Destra di Popolo.net

DOPO LA TRIPLICE BATOSTA ALLE REGIONALI, MARTEDI’ AL CONSIGLIO FEDERALE RESA DEI CONTI TRA LE TRE ANIME DEL CARROCCIO: QUELLA SALVINIANA, QUELLA DEL GENERALE VANNACCI E LA CORRENTE NORDISTA DI ZAIA

Ottobre 17th, 2025 Riccardo Fucile

DAL FRONTE DEL SEGRETARIO LEGHISTA FANNO SAPERE: “QUELLI CHE SOGNANO UN RITORNO A UNA PICCOLA LEGA DEL NORD HANNO GIÀ PRONTO UN ACCORDO CON GIORGIA MELONI PER GARANTIRSI UN FUTURO. IL GENERALE VANNACCI È SOLO IL CAPRO ESPIATORIO. MA CHI POTREBBE SOSTITUIRE SALVINI? DI CERTO ZAIA NON AVRÀ MAI IL CORAGGIO DI FARLO”

Il fatto è che, nella Lega, è partito il tutti contro tutti e Zaia, dall’alto del suo gruzzolo elettorale, vuole ergersi sopra ogni altro rivale quando si arriverà al dies irae.
Un antipasto di quello che può accadere da qui alle prossime politiche lo si vedrà già martedì, al consiglio federale convocato a via Bellerio da Matteo Salvini. In molti prevedono un processo in contumacia al generale Roberto Vannacci che, pur essendo stato nominato vice da Salvini, non sarà presente alla riunione «per impegni a Strasburgo».
Di certo sarà la prima occasione in cui le tre Leghe che sono esplose dopo il disastro elettorale in Toscana – quella autonomista, quella di Vannacci e quella fedele a Salvini – potranno dirsele in faccia. Un autorevole membro del “partito del Nord”, ostile al generale del Col Moschin, si immagina che «Vannacci ne uscirà ridimensionato e così anche i suoi team». Ma andrà davvero così?
L’ala salviniana, ancora forte e certamente preponderante nell’unico organismo di vertice che si riunisce con regolarità, prevede invece che, al dunque, l’ala autonomista non avrà il coraggio di sollevare obiezioni. In queste ore tutti pretendono l’anonimato e una fonte vicino al segretario fornisce questa fotografia: «Il generale Vannacci è solo il capro espiatorio con cui se la prendono quelli che non hanno il coraggio di attaccare frontalmente Salvini. Ma chi potrebbe sostituire Matteo? Di certo Zaia non avrà mai il coraggio di farlo».
Gli insuccessi alle regionali nelle Marche, dove il Carroccio ha perso il 15% in cinque anni, e in Toscana, con un meno 17%, hanno fatto deflagrare l’insofferenza che covava da tempo contro Salvini e contro la deriva nazional-sovranista impressa alla Lega, di cui la nomina di Vannacci come vicesegretario è stata il simbolo più vistoso. Già a Pontida i dissensi erano venuti fuori sul palco, davanti a tutti i militanti, quando anzitutto i
capigruppo Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari avevano rivendicato i «valori» della vecchia Lega bossiana.
Una linea, quella del Carroccio come sindacato del territorio, che esplicitamente Vannacci considera «superata».
Ma non c’è solo questo. Dietro il dissidio si nasconde anche il timore che il generalissimo abbia adottato la strategia del cuculo, quella di appropriarsi di un nido altrui per deporre le sue uova. «Mi dica un altro partito che consente a un suo vicesegretario di fare tessere per un’altra associazione politica», protesta un esponente della corrente del nord. Il riferimento è ai famosi team del Movimento Il mondo al contrario.
Il sospetto è che, dopo aver pianificato la sua elezione con la Lega alle ultime europee, l’ex ufficiale si stia preparando a lasciarla nel caso il partito finisca in mano ai rivali.
E Salvini intanto cosa fa? Dopo essersi giovato del mezzo milione di preferenze conquistato da Vannacci alle europee, in questa fase il segretario sta cercando di spegnere l’incendio provocato dal generale nel partito. «La parola d’ordine è ricostruire tutti insieme», ha detto Salvini a chi gli chiedeva lumi su quanto dirà martedì a via Bellerio.
Il leader tenta la carta della pacificazione interna, consapevole che le prossime regionali potrebbe portare altre brutte notizie, come un ridimensionamento definitivo rispetto a Fratelli d’Italia, quasi inevitabile senza la spinta della lista Zaia. È proprio quello il passaggio stretto dove lo aspettano i governatori e gli autonomisti, «perché un conto è andare male in una regione rossa come la Toscana, altra cosa è essere marginalizzati in Veneto». Un amico del segretario osserva queste mosse e fornisce una spiegazione velenosa: «La verità è che quelli che sognano un ritorno a una piccola Lega del Nord hanno già pronto un accordo con Giorgia Meloni per garantirsi un futuro».
In questa vigilia di veleni, molti si chiedono infine cosa dirà il ministro più potente della Lega, Giancarlo Giorgetti. Ma i salviniani invitano a stare tranquilli, «a Pontida Giancarlo ha detto dal palco che bisogna rispettare la gerarchia».

