Destra di Popolo.net

MAI VISTA L’ARMATA BRANCAMELONI BRANCOLARE NEL BUIO COME PER LE REGIONALI IN VENETO: SENZA QUEL 40% DI VOTI DELLA LISTA ZAIA SIGNIFICHEREBBE LA PROBABILE SCONFITTA PER IL CENTRODESTRA. E DATO CHE IN VENETO SI VOTERÀ A NOVEMBRE, DUE MESI DOPO LE MARCHE, DOVE IL MELONIANO ACQUAROLI È SOTTO DI DUE PUNTI AL CANDIDATO DEL CENTROSINISTRA RICCI, PER IL GOVERNO MELONI PERDERE DUE REGIONI IN DUE MESI SAREBBE UNO SMACCO MICIDIALE CHE RADDRIZZEREBBE LE SPERANZE DELL’OPPOSIZIONE DI RIMANDARLA AL COLLE OPPIO A LEGGERE TOLKIEN

Agosto 30th, 2025 Riccardo Fucile

LA DUCETTA HA DOVUTO COSÌ INGOIARE IL PRIMO ROSPONE: IL CANDIDATO DI FDI, LUCA DE CARLO, È MISERAMENTE FINITO IN SOFFITTA… MA PER DISINNESCARE ZAIA, URGE BEN ALTRO DI UN CANDIDATO CIVICO: OCCORRE TROVARGLI UN POSTO DA MINISTRO O MAGARI LA PRESIDENZA DELL’ENI NEL 2026 – SE LA DUCETTA È RABBIOSA, SALVINI NON STA MEJO: I TRE GOVERNATORI DELLA LEGA HANNO DICHIARATO GUERRA ALLA SUA SVOLTA ULTRA-DESTRORSA, ZAVORRATA DAL POST-FASCIO VANNACCI

Mai vista l’Armata BrancaMeloni brancolare nel buio come per le regionali in Veneto. Se la legge sul Terzo Mandato non permette la rielezione di Luca Zaia, nulla vieta la scesa in campo di una lista dei fedelissimi del governatore uscente.
Forte di un bacino elettorale del 40%, decisivo per la vittoria in Veneto, il caso Zaia sta mandando fuori di testa la Fiamma e tutto il cucuzzaro di Palazzo Chigi.
Per sbrogliare la matassa e convincere il governatore a non presentare la sua lista, la Ducetta l’ha voluto incontrare a Roma. Zaia, tranquillo e serafico, è rimasto sulle sue posizioni: se Fratelli d’Italia scodella come candidato, Luca De Carlo, senatore bellunese, coordinatore regionale del partito, si troverà contro il voto della mia lista.
Ergo: senza quel 40% di voti della lista Zaia significherebbe una probabile sconfitta per il centrodestra. E dato che la data più probabile del voto in Veneto porta la data del 23 novembre è successiva al voto di fine settembre nelle Marche, regione che ad oggi i sondaggi attestano la ricandidatura dal meloniano Francesco Acquaroli sotto di due punti rispetto al candidato del centrosinistra Matteo Ricci.
Per il governo, perdere il potere in due regioni sarebbero due pugni micidiali, sferrati in rapida successione, che iventerebbero una overdose di Viagra per raddrizzare il campolargo dell’opposizione.
Fatti due calcoli, la Ducetta ha dovuto così ingoiare il primo rospone: il nome di De Carlo è stato cancellato senza nemmeno assicurarsi di avvisarlo: eccolo tonante che annuncia che il presidente del Veneto spetta a Fratelli d’Italia quando un’ora e mezza prima Meloni e Salvini l’avevano già defenestrato.
Ma quando Salvini indica il nome di uno dei suoi vicesegretari, Alberto Stefani, con Zaia capolista in tutte le province, come nel 2020, per blindare il consenso e dare forza al partito, a quel punto non ci sta a perdere definitivamente la faccia la Statista della Sgarbatella.
Forte del suo bottino di voti ottenuti alle europee del 2024 in Veneto (37,58%) contro il 9% di Salvini, abbandonato polemicamente da Zaia, La Giorgià de’ noantri smania per conquistare almeno una regione del dovizioso Nord (se la Lega comanda con Fontana in Lombardia, Zaia in Veneto e Fedriga in Friuli, Forza Italia con Cirio governa il Piemonte, a noi niente?).
Ma anche Zaia, sulla proposta di Stefani candidato, non fa felice il detestato Salvini: fa lo gnorri, dice e non dice, getta la palla in tribuna. Uscire allo scoperto per ora non gli conviene: il governatore più amato d’Italia lascia i due galletti rosolare ben bene.
Non solo. Che i tre governatori detestino il sovranismo sboccato e populista del segretario della Lega, che non ha ottenuto né l’autonomia differenziata né il terzo mandato, imbarcando la componente post-fascista del generalissimo Vannacci che alle europee ha intascato 530mila voti, non è un mistero. Uno strappo della metà del partito fondato nel 1991 da Bossi farebbe felice solo l’ambizione sfrenata di Vannacci di prendersi la Lega, buttando fuori il Capitone.
Per superare le bandierine di partito, tolti di mezzo De Carlo e Stefani, l’unico punto di caduta è la scelta di un candidato civico.
Cala subito la carta dei meloniani: l’azzimato Matteo Zoppas, ex presidente di Confindustria Veneto, riconfermato alla guida dell’ICE, agenzia per la promozione all’estero delle imprese italiane.
Naturalmente, i Fratellini d’Italia fanno presente a Zaia che, dopo il sacrifico del loro De Carlo, la lista ufficiale del candidato presidente del centrodestra può essere affiancata da una sola lista civica, quella che fa capo al nome del candidato civico; quindi, la lista Zaia da sola non si può presentare, deve confluire in quella civica del candidato governatore. Il motivo è semplice: la lista Zaia drenerebbe più voti a Fratelli d’Italia che alla Lega.
A quel punto, al grido di “Veneto svenduto”, Zoppas viene ovviamente azzoppato dai leghisti veneti che in alcune province, Treviso in testa, spingono furenti per lo strappo da Roma e Milano: una corsa in solitaria in culo a tutti.
Come disinnescare la mina Zaia? Quando nelle interviste zagaja di un “progetto politico, altrimenti mi candido”, la dichiarazione va tradotta così: non ci penso proprio a diventare sindaco di Venezia, non desidero finire impantanato in Veneto, aspiro a un posto che conti veramente a livello nazionale, chessò? il ruolo di ministro oppure, alla scadenza del mandato di Zafarana ad aprile 2026, la presidenza dell’Eni…

