Destra di Popolo.net

RIETI, SI INDAGA SU DIECI INDIVIDUI, ALCUNI LEGATI AD AMBIENTI DI ESTREMA DESTRA, NELLE CHAT L’ORGANIZZAZIONE DELL’ASSALTO PREMEDITATO AL PULMANN

Ottobre 20th, 2025 Riccardo Fucile

UNA COSA QUESTI RIFIUTI UMANI DEVONO SAPERE: UN REGIME DI DESTRA VI METTEREBBE UNA CORDA AL COLLO IN DIRETTA TV A RETI UNIFICATE

Sarebbero stati almeno in tre ad organizzare l’assalto al pullman dei tifosi del Pistoia 2000 in cui è morto l’autista Raffaele Marianella. In alcune chat Whatsapp si farebbe riferimento a una ‘missione punitiva’ organizzata proprio da tre individui interni alla Curva Terminillo, il settore del PalaSojourner di Rieti che ospita il tifo più caldo della Real Sebastiani. La loro posizione è al vaglio del pubblico ministero Lorenzo Francia e degli investigatori della squadra mobile e della digos.
Sulla morte di Raffaele Marianella s’indaga per omicidio volontario
A segnalarlo è l’agenzia Ansa, secondo cui tra i sospettati di aver lanciato il sasso che ha ucciso Marianella ci sarebbero anche personaggi legati a movimenti di estrema destra. Non è ancora
chiaro se e a quale gruppo della curva appartenessero gli assalitori. La tifoseria della Sebastiani Rieti è nemica di quella di Pistoia secondo la logica de ‘l’amico del mio nemico è mio nemico’: i pistoiesi, infatti, sono gemellati con i tifosi di Cento, che sono rivali di Scafati, a loro volta gemellati proprio con i gruppi della Terminillo.
Durante la partita, come riferito a Fanpage.it da alcuni spettatori, non ci sono stati tafferugli o disordini. Solo lanci di cori da una parte e dall’altra. Dopo che la procura ha aperto un’indagine per omicidio volontario, la polizia ha interrogatouna decina di tifosi della Real Sebastiani Rieti, ma non è ancora chiaro se fra questi ci fossero i tre la cui posizione si potrebbe aggravare nelle prossime ore.
Il pullman con a bordo quarantacinque tifosi del Pistoia 2000 doveva rientrare in Toscana ed è partito sulla superstrada Rieti-Terni scortato dalle forze dell’ordine per un certo tratto. Subito dopo che la scorta ha lasciato il bus, intorno alle 21 all’altezza dell’uscita per Contigliano è scattato l’assalto. Il mezzo stava viaggiando a circa 90 chilometri orari quando il parabrezza è stato colpito da due grosse pietre. Una ha colpito, senza romperlo, il vetro sul lato del conducendo, l’altra lo ha frantumato in corrispondenza del posto dell’autista accompagnatore dove era seduto Raffaele Marianella.
I tentativi di rianimazione da parte dei soccorritori sono durati circa mezz’ora, ma non c’è stato niente da fare. L’uomo era deceduto sul colpo. Sono rimasti illesi i passeggeri. Raffaele Marianella aveva 65 anni, era di origine romana ma viveva a Firenze. Era un autista dipendente della Jimmy Travel, azienda
che spesso portava i tifosi di Pistoia in giro per l’Italia in occasione delle trasferte. È morto quando gli mancava circa un mese alla pensione.
(da agenzie)

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IN CISGIORDANIA, UN COLONO ISRAELIANO HA AGGREDITO A BASTONATE UN’ANZIANA PALESTINESE CHE STAVA RACCOGLIENDO LE OLIVE NEL TERRENO DI FAMIGLIA:

Ottobre 20th, 2025 Riccardo Fucile

NONOSTANTE LA TREGUA, I COLONI CONTINUANO A DELINQUERE SOTTO LA PROTEZIONE DELL’ESERCITO DELLO STATO EBRAICO: NEGLI ULTIMI DUE ANNI, HANNO COMPIUTO 7.154 ATTACCHI CONTRO GLI ABITANTI DELLA CISGIORDANIA E CONTRO LE LORO PROPRIETÀ, UCCIDENDO 33 PERSONE E COSTRINGENDO 33 COMUNITÀ A SFOLLARE