(da agenzie)

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SALVARE LA “ZARINA”. COSTI QUEL CHE COSTI – IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, CARLO NORDIO, DIFENDE GIUSI BARTOLOZZI, LA SUA CAPO DI GABINETTO INDAGATA PER FALSE INFORMAZIONI RESE SUL CASO ALMASRI

Ottobre 17th, 2025 Riccardo Fucile

MA PER IL TRIBUNALE DEI MINISTRI, BARTOLOZZI HA MENTITO, FORNENDO UNA VERSIONE “INATTENDIBILE, CONTRADDITTORIA E MENDACE” – LE IPOTESI PER SALVARLA: ESTENDERE L’IMMUNITÀ MINISTERIALE O SOLLEVARE UN CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI. IN ALTERNATIVA, POTREBBE RITRATTARE LA SUA VERSIONE DEI FATTI. SE FOSSE COSTRETTA A LASCIARE, SI STA GIÀ ORGANIZZANDO PER GARANTIRSI UN SEGGIO IN PARLAMENTO

Una versione «inattendibile e mendace». Una versione «contraddittoria». Per il tribunale dei ministri, Giusi Bartolozzi, capa di gabinetto del guardasigilli Carlo Nordio, ha mentito e l’ha fatto quando a marzo scorso venne chiamata dalle tre giudici del collegio speciale per rendere sommarie informazioni sul caso Almasri. Un fatto ormai noto, come nota è la successiva iscrizione della zarina di via Arenula nel registro degli indagati della procura ordinaria di Roma.
Bartolozzi è indagata per false informazioni. E ora tutti quanti – dal numero uno del dicastero della Giustizia fino agli esponenti di maggioranza – stanno cercando di proteggerla, o almeno di estenderle l’immunità che spetta ai membri dell’esecutivo. In via ufficiale è persino partito l’iter per tentare di sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale e, dunque, salvare il soldato Bartolozzi. Un imperativo categorico, senza sé e senza ma.
Tuttavia una soluzione più semplice e veloce per “salvare” la capa di gabinetto ci sarebbe e, probabilmente, non dev’essere neanche sfuggita ai diretti interessati
Il reato di false informazioni, quello per cui è indagata la zarina, ricade nell’articolo 376 del Codice penale che descrive la norma sulla ritrattazione. «Il colpevole – dice la legge – non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento». Tradotto: se Bartolozzi ritrattasse quanto detto il 31 marzo davanti alle giudici del Tribunale dei ministri, il reato per cui è iscritta decadrebbe. Caso chiuso.
E il guardasigilli sembrerebbe star preparando la strada per questo finale. Martedì 7 ottobre Nordio ha d’altronde reso delle dichiarazioni inequivocabili alla stampa.
Era il giorno in cui l’aula della Camera ha votato contro l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti e di quelli del
ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del sottosegretario con delega all’Intelligence Alfredo Mantovano, ritenuti responsabili dalle giudici della liberazione del ricercato speciale dell’Aja.
«Ci è stata attribuita menzogna, ma la menzogna dipendeva proprio dal fatto che non si potevano esternare alcune considerazioni», ha dichiarato il ministro ai cronisti nel Transatlantico di Montecitorio. Mentire, pertanto, perché è la ragione di Stato a imporlo. O, almeno, a giustificarlo.
Cosa deciderà di fare la ministra ombra, che tutto decide e tutto sceglie? Al momento non è dato sapere. Ma, in base a quanto apprende Domani, dal ministero di via Arenula ci si starebbe adoperando per tentare di interloquire col procuratore capo di piazzale Clodio, Francesco Lo Voi. C’è anche chi crede che Bartolozzi presto comparirà davanti al pm di Roma o che chieda di essere sentita. Per ritrattare? Per confermare la sua versione dei fatti? Per dire la verità?
Nel frattempo la maggioranza si sta dando da fare. L’ufficio di presidenza della Camera deciderà sulla richiesta relativa al conflitto di attribuzione nei prossimi giorni, dopo che la Giunta per le autorizzazioni si riunirà e il suo nuovo relatore, il meloniano Dario Iaia, redigerà il testo della relazione su cui la stessa Giunta esprimerà un parere. Il parere arriverà poi sul tavolo dell’ufficio di presidenza della Camera a cui, di fatto, spetterà la decisione ultima sul conflitto di attribuzione per Bartolozzi.
Ma tutto quest’andirivieni potrebbe essere superfluo. Il dato certo è che Bartolozzi, nell’attesa che la vicenda giudiziaria che la riguarda venga chiusa o meno, non si dà per vinta.
Questo giornale, nei giorni scorsi, ha raccontato delle cene e degli incontri organizzati dalla zarina alla presenza del ministro Nordio e degli esponenti di Forza Italia per garantirsi un seggio
in Parlamento nel caso in cui si delineasse la possibilità di dimettersi dall’incarico attualmente ricoperto.
Un incarico che, al momento, la capa di gabinetto si tiene assai stretto nonostante i malumori che la premier, insieme al sottosegretario Mantovano, mostrerebbe nei suoi confronti. Del resto, di recente, il governo ha adottato uno schema di riorganizzazione del ministero di via Arenula, introducendo ulteriori «venti unità negli uffici di diretta collaborazione con il gabinetto del ministero e la figura del capo della segreteria del capo di gabinetto che vengono tolti all’ispettorato generale».