(da Dagoreport)

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TRUMP HA COSTRETTO GLI STATI UE A PENSARE FINALMENTE ALLA PROPRIA DIFESA, ENTRA NEL VIVO IL PIANO DI RIARMO BY URSULA VON DER LEYEN

Agosto 30th, 2025 Riccardo Fucile

LE FABBRICHE DI MUNIZIONI E POLVERE DA SPARO AUMENTANO LE LINEE PRODUTTIVE, I CONFINI A EST VENGONO BLINDATI E SI PREPARANO BUNKER PER LA POPOLAZIONE CONTRO LA MINACCIA RUSSA … TUTTI I PAESI EUROPEI, CHE DA DECENNI NONINVESTIVANO UN CAZZO IN DIFESA, HANNO PORTATO LE SPESE MILITARI AL 2% DEL PIL

Fabbriche di munizioni e di polvere da sparo che aumentano esponenzialmente le loro linee produttive. Confini blindati con campi minati e bunker per la popolazione. Governi che lanciano programmi per insegnare ai civili, bambini compresi, a pilotare un drone. Piani per allestire ospedali militari nei pressi degli aeroporti. E poi i grandi progetti nel campo dell’industria della Difesa per arrivare ad avere un unico carro armato e per sviluppare aerei da combattimento di nuova generazione, con Emmanuel Macron e Friederich Merz che ieri si sono incontrati per cercare di rivitalizzare il programma Scaf.
Dopo le promesse e gli impegni sottoscritti, in sede Ue e soprattutto al vertice Nato, il piano di riarmo europeo e quello per la preparazione alle crisi entrano nel vivo, passando dalle parole ai fatti. Ursula von der Leyen partirà oggi per un tour che toccherà sette Paesi lungo il confine orientale proprio per vedere come procede la “messa a terra” del RearmEU in questa regione e per mandare un messaggio chiaro: al di là degli sviluppi sul campo in Ucraina e a prescindere da un eventuale accordo di pace – questa la sua analisi – la Russia rappresenta la principale minaccia per la sicurezza nel Vecchio Continente. […]
Ieri la Nato ha confermato che tutti gli Alleati hanno portato le loro spese militari al 2% del Pil, raggiungendo il vecchio target fissato per il 2025. Anche l’Italia, che quest’anno dovrebbe stanziare 45 miliardi di euro. Ma dopo il vertice dell’Aia l’asticella si è alzata significativamente e i governi si sono impegnati a incrementare gli investimenti nella Difesa, portandoli al 5% del Pil entro il 2035: le spese militari “tradizionali” dovranno salire al 3, 5%, ma bisognerà spendere un ulteriore 1, 5% per gli investimenti nella Sicurezza e per le infrastrutture legate alla Difesa.
In termini numerici, la Germania è il Paese in cui sono in corso i maggiori investimenti, portati avanti soprattutto con il colosso dell’industria militare Rheinmetall. Mercoledì si è mosso il segretario generale della Nato, Mark Rutte, per inaugurare lo stabilimento di Unterluss, vale a dire quella che diventerà la principale fabbrica di munizioni in Europa (a regime, dal 2027, dovrebbe produrre 350 mila pezzi l’anno). In parallelo, la Rheinmetall ha firmato accordi per potenziare la produzione anche in alcuni Paesi che si trovano sul fianco orientale.
In Romania, grazie a un investimento da mezzo miliardo di euro, ci sarà un impianto che produrrà polvere da sparo per le munizioni. In Bulgaria, una joint venture da un miliardo consentirà di produrre in loco proiettili d’artiglieria, oltre a polvere da sparo. Già entro la fine del 2025, l’Europa sarà in grado di produrre due milioni di munizioni l’anno: un livello sei volte superiore a quello di due anni fa.
