Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
SALVINI POTREBBE CONTINUARE LA SUA SVOLTA MAL-DESTRA CON IL GENERALE VANNACCI – FONTANA: “ZAIA È FONDAMENTALE E NON SOLTANTO IN VENETO, IL PARTITO HA BISOGNO DI PERSONE COME LUI”
È la serata di lancio della candidatura dell’ enfant prodige leghista Alberto Stefani. Ma la scena se la prende Luca Zaia. I tremila presenti lo accolgono con standing ovation e invocazioni «Lu-ca, Lu-ca». Ed è il segno che il futuro del Doge difficilmente si esaurirà nel ruolo di «semplice» consigliere regionale veneto.
Il suo nome affiora in molti discorsi interni, la sua figura cattura interessi convergenti
Anche Matteo Salvini lo coccola riempiendolo di complimenti
Sembra di intravedere all’orizzonte qualcosa di più, difficile ora da definire ma che potrebbe man mano delinearsi se la Lega dovesse continuare sulla strada del sovranismo-populismo che risulta sempre più indigeribile dentro il partito e poco apprezzato anche dagli elettori (vedi la pesante battuta d’arresto in Toscana dove la regia è stata lasciata a Roberto Vannacci).
Bisogna ascoltare le voci che arrivano da leghisti storici per capire cosa si sta muovendo.
Sentite Attilio Fontana, governatore della Lombardia: «Io credo che Luca Zaia sia fondamentale non soltanto in Veneto, perché sicuramente ha dimostrato di essere un grande presidente di Regione ma anche un uomo politico di notevole spessore. Quindi, penso che il partito debba avere bisogno di persone
come Zaia».
Attenzione alla sottolineatura sull’utilità del presidente uscente per la Lega.
Riaffiora l’idea di creare due Leghe, sul modello delle gemelle Cdu e Csu, per tenere dentro sia le istanze del Nord sia le esigenze del Centro-Sud. Fontana la mette sul tavolo: «È una cosa sulla quale si può discutere, l’importante è che rimangano le nostre prerogative.
Poi sulla strutturazione si valuterà, ne parliamo. L’importante è che ogni territorio trovi nella Lega la propria tutela».
Un progetto politico che per camminare ha bisogno necessariamente che qualcuno se ne faccia carico, che detti la linea e la porti avanti. Ed è qui, forse, che si potrebbe individuare un nuovo ruolo di rilievo per Zaia.
Nessuno lo dice ad alta voce, si preferisce evitare pubblicamente l’argomento. Ma Zaia è una risorsa della Lega. E ora che lascia la prima linea, avrà molto tempo libero.
Quale condizione migliore per coltivare un modello e dargli corpo assumendone la leadership
Il ruolo di Matteo Salvini, al momento, non è in discussione. E
però in politica «tutto ha un inizio e una fine». L’apprezzamento che il governatore uscente raccoglie dentro il partito è marcato.
Massimo Garavaglia, leghista lombardo della prima ora, la dice così: «Non mi riconosco in una Lega triste e arrabbiata (si riferisce a quella toscana, ndr ). La Lega è altra cosa: il buon governo di Giorgetti, il buon governo di Zaia ma anche un’idea di libertà e sviluppo che trova nell’autonomia dei territori verso Roma la chiave».
Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera, la prende più larga : «Il fatto di lanciare un messaggio politico così ideologico ha pesato nel voto in Toscana, perché non è il messaggio della Lega, perché la Lega ha sempre preso voti da destra, da sinistra, dal centro, proprio perché è post ideologica».
È una richiesta di tornare ai valori e alle parole d’ordine storiche del partito, come sottolineato anche dal collega capogruppo al Senato Massimiliano Romeo. E chi meglio di Zaia, tanto più se libero da impegni istituzionali, può farsene testimone?
