapela piace abbastanza agli elettori del centrodestra. Il nome che circola con più insistenza è quello di Giosy Romano, avvocato e commissario del Consorzio Asi di Napoli, gradito anche a Forza Italia.
Ma settimane fa, nelle riunioni dei dirigenti campani, si ipotizzava anche un impegno del rettore dell’Università di Napoli Federico II, Matteo Lorito.
In Calabria, dove invece si vota il 5-6 ottobre e quindi è iniziato il conto alla rovescia per presentare i candidati e le liste, nel centrodestra il quadro è chiaro: si ripresenta l’uscente Occhiuto, che si è dimesso per un’indagine per corruzione.
Il centrosinistra, preso alla sprovvista, sta per decidere su chi puntare. È questione di giorni, forse di ore. Ma Pasquale Tridico, M5S, che alle ultime Europee ha incassato oltre 27 mila voti, dovrebbe essere il nome che sarà ufficializzato a breve. L’ex presidente dell’Inps, che ha avuto un ruolo chiave nella messa a punto del reddito di cittadinanza quando Giuseppe Conte era premier, viene considerato il più indicato a sfidare Occhiuto che punta al bis.
I contatti tra Calabria e Roma sono costanti, ma si attende un tavolo nazionale per stringere l’accordo definitivo e sciogliere
gli ultimi nodi. Avs rivendica infatti un proprio candidato e in un audio, fatto circolare nei giorni scorsi, il segretario regionale Fernando Pignataro ha parlato di «gioco delle parti sporco» da parte di Conte. I dem sono al lavoro per tenere unita la coalizione, convinti che il candidato «dovrà essere colui che ha più possibilità di vittoria» contro il centrodestra. L’eurodeputato stellato si muove già da candidato: «Calabria mia, terra mia», ha scritto in un post a Ferragosto.
Fibrillazioni in Toscana nel campo largo. Ieri è stato siglato l’accordo di programma tra Pd e M5S per Eugenio Giani ma è maretta nel fronte riformista. Azione, +Europa, Pri e Psi hanno rotto con Italia Viva e deciso di correre con una propria lista a sostegno del presidente uscente. Facendo saltare la possibilità di un’unica formazione centrista, un listone unico che avrebbe dovuto avere il nome di Giani nel simbolo. «Inspiegabile» tuonano i renziani.

(da La Repubblica)

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AL NETTO DEI SORRISI E DELLE OSTENTATE SMANCERIE, DONALD TRUMP SI CONFERMA IL PORTAVOCE DI PUTIN: NELLO STUDIO OVALE, ZELENSKY SI È TROVATO DAVANTI UNA MAPPA DELL’UCRAINA CON LE REGIONI CONQUISTATE DALLA RUSSIA IN ROSA

Agosto 19th, 2025 Riccardo Fucile

SEGNALE INEQUIVOCABILE CHE QUELLE AREE NON TORNERANNO SOTTO IL CONTROLLO DEL REGIME DI KIEV (FORTUNATAMENTE, HA AVUTO LA SENSIBILITÀ DI NON INCLUDERE LE PARTI NON OCCUPATE DEL DONETSK, CHE PUTIN PRETENDE) – DA LUGANSK A ZAPORIZHZHIA FINO ALLE PICCOLE ENCLAVE DI SUMY E KHARKIV: I TERRITORI IN BALLO