Le ex repubbliche baltiche si stanno invece specializzando nella produzione di droni, con la Lettonia che fa da capofila in una coalizione di Paesi guidata in tandem con il Regno Unito. Durante la sua visita nel Paese, von der Leyen visiterà le linee produttive finanziate con i fondi Ue. I Baltici non sono attivi soltanto sul fronte della produzione, ma stanno sviluppando una vera e propria educazione all’utilizzo dei droni: nelle scorse settimane il governo lituano ha lanciato un programma educativo che, attraverso corsi di formazione, punta a fornire nell’arco dei prossimi tre anni le competenze necessarie per controllare un drone a quindicimila civili, tra cui settemila bambini.
Saranno coinvolte anche le scuole, a partire dalla terza e dalla quarta elementare: i più piccoli – ha spiegato il governo – «saranno coinvolti nella costruzione e nel pilotaggio di semplici droni attraverso esperimenti pratici e giochi». Gli studenti più grandi lavoreranno invece alla progettazione. In Polonia il premier Donald Tusk porterà von der Leyen nell’Est del Paese
dove è in corso la realizzazione dello Scudo Orientale, un sistema di fortificazioni per blindare tutta la frontiera e prevenire eventuali attacchi.
In parallelo, l’Italia lavora con il Regno Unito e il Giappone nel quadro del programma Gcap (Global Combat Air Programme) per un progetto alternativo, sviluppato grazie a una partnership nella quale sono coinvolte Leonardo, la britannica Bae e la giapponese Jaiec, che all’inizio dell’estate ha ottenuto il via libera della Commissione.
Sul fronte dei mezzi di terra, Bruxelles ha approvato un finanziamento da 20 milioni per avviare lo studio per progettare il primo vero carrarmato europeo che coinvolge 51 aziende da tredici Paesi, inclusa l’Italia: secondo il programma Marte, il primo prototipo potrebbe arrivare nel 2030.
La missione di von der Leyen – che nei prossimi quattro giorni visiterà ben sette Paesi Ue (ma non le “ribelli” Slovacchia e Ungheria – va inquadrata anche nell’ambito del piano Safe, il fondo da 150 miliardi per finanziare attraverso prestiti a tassi agevolati gli investimenti congiunti nel campo della Difesa. Sin qui sono diciotto gli Stati membri che hanno presentato la richiesta di fondi per un totale di 127 miliardi: al primo posto c’è la Polonia, che vuole 45 miliardi, seguita da Francia (15-20 miliardi), Italia (15) e Romania (10).

(da agenzie)

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PAPA LEONE XIV SI PRESTA ALLA PROPAGANDA LEGHISTA: HA INCONTRATO SALVINI DOPO CHE, PER ANNI, BERGOGLIO LO AVEVA GIUSTAMENTE SNOBBATO

Agosto 29th, 2025 Riccardo Fucile

DA UNO CHE ERA ISCRITTO NELLE LISTE DEGLI ELETTORI DEL PARTITO REPUBBLICANO USA NON C’E’ DA STUPIRSI… I MIGRANTI AFFOGATI NEL MEDITERRANO RINGRAZIANO

Matteo Salvini realizza dopo anni il suo desiderio di incontrare il Pontefice. Questa mattina Papa Leone XIV ha ricevuto nella sua biblioteca privata del palazzo Apostolico il ministro dei Trapsorti e delle Infrastrutture accompagnato dalla figlia Mirta.
A darne notizia è la sala vaticana, diffondendo le immagini di quello che per Salvini deve essere stato un vero e proprio traguardo propagandistico. Il leader della Lega non aveva fatto mistero negli ultimi anni di desiderare un incontro con il Santo Padre, all’epoca Francesco, anche se fu lo stesso Bergoglio a spiegare che era stato Salvini a «non aver mai chiesto un’udienza».
I rapporti tra il Papa argentino e Matteo Salvini non sono mai stati dei migliori. Certamente non hanno aiutato alcune foto circolate in rete nel 2016, dove il leader della Lega esibiva fieramente una maglietta con su scritto: «Il mio Papa è Benedetto». Il terreno di scontro era, in quell’occasione, la divergenza di opinione sulle politiche migratorie.
Per questi motivi, secondo quanto riferito dal Messaggero, il pontefice ha sempre fatto intendere di non gradire incontri ravvicinanti con l’allora ministro dell’interno.