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(da Il Corriere della Sera)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
LO HA DECISO IL TRIBUNALE DI MILANO DOPO AVER VALUTATO LE AFFERMAZIONI DELL’AUTORE DI “EDUCAZIONE SIBERIANA”: “IL MIO AUGURIO È DI STARE ATTENTI. VI SIETE SCAVATI LA FOSSA DA SOLI I SERVIZI RUSSI COMUNQUE VI TROVERANNO. E VI FARANNO A PEZZI A LORO MODO”
Lo scrittore moldavo Nicolai Lilin andrà a processo per le minacce all’inviata Rai Stefania
Battistini e al suo operatore tv Simone Traini. Lo ha deciso il tribunale di Milano dopo aver valutato le affermazioni di Nicolai Verbjbitkii (nome all’anagrafe) sul suo canale Youtube tra il 16 e il 20 agosto 2024.
«Se un giorno vi troverete un po’ di polonio nel tè, sappiate che vi siete scavati la fossa da soli. A questi due deficienti dei nostri giornalisti Rai che sono andati lì con i terroristi (…) e che hanno fatto questo schifoso lavoro di propaganda filonazista (…) il mio augurio è di stare molto attenti. Non accettate il tè dalla gente sconosciuta», aveva detto Lilin.
L’autore del best seller «Educazione siberiana», ricorda oggi il Corriere della Sera, ce l’aveva con i due che in Ucraina il 14 agosto avevano documentato un’incursione dei soldati di Kiev in territorio russo. Il Tribunale distrettuale Leninsky di Kursk aveva spiccato nei loro confronti un mandato d’arresto internazionale.
Per essere «entrati illegalmente nella Federazione Russa», e prospettando 5 anni di pena. I due sono ancora sotto scorta. La pm milanese Francesca Crupi ha valutato anche le affermazioni di Lilin sui servizi segreti militari russi Gru «che state certi in 2, 3, 5 anni comunque vi troveranno. E vi faranno a pezzi a loro modo, ovviamente io dico in modo metaforico…». E ha deciso che il 45enne nato in Transnistria quando era ancora Unione Sovietica deve andare a processo
«Abbiamo fiducia nella giustizia che esaminerà questo caso», commenta Eleonora Piraino, l’avvocata dello scrittore. Al quale la notifica del procedimento è stata fatta acrobaticamente nelle more di un suo scalo in un aeroporto italiano. Lilin è stato citato direttamente in giudizio senza passare per l’udienza preliminare. Con lui altri due indagati. Un ingegnere 59enne, che su Telegram invocò «trattamenti israeliani per la lurida e il lercio cameraman, parenti stretti all’obitorio e loro a guardare i crisantemi dalla parte della radice» (ma in un contesto differente dai commenti di Lilin, prospetta il difensore Nicolò Velati per cui ci sarebbe un difetto di querela).
L’altro è un disoccupato 50enne già sposato con una ucraina. Su Telegram inviò «condoglianze a questa idiota italica Vanno fucilati subito, devono fare la fine di Navalny».
(da agenzie)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
IL PARLAMENTARE FA IL PESCE IN BARILE E SCARICA LA COLPA SU UNO DEI SUOI COLLABORATORI
La polizia del Campidoglio è stata chiamata ad intervenire a causa di una bandiera americana alterata per includere una svastica ed esposta all’interno dell’ufficio del deputato repubblicano Dave Taylor.
Politico ha ottenuto un’immagine scattata durante una riunione virtuale che mostra la bandiera appuntata a quello che sembra essere un pannello divisorio dietro Angelo Elia, uno dei collaboratori di Taylor.
Accanto alla bandiera — con le linee rosse e bianche modificate a forma di svastica — sono appuntate altre immagini, tra cui una Costituzione tascabile e un calendario del Congresso
Non è chiaro se Elia abbia avuto un ruolo nell’incidente, sul
quale sono state aperte indagini. “Sono a conoscenza di un’immagine che sembra raffigurare un simbolo vile e profondamente inappropriato vicino a un dipendente del mio ufficio”, ha dichiarato Taylor in una nota.
“Il contenuto di quell’immagine non riflette i valori o gli standard di questo ufficio, del mio staff o di me stesso, e lo condanno nei termini più forti”, ha aggiunto. Taylor ritiene che la bandiera sia frutto di “atto vandalico o manomissione”, ha detto il suo portavoce.