Un foulard nero gli copre il volto. Il bastone, invece, è ben visibile. Il giovane ragazzo, che è un colono, viene filmato mentre sferra colpi su un’anziana che sta raccogliendo le olive nel terreno di famiglia. La donna si accascia a terra e viene trasportata in ospedale d’urgenza con un’emorragia cerebrale. Altre due persone vengono ferite: un palestinese e un cittadino straniero, uno degli attivisti venuti a proteggere queste famiglie. Siamo nel villaggio di Turmusaya, poco fuori Ramallah.
Ogni giorno, in Cisgiordania, si segnalano imboscate, in alcuni casi protette dall’esercito, contro i palestinesi che, nonostante la minaccia, vanno nei campi per difendere i loro frutti e i loro diritti.
L’Anp descrive il raccolto di quest’anno come il più pericoloso degli ultimi decenni: sono stati sradicati, spezzati o danneggiati 48.728 alberi, tra cui 37.237 ulivi. In questi 24 mesi di guerra, i coloni hanno compiuto 7.154 attacchi contro gli abitanti della Cisgiordania e contro le loro proprietà, uccidendo 33 persone e costringendo 33 comunità beduine a sfollare.
(da Corriere della Sera)

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IL CARROCCIO ALLA RESA DEI CONTI, DOMANI AL CONSIGLIO FEDERALE DELLA LEGA CI SARANNO DUE MINE PRONTE A ESPLODERE: I “NODI” VANNACCI E ZAIA

Ottobre 20th, 2025 Riccardo Fucile

DOPO LA DISFATTA DEL PARTITO IN TOSCANA, SCATTERÀ IL PROCESSO AL GENERALE, L’ALA NORDISTA PRETENDE CHE VANNACCI CHIUDA I SUOI “TEAM” E PAGHI LE QUOTE COME TUTTI I MILITANTI… ZAIA NON SARÀ PRESENTE AL CONSIGLIO: È FURIOSO PERCHÉ, DOPO AVER RINUNCIATO ALLA SUA LISTA ALLE PROSSIME REGIONALI, SI È VISTO NEGARE ANCHE IL NOME ACCANTO AL SIMBOLO LEGHISTA 

L’appuntamento è per domani in via Bellerio a Milano, come ai vecchi tempi, come nelle grandi occasioni. Al Consiglio federale della Lega ci si arriva dopo la disfatta toscana, che non è un flop come gli altri: quell’elezione se l’era intestata Roberto Vannacci, il vicesegretario diventato tale senza neanche passare dal via,
facendo a sportellate con tutta la vecchia guardia. Il quale quindi rischia di finire sul banco degli imputati, e indirettamente anche Matteo Salvini che gli ha lasciato carta bianca.
Luca Zaia ha fatto sapere che non ci sarà, né in presenza né in collegamento. Ufficialmente, altri impegni. Ma è un segnale inequivocabile. Il presidente uscente del Veneto è nero: non solo la Lega non si è spesa più di tanto per trovare il modo di farlo ricandidare per il quarto mandato, non solo non gli hanno fatto fare la lista a suo nome, ma nemmeno nel simbolo del partito alle regionali ci sarà scritto “Zaia”.
E anche se andrà capolista dappertutto per il Carroccio alle regionali, pronto a fare il pieno di preferenze, sarà uno smacco per chi, come lui, ha amministrato per 15 anni la Regione a suon di voti.
Altro nodo in quella che si preannuncia come una seduta ad alta tensione, la richiesta rivolta al segretario federale e vicepremier da parte di esponenti dell’ala “nordista”.
Ed è questo: porre il generale in pensione davanti a un bivio. O fa il vicesegretario del partito — magari versando la propria quota di contribuzione alla Lega come fanno tutti — oppure coltiva la struttura parallela dei team Vannacci e del Mondo al contrario, un “movimento” sin dalla denominazione e che oggi funge da corrente a sé, perdipiù esterna. Richiesta non semplice da esaudire per Vannacci: la sede della sua “associazione politica e culturale” è a Viareggio, a casa dell’ex militare.
L’incompatibilità dei due ruoli è evidente ai più, ma finora Salvini si è girato dall’altra parte, per timore di perdere i voti dell’europarlamentare. Anche se la sua stella, dopo il pessimo
risultato in Toscana, si è ora offuscata.
C’è un fatto di una decina di giorni fa che racconta bene le frizioni: i team Vannacci di Varese, Como, Novara e Monza avevano organizzato un’iniziativa con la presenza proprio di Vannacci nel Varesotto. Solo che dalla Lega locale hanno stoppato tutto: l’organizzazione degli eventi pubblici con lui deve passare obbligatoriamente dal partito. Risposta dei team: allora annulliamo tutto.
Tra i fan dell’ex comandante della Folgore c’è un certo scoramento: il Perbenista racconta che domani l’ex senatore leghista Umberto Fusco annuncerà la soppressione di Noi con Vannacci, sigla che lo scorso anno organizzò la prima festa nazionale di un partito mai nato.
(da La Repubblica)