(da agenzie)

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FRATELLI D’ITALIA ATTENDEREBBE L’ESITO DEL VOTO NELLE MARCHE PER DECIDERE SE RECLAMARE O MENO IL CANDIDATO GOVERNATORE IN VENETO. UN’IPOTESI CHE NON TROVA IL PLACET DI SALVINI

Agosto 29th, 2025 Riccardo Fucile

IL DEM MATTEO RICCI, CANDIDATO DEL CAMPO LARGO, ALL’ATTACCO DEL MELONIANO ACQUAROLI NEL PRIMO FACCIA A FACCIA: “LE MARCHE SONO FERME” … I SONDAGGI DANNO RICCI IN VANTAGGIO DI DUE PUNTI

La data del 28 e 29 settembre, giorno delle elezioni nelle Marche, nel centrodestra potrebbe assumere un significato politico ben più rilevante, in grado di ridisegnare potenzialmente gli equilibri sulle candidature alle Regionali.
Secondo alcuni rumors rilanciati dal Corriere del Veneto, Fratelli d’Italia attenderebbe l’esito delle urne nelle Marche per decidere se reclamare o meno il candidato governatore in Veneto.
Un’ipotesi che di sicuro non trova il placet di Matteo Salvini. «In Veneto ci sono ora 161 sindaci della Lega, quindi penso che potremo esprimere al meglio un candidato per il Veneto senza imporre niente a nessuno, c’è spazio per tutti e tre i partiti», ha precisato ieri il leader del Carroccio.
In Veneto in questo momento la casella è affidata proprio «in pectore» alla Lega (tra i papabili successori di Luca Zaia si fanno i nomi del segretario regionale del Carroccio Alberto Stefani e del sindaco di Treviso Mario Conte).
Intanto, proprio nelle Marche, ieri pomeriggio, c’è stato il primo scontro diretto tra i due principali candidati, il governatore uscente Francesco Acquaroli (centrodestra) e l’ex sindaco di Pesaro, Matteo Ricci (centrosinistra). «In questi anni abbiamo messo in campo una strategia in cui crediamo e che vorremmo far proseguire. Cioè l’uso dei fondi sociali europei con misure ad hoc per rispondere alle esigenze del territorio che sono l’inclusione sociale e l’occupazione femminile e giovanile», ha spiegato Acquaroli.
«Purtroppo le Marche sono ferme. Serve un patto regionale per il lavoro con sindacati, associazioni di categoria per orientareal meglio le risorse a sostegno di lavoro e sviluppo», ha ribattuto Ricci. Scintille tra i due sfidanti anche sulla Zona economica speciale (Zes).
«Il governo è riuscito a includere le Marche e l’Umbria nella Zes — che è diversa rispetto a quella del Mezzogiorno, ma dà delle opportunità — ha detto Acquaroli, esponente del partito guidato dalla premier Meloni. C’è un percorso parlamentare e quando sarà approvata darà delle opportunità agli imprenditori, il cui problema principale è il peso della burocrazia. La zona economica speciale porterà anche nuovi insediamenti produttivi e darà più chance a chi vuole fare degli ampliamenti».
Il dem Ricci ha contestato la mossa del governo : «La Zes è piena di finzioni, non c’è un euro e con ogni probabilità bisognerà aspettare la legge di Bilancio 2026»

(da agenzie)

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NON DICIAMO CAZZATE: GIORGIA MELONI, CON LA DC, NON C’ENTRA NIENTE

Agosto 29th, 2025 Riccardo Fucile

MARCELLO SORGI: “LA DC ERA STRETTAMENTE CONNATURATA AL SISTEMA PROPORZIONALE. PUR A VOCAZIONE MODERATA E ANTICOMUNISTA, AVEVA PIÙ DI UN TERZO DEI SUOI ESPONENTI AMICI DEL SUO MAGGIORE AVVERSARIO, CON IL QUALE TRATTAVA SE NON TUTTO, QUASI TUTTO” … “MELONI STA SOLO CERCANDO DI ACCRESCERE IL CONSENSO DEL SUO PARTITO TRA I MODERATI”