La rivelazione arriva un giorno dopo che Politico ha svelato la chat di gruppo su Telegram in cui i leader dei Giovani repubblicani scambiavano epiteti razzisti, scherzavano sull’Olocausto e lodavano Adolf Hitler.
(da agenzie)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
E’ UN BEL CETRIOLO PER LA DUCETTA: CON IL “DOGE” IN CAMPO, IL CARROCCIO PUO’ TOGLIERE MOLTI VOTI A FRATELLI D’ITALIA E LIMITARNE COSI’ LE FUTURE PRETESE SUI POSTI IN GIUNTA… IL “PIZZINO” A SALVINI IN VISTA DEL CONSIGLIO FEDERALE LEGHISTA DI MARTEDI’ PROSSIMO CON MEZZO PARTITO IN RIVOLTA PER LA ”VANNACCIZZAZIONE”: “NOI SIAMO SEMPRE GLI STESSI”
La notizia arriva poco prima delle 21.30. E la dà il governatore veneto Luca Zaia: «Sarò il
capolista della Lega in tutte le Province». Il presidente non ricandidabile ufficializza quanto già si diceva da tempo: a dispetto della battaglia persa dalla Lega per il terzo mandato, a dispetto dell’impossibilità di fare il candidato sindaco di Venezia (andrà a FdI), non ci saranno strappi.
Solo l’amarezza più volte ribadita di «aver scoperto di essere un problema», perché «posso capire tutto, ma non i veti». Così con «l’orgoglio del militanti», farà la parte in cui tutti speravano: il portare voti per il suo partito, l’unica «soluzione per diventare un problema reale».
«Se prima si diceva “dopo Zaia, solo Zaia”, adesso si dirà “dopo Zaia, scrivi Zaia”», dice in chiusura, mentre il segretario veneto di FdI ieri sportivamente ha detto ad Affaritaliani che se il suo partito «avesse un fuoriclasse del calibro di Luca Zaia», lo avrebbe «candidato capolista ovunque e in tutte le province».
Fa bene Matteo Salvini, a sua volta «militante tra i militanti», forse un po’ più umile del solito, a ricordare la lunga marcia per arrivare a ieri sera: «Che battaglia, che fatica, quante sere, quanti tavoli di trattativa»
Non era scontato infatti essere al via di una nuova campagna elettorale in Veneto con un candidato, ancora una volta, leghista: Alberto Stefani, vicesegretario dello stesso Salvini e deputato. A dispetto dei rapporti di forza con FdI. Ma se c’è una cosa certa riguardo al leader leghista, è che non molla: «Conto di portare la Lega a essere ancora coraggiosamente e gagliardamente il primo partito in Veneto». Anche se è attento a non risultare ingombrante: alla fine del comizio, cosa senza precedenti, non torna sul palco.
Luca Zaia non scioglie il gran quesito su che cosa farà a mandato scaduto e a sua volta fa bene a ricordare che «noi siamo sempre gli stessi». Perché la sensazione di tanti, soprattutto dopo le regionali in Toscana, è che la Lega stia cambiando ancora fisionomia, con mezzo partito in rivolta per la «vannaccizzazione». Ma di questo si parlerà martedì prossimo, al consiglio federale leghista.
Certo, c’è il presidente della Camera Lorenzo Fontana, dal governo i sottosegretari Ostellari e Bitonci. Ma il resto dello stato maggiore leghista è altrove.
E pazienza se per anni nella Lega è stato Salvini «il Capitano». Stefani inizia un po’ pallido, la tensione è comprensibile. Essere il successore di Zaia non è facile, dare il segno della discontinuità nella continuità è complicato. Il ragazzo prodigio della Liga su un punto vuole essere chiaro: «La nostra non è soltanto una sfida generazionale. La nostra deve essere una rivoluzione di stile, di chi non prova odio. Non mi sentirete mai parlare male degli avversari. Così bisogna fare politica: senza odio, senza violenza verbale a cui per troppo tempo abbiamo assistito».