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IL VERO “PRO-CONSOLE” DI GAZA NON È TONY BLAIR MA JARED KUSHNER: IL GENERO DI TRUMP È LA MENTE DIETRO AL CESSATE IL FUOCO: NON È SPINTO DA NOBILI SENTIMENTI, MA DALLA FORZA DEL DENARO

Ottobre 20th, 2025 Riccardo Fucile

LA SUA SOCIETÀ, AFFINITY PARTNERS, FA BUSINESS MILIARDARI GRAZIE AI FONDI DEI PAESI ARABI. COMPRESO IL GRANDE PROTETTORE DI HAMAS, IL QATAR, CHE NEL 2018 SALVÒ JARED CON 1,1 MILIARDI DI LIQUIDITÀ

Come sarebbe la Storia del Medio Oriente se Ivanka Trump avesse sposato Tom Brady, leggenda fra i quarterback del football, anziché Jared Kushner, architetto degli Accordi di Abramo e del recente accordo su Gaza?
Nel 2018 Donald Trump, allora presidente, si lamentò con i suoi consiglieri perché Ivanka e Tom non avevano legato – in passato – così tanto e lui ora si trovava con un genero come Kushner, calamita di pessima pubblicità.
Nell’agosto di quell’anno sulla testa di Jared pendevano sospetti per un maxi investimento dal Qatar grazie al quale la società immobiliare di famiglia avrebbe estinto la posizione debitoria originatasi da quello che a New York ricordano come uno dei più grandi flop immobiliari: nel 2007 Jared investì 1,8 miliardi di
dollari per un palazzo di 41 piani al 666 Fifth Avenue di New York.
La bolla immobiliare esplose lasciando Jared con un’esposizione mostruosa. Dieci anni dopo un fondo di investimento qatariota salvò i Kushner con 1,1 miliardi. La cattiva pubblicità nasceva dal fatto che – come rivelato dalla Nbc – alcuni funzionari del Qatar ritenevano che quel salvataggio fosse stato estorto dall’Amministrazione Trump.
Gli Usa avevano infatti sostenuto il blocco economico saudita del 2017 contro Doha proprio – la tesi di alcuni funzionari qatarioti – per spingere il Qatar a coprire l’esposizione dei Kushner. Jared ha stretto un legame molto solido sin dal 2017 con Mohammed Bin Salman.
Jared Kushner ha navigato lontano dai radar per anni, salvo tornare sotto i riflettori per l’intesa su Gaza. Proveniente da una famiglia di ebrei ortodossi del New Jersey, Jared è un immobiliarista diventato finanziere e “diplomatico”. Attualmente collabora con l’Amministrazione ma non ha alcun incarico ufficiale.
Nel primo tour alla White House Jared era ufficialmente nel team. Significa che su di lui era stato un vetting, doveva rispettare regole, svelare rendiconti economici, potenziali conflitti di interesse. Questa volta invece Jared Kushner, ora 44enne, è una sorta di volontario della diplomazia.
Chi controlla che non vi siano in gioco interessi economici nel deal su Gaza e in altri ricaschi mediorientali?
Domanda quantomeno lecita se si ricorda che nel 2021 Kushner ha fondato Affinity Partners. Il rendiconto depositato alla Sec e
risalente al marzo del 2024 dice che il 99% degli investitori è straniero.
Il grosso dei flussi viene da Emirati Arabi Uniti, Qatar e Arabia Saudita. Riad ha investito 2 miliardi (dei 620 miliardi totali del fondo PIF c’è da dire). Operazione osteggiata da Andrew Liveris, australiano e membro del board di PIF. Sollevò dubbi sull’esperienza nel mondo finanziario del genero dell’ex presidente. Mohammed Bin Salman, principe saudita, tirò dritto con il maxi stanziamento.
C’è poi la quota di Terry Gou che fu il fondatore della taiwanese Foxconn.
Ogni anno la società incassa fees per 40 milioni di dollari indipendentemente dalla resa degli investimenti.
Nel marzo del 2022, prima rendicontazione alla Sec (l’ente che regola Wall Street), Affinity Partners aveva raccolto 2,54 miliardi. L’anno seguente non ci sono nuovi investimenti ma perdite. Il vento è cambiato quando Donald Trump è tornato in odore di presidenza. Attualmente Affinity può contare su oltre 4,8 miliardi di dollari.
La potenza di investimento è però più alta. Quando i fondi di private equity investono, di solito si indebitano fino all’80% del valore totale dell’operazione. Quindi, la vera cifra a disposizione di Kushner non è 4,8 miliardi di dollari (il capitale proprio, cioè l’equity), ma piuttosto circa 25 miliardi di dollari: cioè la “potenza di fuoco” complessiva che può raccogliere aggiungendo il debito a quel capitale.
L’idea della Riviera a Gaza con deportazione dei gazawi ha in Jared parte dell’origine: parlando ad Harvard nel febbraio del
2024 disse che se «fosse nei governanti di Israele spianerei qualcosa nel deserto del Negev e ci porterei i palestinesi». E sulla riviera nella Striscia si era espresso parlando di un grande valore immobiliare
(da agenzie)