Sono tre le zone ucraine occupate parzialmente o totalmente dai russi adesso oggetto dei negoziati. Gli ucraini mettono sul tavolo anche la Crimea, persa nel 2014, ma di fatto l’amministrazione americana non ne parla quasi mai. I russi hanno soldati anche nell’1 per cento della regione di Sumy e nel 5 di Kharkiv.
Il Donbass
Il Donbass è il vecchio centro minerario e industriale dell’Unione Sovietica. Mosca lo considera una priorità e infatti Putin ne pretende l’intera sovranità, sebbene le sue truppe ne occupino circa l’80 per cento.
È diviso in due regioni, aggredite dalle milizie locali filorusse già nel 2014 con il pieno sostegno militare di Mosca: Lugansk, oggi occupata per il 99 per cento, e Donetsk per il 79 per cento.
Nel febbraio del 2022 i comandi russi erano convinti di poterle prendere in poche ore. Ma la resistenza ucraina è stata subito forte. Da allora, specie nel Donetsk si sono consumate le battaglie più feroci a partire da quella per la presa della città portuale di Mariupol tra il marzo e maggio 2022. […]
Kherson
Nella primavera del 2022 le colonne russe avanzarono velocemente verso Ovest dalla penisola di Crimea e riuscirono a passare i ponti sul Dnipro per occupare il capoluogo. Kherson cadde ai primi di marzo, ma già nel novembre la controffensiva ucraina riuscì a ricacciare i russi a Est del fiume. Da allora l’Armata bombarda di continuo il capoluogo, che resta una città fantasma. Si calcola che a oggi i russi occupino il 71 per cento del Kherson e gli ucraini temono che da qui Putin cerchi tutt’ora
di organizzare un’offensiva verso Odessa.
Zaporizhzhia
Anche la regione di Zaporizhzhia è stata rapidamente occupata dai russi nel marzo 2022. Oggi tengono il 74 per cento compresa la centrale nucleare lungo il Dnipro. Gli ucraini mantengono il capoluogo e le zone agricole nel Nord, minacciate da frequenti bombardamenti.

(da agenzie)

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“DA GIORGIA MELONI MANCANZA DI RISPETTO”: LA FEDERAZIONE NAZIONALE DELLA STAMPA CONDANNA LA BATTUTACCIA DELLA DUCETTA, CHE ALLA CASA BIANCA SI È VANTATA CON TRUMP PERCHÉ NON VUOLE MAI PARLARE CON I GIORNALISTI

Agosto 19th, 2025 Riccardo Fucile

“CHE NON AMI LE DOMANDE È COSA NOTA. NEGLI ANNI HA SOSTITUITO LE CONFERENZE STAMPA CON LUNGHI MONOLOGHI SENZA CONTRADDITTORIO. PROPAGANDA, NON INFORMAZIONE” … L’OPPOSIZIONE: “PREFERISCE PARLARE DA SOLA NEI SUOI VIDEO, COME UN’AUTOCRATE REFRATTARIA AL CONFRONTO”