Le celebrazioni di una Meloni moderata, centrista, neo-popolare, in una parola “democristiana” si moltiplicano, dopo l’intervento della premier al Meeting di Rimini. E soprattutto ad opera di ex-dc, come ad esempio Rotondi, da tempo schierato a destra ed oggi a suo agio nel confermare la sua scelta.
Che Meloni, tracciando un consuntivo di tre anni di governo, abbia anche descritto lo spostamento verso una collocazione più centrale, non v’è dubbio. E altrettanto che questo sia in un certo senso il percorso obbligato di leader che provenendo da atteggiamenti più radicali si rendono conto della necessaria scoloritura degli stessi nel servizio alle istituzioni.
Valeva a suo tempo per D’Alema e Berlusconi (che non si stancava di ricordare di aver fatto l’attacchino dei manifesti elettorali dc), e vale per Meloni, che a cominciare dalla politica estera […] s’è trovata a sostenere posizioni opposte a quelle di quando era semplicemente leader di FdI.
Ma di qui a dire che siamo in presenza, o di fronte all’annuncio di una rinascita della Dc, ne corre. Chi lo dice, o non si ricorda cos’era il partitone cattolico che governò l’Italia per quasi mezzo secolo, […] oppure (e non è il caso di Rotondi), si lascia prendere dalla nostalgia.
Innanzitutto, la Dc era strettamente connaturata al sistema proporzionale e all’epoca della partitocrazia, in cui il centro era uno solo, e non uno per ogni coalizione. Poi, pur essendo stata un partito a vocazione moderata e anticomunista (in un Paese in cui il Pci prendeva oltre dieci milioni di voti), aveva più di un terzo dei suoi esponenti amici del suo maggiore avversario, con il quale, dalla Costituzione in poi, trattava se non tutto, quasi tutto.
I suoi alleati socialisti e laici ne soffrivano; e Craxi, l’unico ad aver tentato di rompere il cerchio del “consociativismo”, anche lui finì come si sa. Meloni in altre parole sta solo cercando di accrescere il consenso, già largo del suo partito tra i moderati. L’unica cosa di cui un centrosinistra deciso davvero a competere per il governo, ma attestato su sponde estreme, dovrebbe seriamente preoccuparsi.

(da agenzie)

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PSICODRAMMA SOVRANISTA IN RAI: IL LAMENTO SENZA FINE DELL’EPURATO MARCELLO FOA, DOPO CHE “GIÙ LA MASCHERA”, IN ONDA SU RAI RADIO 1 DA DUE ANNI, È STATO ELIMINATO DAL PALINSESTO: “SE MI AVESSE FATTO FUORI UNA RAI A GUIDA CENTRO SINISTRA NON MI SAREI STUPITO, MA FATTO DALLA MAGGIORANZA, NO”.

Agosto 29th, 2025 Riccardo Fucile

“PAGO LA MIA INDIPENDENZA. EVIDENTEMENTE NON VIENE GRADITA DAL CENTRODESTRA” – TUTTE LE POLEMICHE SU FOA: GLI ELOGI A VANNACCI, L’INVITO NEL PROGRAMMA DI UN ANTI-VACCINISTA, GLI ELOGI A PUTIN

Ad annunciare la propria cancellazione dai palinsesti radiofonici Rai, è proprio l’epurato Marcello Foa, già presidente della Rai, già conduttore, oggi solo basito. Giù la maschera, in onda su Rai Radio 1 da due anni, è sparito dai radar senza che il diretto interessato fosse stato avvertito.
Voci di corridoio e poi telefoni spenti: «Ebbene si, quel che era inaspettato è accaduto. Il programma condotto con Peter Gomez,Alessandra Ghisleri, Giorgio Gandola e Luca Ricolfi, era troppo indipendente per avere vita lunga».
Presidente Foa come sta?
«Come sta un esodato… Chi l’avrebbe mai detto? Doppiamente sconcertato visto che l’epurazione viene dalla mia ex azienda».
Sentimento più forte?
«Il rammarico per una brutta pagina consumata senza nessuna spiegazione neppure formale. Tu direttore (Nicola Rao, ndr), alzi il telefono e mi dici qualunque cosa. Invece, niente».
Tipico Rai: quando lei sostituì “Forrest” pure Bottura e Aprile lo scoprirono per caso.
«Questa non la sapevo».
Qui la stranezza che la riguarda è che si chiuda una trasmissione voluta dalla maggioranza. Pensa sia frutto di una tensione all’interno del governo, per essere espliciti, un braccio di ferro Salvini-Meloni?
«Non ne ho proprio idea, certo, tutto è possibile. Attestati di stima da loro non mi sono arrivati. Neppure hanno dimostrato di volermi a tutti i costi.
Nemmeno la Lega, sia chiaro.
E meno male che mi davano per leghista! Io pago la mia indipendenza, garbata ma ferma. Evidentemente non viene gradita dal centrodestra».
Allora le elenco le perle: correva l’anno 2023, a una settimana dalla messa in onda si scatenò un putiferio per gli elogi al generale Vannacci. Poi lei invitò un anti-vaccinista sospeso per questo dall’ordine dei medici di Torino e la Rai fu costretta a intervenire.
Nel 2018 da presidente dell’azienda uscirono dei tweet con elogi a Putin. Rilanciò l’idea di un golpe ai danni di Trump, insultò il presidente Mattarella, se ne uscì con teorie complottiste su George Soros e plaudì al negazionista climatico Robert F. Kennedy. Proseguo?
«Posso rispondere a tutto con estrema serenità. Era in epoca post pandemia la trasmissione a cui lei fa riferimento, peraltro equilibratissima, e vedeva tra gli ospiti Massimo Citro della Riva che aveva di fronte Francesco Zambon, ex funzionario Oms e l’infettivologo Massimo Galli. Tutti espressero il loro pensiero e Galli difese le ragioni del pro-vaccino. Poi a Citro scappò una frase di troppo e scoppiò il caso».
Il centrodestra le ha voltato le spalle?
«Mi ha fatto mancare l’appoggio politico. Se mi avesse fatto fuori una Rai a guida centro sinistra non mi sarei stupito, ma fatto dalla maggioranza, no».
La Rai di oggi le piace?
«Non vedo una spinta innovativa forte. Mi sembra ripetitiva. Non è un’azienda serena» .
n quest’occasione ha sentito l’ad Giampaolo Rossi?
«Non ho sentito nessuno».
Ha sentito Salvini?
«No» .
Ma chi ha detto «Foa via»?
«Il direttore Rai ha l’ultima parola, ma che margine di indipendenza può aver avuto se pressato dai partiti, questo non lo so. La sinistra non mi difende, la destra non può; l’esito finale è questo. Ha ragione Veneziani quando scrive che la destra sa criticare ma non sa costruire».

