Dicembre 9th, 2025 Riccardo Fucile
TRUMP VUOLE CHE KIEV ACCETTI LE PERDITE TERRITORIALI, ZELENSKY DICE NO, L’EUROPA CON L’UCRAINA… EMERGE LA COMPLICITA’ TRA DUE CRIMINALI CHE PENSANO CHE AL MONDO NON ESISTANO VERI PATRIOTI MA SOLO SERVI
L’incontro a Londra con Merz, Starmer e Macron è un inutile tentativo di
guadagnaretempo. E Volodymyr Zelensky farebbe meglio a firmare il piano di pace tra Ucraina e Russia proposto da Donald Trump. Il presidente ucraino si trova ad affrontare crescenti pressioni da parte degli Stati Uniti. Washington vuole che Kiev accetti le perdite territoriali e le altre concessioni previste dall’accordo. E, fa sapere Axios, in questo momento la pressione su di lui è maggiore rispetto a quella su Vladimir Putin. Intanto si fa strada l’ipotesi di un Donbass demilitarizzato e sotto tutela Onu. Un modo per l’Ucraina di accettare la proposta russa ma senza cedere territorio. La soluzione però non convince né la Russia né gli Usa.
Zelensky e l’Europa
Ieri a Londra gli alleati europei hanno espresso solidarietà a Zelensky, il quale ha ricordato di non avere «alcun diritto» di cedere alla Russia i territori rivendicati da Mosca. Merz, Macron e Starmer hanno incontrato il presidente ucraino dopo che Trump lo aveva criticato per «non aver letto» le ultime proposte americane. Poco prima dei colloqui a Londra un alto funzionario a conoscenza degli ultimi negoziati ha dichiarato all’Agenzia France Presse che la questione territoriale rimaneva la più «problematica». La Russia, che controlla oltre l’80% del Donbass, vuole ottenere l’intero territorio, una richiesta ripetutamente respinta da Kiev. «Stiamo considerando di cedere territorio? Non abbiamo alcun diritto legale di farlo, secondo la legge ucraina, la nostra Costituzione e il diritto internazionale. E non ne abbiamo nemmeno il diritto morale», ha dichiarato il presidente ucraino durante una conferenza stampa online dopo l’incontro di Londra.
I beni russi
Un funzionario britannico ha dichiarato di «sperare di vedere presto progressi» riguardo all’uso dei beni russi congelati in Europa per finanziare l’Ucraina. L’UE spera di raggiungere un accordo al prossimo vertice europeo del 18-19 dicembre. Da quando, quasi tre settimane fa, gli Stati Uniti hanno presentato un piano percepito come molto favorevole alla Russia, le potenze europee alleate di Kiev hanno cercato di far sentire la propria voce e di moderarlo. L’incontro di Londra ha permesso «la continuazione del lavoro congiunto sul piano americano» per la pace in Ucraina, «al fine di integrarlo con contributi europei, in stretto coordinamento» con Kiev, ha dichiarato la presidenza francese dopo l’incontro. Prima di questo vertice, il primo ministro britannico Starmer aveva affermato che non avrebbe «fatto pressione sul presidente» Zelensky affinché accettasse le proposte americane.
Il Donbass
«Sul Donbass l’accordo tra noi, gli americani e i russi non c’è», ha ammesso Zelensky a Londra. La situazione è in effetti complicata: Putin vuole l’intero Donbass, anche quel 20 per cento della regione di Donetsk che le sue truppe non hanno conquistato e che comprende Kramatork e Sloviansk, abitate da più di centomila ucraini. E pretende anche il riconoscimento formale sul fatto che sia territorio russo, così come per la Crimea. Zelensky non può e non vuole cedere le terre dell’est, perché se lo facesse, si ritroverebbe la metà degli ucraini a protestare in piazza e con un’accusa di alto tradimento. Per questo, dice Repubblica, si fa strada un’ipotesi di negoziazione. Che prevede il rovesciamento delle condizioni facendo di quella striscia di terra una zona demilitarizzata ma ucraina.
L’ipotesi demilitarizzazione
In questo quadro l’esercito di Kiev ritirerebbe l’artiglieria e i droni da Kramatorsk e Sloviansk. Ma su quel pezzo dell’Ucraina dovrebbero garantire gli Usa. O l’Onu. Sul Donbass gli ucraini possono accettare il congelamento del fronte ma nessun riconoscimento. Ma Trump non ha intenzone di cambiare prospettiva. Secondo quanto scrive Politico, che ha parlato con un funzionario europeo vicino alla trattativa, gli americani insistono perché l’Ucraina molli il Donbass. «Sulla questione», spiega il funzionario, «la mettono in modo molto semplice: la Russia vuole quei territori, gli americani pensano che questo debba succedere, in un modo o nell’altro».