Seduta accanto a Donald Trump, assieme agli altri leader europei e al presidente ucraino Zelensky, la premier Giorgia Meloni dice sorridente “Io non voglio mai parlare con la stampa italiana”, ammettendo così il suo non facile rapporto con i media nazionali. Parole catturate in un fuori onda poi ripreso da alcune testate in Italia.
E’ quanto sostiene in una nota Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi dove sottolinea: “Che la presidente del Consiglio non ami i giornalisti e le domande della stampa è cosa nota – osserva Costant – Negli anni ha sostituito le conferenze stampa (tranne quella di fine anno) con lunghi monologhi online, senza contraddittorio, senza domande. Propaganda, non informazione. Una situazione di mancanza di rispetto nei confronti della stampa che ha avuto la sua conferma nel vertice con il presidente Trump”, conclude nel comuncato.
Lo stupore del presidente finlandese Stubb per la scelta di Donald Trump di aprire il vertice alla stampa e poi una nuova proposta del presidente americano ai leader europei di prendere, se ne avessero avuto voglia, qualche domanda. Sono due passaggi brevi ripresi dalle telecamere ieri alla Casa Bianca in cui si sente – come riporta La Stampa pubblicando un video di
Ap – la premier italiana, prima, spiegare a Stubb che “a lui piace, gli piace sempre” ricevere domande. “Io invece non voglio mai parlare con la mia stampa”.
Poi, davanti al nuovo invito di Trump alla disponibilità di domande, replicare: “penso sia meglio di no, siamo troppi e andremmo troppo lunghi”. Frasi appena percettibili, riportate tra virgolette dal sito del quotidiano torinese, che bastano alle opposizioni per puntare il dito contro Giorgia Meloni, “refrattaria” – è il termine più utilizzato – “alla stampa e alla democrazia”.
“Mentre Trump mercifica la pace – denuncia il co-portavoce di Avs, Angelo Bonelli -, Giorgia Meloni si sottrae al ruolo che i giornalisti hanno in una democrazia: quello di fare domande e chiedere conto delle scelte del governo. Come sua consuetudine, Meloni preferisce parlare da sola nei suoi video, come un’autocrate refrattaria al confronto con la stampa, che ha un ruolo fondamentale in ogni democrazia”.
E alla premier Riccardo Magi, assegna “l’Oscar come peggiore protagonista” per aver “confermato in un indegno fuori onda il suo totale disprezzo per la stampa e la libertà di informazione: d’altronde – osserva il segretario di +Europa – abbiamo ben capito che Meloni vorrebbe giornalisti compiacenti e stampa adulante”.
“Il leader di un paese democratico – scrive su X il leader di Azione, Carlo Calenda – non ha paura della stampa e sa che è suo dovere interloquire con tutti i giornali. Dire “io non voglio mai parlare con la stampa italiana” ad un aspirante autocrate che compila quotidianamente liste di proscrizione dei giornalisti è
ancora più grave. Pessima figura”, conclude.
“Il fuorionda con Trump è chiarissimo”, interviene anche la senatrice di Iv, Silvia Fregolent: “Meloni non regge il confronto con le domande, cioè con la democrazia. Un premier che scappa dai giornalisti scappa anche dai cittadini. Altro che patriota coraggiosa: Meloni si sente al sicuro solo nei monologhi registrati e nelle dirette social”. “Giorgia Meloni come Massimo D’Alema, non ama la stampa libera”, dice invece Osvaldo Napoli della segreteria di Azione: “è un riflesso condizionato, di durata secolare”.

(da agenzie)
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TANTO FUMO E POCO ARROSTO: COME E’ ANDATO IL VERTICE DI WASHINGTON

Agosto 19th, 2025 Riccardo Fucile

PROBABILE INCONTRO TRA ZELENSKY E PUTIN ENTRO 15 GIORNI, MA NESSUN CESSATE IL FUOCO

Dopo Anchorage, Washington. Ieri Donald Trump ha accolto alla Casa Bianca il presidente ucraino Zelensky assieme agli altri leader europei. Nel vertice, durante il quale è stato chiamato Putin, il numero uno di Kiev ha proposto un accordo per 100 miliardi di armi Usa pagate dall’Europa in cambio di garanzie di sicurezza. E ha consegnato una lettera di sua moglie per la First lady Melania. Zelensky stavolta ha evitato di andare contro il numero uno alla Casa Bianca: «Dobbiamo chiudere la guerra, sono pronto al trilaterale». La discussione sulla cessione dei territori ucraini a Mosca è stata fatta in privato ma il risultato è che comunque gli Usa hanno garantito un impegno per la sicurezza di Kiev. Unica pecca? The Donald non ha fatto concessioni su un aspetto basilare per gli europei: il cessate il fuoco. «Non penso serva», ha dichiarato.
Come è andato l’incontro con i leader europei
Il multilaterale fra Trump e i leader europei ( il segretario generale della Nato Mark Rutte, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e i leader Giorgia Meloni per l’Italia, Emmanuel Macron per la Francia, Keir Starmer per il Regno Unito, Friedrich Merz per la Germania, Alexander Stubb per la Finlandia) in realtà si è chiuso con un nulla di fatto. Perché il punto dirimente, ovvero il cessate il fuoco, è una opzione che il presidente americano non ha mai preso in considerazione. «Non riesco a immaginare il prossimo incontro senza un cessate il fuoco» ha detto il cancelliere tedesco Merz.«Tutti noi preferiremmo un cessate il fuoco immediato, forse succederà… al momento non sta succedendo», gli ha replicato Trump. Garantisce di «sapere» che Putin vuole porre fine al conflitto. E
puntata sul fatto che il ruolo degli europei sia basilare per spingere Zelensky a fare cessioni territoriali politicamente e costituzionalmente, al momento, complicate. Se non impossibili.
Possibile trilaterale entro agosto
Il multilaterale è stato interrotto da una chiamata con Mosca, confermata anche dal Cremlino e durata una quarantina di minuti. «Ho chiamato Putin e ho avviato i preparativi per un incontro, in una sede da definire, tra lui e Zelensky. Dopo avremo una trilaterale, a cui parteciperanno i due presidenti, più me. Un ottimo passo iniziale per porre fine alla guerra». Secondo Axios, Trump spera di tenere il bilaterale a breve e possibilmente entro fine agosto. Tra le reazioni dei protagonisti del summit spicca quello cauto di Macron che rimane scettico: «Pensare a sanzioni se negoziati falliscono, non credo che Putin voglia la pace».
(da agenzie)