(da Domani)

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NON C’E’ SOLO IL FIGLIO DI CLEMENTE MASTELLA, MA ANCHE ARMANDO CESARO, FIGLIO DELL’EX SENATORE LUIGI CESARO, GIA’ PLENIPOTENZIARIO DI BERLUSCONI, NELLE LISTE CHE APPOGGERANNO FICO NEL CAMPO LARGO A NAPOLI

Ottobre 17th, 2025 Riccardo Fucile

NELLE FILE DEL PD CI SONO DUE USCENTI CON PARENTELE DI PESO: MASSIMILIANO MANFREDI È IL FRATELLO DEL SINDACO DI NAPOLI, GAETANO, E BRUNA FIOLA È, INVECE, FIGLIA DEL PRESIDENTE DELLA CAMERA DI COMMERCIO PARTENOPEA

Sicuramente il parente più noto in Campania è Piero De Luca, figlio del governatore e segretario (unitario) del Partito democratico regionale. De Luca jr è già deputato, quindi non si misurerà con le Regionali come faranno tanti altri. D’altronde per Clemente Mastella il suo cognome è un «brand».
Così il figlio Pellegrino sarà capolista nel collegio di Benevento alle prossime Regionali per il partito centrista («il vero centro») del padre. In Campania, però, non è un caso isolato.
Si potrebbe addirittura parlare di liste-dynasty, vere e proprie saghe familiari al servizio della politica. Con una particolarità: i voti sono ereditari, passano di padre in figlio/a in molti casi in maniera scientifica.
Il pieno di familiari in campo si registra nella compagine elettorale del candidato del campo progressista, Roberto Fico, un tempo esponente dell’anti-politica. Glielo ricorda l’avversario di Campania Popolare, Giuliano Granato: «Armando Cesaro ufficializza la sua candidatura in Casa Riformista, a sostegno di Roberto Fico.
Altro che rinnovamento: la coalizione dei “figli di” ha ufficializzato un eminente candidato, accompagnato dai Mastella, dai De Luca, dai Lettieri e dai Casillo». Effettivamente tenta di tornare in consiglio regionale dopo cinque anni di stop Armando Cesaro, figlio di Luigi, berlusconiano di ferro fino all’incontro con Matteo Renzi.
Una folgorazione. Cesaro jr è coordinatore regionale di Iv e sarà nella lista di Casa riformista. Nelle file del Pd ci sono due
uscenti con parentele di peso: Massimiliano Manfredi è il fratello del sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi e Bruna Fiola è, invece, figlia del presidente della Camera di commercio partenopea.
Nelle file dei socialisti ci sarà Antonio Demitry, figlio dell’ex parlamentare socialista della prima Repubblica, Geppino.
Ma dovrebbe trovare posto anche Giuseppe Sommese, esponente di Azione, di fatto abbandonato da Carlo Calenda contrario alla candidatura di Fico. Mentre Giovanni Mensorio, figlio dell’ex esponente Dc Carmine, potrebbe correre nella civica di Fico.
Tra i deluchiani spicca invece Rossella Casillo, figlia di Tommaso attuale presidente della Soresa
(da Corriere della Sera)

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IL GOVERNO DI LECORNU È SALVO (PER ORA): LA MOZIONE DI SFIDUCIA HA RACCOLTO 271 VOTI, 18 IN MENO DI QUANTI ERANO NECESSARI PER FARE CADERE L’ESECUTIVO APPENA FORMATO

Ottobre 17th, 2025 Riccardo Fucile

IL PREMIER FRANCESE PUÒ TIRARE UN SOSPIRO DI SOLLIEVO, MA LA SUA POSIZIONE RESTA IN BILICO, VISTO CHE MANCA ANCORA UNA MAGGIORANZA ASSOLUTA