(da agenzie)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
LA DUCIONA RISPONDE STIZZITA A CHI LA INVITA A SEGUIRE “IL MODELLO MELONI”: “LA FRANCIA È IL SOLO PAESE DELL’UE A POSSEDERE L’ARMA NUCLEARE, E QUESTO LE CONFERISCE UN’INDIPENDENZA NEI CONFRONTI DELLE GRANDI POTENZE CHE ALTRI NON HANNO”
«Non ho un modello europeo. Il mio unico modello è la Francia», ha risposto ieri mattina Marine Le Pen, nel corso di un’intervista alla radio pubblica France Inter. In questi giorni in Francia si parla molto della stabilità del governo italiano, e Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen, auspica un’unione delle destre che si ispiri al «modello Meloni»
La leader del Rassemblement national però non è tentata, e alla domanda di un ascoltatore su un possibile modello risponde così: «La Francia è un Paese straordinario perché unico, per la sua storia, per le sue capacità, unico per il suo genio, unico anche perché è il solo dell’Unione europea a possedere l’arma nucleare, e questo le conferisce un’indipendenza nei confronti delle grandi potenze che forse altri non hanno. Quindi non ho un modello».
Di fronte al rilancio del conduttore, che le propone esplicitamente l’Italia e il modello Meloni, Marine Le Pen risponde prima un po’ stizzita — «Ascolti, oggettivamente,
l’unica cosa apprezzabile…», comincia, poi si corregge — «anzi, non l’unica, ci sono molte cose apprezzabili, ma la cosa che forse le invidio è l’enormità del piano di rilancio che ha riguardato l’Italia e che noi, la Francia, andremo a pagare».
E i risultati economici del governo italiano? «Sì, non minimizzo il lavoro di Giorgia Meloni. Tuttavia, con 240 miliardi di Pnrr ricevuti dall’Unione europea, è più semplice, lo ammetterà, mettere in atto un certo numero di orientamenti. Dico solo la verità, ancora una volta, non ho un modello. Penso che il modello francese sia quello che dovrebbe diffondersi, come del resto è già accaduto nella storia».
Ieri il Consiglio di Stato ha respinto il suo ricorso contro la pena di ineleggibilità immediata che le impedisce di presentarsi alle prossime elezioni. A inizio 2026 il processo di appello.
(da agenzie)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
GLI AFFARISTI DIETRO IL BUSINESS
La diplomazia internazionale, spesso mascherata da negoziati di pace o aiuti umanitari, si
muove su binari ben più concreti: quelli delle aziende e dei contratti. Non è un segreto che la guerra, e la successiva ricostruzione, sia un business per chi sta lontano dalle trincee. Lo dimostra la storia recente, dall’Iraq alla Libia, e lo conferma la corsa agli affari che ha come teatro la Striscia di Gaza.
Come già visto in Libia, dove i giacimenti petroliferi offshore sono storicamente gestiti anche da Eni e altre aziende italiane hanno ricostruito strade e infrastrutture che collegano Tripoli a Bengasi come “opere compensative” del colonialismo italiano, o in Iraq dopo l’invasione del 2003 voluta da Blair e Bush con la scusa delle armi di distruzioni di massa, l’Italia accodata al gruppo dei Paesi che entrarono in quella guerra in seconda battuta, dopo la risoluzione è pronta a giocare un ruolo di primo piano.
I militari italiani uccisi a Nassiriya erano di stanza in un’area vicina al giacimento petrolifero della zona, quello che spettava all’Italia per aver sostenuto quella guerra.
Oggi, la situazione non è tanto diversa.
In un contesto diplomatico dove i paesi produttori di armi, costruttori e gestori di energia – dall’Italia alla Germania, dal Regno Unito alla Francia, fino ai paesi del Golfo e all’Azerbaigian (cruciale nel tema energetico) – si riuniscono, l’assenza delle parti in conflitto è eloquente. In Egitto infatti c’erano tutti, anche i Paesi appena citati ma mancavano le due parti che avrebbero dovuto firmare per davvero: Israele e Hamas.
La posta in gioco è la spartizione dei futuri interessi e del business.