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IL LUNGO ADDIO ALLA CRIMEA: ECCO PERCHE’ LA “PAX AMERICANA” E’ COMINCIATA QUI

Agosto 19th, 2025 Riccardo Fucile

IL LUNGO ADDIO ALLA CRIMEA: ECCO PERCHE’ LA “PAX AMERICANA” E’ COMINCIATA QUI … NEL 2014 PUTIN COMPRESE CHE L’OCCIDENTE NON AVREBBE REAGITO ALL’ANNESSIONE DELLA PENISOLA

Le memorie sono di un impasto colloso, i fatti si accavallano e occorrono sempre aggiunte. Che fatica! Solzenicyn diceva che te ne liberi solo quando allunghi le gambe. Nel caso della Crimea i Grandi e i Piccoli Timonieri dell’Occidente non sono mai riusciti
a completare questo movimento liberatorio. Sì, se sul piano del diritto internazionale tutte le annessioni fatte con la forza o l’astuzia in teoria (e cosa c’è di più teorico e astratto di quel diritto?) sono illegittime, per la Crimea ci sono delle particolari “nuances’’ .
Dall’inizio, da quel 2014 quando con un contestato referendum la penisola ritornò, come sintetizzava la retorica di Mosca, alla Madre Russia e Putin diede il suo primo forte colpo di gong. Ebbene nessuno si impennò particolarmente per quell’insolenza. Gli alleati di Kiev, gli Stati Uniti all’epoca navigavano sotto i comandi dell’insospettabile Obama e non del “collaborazionista’’ Trump, lo considerarono un caso particolare: illegale sì ma… come se fossero stati, essi stessi, consapevoli e rispettosi di quella carica di memoria storica, culturale ed emotiva che la Crimea ha per i russi, non solo quelli putiniani. Ben diversa da territori come il Donbass, Cherson o Zaporija.
Già, la Crimea: il bastione Malakoff, “…qui durante l’assedio visse il conte Tolstoi..’’, i cannoni di Balaclava, Thor, il mortaio con cui Von Manstein martirizzò Sebastopoli, i sorrisi di Yalta…come se le cancellerie occidentali leggessero i libri di testo russi accomodati con la nuova Storia. A volte una spensierata miopia è una salvezza non solo per il cuore ma anche per la politica. La disintegrazione di quell’ipotetico diritto e del suo ordine, in realtà la pax americana, è iniziata in Crimea undici anni fa.
Il mondo non sarebbe più stato lo stesso. Era difficile capirlo? Ma la Crimea “da sempre russa’’ che vale? al massimo qualche inutile sanzione. Putin sapeva che quei signori occidentali altro
non erano, come si diceva nel linguaggio criminale che dei “fraer’’, dei sempliciotti facili da raggirare. Putin ha ricamato su questa seduzione: «nel cuore e nello spirito dei russi – diceva nel marzo del 2014 – la Crimea è sempre stata una parte inseparabile della Russia».
E con sottile perfidia tracciava audaci paralleli con la riunificazione tedesca. Che cosa c’è di più genuinamente sovietico di Sebastopoli? Parla ancora a gran voce della Russia sovietica, delle sue glorie e dei suoi orrori, nel ferro, nella pietra, nella rabbia degli uomini. Da sempre qui l’uomo russo è stato rimpicciolito di fronte allo Stato onnipotente, ha imparato a sopravvivere, a resistere. Qui sanno cosa è la guerra. In giro ci sono duemila monumenti che ricordano massacri, assedi e battaglie. In fondo alla grande rada un mare duro, sgraziato, depositario indifferente di una antica, tirannica forza.
La riconquista fu una operazione perfidamente perfetta, con la “pacificazione’’ della Cecenia e il vertice di Anchorage, forse il summit della sua carriera di autocrate semplificatore: stile da iceberg, non si sa mai dove è la parte sommersa. Non i cainismi delle vecchie epoche sovietiche: una invasione bonsai, senza bandiere, ambigua fino a quando non ti accorgi che è un colpo freddo, arcigno manesco come un facchino.