(da Open)
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Dicembre 9th, 2025 Riccardo Fucile
DAL VECCHIO EUROPEISTA JACQUES ATTALI A COHN BENDIT PER LA RISCOPERTA DELL’ORGOGLIO EUROPEO
“Questa è la bandiera dell’unione delle nazioni più libere, pacifiche e democratiche del mondo. È anche la mia bandiera». Sono le parole con le quali il vecchio europeista Jacques Attali ha rilanciato, su X, una campagna di orgoglio europeo che sta raccogliendo decine di migliaia di adesioni, in risposta al disgustoso post di Elon Musk che ha accostato la bandiera blu-stellata a quella del Terzo Reich (proprio lui: che finanzia i nazisti).
Gli fa eco Daniel Cohn-Bendit: «Il patto Trump-Putin è come il patto Molotov-Ribbentrop, l’Europa deve reagire federandosi».
Sembra di tornare allo spirito della «manifestazione blu» del 15 marzo a Roma, identica è l’opposizione ai due boss dell’Est e dell’Ovest, identico il richiamo ai valori costitutivi dell’Unione. Ma allora come oggi è uno spirito al tempo stesso di speranza e di disillusione (uno spirito-ossimoro, dunque).
Perché gli europei esistono, ma la politica è incapace di dare forma al loro richiamo all’unità. Mi chiedo quanti esponenti politici di rilievo sapranno schierarsi, con la stessa autorevolezza e nettezza di Attali e Cohn-Bendit, contro la volgarità sprezzante che i due gemelli diversi, Trump e Putin, dimostrano nei confronti dell’Europa e della democrazia (concetti, in questo momento storico, quasi del tutto coincidenti).
In tutti questi mesi nulla è cambiato, se non in peggio. Da un lato impotenza e timidezza dei leader nazionali che avrebbero il compito – quelli che ci credono – di accelerare il processo unitario; dall’altro l’opposizione anti-europea interna all’Europa. Ovvia quella dei sovranisti (compresa Meloni, trumpiana per Dna). Triste e autolesionista quella “di sinistra”, una specie di Fronte del Senso di Colpa che in ogni atto di orgoglio europeista vede l’ombra del colonialismo e – i più faziosi – del suprematismo bianco. Ad altri, più banalmente, della democrazia non importa nulla.
(da Repubblica)
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Dicembre 9th, 2025 Riccardo Fucile
LA TENSIONE TRA USA ED EUROPA RIGUARDA L’ECONOMIA GLOBALE
Il documento sulla strategia nazionale presentato al mondo da Donald Trump non è un
documento classico di politica internazionale. È un piano di politica commerciale coloniale. Il cuore del documento è costituito dagli affari commerciali (Silicon Valley) che hanno in mano la Casa Bianca. La spolverata ideologica contro l’immigrazione a difesa del primato culturale occidentale (leggi: razza bianca angloamericana — Wasp) completa il documento. Ai pochi gli affari, ai molti l’ideologia nazional-imperiale. Proteggere gli interessi dell’high
tech e il mito dell’America First and Great. Vecchio e nuovo si tengono nel sogno americano di oggi.
Nuova dottrina Monroe
Gli esperti di politica strategica sono delusi. Il documento non dice molto. Per esempio, non indica la strategia degli Usa per porre fine alla guerra in Ucraina, salvo affidare le sorti della regione alla Russia, agente riconosciuto della pace. È poi a dir poco straordinario che un documento sulla sicurezza nazionale non faccia parola delle relazioni militari tra Usa e Cina, che taccia delle strategie per contenere la produzione di armamenti. Le molte pagine dedicate alla Cina riguardano solo le relazioni commerciali. Trump giustifica i silenzi così: «Non tutti i paesi, le regioni, le questioni o le cause, per quanto meritevoli, possono essere al centro della strategia americana».
Quali questioni e quali regioni? Le questioni commerciali e due regioni: le Americhe e l’Europa. In entrambi i casi, lo scopo è il controllo coloniale. Trump riadatta la Dottrina Monroe, per quel suo sapore anti-europeo e imperiale. Il 2 dicembre 1823, il Presidente James Monroe, nello Stato dell’Unione intervenne sulla condizione delle colonie spagnole nelle Americhe, che avevano raggiunto l’indipendenza, e sfidò il Vecchio Mondo a stare fuori dal Nuovo Mondo, definendo le sfere d’influenza degli States e dell’Europa.