La grande sorpresa non è arrivata, la fronda interna ai vari partiti non è riuscita a ribaltare le indicazioni dei capi, e il secondo
governo Lecornu è salvo. La mozione di censura ha raccolto ieri mattina 271 voti, 18 in meno di quanti erano necessari per fare cadere l’esecutivo appena formato. Il sacrificio fino al 2027 della riforma delle pensioni in cambio dell’appoggio dei socialisti è stata la mossa vincente di Lecornu, e i deputati francesi adesso possono dedicarsi alla legge di bilancio, da approvare entro il 31 dicembre.
Il respiro di sollievo di Sébastien Lecornu durerà solo per qualche giorno, perché una maggioranza assoluta continua a mancare, e andrà trovata, articolo per articolo, durante la discussione della legge.Lecornu rischierà di cadere altre volte, da qui a Natale. Ma «sempre meglio del caos», dice la rinata «base comune» composta da quel che resta dei macronisti, destra gollista e centristi — che sono al governo —, più i socialisti che hanno rotto l’unità della sinistra rifiutandosi di votare la mozione di censura voluta da Jean-Luc Mélenchon.
«Adesso resistenza popolare e parlamentare!», invoca la capogruppo della France insoumise (sinistra radicale), Mathilde Panot, che reagisce alla sconfitta annunciando l’ennesima mozione per la destituzione del presidente della Repubblica: come le precedenti, pochissime chance che venga approvata, ma serve per abituare l’opinione pubblica all’idea melenchonista e lepenista che Macron sia ormai un capo di Stato privo di legittimazione democratica.
Le ali estreme, il Rassemblement national di Le Pen a destra e la France Insoumise di Mélenchon a sinistra, continueranno a chiedere lo scioglimento dell’Assemblea, le elezioni anticipate per il parlamento e anche le dimissioni di Macron e un voto per
l’Eliseo.
Solo sette deputati socialisti su 69 si sono uniti a ecologisti, comunisti, lepenisti e melenchonisti votando contro Lecornu, il che rappresenta una indubbia, se pur temporanea, vittoria del segretario del partito Olivier Faure, che dà un po’ più di sostanza all’idea di essere il candidato della sinistra moderata alle prossime presidenziali, nel 2027 o prima se davvero Macron dovesse dimettersi come gli chiedono in tanti (ipotesi che per ora resta remota).
Ma più che Faure il nome forte del centrosinistra nei sondaggi continua a essere il deputato europeo Raphaël Glucksmann, che con il suo movimento Place Publique vicino ai socialisti è presente a Parigi, certo, ma gode di un’immagine di maggiore distanza dalle battaglie di potere.
(da Corriere dela Sera)

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“PALERMO SI STA PARANZIZZANDO”: ROBERTO SAVIANO SPIEGA IL FENOMENO DEI NUOVI GANGSTER ALLA GAETANO MARANZANO, IL 28ENNE CHE HA SPARATO IN TESTA A PAOLO TAORMINA

Ottobre 17th, 2025 Riccardo Fucile

“ORA ‘COSA NOSTRA’ NON AFFILIA PIÙ. QUESTE PERSONE SONO LA FRANTUMAGLIA A CUI DELEGA IL NARCOTRAFFICO LOCALE. LA DIFFERENZA È SOSTANZIALE: DIVENTARE MAFIOSO SIGNIFICA ENTRARE IN UNA DINAMICA GERARCHICA. ESSERE GANGSTER VUOL DIRE RISPONDERE SOLO A SE STESSI”