Cadeva una neve incerta su quel frammento di capitale orribile che è Sinferopoli, sobborghi squallidi sfumavano nel cielo grigio come ardesia mentre si correva all’aeroporto «per vedere i russi». Invasione? Eppure tutto funzionava normalmente, luci accese sulla pista ricordo che rullava il primo volo per Kiev in perfetto orario: alle sette. Davanti all’ingresso, in stile tempio
greco-staliniano, sostavano alcuni camion. Soldati in mimetiche verdi, le canne dei mitra rivolte verso il basso, pattugliavano placidamente il piazzale. Silenziosi, corretti, tranquilli, non fermavano nessuno, non controllavano documenti e soprattutto non esibivano insegne e mostrine.
In città già sfilavano auto con le bandiere russe, davanti al parlamento locale ondate di pop patriottico a tutto volume esorcizzavano ogni segno ucraino, tè e salsicce, un assordante brulicare da accampamento: viva la Russia e gli altri al diavolo! Già parlavano della prossima mossa, il Donbass e poi… Gli ucraini piangevano la fine della Crimea, forse dell’Ucraina come nazione libera: i russi ahimè sono lenti ma implacabili.
Putin correggeva gli errori di Kruscev e di Eltisn. Il primo aveva regalato amministrativamente la Crimea alla Repubblica ucraina, il secondo nella suo scombinata liquidazione dell’Urss non l’aveva chiesta indietro. L’ora venne regolata su quella di Mosca mentre l’affannarsi diplomatico dell’ Occidente portava al solito niente: splendido esempio di come si possa parlare di cose sublimi e poi agire meschinamente.
Il muezzin chiamava alla preghiera dal minareto del Palazzo dei Khan che ha al centro la fontana cantata da Puskin. I tartari: gli unici forse che potrebbero rivendicare indipendenze visto che fu a loro che la grande Caterina strappò questa parte del mondo. Centomila di loro, nel 1944, furono deportati da Stalin in Uzbekistan su carro bestiame come collaborazionisti dei tedeschi. Sono tornati, quelli rimasti, nel 1990.
Nella pianura di Balaklava vigne placide e mandorli presidiano la valle della morte dove la brigata leggera galoppò follemente
verso la gloria. Una colonna con l’aquila dei Romanov ricorda l’eroismo micidiale degli artiglieri russi. Qui molti uomini morirono per una guerra che alla fine nessuno in fondo vinse. Putin nel 2014 fece un calcolo rivelatosi esatto: non ci sarà una nuova guerra di Crimea con l’Occidente, pensò, non ci sarà una Danzica quando l’Europa, seppure balbettante, reagì. La nuova Crimea assomiglierà a Praga 1968.
La storia si può modificare plasmare a piacere. Nel salone di un bianco accecante dove zarine in villeggiatura raccontavano fiabe dolcissime ai figli una statua di Penelope dagli occhi bassi ricorda forse ai Grandi che la principale virtù umana è la pazienza. Anche nel palazzo di Livadia a Yalta fu tutto un teatro di falsi , finsero di andare d’accordo e si divisero brutalmente il mondo. Putin ha imparato la lezione di Stalin con i suoi baffi e la sua pipa funesta: nutrirsi delle nostre debolezze, metterci di fronte al fatto compiuto. Primo o poi ci sarà sempre un Trump che verrà a trattare. Già, perché non riunire a Yalta in Crimea il vertice della nuova pace?
Domenico Quirico
(da lastampa.it)