1. Il Jackpot della Ricostruzione
Le prime stime ufficiali e ufficiose per la ricostruzione della Striscia di Gaza si aggirano tra i 50 e gli 80 miliardi di dollari. Si parla di un investimento potenziale di circa 46.000 euro per ogni palestinese di Gaza.
Per l’Italia, l’obiettivo dichiarato è “essere protagonisti” della ricostruzione. Le aziende italiane del settore costruzioni e infrastrutture che hanno messo gli occhi sui futuri appalti, spesso finanziati tramite bandi della Banca Mondiale, dell’ONU o della nascente “Eu Gaza Facility” da 1,6 miliardi di euro, includono nomi di spicco:
Webuild (ex Salini Impregilo), leader globale nelle costruzioni di infrastrutture.Buzzi e Cementir, giganti del cemento e dei materiali da costruzione.Saipem, specializzata in infrastrutture energetiche.Ansaldo Energia e Maire, attive nel settore degli impianti e dell’ingegneria energetica.
Queste aziende sono pronte a ripristinare le reti idriche,
elettriche, sanitarie e il tessuto residenziale e produttivo spazzato via. Che di per se non è un male, se non fosse che questa guerra e il silenzio italiano sul genocidio siano stati tutti finalizzati a questo e al servilismo nei confronti di Trump.
2. La Corsa al “Gaza Marine”
Il secondo e forse più strategico affare è quello energetico. Il giacimento di gas naturale al largo della Striscia, noto come “Gaza Marine” e le aree limitrofe, è un tesoro conteso. Sebbene le acque ricadano nelle aree di competenza palestinese, lo Stato di Israele ha concesso unilateralmente e in violazione al diritto internazionale, licenze per l’esplorazione e il trivellamento a diverse compagnie internazionali.
Il gigante energetico italiano Eni S.p.A. è al centro di queste concessioni. Ha firmato accordi per esplorare un’area a ovest del giacimento insieme alla britannica Dana Petroleum Limited e all’israeliana Ratio Energies.
Un secondo consorzio, anch’esso composto da major internazionali, comprende: BP (British Petroleum) (Regno Unito)Socar (Azerbaigian)NewMed Energy (Israele)
La presenza di Eni è considerata uno dei motivi chiave della forte partecipazione italiana agli sforzi diplomatici.
L’Industria della Guerra: Il Ruolo di Leonardo
Prima che i costruttori e le trivelle possano entrare in azione, l’affare è nelle mani di chi produce armi. In Italia, questo ruolo è ricoperto da Leonardo, un “piccolo gioiellino” del Governo italiano nel settore della difesa e aerospazio
Leonardo non è solo un’azienda che opera secondo le restrittive leggi italiane, ma agisce anche all’estero, spesso con regole diverse. L’azienda ha accordi consolidati con Israele, arrivando a produrre droni in joint venture.
Attraverso la sua fondazione Med.Or., presieduta dall’ex Ministro dell’Interno Marco Minniti, lo stesso del memorandum d’intesa tra Italia e Libia, Leonardo agisce di fatto come una vera e propria “Farnesina ombra”, un attore cruciale nella politica estera e di sicurezza nazionale.
La guerra, dunque, è un ciclo economico: le aziende produttrici di armi vedono le loro quotazioni schizzare in borsa alle prime bombe, seguite poi dalla grande ondata di business per le aziende di costruzioni e quelle energetiche. Quelli che guadagnano, come sempre, sono coloro che fabbricano le bombe o che ricostruiscono dopo che sono state sganciate.
(da FanPage)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
LA SKYHORSE PUBLISHING DI TONY LYONS HA IN CATALOGO OPERE CONTRO FAUCI E GATES
Donald Trump ha invitato gli americani ad acquistare l’autobiografia di Giorgia Meloni appena uscita negli Usa. I am Giorgia è uscito con la prefazione del figlio del presidente Donald jr, mentre anche Melania Trump ha pubblicato il racconto della sua vita con la stessa casa editrice. Che si chiama
Skyhorse Publishing. Ed ha una linea editoriale curiosa: tra le loro pubblicazioni ci sono libri contro l’immunologo Anthony Fauci. E che esaltano Robert Kennedy Jr «come guerriero della verità». Il proprietario è Tony Lyons. L’ha fondata nel 2006. E comincia a farsi conoscere nella società americana.