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L’INCONTRO CON ZELENSKY, VENERDÌ, È ANDATO MALISSIMO: C’È STATA UNA “LITE FURIBONDA” QUANDO IL TYCOON HA INTIMATO A ZELENSKY DI CEDERE ALLE RICHIESTE DI PUTIN, CONSEGNANDOGLI IL DONETSK IN CAMBIO DI PICCOLE AREE DELLE REGIONI DI KHERSON E ZAPORIZHZHIA

Ottobre 20th, 2025 Riccardo Fucile

ZELENSKY HA SBATTUTO I PUGNI SUL TAVOLO E SONO VOLATE LE MAPPE

Non sono volati gli stracci ma le mappe. Una «lite furibonda», l’ultimo colloquio tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky in cui, secondo il Financial Times , al leader di Kiev sarebbe stato intimato di cedere alle richieste di Putin, ossia consegnargli il Donetsk in cambio di alcune piccole aree delle due regioni meridionali di Kherson e Zaporizhzhia, pena il rischio di finire «distrutto».
Per terra — scrive ancora il quotidiano britannico — sarebbero volate le carte militari del fronte che Zelensky ha mostrato a Trump. Momenti di tensione estrema, già acuita dall’ennesima
giravolta del leader statunitense che, poche ore prima del faccia a faccia con il suo alleato, ha deciso di tenere una nuova telefonata fiume con Putin e ha annunciato al mondo un nuovo vertice con lo zar a Budapest, concedendo al presidente russo un nuovo palcoscenico.
A far cambiare di nuovo idea al tycoon, che meno di un mese fa a New York prometteva agli ucraini i missili a lungo raggio Tomahawk e annunciava al mondo come fosse possibile per Kiev riprendersi i territori occupati, le argomentazioni dello zar ripetute a Zelensky in una predica che ha compreso la definizione di «operazione speciale» che il Cremlino usa per definire l’invasione.
Il presidente ucraino avrebbe provato a limitare i danni di un incontro teso quasi quanto quello di febbraio nello Studio Ovale, ma ne sarebbe uscito «molto negativo».
(da agenzie)