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IL SENSO DI GIORGIA PER LA LIBERTÀ D’INFORMAZIONE: GIORNALISTI ZITTI E MUTI. ALLA CASA BIANCA, MELONI HA CONFERMATO LA SUA ALLERGIA AI GIORNALISTI

Agosto 19th, 2025 Riccardo Fucile

QUANDO IL PRESIDENTE FINLANDESE STUBB SI È DETTO STUPITO DI COME TRUMP ABBIA APERTO LE PORTE DEL VERTICE AI CRONISTI, LA DUCETTA HA COMMENTATO: “MA A LUI PIACE. IO INVECE NON VOGLIO MAI PARLARE CON LA STAMPA ITALIANA”

Operazione verità di Giorgia Meloni. In due momenti della lunga giornata passata accanto a Donald Trump la premier italiana ammette il suo non facile rapporto con la stampa italiana.
Quando il presidente finlandese Stubb si dice stupito di come Trump abbia aperto le porte del vertice ai giornalisti. Lei dice sorridendo: “Ma a lui piace. Gli piace sempre. Io invece non voglio mai parlare con la stampa italiana”.
Alla conferenza stampa successiva la premier conferma la sua allergia alle domande. Trump le chiede: “Ragazzi volete prendere qualche domanda?(dai giornalisti, ndr). Meloni risponde a sussurrando all’orecchio del presidente Usa: “Penso sia meglio di no, siamo troppi e andremmo troppo lunghi”
(da La Stampa)

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“DUBITO CHE PUTIN VOGLIA LA PACE. ABBIAMO FATTO PROGRESSI MA RESTO CAUTO”. IL PRESIDENTE FRANCESE EMMANUEL MACRON GELA GLI ENTUSIASMI DI TRUMP, CHE SPINGE GLI UCRAINI AD ACCETTARE LA PACE ALLE CONDIZIONI DEL CREMLINO E ANNUNCIA: “HO CHIAMATO PUTIN E HO AVVIATO I PREPARATIVI PER UN INCONTRO TRA LUI E ZELENSKY SEGUITO DA UN TRILATERALE, A CUI PARTECIPERANNO I DUE PRESIDENTI, PIÙ IL SOTTOSCRITTO. CAPIREMO NEL GIRO DI UNA O DUE SETTIMANE SE SI PUÒ CHIUDERE LA GUERRA”

Agosto 19th, 2025 Riccardo Fucile

RESTANO I NODI DELLE CONCESSIONI TERRITORIALI E DEL CESSATE IL FUOCO, CHE DIVERSI LEADER EUROPEI, A PARTIRE DAL CANCELLIERE TEDESCO MERZ, HANNO DEFINITO FONDAMENTALE PER POTER NEGOZIARE LA PACE