(da La Stampa)

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PUGLIA, VENDOLA SARÀ CANDIDATO NELLE LISTE DI AVS, SE DECARO NON SE NE FARÀ UNA RAGIONE IL CAMPO LARGO TROVERÀ UN ALTRO CANDIDATO. SU QUESTA LINEA SI ATTESTA ANCHE IL PD NAZIONALE: “L’ALLEANZA CON AVS VIENE PRIMA DEL CANDIDATO”, SPIEGANO I DEM. CHE POTREBBERO SACRIFICARE EMILIANO, MA NON HANNO ALCUNA INTENZIONE DI ROMPERE CON BONELLI-FRATOIANNI

Agosto 29th, 2025 Riccardo Fucile

E SE DECARO DOVESSE DARE FORFAIT, SI LAVORA A UN PIANO B (CRESCONO LE QUOTAZIONI DELLO SCHLEINIANO BOCCIA)

Francesco Boccia prova a mediare con Nichi Vendola. Ma chiarendo un punto: non è il Pd di Elly Schlein a chiedergli di farsi da parte. Il suo partito non condivide il veto posto da Antonio Decaro, candidato in pectore del centrosinistra ma con la riserva che in lista non ci sia né il presidente di Sinistra italiana né il governatore Michele Emiliano.
Semmai, il capogruppo al Senato auspica un incontro chiarificatore con l’europarlamentare dem. «Non so ancora se ci sarà», confida Vendola. Ma una cosa la dice chiara, parlando a margine della presentazione del suo libro, il Sacro queer, a Bisceglie. «Con lui non abbiamo mai smesso di parlarci e continueremo a farlo».
Derubrica, però, a «ipotesi della fantasia» la sua possibile candidatura in alternativa a Decaro. Al quale, semmai, offre «una mano» a porre il tema della discontinuità alla stagione di Emiliano: «Io l’ho invocata per anni e anni. Bisogna fare in modo che il centrosinistra sia luogo di assoluta trasparenza. Di cambiamento, di servizio al bene comune, che non accetti mai le dinamiche opache del trasformismo. Su questa discontinuità io voglio dare una mano a quello che farà il futuro governatore. E a un centrosinistra che non deve vivere come sistema di potere dopo vent’anni che si è radicato in Puglia».
Nelle Vecchie segherie, la libreria/bar della cittadina a nord di Bari nel quale si organizza il festival “Libri nel borgo antico”, l’artefice della Primavera pugliese incassa il sostegno dell’uomo inviato da Schlein per evitare rotture a sinistra.
Boccia ritiene fuori dalla logica politica l’impuntatura di Decaro anche nei confronti di Vendola. Ritiene che rimuovere questo diktat sia ora la priorità. Subito dopo si affronterà il caso Emiliano, che è tutto interno al Pd. Così come pensa il padre nobile dell’Alleanza Verdi Sinistra, che ha intuito che il no di Decaro è pretestuoso, «una discussione che impropriamente mi tira in ballo», perché in realtà mira a Emiliano. E chiede agli alleati di «discuterne al loro interno per sciogliere il nodo».
Ma anche Boccia mette paletti a Decaro: la sua richiesta di “voltare pagina” rischia di delegittimare l’era del centrosinistra al governo in Puglia e quindi chiarisce: «Questi vent’anni sono un fiore all’occhiello per tutti noi. La Puglia è cresciuta e i pugliesi lo sanno». Al Nazareno hanno il sentore che Decaro stia giocando una partita diversa, proiettata verso le dinamiche congressuali.
E temono interferenze che possano complicare il percorso per una vittoria che in Puglia appare già scontata. Di qui la missione di Boccia.
Preso atto che Avs non fa passi indietro e che Vendola si candida come consigliere, «tocca ad Antonio decidere», ragionava ieri sera il senatore pugliese. Escluderebbe un piano B? La risposta non è sì. «Con Elly stiamo lavorando in tutta Italia per costruire l’unità del centrosinistra, rispettando la pluralità e puntando su programmi comuni.