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NEL VIDEO-MESSAGGIO SPEDITO ALLA FONDAZIONE DEGLI ITALO-AMERICANI “NIAF”, TRUMP RILANCIA UN FILMATO CLAMOROSO, CHE METTE IN SERISSIMO IMBARAZZO GIORGIA MELONI

Ottobre 20th, 2025 Riccardo Fucile

NEL VIDEO, STRUTTURATO COME UN SERVIZIO DI TELEGIORNALE, SI SOSTIENE CHE GIORGIA MELONI ABBIA DECISO DI ROMPERE CON L’UE SUI DAZI, E CHE STIA CERCANDO UN ACCORDO BILATERALE CON GLI STATI UNITI… NON SOLO: LA DUCETTA AVREBBE ANNUNCIATO AL TYCOON DI VOLER TAGLIARE GLI AIUTI ALL’UCRAINA. L’OPPOSTO DELLA LINEA PORTATA AVANTI UFFICIALMENTE DALLA PREMIER IN QUESTI ANNI

Mentre Giorgia Meloni sfrutta il video-messaggio spedito alla National Italian American Foundation per bersagliare di nuovo la «cultura woke», che punterebbe a dividere Italia e Usa, un altro clamoroso filmato, rilanciato ieri direttamente da Donald Trump, sul suo social Truth, mette in serio imbarazzo Palazzo Chigi.
Non è il video pubblicizzato ieri dagli account vicini a FdI, il famoso comizio di «Yo soy Giorgia», gradito anche all’inquilino della Casa bianca. Negli stessi minuti, quando in Italia erano le 4 di notte, Trump reposta anche il video di un account Maga, nome
“LynneP”, in cui si sostiene che Meloni abbia deciso di rompere con l’Ue sui dazi, di cercare un accordo bilaterale Italia-Usa, che avrebbe già l’approvazione di The Donald. E che la premier, in un colloquio riservato con lo stesso Trump, gli avrebbe annunciato di voler tagliare gli aiuti all’Ucraina.
Nessuna di queste prese di posizione è mai stata avvalorata da Meloni pubblicamente. Anzi: sui dazi, ha sempre dichiarato che la trattativa è in capo all’Ue. E quanto a Kiev, non ha mai annunciato passi indietro. Il filmato rilanciato ieri dal presidente degli Stati Uniti sostiene l’opposto.
È confezionato come un servizio televisivo: «Breaking news», si sente in apertura. «Meloni ha annunciato che l’Italia ignorerà l’accordo dell’Ue sui dazi e che concluderà un accordo diretto con l’amministrazione Trump», pronta «ad andare da sola». Una mossa che il filmato definisce «sbalorditiva», un «terremoto per Bruxelles», visto che le regole comunitarie «vietano intese bilaterali».
Lo stesso video riporta alcune affermazioni che Meloni avrebbe fatto «in un incontro privato con Trump», a cui avrebbe detto di voler «fare il meglio per l’Italia, non per l’Ue». Trump invece avrebbe garantito che Italia e Usa troveranno «al 100% un accordo commerciale».
Nello stesso filmato si sostiene che Meloni avrebbe detto di essere pronta a «ridimensionare il supporto all’Ucraina», peraltro in un frangente delicato: la Lega vuole evitare di inserire riferimenti al 19esimo pacchetto di sanzioni Ue contro Mosca in vista della risoluzione che sarà votata mercoledì dalle Camere. Il tweet ripostato da Trump, a differenza di altri, non è goliardico.
Anzi, è un elogio: «Bravo, Meloni! Mossa brillante».
Contattato da Repubblica, Palazzo Chigi fino a ieri non ha preso posizione
(da Repubblica)

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L’EUROPARLAMENTARE DEL M5S MARIO FURORE SI GODE UNA GITA A PARIGI E MOSTRA ORGOGLIOSO LE SUE BORSE PRADA: UN TEMPO FACEVA IL PORTABORSE (NON DI PRADA) E OGGI INVECE, GRAZIE AL LAUTO STIPENDIO DA DEPUTATO UE, SFOGGIA ACCESSORI DA OLTRE MILLE EURO