Palermo si sta «paranzizzando»: un neologismo che descrive la trasformazione del crimine in paranze, gruppi di giovani, giovanissimi, che si uniscono per vincoli di amicizia, parentela e, soprattutto, di territorio, e iniziano a delinquere.
Non si pongono obiettivi precisi: cercano l’affermazione di sé attraverso la spavalderia, la diffusione della paura, il farsi rispettare incutendo timore. Tutto questo per l’ambizione di poter ricevere incarichi, la gestione di piazze di spaccio, il controllo estorsivo. Il sogno è quello di poter fondare una famiglia, di poter essere affiliati, se i libri mastri di un clan si riaprono per tornare ad affiliare. Nell’attesa, provano a essere qualcuno: e qualcuno significa diventare un gangster.
Ma come si diventa gangster nel nostro tempo, in Italia, in una terra dove Cosa Nostra affilia con il contagocce, dove le organizzazioni criminali non hanno più l’ossessione del controllo territoriale ma la missione del dominio economico, sempre più slegato da un ordine sociale?
Si parte dall’aspetto: dal sembrare gangster. Gaetano Maranzano, il 28enne che ha sparato in testa a Paolo Taormina l’11 ottobre, è un archetipo del criminale di paranza: barba lunga borsello a tracolla con ben visibile il logo della marca; scarpe mai al di sotto del valore di mille euro; collane d’oro con simboli di pistole o AK-47.
Al primo sguardo non incutono paura ma ridicolo. Si muovono persino in modo maldestro, costantemente impegnati a proclamare di essere duri, di decidere quando farti attraversare la strada, quando chiudere un locale, solo quando loro vogliono andar via. Decidono loro come e dove puoi parcheggiare, se puoi
guardarli negli occhi o no. I loro comportamenti e i loro abiti sembrano un’imitazione scadente di un cantante trap o di un mafia movie.
Ma il ridicolo si muta facilmente in dramma quando sparano, ammazzano. Maranzano ha dichiarato che Paolo aveva importunato sua moglie (sembra che le avesse solo messo like a una foto) e che, quella notte, al locale, si era sentito minacciato di fare una cattiva figura. Ecco le sue parole: «Siccome lui era in difetto con me, mi guardava male, nel suo cervello mi voleva sfidare”
Maranzano è figlio di una famiglia criminale in ascesa nello Zen, assolta nel processo che li vedeva imputati come uomini d’onore, ma il padre, Vincenzo «Gnu Gnu» Maranzano, è stato condannato per tentato omicidio di un membro della famiglia rivale, i Colombo. Cosa Nostra non li affilia: sono la frantumaglia a cui delega il narcotraffico locale, da cui pesca se porta risultati importanti. Le paranze palermitane spesso provengono da famiglie con precedenti penali, ma non sempre. Tutti però provengono da quartieri difficili, dove il lavoro è solo in nero e dove è impensabile credere che l’impegno possa essere un mezzo per superare la miseria e ottenere dignità.
Paranza è il nome dato a Napoli ai gruppi di ragazzini che controllano pezzi di territorio, ma il modello è ormai internazionale: dal Cairo a Manila, da Marsiglia a Palermo, giovanissimi con lo stesso aspetto (con varianti etniche), le stesse prassi confuse e arroganti, si organizzano con l’intento di diventare gangster prima ancora che mafiosi
La differenza è sostanziale: diventare mafioso significa entrare in una dinamica gerarchica; essere gangster vuol dire rispondere solo a se stessi. E Palermo, per lungo tempo, non ha permesso a nessuno di agire rispondendo solo a se stesso. Ma nell’ultimo decennio le cose sono cambiate, e oggi sono diventate incontrollate. Il gangster segue un percorso diverso: prova subito a essere capo, dei suoi coetanei e di affari miserabili. Si percepisce ribelle, infrange le regole della società che considera da perdenti, perché costringe ad abbassare il capo, a restare poveri.
Non vuole nemmeno tentare di ottenere qualcosa dal sistema — lavoro, progetti, possibilità — perché tutto ciò significa essere perdenti. Vuole scalarlo con la furbizia, la forza, l’inganno. È disposto — anzi, ognuno vorrebbe — a diventare uomo d’onore, ma ne teme la fatica: dover passare da capetto a gregario, dover dimostrare dentro regole il proprio valore criminale.
Da gangster, invece, si definisce da solo. Eppure, considerano i codici mafiosi il vero ambito in cui «essere qualcuno», ricevere rispetto e non essere soli. Ed è per questo che non temono il carcere. Finire dentro è una meta, non un rischio. In carcere inizia l’apprendistato per riuscire — o, più spesso, fallire — nel diventare criminali dentro una famiglia. È in carcere che sanno di poter diventare qualcuno: la prova di essere stati duri, cattivi, capaci di sparare.
Negli anni Ottanta, la mafia condannava a morte con propri tribunali chi rubava auto, i topi d’appartamento, gli spacciatori. Ogni crimine doveva essere autorizzato. Oggi, invece, permette le paranze, e lo fa di buon grado, esattamente come la camorra, perché non conviene più controllare il territorio.
E non è più conveniente mantenere a stipendio centinaia di famiglie. Quindi permettono tutto questo, anzi, ne traggono beneficio: possono affidare loro mansioni, e di volta in volta decidere se usarli, abbandonarli, eliminarli o promuoverli. La sintesi più drammatica l’ha data un ragazzino di 14 anni arrestato a Napoli con quaranta dosi di cocaina. Alla domanda dei carabinieri sul suo comportamento, ha risposto: «Vado da Pomigliano a Castello di Cisterna per lavorare».
Quando gli hanno ricordato che quello non era un lavoro, ha precisato: «Non so fare altro che spacciare». Il fallimento della democrazia.
Roberto Saviano
(da fanpage)

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DAL VENETO ALLA CAMPANIA, LO SCONTRO INTERNO TRA FRATELLI D’ITALIA, LEGA E FORZA ITALIA ESPLODE ALLE REGIONALI, DOVE OGNI PARTITO FA A GARA PER SÉ E BATTERE GLI ALLEATI

Ottobre 17th, 2025 Riccardo Fucile

NELLA REGIONE DI ZAIA, I FRATELLI D’ITALIA ROSICANO PER AVER DOVUTO INGOIARE LA CANDIDATURA DEL LEGHISTA ALBERTO STEFANI, E TEMONO CHE IL TRAINO DEL “DOGE” CAPOLISTA FACCIA DIVENTARE LA LEGA PRIMO PARTITO (CON RICADUTA SUI POSTI IN GIUNTA)… IN CASO CONTRARIO, STEFANI SAREBBE COMMISSARIATO DAI MELONIANI