La casa editrice di Giorgia Meloni in Usa
Per il 20 gennaio 2026, rivela La Stampa, Skyhorse ha programmato anche l’uscita del secondo libro di Meloni, Giorgia’s Vision, nato da un’intervista con Alessandro Sallusti. Lyons ha pubblicato negli anni la biografia di Philip Roth di Blake Bailey e l’autobiografia di Woody Allen, A proposito di niente. Avvocato e attivista, co-dirige dal 2023 MAHA, Make America Healthy Again, un movimento che si ispira allo slogan che ha portato al successo di Trump, ma declinato sui temi della salute. La lobby MAHA ha egemonizzato il ministero della Salute. Mentre Kennedy ha tagliato i finanziamenti allo sviluppo dei vaccini a mRna.
La verità alternativa sulla pandemia
Non solo. Lyons sostiene le «verità alternative» sulla pandemia. Come Kennedy. Ha pubblicato con la sua casa editrice due libri contro Fauci. Uno di Rand Paul, Deception – The Great Covid Cover Up, e un altro intitolato esplicitamente The real Anthony Fauci. Sottotitolo impegnativo: “Bill Gates, Big Pharma e la guerra globale alla democrazia e alla salute pubblica”. Autore? Robert Kennedy Jr.
(da agenzie)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
LA DEMOCRAZIA SI SCIOGLIE COME IL GHIACCIO
La ben nota cupola bianca e striata del Campidoglio americano è sullo sfondo. Proprio nel
National Mall, il parco che per molti è simbolo della libertà, è stata montata una nuova scultura. «Democracy», si legge. Le lettere sono fredde e trasparenti, di ghiaccio. Di lì a due ore dell’opera d’arte non rimane più nulla, fusa dal sole di un ottobre ancora caldo. Un gesto di protesta plateale contro una democrazia che per molti americani sembra affievolirsi di giorno in giorno.
Chi c’è dietro la scultura
Più che una semplice scultura, quella di Nora Ligorano e Marshall Reese era un’opera d’arte e di contestazione. Dietro a quel gigantesco blocco di ghiaccio – alto 1,5 metri, largo 5,2 e pesante 13 tonnellate – c’è un nome molto noto nel Paese a stelle e strisce. Si tratta di Ben Cohen, promotore della campagna Up in Arms e co-fondatore della celebre azienda di gelati Ben & Jerry’s. È stato lui, oltre che a finanziare l’opera nella terza settimana dall’inizio dello shutdown amministrativo americano, a mettere a disposizione un grande camion frigorifero per trasportare l’opera da New York a Washington.
La denuncia di Cohen: «Quello che sta accadendo è orrendo»
«Volevamo mostrare nella realtà che la democrazia si sta sciogliendo davanti ai nostri occhi. È un simbolo potente che aiuta a esprimere i sentimenti, la tristezza e l’orrore degli americani», ha commentato Cohen. «Attacchi alla libertà di parola, polizia segreta mascherata e non identificata che preleva persone dalla strada, le arresta e le deporta. O persone perseguite e punite senza giusto processo. L’uso dei militari contro la popolazione degli Stati Uniti», ha elencato riferendosi agli arresti degli immigrati irregolari (o presunti tali) da parte del cosiddetto ICE e al dispiegamento della Guardia nazionale in diverse città americane. «Tutte queste sono cose orribili che prima si pensava accadessero solo in altri paesi».