Ottobre 20th, 2025 Riccardo Fucile

IL TUTTO CON POSE E FOTO DA INFLUENCER: NIENTE DI MALE, SE NON SI TRATTASSE DI UN RAPPRESENTANTE DEL MOVIMENTO CHE DICE DI BATTERSI PER IL SALARIO MINIMO E I PIÙ POVERI, E CHE IL FONDATORE, BEPPE GRILLO, DEFINIVA “FRANCESCANO”… DOPO L’ARTICOLO FURORE CANCELLA LE FOTO DA INSTAGRAM

L’europarlamentare del M5S Mario Furore si gode una gita a Parigi, mostrando orgoglioso le sue borse Prada.
Un tempo faceva il portaborse, ma non di Prada (dal 2015 al 2019 è stato collaboratore, in Puglia, della consigliera regionale Rosa Barone) e oggi invece, grazie al lauto stipendio da europarlamentare, sfoggia accessori da oltre mille euro.
Foto e pose da influencer: niente di male, se non fosse che parliamo di un rappresentante del Movimento che dice di battersi per il salario minimo e per i più poveri. Lussi e lazzi, ristoranti esclusivi e borse griffate, quando si tratta di politica, sono sempre un boomerang. Se si tratta di un parlamentare del Movimento che il suo fondatore definiva “francescano” ancora di più…
Dopo l’articolo di Dagospia sulla sua gita a Parigi con borse Prada, l’eurodeputato M5S Mario Furore ha cancellato il carosello di foto parigine da Instagram Come mai? Se n’è improvvisamente vergognato o glielo ha ordinato Conte?

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CHE FINE POTREBBE FARE “L’INESTIMABILE” REFURTIVA RUBATA AL LOUVRE? SE NON VERRANNO TROVATI DALLA POLIZIA, È POSSIBILE CHE I DIAMANTI DI NAPOLEONE FINISCANO NEL SALOTTO DI QUALCHE MILIARDARIO IN CINA, RUSSIA O STATI UNITI

Ottobre 20th, 2025 Riccardo Fucile

PRIMA DI VENDERE IL BOTTINO, LA BANDA ASPETTERA’ QUALCHE SETTIMANA MA È POSSIBILE CHE RICEVERA’ “SOLO” POCHE CENTINAIA DI MIGLIAIA DI EURO: NULLA IN CONFRONTO AL REALE VALORE DELLA MERCE, CHE SARA’ VENDUTA DA INTERMEDIARI ESPERTI