La pax romana ha portato ordine ai confini dell’impero del centrodestra ma, dal Veneto alla Campania fino alla Puglia, le regioni che andranno al voto il 23 e il 24 novembre sono in ebollizione. E non per gli avversari politici.
In ogni territorio lo scontro è tutto interno alla maggioranza di governo. È nato insieme alla scelta dei candidati presidente (fatta a Roma). E continuerà fino alla chiusura delle urne, quando si capirà chi ha vinto e chi ha perso.
La dimostrazione più plastica di questo scontro è stata la presentazione in Veneto della candidatura ufficiale del leghista
Alberto Stefani. Sul palco del palazzetto di Padova, avrebbero dovuto salire anche i rappresentanti di Forza Italia e Fratelli d’Italia, che invece hanno scientemente deciso di disertare l’evento.
«È stato il segnale per dire che abbiamo dovuto accettare il candidato leghista, ma che in campagna elettorale ognuno correrà per conto suo e i conti li faremo alla fine», è l’avvertimento di un dirigente di Fratelli d’Italia, che lascia trasparire tutta l’amarezza del suo partito a livello locale, dove FdI si è visto scippare la possibilità di esprimere il candidato presidente per non turbare troppo gli equilibri nazionali.
Il palco padovano è stato anche il giro d’onore per l’uscente Luca Zaia, che ha incassato cori e applausi più di chiunque altro e ha lasciato trasparire tutta la sua rabbiosa amarezza. Si candiderà in tutte le province, col motto minaccioso di «Dopo Zaia vota Zaia».
Un modo per dire che la sua stella si sta tutt’altro che spegnendo. Per lui il futuro è in via di definizione: presidente dell’Eni […], oppure suppletive per il posto di Stefani alla Camera e poi dritto verso un ruolo di governo come sottosegretario o viceministro.
Intanto la sua discesa in campo sta sconquassando gli equilibri nella Liga. «Con lui capolista e l’alternanza di genere, i candidati maschi verranno penalizzati, invece voleranno le donne che faranno il tandem con il presidente uscente», spiega una fonte leghista.
Senza contare che la composizione delle liste è una via crucis in cui molti uscenti rischiano di rimanere fuori e in cui si è inserito anche Roberto Vannacci, che ha già archiviato il flop toscano
«Senza di me la Lega magari sarebbe scesa all’1 per cento».
Il generale ha piazzato il suo uomo in Veneto, Stefano Valdegamberi, nella lista per il collegio di Verona, dove rischia anche di essere l’unico eletto del partito.
Nonostante Matteo Salvini abbia detto che la Lega punta a essere il primo partito in Veneto, tutti sanno che l’impresa è improba. La candidatura di Zaia porterà un 3 per cento in più ma non oltre, quindi la Lega al massimo arriverà al 15 per cento. Ben al di sotto di Fratelli d’Italia, i cui rappresentanti arriveranno in Consiglio incattiviti dalla mancata candidatura di un loro uomo a presidente e pronti a commissariare Stefani.
Risultato: «Sarà scontro tra Liga veneta e dinamiche romane, che stanno guidando la composizione delle liste», è pronto a scommettere un leghista della prima ora.
Altrettanto ingarbugliata è la situazione in Campania. Qui la Lega è rassegnata al terzo posto e lo scontro è tra Forza Italia, guidata dal potente eurodeputato Fulvio Martusciello, e Fratelli d’Italia che ha imposto il nome del viceministro Edmondo Cirielli.
In questi giorni a tenere banco è la candidatura dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano, da poco rientrato in Rai come corrispondente da Parigi ma tentato dalle sirene partenopee.
«Ha il diritto di essere candidato, anche io gliel’ho chiesto. Lui ha subito una prepotenza e credo che debba avere anche il diritto di mettersi in gioco», ha risposto Cirielli. Il diretto interessato negli ultimi giorni ha lasciato intendere di avere tutta l’intenzione di correre e fonti locali confermano che anche le grafiche per la campagna elettorale sarebbero già pronte
A mettere zizzania si è già imposta la nemesi di Sangiuliano e causa delle sue dimissioni, Maria Rosaria Boccia, che sarà candidata con la lista di Bandecchi. «Chi ha insistito di più per avermi? Forza Italia», ha detto sibillina a Un giorno da pecora. Ammettendo che sia vero, la cosa non stupirebbe: in regione è in corso uno scontro durissimo tra azzurri e meloniani.
«Al centro c’è spazio», ha ripetuto il vicepremier Antonio Tajani, e il suo partito sta puntando proprio a reclutare candidati tra i tanti che, dallo spazio riformista dell’uscente dem Vincenzo De Luca, non hanno gradito la candidatura a sinistra di Roberto Fico. L’obiettivo è quello di superare FdI, blindare il fortino elettorale al Sud e consolidare così il mutamento dei rapporti di forza tra i tre partiti del centrodestra.
(da Domani)

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L’INCONTRO TRUMP-PUTIN A BUDAPEST È L’ENNESIMO CHIODO SULLA BARA DELL’EUROPA: IL PREMIER UNGHERESE, VIKTOR ORBAN, È IL CAVALLO DI TROIA DI PUTIN NELL’UE