“Dubito che Putin voglia la pace. Abbiamo fatto progressi ma resto cauto”. Lo ha detto il presidente francese Emmanuel Macron, secondo quanto riportato dai media internazionali. Macron chiede “un aumento delle sanzioni” contro la Russia se i negoziati falliscono.
A lenti passi verso un’ipotesi di pace, basata sul negoziato territoriale e le garanzie di sicurezza. Con passaggi che però potrebbero nuovamente rovesciare il tavolo contro Putin dopo Anchorage, ossia il cessate il fuoco chiesto dagli europei e un bilaterale tra Zelensky e lo zar da tenere entro fine agosto, seguito da un trilaterale con Trump. La decisione ora tocca a Vladimir, che avrebbe accettato, ma se poi facesse saltare tutto tornerebbe ad essere il colpevole del mancato accordo.
Sono i progressi compiuti ieri durante gli incontri alla Casa Bianca fra il presidente Usa, quello ucraino e i leader europei, che hanno spinto Donald a chiamare Vladimir a sorpresa: «Capiremo nel giro di una o due settimane se si può chiudere la guerra». E in un fuorionda con Macron, ha confessato: «Putin vuole un accordo per me, capisci? Per quanto possa sembrare folle».
Che il tono fosse diverso rispetto alla lite di febbraio si era capito di prima mattina, quando Trump aveva pubblicato questo messaggio su Truth: «Il presidente ucraino può porre fine alla guerra con la Russia quasi immediatamente, se lo desidera, oppure continuare a combattere». Così era tornato a fare pressione solo sull’ospite venuto da Kiev, ignorando invece le responsabilità dell’invasore russo. Infatti aveva aggiunto a caratteri cubitali: «Ricordate come è iniziato tutto. Non si può
più tornare indietro con la Crimea data da Obama (12 anni fa, senza che venisse sparato un colpo!), e non si può entrare nella Nato da parte dell’Ucraina. Certe cose non cambiano mai!».
È vero che così Trump spingeva Zelensky ad accettare la pace alle condizioni del Cremlino, ma nessuno pensa davvero che la Crimea possa tornare a Kiev, e anche Biden diceva che l’ingresso nell’Alleanza Atlantica è una prospettiva futura. Il presidente però non ha citato i territori davvero contesi, Donetsk e Luhansk che Putin vuole nella loro interezza, anche le zone non ancora occupate, e Kherson e Zaporizhzhia, dove invece è disposto a congelare il fronte.
Così Trump ha chiuso sulla Crimea, lasciando aperto il negoziato sul resto. Poi ha escluso l’ingresso nella Nato, ma senza accennare alle garanzie di sicurezza che può offrire in cambio, simili all’Articolo 5 dell’Alleanza atlantica.
I leader europei invitati, la presidente della Commissione Ue von der Leyen, il tedesco Merz, il britannico Starmer, il francese Macron, l’italiana Meloni, il finlandese Stubb e il segretario della Nato Rutte, sono arrivati intorno all’una del pomeriggio. A salutare Zelensky sulla porta è andato invece Trump, sorridendo quando ha visto che indossava una giacca formale, invece dell’abbigliamento militare di febbraio.
Seduto davanti al caminetto dello Studio Ovale, l’ucraino ha ringraziato l’americano. Poi ha consegnato una lettera di sua moglie per la First lady Melania. «Se tutto andrà bene oggi – ha rivelato Trump – ci sarà un trilaterale», un incontro fra lui, Zelensky e Putin, che si riprometteva di chiamare subito: «Si aspetta la mia telefonata, finiti gli incontri». Quindi ha aggiun
«Credo che ci sia una buona opportunità di mettere fine alle uccisioni. Putin vuole la pace». Zelensky stavolta ha evitato di avversarlo: «Dobbiamo chiudere la guerra, sono pronto al trilaterale»
La discussione sui territori da cedere o scambiare è stata condotta in privato, ma prima il capo della Casa Bianca ha preso un impegno cruciale per la riuscita della mediazione: «Ci sarà molto aiuto per la sicurezza. Gli europei sono la prima linea di difesa perché sono là, ma anche noi li aiuteremo. Saremo coinvolti quando sarà il momento».
Il leader ucraino allora ha chiesto «un forte esercito, armi, personale, addestramento e intelligence», offrendo di acquistare forniture militari per 100 miliardi di dollari. Trump non ha fatto concessioni, invece, su un aspetto cruciale per gli europei: «Non penso serva un cessate il fuoco».
Zelensky ha schivato la trappola di una domanda sulle elezioni nel proprio Paese, che Putin sfrutta per contestarne la legittimità: «Le terremo, ma serve sicurezza».
I leader europei alle tre del pomeriggio si sono seduti intorno ad un tavolo con Donald e Volodymyr. «Cercheremo di organizzare un trilaterale e mettere fine alla guerra», ha ripetuto l’americano, confermando che in privato «abbiamo parlato dei territori», scoglio principale all’accordo, non solo per ragioni di principio tipo non premiare l’aggressore, ma anche per il valore economico e strategico delle regioni del Donbass che Putin non controlla. Verrà rimandato all’eventuale incontro con Putin, perché è l’elemento che può chiudere o far saltare l’accordo.
Come scolaretti, gli europei sono stati invitati a parlare, e qui è emerso il principale elemento di attrito, perché hanno insistito sulla necessità del cessate il fuoco prima dell’inizio dei negoziati, chiedendo di essere al tavolo di un successivo incontro.
Allora Trump ha interrotto l’incontro per chiamare Putin e provare a chiudere. Il consigliere del Cremlino, Yuri Ushakov, ha confermato che la conversazione è durata 40 minuti ed è stata «franca e costruttiva». Il Cremlino ha anche confermato la volontà di alzare il livello degli incontri. Trump l’ha riassunta così: «Ho chiamato Putin e ho avviato i preparativi per un incontro, in una sede da definire, tra lui e Zelensky. Dopo avremo una trilaterale, a cui parteciperanno i due presidenti, più me. Un ottimo passo iniziale per porre fine alla guerra».
(da agenzie)