Oggi, Trump ribadisce la posizione sul Nuovo e sul Vecchio Mondo: l’interesse degli Usa sta nel controllo militare sulle acque e sui paesi delle Americhe e nel controllo commerciale dell’Europa. La lettura nazionalista della “new Monroe
Doctrine” non è esoterica. Il nazionalismo americano, crudo e violento, aggressivo e razzista verso i popoli detti con disprezzo “latinos”, si ripropone secondo il mito Maga: mezzi militari ed esercito impiegati per combattere l’immigrazione (il traffico di droga, appendice ridicola ma giustificativa).
Il bacino di consumo
In questa cornice, si inserisce l’Europa. Non prendiamo abbagli: la tensione con il Vecchio Mondo non riguarda l’influenza sulle Americhe ma il commercio globale. Nell’Ottocento, lo scopo era tenere in mano il potere estrattivo delle risorse naturali dei paesi americani.
Oggi, lo scopo è tenere in mano il bacino di consumo dell’Europa. L’Europa deve diventare un mercato per i prodotti high-tech statunitensi. Una colonia, come le Americhe. Elon Musk, l’amico di Giorgia Meloni, ha tuonato contro l’Ue: deve sciogliersi perché mette limiti all’espansione commerciale; meglio relazionarsi con i singoli stati, impotenti, come quelli del Centro America.
L’ideazione e l’implementazione dell’Ia generativa sono oggi un ambiente altamente anticoncorrenziale, in mano agli oligopoli e direttamente coinvolti nella produzione di “oggetti” civili e militari – dall’amministrazione pubblica, agli strumenti di persuasione, ai droni di distruzione delle reti informatiche e di trasporto.
La nuova guerra non si vede. Ma è l’unico grande affare. Il fatto dirompente è l’asimmetria di potere che si ha nella preparazione e conduzione dell’agenda di ricerca dell’Ia generativa, che, dice
la Ue, quando si occupa di beni o “oggetti” pubblici deve seguire la stessa logica di responsabilità pubblica di tutte le altre forme di azione e intermediazione che hanno un impatto sulla vita e la libertà della popolazione (così è per esempio per le agende di ricerca nel settore della farmaceutica o dell’energia). È proprio contro questa idea del pubblico che limita la ricerca e la produzione delle aziende di Silicon Valley che la nuova dottrina della sicurezza americana è mobilitata.
L’Ia generativa non è “solo un altro settore” che influenzerà tutti i settori della vita, né è “una tecnologia neutrale”. Ha bisogno di diversi fattori insieme: di essere alimentata da dati (e quindi dagli utenti) e di essere implementata mediante strutture che – oggi – solo gli stati possiedono (nel settore civile e militare).
Ecco perché le piattaforme di cloud computing dei gatekeeper, come Amazon Web Services, Microsoft Azure e Google Cloud, hanno come obiettivo centrale e primario la demolizione dell’Unione europea, l’unico organismo che oggi cerca di limitare la colonizzazione. Se i nostri politici non comprendono il ruolo strategico dell’Ue nella nostra sovranità democratica, i nostri paesi diventeranno molto presto colonie del Nuovo Mondo e noi, insignificanti individui senza futuro, come ha detto Trump.
(da EditorialeDomani)
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Dicembre 9th, 2025 Riccardo Fucile
UN VASTO SCANDALO DI CORRUZIONE CON TANGENTI DI VARI MILIONI
La Procura federale belga ha emesso un mandato di arresto internazionale per corruzione e associazione a delinquere su un consulente e imprenditore italiano sessantenne, Eliau Eluasvili, sospettato di aver agito per conto della più grande azienda israeliana di tecnologia militare e difesa, Elbit Systems, in alcuni importanti contratti finiti sotto inchiesta stipulati con la NATO Support and Procurement Agency (NSPA).
L’Agenzia di supporto e approvvigionamento della NATO è da tempo al centro di un vasto scandalo di corruzione, con
personale attuale ed ex funzionari sotto inchiesta in Belgio e Lussemburgo.