Un basista, certamente. Un gruppo di criminali locali che hanno fiutato un’occasione ghiotta. Un primo rapido passaggio di mano per un valore enormemente più basso di quello reale degli oggetti sottratti e diverse altre cessioni per canali già rodati, che
velocemente porteranno all’estero la preziosa refurtiva il cui valore sul mercato andrà via via crescendo in mano a mercanti d’arte in grado di piazzarla negli Stati Uniti, in Russia o in Cina dove di clienti disposti a pagare svariati milioni di euro per un singolo pezzo che nessun altro collezionista ha ce ne sono e parecchi.
Sicuramente il colpo al Louvre non è su commissione, ragiona con Repubblica un investigatore specializzato nella caccia ai tesori dell’arte rubata. «I furti su commissione — spiega — tutt’al più avvengono da collezionista a collezionista, assai improbabile che qualcuno chieda di rubare delle opere che stanno in un museo come il Louvre».
Ma che tipo di mercato possono avere i gioielli di Napoleone? Quanto può essere fattibile piazzare oggetti così a cui gli investigatori di mezzo mondo daranno la caccia? «Per quanto strano possa sembrare — ci dice l’investigatore — il furto potrebbe essere opera di una banda che conosce bene i luoghi, che ha potuto contare su una talpa interna e che quasi certamente non sarà la stessa che proverà a piazzare i gioielli sul mercato.
Di più: l’esperienza in questo campo ci dice che è probabile che per un paio di giorni staranno fermi, ma poi — per non correre troppi rischi — avranno fretta di disfarsi della refurtiva. E non deve stupire che questa avvenga per un compenso di qualche centinaia di migliaia di euro, irrisorio rispetto al valore reale. Ma alla fine fare un furto in un museo, anche se è il Louvre, è assai meno rischioso che rapinare una banca o assaltare un portavalori».
Parte complessa di un colpo di questo tipo, racconta chi cerca di acciuffare i ladri di quadri e gioielli rinomati, è smaltire la merce. Alcuni furti, pianificati nei minimi dettagli, dallo studio delle piantine dello stabile che si vuole assaltare e dei sistemi d’allarme e delle vie di fuga, sono su commissione. E generalmente, così raccontano le inchieste, hanno un complice all’interno.
Un alleato che al momento giusto disattiva gli impianti di sicurezza o si dimentica di chiudere un ingresso o fornisce quel codice della cassaforte considerata inespugnabile. Ci sono poi le bande di ladri specializzati. «Colpi del genere non si improvvisano», spiegano gli investigatori. Le bande rubano e poi vendono.
Il tempo è un fattore importante. Tra il furto e lo smercio devono passare alcune settimane, il cosiddetto “periodo di immersione”. Nei giorni successivi al colpo, infatti, l’attenzione delle forze dell’ordine è massima. Poi si pensa a vendere.
Piazza tradizionale è quella del mercato nero, dove si incrociano gli interessi di criminali e di collezionisti internazionali senza scrupoli. La parola d’ordine è l’anonimato. Per chi vende, ça va sans dire, e per chi acquista. Nessuno chiede l’origine delle opere d’arte o dei gioielli o delle statue o dei monili. I certificati di autenticità? Si può soprassedere. C’è poi il deep web, diventato una sorta di isola di Tortuga per le attività criminali.
E se la merce rubata non viene venduta nei primi mesi? Magari è qualcosa che «scotta troppo», per dirla in gergo criminale, o è qualcosa che ha poca domanda. In questi casi si può aspettare anche dieci o quindici anni per poi provare a smerciare i quadri, i gioielli, gli arazzi sui siti online e le case d’asta, presentandole come copie d’autore. E c’è chi porta qualcosa anche ai mercatini.
Gli investigatori del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, nato il 3 maggio 1969, un anno prima della convenzione Unesco di Parigi, monitorano il web 24 ore su 24, in continuo contatto con la banca dati Leonardo che ha in elenco oltre un milione trecentomila reperti in fase di ricerca. E gli scambi di informazioni sono sempre attivi anche con la banca dati Interpol.
La criminalità organizzata va controcorrente e all’arte preferisce stupefacenti e appalti. Quando i quadri diventano interessanti per i clan? C’è un episodio significativo più di altri. Un’opera di Banksy, artista britannico tra i maggiori esponenti della street art, venduta nel nord Italia per pagare un debito di droga. Insomma: l’arte, per le cosche, è strumento di riciclaggio
(da agenzie)