(da agenzie)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
SE NE FACCIA UNA RAGIONE, C’E’ ANCORA CHI DECIDE DI STARE DALLA PARTE DELL’UMANITA’
Domenica, mentre Tel Aviv aspettava il ritorno degli ostaggi e la Cnn spiegava che dal cessate il fuoco gli ospedali di Gaza registravano oltre 300 morti, la sede del Cnel a Roma ospitava una giornata di riflessione su Europa e Medio Oriente, organizzata dall’Ucei. Ce ne siamo fatti un’idea leggendo sul Corriere la sintesi dell’intervento del professor Galli della Loggia, da cui apprendiamo intanto che “la democrazia liberale che abbiamo conosciuto nella sua espansione vittoriosa del Novecento, si è costruita anche grazie a tre nessi decisivi con l’ebraismo: il socialismo, l’affare Dreyfus e la Shoah. Senza uno o l’altro di questi tre fattori la vicenda della democrazia in
Europa non è pensabile”. Per fortuna il professore si è cautelato con l’avverbio che gli ha consentito di tralasciare, per esempio, la Rivoluzione francese o il principio della divisione dei poteri che sta alla base del costituzionalismo (la lista di tutto ciò che ha contribuito all’espansione della democrazia e non ha nessi decisivi con l’ebraismo sarebbe lunga). Comunque, spiega il professore, è a causa dell’identificazione tra l’ebraismo e i nostri valori che abbiamo considerato ogni attacco all’ebraismo un attacco a noi. Non è più così: dal 7 ottobre di due anni fa, “una superficiale e breve solidarietà” con le vittime “è stata sovrastata ben presto dal clamore volto a condannare la ‘sproporzione’ della reazione di Israele e con essa il nuovo mostro, il sionismo”. Quei 67 mila morti se la saranno cercata: erano tutti di Hamas, bambini compresi. Del resto – l’ hanno spiegato più volte i ministri israeliani – sono “animali umani”: ogni volta che sono stati bombardati ospedali, ogni volta che sono stati uccisi giornalisti, c’era qualcuno di Hamas nei paraggi. Insomma, la solidarietà per le vittime della macelleria del 7 ottobre è durata poco, decine di migliaia di persone si sono scoperte pronte “a sottoscrivere qualsiasi slogan, fino a quello più delirante dell’accusa di genocidio” (accusa sostenuta da giuristi e intellettuali, anche israeliani). Va così: se “free from the river to the sea” è uno slogan in un corteo pro Palestina è inaccettabile, se è la politica di Israele nei Territori occupati è tutto a posto.
Cosa avrà fatto cambiare il vento della solidarietà? Un rapporto dell’Ispi (non di Hamas) analizza l’andamento della mortalità
dopo l’offensiva a Gaza: la risposta militare di Tel Aviv ha provocato oltre 6 mila morti al mese nei primi tre mesi; poi è seguita una seconda fase di relativa “stabilizzazione”, con circa mille-duemila vittime al mese.
Dall’estate di quest’anno il bilancio è tornato pesantissimo: luglio e settembre sono stati i mesi più sanguinosi, con circa 4 mila morti, “diretta conseguenza delle operazioni di terra e degli incessanti bombardamenti nella Striscia”.
Il professor Della Loggia prosegue con una disamina sul “progressismo”, causa di tutti i mali della democrazia (i soliti comunisti senza dio e senza famiglia) e poi cita la storica Diana Pinto, quando dice “ci siamo abituati a pensare che gli israeliani sono dei Bianchi europei che si comportano male in un quartiere esotico e violento, che almeno in linea di principio dovrebbero conformarsi alle regole che vigono da noi”. Ma la democrazia liberale non era impensabile senza l’ebraismo? Ah no, c’è stato il progressismo debosciato che ha sciolto i legami. Poi “accade che un branco di lupi feroci entri in quel quartiere seminando la strage. E che ne segua una violenza terribile per cercare di avere ragione di quelle belve” (animali umani, no?). C’erano altri mezzi per fermare le belve? Evidentemente no: “A darmi una risposta è stata l’aggressività delle nostre piazze contro Israele, l’odio contro l’Occidente che da esse saliva, la ricomparsa dell’antisemitismo”. “In certe circostanze non posso avere dubbi da che parte stare”. Ecco, gli altri – leggendo parole come queste – hanno deciso di stare dall’altra parte, quella dell’umanità.
(da ilfattoquotidiano.it)
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