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PER TRUMP È SEMPRE E SOLO QUESTIONE DI BUSINESS: SECONDO IL “FINANCIAL TIMES”, NELL’INCONTRO ALLA CASA BIANCA, ZELENSKY HA OFFERTO AL TYCOON UN ACCORDO PER L’ACQUISTO DI ARMI AMERICANE PER IL VALORE DI 100 MILIARDI DI DOLLARI, PER OTTENERE IN CAMBIO GARANZIE DI SICUREZZA

Agosto 19th, 2025 Riccardo Fucile

LA PROPOSTA PREVEDE ANCHE UN UN’INTESA FRA KIEV E WASHINGTON PER PRODURRE DRONI CON AZIENDE UCRAINE

L’Ucraina offre di acquistare 100 miliardi di dollari di armi americane finanziate dall’Europa come parte di un accordo per ottenere garanzie statunitensi sulla sua sicurezza dopo un accordo di pace con la Russia.
Lo riporta il Financial Times citando alcuni documenti, in base ai quali la proposta prevede anche un accordo fra Kiev e Washington per produrre droni con aziende ucraine.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha assicurato ieri all’omologo Volodymyr Zelensky che Washington garantira’ la sicurezza dell’Ucraina nell’ambito di un eventuale accordo per porre fine alla guerra con la Russia, sebbene non siano stati
chiariti i dettagli del sostegno promesso.
L’impegno e’ stato promesso durante un vertice straordinario alla Casa Bianca con Zelensky e i principali leader europei, pochi giorni dopo l’incontro di Trump con l’omologo russo Vladimir Putin in Alaska e a distanza di mesi da un precedente confronto nell’Oval Office segnato dalle critiche pubbliche di Trump e del vicepresidente James David Vance al leader ucraino.
(da agenzie)

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