(da agenzie)

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LA PERTOSSE, UNA MALATTIA CHE SEMBRAVA SOTTO CONTROLLO, FA DI NUOVO PAURA GRAZIE AI COGLIONAZZI NO VAX: TRA IL 2020 E IL 2024 L’OSPEDALE PEDIATRICO MEYER È PASSATO DA 28 A 259 RICOVERI L’ANNO DI BAMBINI

Agosto 29th, 2025 Riccardo Fucile

LE VACCINAZIONI SONO IN CALO DA ANNI, SOPRATTUTTO I RICHIAMI TRA I RAGAZZINI TRA I 12 E I 18 ANNI: “PER RIDURRE I RICOVERI NON BASTA RISPETTARE I CALENDARI VACCINALI. BISOGNA FARE I RICHIAMI IL PRIMA POSSIBILE” … NON AIUTA IL CLIMA OSTILE NEL GOVERNO MELONI CONTRO I VACCINI

La pertosse sembrava una malattia sotto controllo. Tra 2016 e 2019 l’ospedale pediatrico Meyer aveva ricoverato 28 bambini a Firenze. Poi nel 2024 è arrivata la fiammata: 259 casi in un anno, oltre nove volte tanti. Non tutti erano neonati, i pazienti in cui la pertosse mette più a rischio la vita. Una buona metà erano adolescenti.
In loro la malattia si manifesta in genere con tosse forte e stizzosa, ma nulla più. Ben 136 ragazzi fra 12 e 16 anni invece l’anno scorso hanno avuto bisogno di un ricovero al Meyer.
La fiammata ha stupito i medici fiorentini, che ieri hanno pubblicato la loro analisi dell’epidemia sulla rivista europea di malattie infettive Eurosurveillance. Il primo autore dello studio è l’immunologo Francesco Nieddu. «Per ridurre i ricoveri – scrivono i medici – non basta rispettare i calendari vaccinali. Bisogna fare i richiami il prima possibile».
Una prima copertura contro la pertosse avviene con tre dosi nel primo anno d’età. La protezione del vaccino svanisce però con il tempo. I richiami sono previsti a 5 anni e poi tra i 12 e i 18.
La maggior parte dei ricoverati al Meyer rientrava proprio nella fascia d’età 12-18. Pensando di avere tempo, i ragazzi hanno rimandato il richiamo, salvo poi ritrovarsi contagiati.
Grazie alla rete Inf-Act, che raccoglie i dati sull’infezione di 11 centri italiani, fra cui il Meyer, Guarino e i colleghi hanno descritto sempre su Eurosurveillance l’epidemia di pertosse del 2024 su scala nazionale. Il bilancio è di 4 piccole vittime, il decuplo dei contagi rispetto al 2023, un aumento di 8 volte dei ricoveri e alcune decine di neonati in terapia intensiva.
«Da anni le vaccinazioni contro la pertosse erano andate calando» spiega Guarino. «Nel 2024 il numero di persone suscettibili alla malattia era diventato talmente alto da causare l’epidemia. In ospedale abbiamo visto i casi gravi, ma la pertosse, molto contagiosa, ha circolato anche fra persone adulte e sane».
Uno dei buchi del sistema delle vaccinazioni in Italia è dunque quello degli adolescenti. In Toscana, regione con uno dei tassi di immunizzazione più alti d’Italia, il 97,7% dei bambini di 2 anni riceve le prime tre dosi, contro la media italiana del 94,8%. A 16 anni la copertura scende però al 75,8%, mentre la media nazionale è del 68,4%.
Una seconda falla riguarda le donne in gravidanza. «A tutte è raccomandato di vaccinarsi, perché l’infezione trasmessa a un neonato è maledettamente seria» spiega il pediatra di Napoli. «Il tasso di mortalità nei lattanti è del 2%». Fra i pazienti ricoverati al Meyer nel 2024, 20 avevano meno di 2 mesi: erano troppo piccoli per essere vaccinati. Nessuna delle loro madri si era immunizzata.
Secondo la Società Italiana di Pediatria «nel 2024 il 95% delle madri dei bambini contagiati a meno di 4 mesi di età non erano vaccinate. L’80% non aveva neanche ricevuto informazioni sulla disponibilità della vaccinazione prenatale».
Un tasso di vaccinazione insufficiente (il 95% è la soglia minima fissata dal piano nazionale di prevenzione vaccinale, con Sicilia e provincia di Bolzano sotto al 90%), mancanza di dati nazionali sulla copertura in gravidanza e distrazione durante l’adolescenza sono le tre maglie slabbrate che permettono a un batterio contagioso come Bordetella pertussis di continuare a uccidere dei neonati in Italia, nonostante l’offerta di vaccini gratuiti.
Il clima ostile ai vaccini – evidente dall’inserimento di due medici No vax nella commissione Nitag (Gruppo tecnico
consultivo sulle vaccinazioni) che supporta il Ministero della Salute nelle scelte sui vaccini raccomandati– si traduce dunque in vittime, spesso fra i più piccoli e fragili. «Ho visto bambini morire di morbillo. È pazzesco» ricorda Guarino.