Ottobre 17th, 2025 Riccardo Fucile

SI È OPPOSTO AGLI AIUTI A KIEV, PROMETTENDO DI BLOCCARNE L’INGRESSO NELL’UNIONE, HA IGNORATO LE SANZIONI A MOSCA E IN QUESTI ANNI HA CONTINUATO AD ACQUISTARE PETROLIO RUSSO

L’annuncio di Donald Trump di voler incontrare Vladimir Putin a Budapest per discutere della guerra in Ucraina è stato accolto come un colpo doloroso in Europa.
Per il premier ungherese Viktor Orbán, invece, è una vittoria politica di enorme portata. Spesso deriso come l’alleato più vicino di Putin all’interno dell’Unione Europea, Orbán si è scontrato più volte con Volodymyr Zelensky e ha contestato duramente le sanzioni occidentali contro Mosca, definendo la guerra una causa persa per Kyiv e chiedendo con insistenza “negoziati immediati per la pace”.
Il rapporto tra i due leader è ormai glaciale: Orbán ha promesso di bloccare l’ingresso dell’Ucraina nell’UE, accusando il
governo di Zelensky di perseguitare la minoranza ungherese nel Paese. Dopo che, in agosto, un attacco ucraino ha colpito un oleodotto diretto in Ungheria, Budapest ha reagito avvicinandosi ulteriormente alla Russia.
Ma Orbán non ha mai interrotto i rapporti con Trump, al quale si legò sin dal primo mandato, diventando uno dei suoi più fedeli alleati internazionali anche durante il periodo di “esilio” politico tra le due presidenze. In quegli anni, mentre attaccava Joe Biden, Orbán divenne una figura di riferimento per i conservatori americani
Oggi Orbán si presenta come “campione della pace”, e il summit in Ungheria rappresenta per lui un enorme successo personale: un leader di un piccolo Paese da 9,5 milioni di abitanti che si ritrova a ospitare un incontro tra superpotenze.
È una notizia amara per Bruxelles, dove molti speravano che il premier potesse essere sconfitto alle prossime elezioni dal conservatore pro-UE Peter Magyar, attualmente in vantaggio nei sondaggi.
Orbán ha sempre amato il ruolo di “cattivo ragazzo” dell’Europa: ha fondato un’alleanza di partiti euroscettici per ridimensionare i poteri della Commissione, ha sfidato la giustizia europea sulle politiche anti-immigrazione e ha costruito zone di transito ai confini per bloccare i migranti.
Lo scorso anno ha infranto ogni tabù visitando Kyiv, Mosca e Pechino in una sua “missione di pace”, nonostante le proteste degli alleati UE, che hanno ribadito che non parlava a nome del blocco, pur detenendone la presidenza di turno
A Bruxelles avevano creduto di essersi vendicati quando, a
settembre, Trump aveva rimproverato l’UE per aver continuato ad acquistare petrolio russo: i diplomatici europei gli avevano ricordato che il principale cliente di Mosca era proprio l’Ungheria. Nonostante ciò, Budapest ha firmato un nuovo accordo energetico con la Russia, sostenendo di non avere alternative, ma di recente ha avviato colloqui con altri fornitori sotto la pressione di Washington.
La scelta di Budapest come sede del vertice ha tolto il sorriso all’Unione Europea, che si sente sempre più marginalizzata nei negoziati di pace su Ucraina e Medio Oriente. Per Kyiv è una ferita simbolica: nel Memorandum di Budapest del 1994, l’Ucraina rinunciò alle armi nucleari in cambio di garanzie di sovranità poi tradite dalla Russia.
La posizione ungherese è ulteriormente rafforzata dal fatto che Budapest ha annunciato il ritiro dalla Corte penale internazionale (CPI), dopo il mandato d’arresto emesso contro Benjamin Netanyahu. La CPI ha un mandato anche contro Putin, ma in Ungheria il leader russo non rischierebbe nulla: Orbán mantiene ottimi rapporti sia con Netanyahu che con Jair Bolsonaro, l’ex presidente brasiliano.
Così, un Paese isolato da gran parte dell’UE viene ora riportato al centro della scena da Trump, che considera l’Unione “nata per fregare gli Stati Uniti”.
Offrendo a Orbán il palcoscenico di un “summit di pace”, Trump non solo lo ricompensa per la fedeltà, ma promuove anche la sua strategia di “Maga globale”, con l’effetto collaterale – certamente voluto – di far infuriare le élite liberal di Bruxelles e oltre.
(da telegraph.co.)