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LA TRAPPOLA DI ISRAELE E LA FINE DELLA TREGUA

Ottobre 20th, 2025 Riccardo Fucile

ANCORA BOMBE SU GAZA

Che potesse essere una trappola, era fin troppo evidente. Eppure i proclami e le annunciazioni in pompa magna, con auto-candidature al Premio Nobel per la Pace, facevano sperare che questo cessate il fuoco potesse durare quanto meno un po’ di più. Invece, l’interruzione è arrivata puntuale, innescata, a detta di Tel Aviv, da un’accusa di fuoco di Hamas contro un mezzo israeliano a Rafah. L’accaduto è avvenuto proprio nel momento in cui la controparte palestinese aveva consegnato gli ostaggi, sia vivi che i resti mortali, fino ad arrivare ai pezzi di corpi per il riconoscimento del DNA. Una volta esaurito il “bottino” negoziale, il premier Netanyahu ha trovato il pretesto per riprendere la via militare.
Da giorni, gli aiuti umanitari sono bloccati, rendendo di fatto Israele il primo a violare l’accordo. L’operazione militare israeliana è, di fatto, tornata pienamente operativa, con bombardamenti aerei e terrestri che hanno già ucciso diversi civili. Ciò avviene nonostante gran parte della popolazione sfollata sia tornata nel nord della Striscia per la seconda volta nel giro di meno di dieci mesi. Le minacce si sono fatte subito esplicite: Trump ha avvertito che, in caso di mancato rispetto del cessate il fuoco, la reazione sarà “dura”, mentre Netanyahu ha
ribadito la necessità dell’utilizzo della forza.
Che fosse una tregua difficile da rispettare e un accordo complicato da portare avanti era lampante. Anche la mossa di indicare Hamas come forza di polizia interna era risultata strana e infatti nell’opinione pubblica dopo il regolamento di conti con le bande criminali sostenute da Israele, i palestinesi avevano smesso di essere tutti miliziani di Hamas per essere considerati, in questo caso si, civili inermi che venivano uccisi dai cattivi islamisti con le preoccupazioni degli stessi che avevano consentito queste rappresaglie e che avevano negato il genocidio fino al giorno precedente.
Molti analisti avevano parlato di una “Fase 1” completata e di una successiva “Fase 2” che, esattamente come pochi mesi fa, non sarebbe stata rispettata da Israele. Invece, tutto è finito molto prima: aiuti umanitari bloccati da giorni e bombardamenti immediatamente ripresi.
A incombere, ora, è la minaccia rappresentata dai coloni che premono lungo il confine con la Striscia di Gaza, pronti a rientrare per colonizzare l’enclave, come accadeva fino al 2005 prima del ritiro unilaterale delle colonie voluto da Ariel Sharon. Questa è un’occasione troppo ghiotta per quella destra religiosa e suprematista che fa parte del governo e che aveva dichiarato sin da subito l’opposizione all’accordo e alla pace.
Sicuramente la liberazione di quasi 2000 prigionieri palestinesi, detenuti per lo più in via illegale da parte di Israele, è stato un fattore positivo. Al tempo stesso, però, quanto sta avvenendo in Cisgiordania conferma che Tel Aviv non intende terminare l’occupazione – tema, del resto, totalmente assente dai negoziati
– e che lo Stato palestinese rimane un miraggio, oggi come mesi o anni fa.
L’arresto e l’uccisione di bambini, come l’undicenne colpito mentre giocava a calcio, i rastrellamenti continui e le provocazioni dei coloni a danno dei palestinesi che vivono sulla loro terra, indicano una sola, drammatica, direzione: l’annessione della Cisgiordania e l’occupazione totale della Striscia di Gaza.
Tutto ciò avviene con il tacito, o esplicito, benestare degli Stati Uniti di Donald Trump, che hanno più volte dichiarato di essere al fianco di Israele, estromettendo di fatto il popolo palestinese da ogni processo decisionale, non essendosi mai parlato di elezioni o di uno Stato durante questo cessate il fuoco.
Cosa farà adesso quella comunità internazionale tronfia, presente in massa solo per la photo opportunity o per ingenua convinzione, nel momento in cui Israele riprende con forza i bombardamenti e l’operazione militare? Penso anche al nostro governo, a Giorgia Meloni e Antonio Tajani, che accusavano i manifestanti di non volere la pace, mentre il loro silenzio, ovvero l’appoggio incondizionato a Trump e Netanyahu, ha contribuito unicamente a salire sul “carro del vincitore”. Hanno firmato accordi per il gas e la ricostruzione, hanno festeggiato con le aziende pubbliche e private che faranno affari ma quel carro ha già perso una ruota, ne resta un’altra trainata da cavalli in estrema difficoltà.
L’altra ruota, quella dell’occupazione militare, sta per cedere. Ieri, il 53% dell’area concordata della Striscia di Gaza era già sotto il controllo israeliano. Domani potrà essere di più. A quel punto si tornerà a due settimane fa, a prima dell’accordo e,
soprattutto, al genocidio senza sosta nella Striscia.
Come abbiamo sempre sostenuto, questo accordo non poneva fine a nulla. Finché non cesserà l’occupazione e finché non ci sarà un vero Stato di Palestina, tutto questo non potrà interrompersi. Purtroppo, e fa male dirlo, avevamo ragione.

(da agenzie)

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