(da agenzie)

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– MELONI E L’EUROPA, CHE C’ENTRA DRAGHI? GIORGIO LA MALFA DENUNCIA IL PARACULISMO SENZA LIMITISMO DELLA DUCETTA, GIUNTO AL PUNTO DI SOSTENERE CHE IL SEVERO INTERVENTO DI DRAGHI SULL’EUROPA AL MEETING DI “COMUNIONE E ADULAZIONE” RIECHEGGIAVA I GIUDIZI CRITICI CHE HANNO ACCOMPAGNATO LA SUA ASCESA AL POTERE

Agosto 29th, 2025 Riccardo Fucile

‘’LA RICETTA DI MELONI, CHE CONSISTE NEL RIDURRE LE COMPETENZE DELL’EUROPA E RESTITUIRE AGLI STATI NAZIONALI LA POSSIBILITÀ DI FARE LE POLITICHE NECESSARIE, NON HA NULLA A CHE FARE CON IL PENSIERO DRAGHI CHE CHIEDE DI ACCELERARE L’INTEGRAZIONE POLITICA DEI 27 STATI DELL’UNIONE’’… ‘’SONO DUE IMPOSTAZIONI RADICALMENTE DIVERSE E CONTRASTANTI. UNA CHIEDE DI ANDARE AVANTI, L’ALTRA CHIEDE DI TORNARE INDIETRO’’

Con un ovvio tentativo di mettersi in scia con gli applausi che avevano accolto le severe parole pronunciate da Mario Draghi sull’Europa nel discorso di apertura del Meeting di Comunione e Liberazione, nel suo intervento di ieri l’on. Meloni ha sostenuto che quelle critiche di Draghi riecheggiavano i giudizi critici che hanno accompagnato l’ascesa al potere sua e del suo partito.
La platea sembra avere apprezzato il discorso senza rendersi conto che l’utilizzazione delle parole di Draghi costituiva una forzatura evidente.
Nel suo discorso al Meeting, come in altre precedenti occasioni, Draghi ha criticato i ritardi dell’Europa nel cammino verso l’integrazione politica. In un mondo in cui i grandi attori internazionali, gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, guidano e indirizzano le loro economie con una visione complessiva, la frammentazione del potere europeo fra le istituzioni comunitarie e gli Stati nazionali rende impossibile adottare le politiche necessarie.
Se l’Europa non accelera la sua integrazione – dice Draghi – essa sconterà un progressivo indebolimento che non potrà non riflettersi anche sulle nostre condizioni di vita, oltre che sul suo
peso politico nelle vicende internazionali e in definitiva sulla sua sicurezza.
Che cosa c’entra tutto questo con la ricetta di Meloni, ripetuta ieri nel suo intervento al Meeting, che consiste nel ridurre le competenze dell’Europa e restituire agli Stati nazionali la possibilità di fare le politiche necessarie? Sono due impostazioni radicalmente diverse e contrastanti.
Una chiede di andare avanti, l’altra chiede di tornare indietro. Del resto, la nostra presidente del Consiglio aveva dichiarato di ritrovarsi pienamente nel violento attacco all’Europa del vicepresidente degli Stati Uniti Vance nel corso della conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera. Più chiaro di così?
Prodi propone un referendum europeo per superare il principio dell’unanimità; altri propongono il modello di un’Europa a più velocità nella quale il plotone di testa proceda speditamente sulla via dell’integrazione politica.
L’Italia apprezza gli sforzi generosi di Trump per risolvere la guerra in Ucraina; non partecipa alle iniziative dei cosiddetti volenterosi, ma si offre di mandare un proprio personale militare a sminare i terreni o le acque intorno all’Ucraina. Lo fa perché Salvini condiziona le scelte della potentissima on. Meloni, o perché questo è quello che lei pensa davvero?

(da agenzie)

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