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L’ORDIGNO ESPLOSO DAVANTI LA VILLETTA DI SIGFRIDO RANUCCI È STATO CONFEZIONATO DA POLVERE PIRICA PRESSATA

Ottobre 17th, 2025 Riccardo Fucile

L’ORDIGNO AVREBBE POTUTO PROVOCARE GRAVI FERITE NEL CASO QUALCUNO SI FOSSE TROVATO NELLE VICINANZE DELLE AUTO… E’ STATO LASCIATO TRA DUE VASI CON LA MICCIA ACCESA: RANUCCI ERA TORNATO A CASA CIRCA 20 MINUTI PRIMA DELL’ESPLOSIONE

Un’indagine per danneggiamento aggravato con metodo mafioso. Un ordigno artigianale confezionato con più di un chilo di polvere pirica, forse – come sembra emergere dai primi accertamenti – senza un timer.
Sono gli elementi al vaglio di chi indaga per individuare il responsabile dell’attentato al giornalista e ideatore della trasmissione Report Sigfrido Ranucci, che questa mattina si è recato dagli investigatori per sporgere denuncia.
La moglie alle 9.50 ha lasciato l’abitazione di famiglia, in località Campo Ascolano, vicino all’aeroporto militare di Pratica di Mare, per andare a fare la spesa.
La deflagrazione ha distrutto la sua auto, una Opel Adam, danneggiando quella della figlia parcheggiata accanto, una Ford Ka Plus, fuori dal cancello: l’ordigno sarebbe stato composto da polvere pirica pressata.
Sarà fondamentale a questo punto delle indagini capire se la «mano» che l’ha assemblata sia la stessa che ha prodotto altri ordini dello stesso genere usati dalla malavita negli ultimi tempi a Roma e provincia. Soprattutto sul litorale di Ostia e poi anche fra Acilia e Dragona, nonché ad Aprilia.
Un ordigno ad alto potenziale che avrebbe potuto provocare gravi ferite nel caso qualcuno si fosse trovato vicino alle auto o comunque anche a passare in strada. Gli artificieri dei carabinieri stanno analizzando i reperti raccolti la notte scorsa per capire se la bomba sia stata innescata con una miccia oppure avesse un timer: particolare quest’ultimo che innalzerebbe il livello dell’attentato ancora di più.
I primi accertamenti fanno pensare che l’ordigno non sia stato azionato a distanza, con un timer: sembra stato lasciato, presumibilmente con la miccia accesa, tra due vasi esterni alla villetta.
Sempre secondo una prima ricostruzione, Ranucci è tornato a casa circa 20 minuti prima dell’esplosione mentre, come lui stesso ha dichiarato, la sua auto era parcheggiata dall’ora di pranzo proprio davanti a una villetta a due piani ed è rimasta danneggiata nella parte anteriore.
Lungo il marciapiede, proprio in quel tratto di strada, non si vedono telecamere di vigilanza, nemmeno sui cancelli delle villette accanto. Unico impianto a circa 50 metri dalla casa del giornalista è quello per rilevare la velocità dei veicoli in cima a un semaforo pedonale che in campo lungo riprende anche l’abitazione Ranucci. Gli inquirenti stanno cercando di capire se può aver immortalato il momento cui l’ordigno è stato lasciato.
La dinamica dell’attentato può far pensare, ma anche su questo punto sono in corso indagini, che l’autore, o gli autori, abbiano effettuato una serie di appuntamenti prima di entrare in azione, per conoscere le abitudini e gli orari di Ranucci e della sua famiglia. Chi ha piazzato l’ordigno davanti al cancello alto meno di due metri, potrebbe aver atteso che la scorta personale del giornalista si allontanasse prima di entrare in azione.
Una protezione che segue l’ideatore di Report, più volte minacciato anche di recente per le sue inchieste, anche con la ricezione di proiettili calibro 38, ma che si ferma una volta entrato nella sua abitazione. E non sembra sia presente una
vigilanza esterna durante la sua permanenza in casa. Uno scenario ora al vaglio di chi sta effettuando accertamenti su quanto accaduto.
(da Corriere della Sera)

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L’INFETTIVOLOGO BASSETTI: “VIETARE L’EDUCAZIONE SESSUALE ALLE MEDIE E’ ANTISCIENTIFICO”

Ottobre 17th, 2025 Riccardo Fucile

“POI NON STUPIAMOCI SE LE INFEZIONI SESSUALMENTE TRASMESSE SONO COSI’ DIFFUSE TRA I GIOVANI”

«C’è una nuova legge in Italia che vieta di parlare di educazione sessuale alle scuole medie. Si tratta di un tabù di una parte politica, che va contro ogni evidenza scientifica. Non c’è da stupirsi quindi se le infezioni sessualmente trasmesse siano così
diffuse, soprattutto tra i più giovani nel nostro paese. Mentre nel resto d’Europa si regalano i preservativi, la nostra scuola guarda al futuro con spirito medioevale»: così il professor Matteo Bassetti, in un post pubblicato sui suoi profili social, commenta la notizia dell’emendamento approvato il 15 ottobre dalla Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera, che in questi giorni sta esaminando il disegno di legge sul consenso informato in ambito scolastico.L’emendamento proposto dalla Lega prevede che sino alle scuole superiori non si possano svolgere attività a scuola relative alla sessualità. Per il professore, primario di Malattie infettive a Genova e coordinatore del Consiglio della Sanità ligure, si tratta di una scelta oscurantista proprio per la mancanza di informazioni sulle malattie veneree tra i più giovani.
(da agenzie)

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