L’indagine, coordinata dalla procura federale belga con la collaborazione di altre giurisdizioni europee, ha preso di mira una serie di appalti assegnati da NSPA a Elbit Systems che, oltre a essere un fornitore chiave in numerosi programmi NATO, è il più grande produttore di armi di Israele, con un fatturato di quasi 7 miliardi di dollari nel 2024. Con sede a Haifa, realizza droni, munizioni, sistemi per carri armati e altre tecnologie militari, collocandosi al 25° posto tra le cento maggiori aziende della difesa globale secondo il recente rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). Negli ultimi dieci anni, ha fornito alla NATO equipaggiamenti per decine di milioni di euro – dalle munizioni ai visori notturni, fino ai sistemi antimissile per l’aviazione – ma il valore reale dei contratti potrebbe essere più elevato, poiché molti accordi e importi restano coperti da riservatezza. Contattata sulle accuse, l’azienda nega qualsiasi responsabilità, tuttavia, l’intreccio tra relazioni personali di lunga data, consulenze esterne e contratti multimilionari restituisce l’immagine di un sistema in cui il confine tra lobbying lecito e scambio di influenze diventa labile, affidato a reti opache costruite nel tempo. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Eliau Eluasvili avrebbe operato come intermediario, corrompendo dirigenti e funzionari dell’agenzia attraverso società di consulenza di sua proprietà o controllo, con l’obiettivo di assicurare a Elbit incarichi per forniture militari. Il 31 luglio 2025 la NSPA – su basi investigative trasversali – ha sospeso Elbit da tutte le gare d’appalto in corso e ne ha congelato i contratti attivi.
Secondo i documenti acquisiti da testate investigative come Follow The Money (Ftm) e da media partner in Belgio e Paesi Bassi, le tangenti pagate, riferite a più contratti, potrebbero valere somme nell’ordine di milioni di euro. Diversi sospettati sono stati arrestati a maggio durante raid della polizia in sette Paesi, tra cui Belgio e Stati Uniti, segno che il sospetto sistema corruttivo era ramificato a livello internazionale. L’indagine ruota anche attorno a una rete di ex funzionari NSPA diventati consulenti, accusati di aver sfruttato la loro posizione per facilitare appalti a favore di specifiche aziende. Fra loro figura il belga Guy Moeraert, ex dirigente NSPA assegnato al programma munizioni, agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico dopo sei mesi di carcere, con accuse che vanno dalla corruzione al riciclaggio. Sotto indagine anche l’imprenditore turco Ismail Terlemez, ex agente NSPA e attuale amministratore delegato di Arca Defense: coinvolto in passato in un’inchiesta dell’FBI su una fornitura di TNT per l’esercito statunitense, è stato arrestato a Bruxelles il 13 maggio e poi rilasciato a luglio, dopo il ritiro delle accuse da parte del Dipartimento di Giustizia USA. Eluasvili, invece, è ancora latitante e si suppone che abbia cambiato identità.
La vicenda crea forte imbarazzo nelle capitali europee e svela la doppia morale della corsa al riarmo: mentre si invocano trasparenza, sicurezza e valori comuni, emerge un sistema segnato da scandali legati al “malaffare della guerra“, capace di innescare frizioni politiche e diplomatiche e di incrinare la fiducia nelle procedure di appalto dell’Alleanza. L’indagine potrebbe avere un effetto domino su altri grandi appalti militari in Europa, spingendo i governi e l’Alleanza a una revisione complessiva dei meccanismi di controllo, con ricadute anche sul piano diplomatico, in un contesto di fragilità globale, dove il tema del riarmo è già al centro di tensioni internazionali.
(da agenzie)
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Dicembre 9th, 2025 Riccardo Fucile
IL GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA: “STIAMO BENE ANCHE DA SOLI. BOSSI AVEVA RAGIONE, DIAMO FASTIDIO”
Meglio soli che con i romani che non ci capiscono e ancora ci soffrono perché siamo più
bravi. Il giorno dopo la Prima della Scala, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana riprende la sua battuta sulla grande diserzione del governo dall’apertura della stagione lirica ambrosiana («Ce ne faremo una ragione, noi viviamo bene anche da soli») e la butta in politica rispolverando argomenti che — come certi profumi — hanno il potere di riportare istintivamente alla memoria la stagione leghista del primo Umberto Bossi. Bersaglio: la politica di Roma, che continua a non capire e anzi a invidiare un po’ quella del Nord, ma anche una frecciata a qualche fratello leghista: «L’amatriciana è buona per tutti…».
Presidente, com’era l’atmosfera della Prima, considerate le tantissime assenze di figure istituzionali e di governo?
«Bellissima, come sempre, non si è sentita proprio alcuna mancanza. Innanzitutto perché abbiamo assistito a uno spettacolo meraviglioso, un’opera di oltre tre ore e mezza che è scivolata via velocissima grazie allo splendido lavoro della regia, dei cantanti, della scenografia e a una musica intensa. Insomma, una grande serata all’altezza della tradizione della Scala, che rappresenta sempre la nostra tradizione di eccellenza lombarda. E non è certo la maggiore o minore presenza di personalità istituzionali e politiche a incidere su questa magia. E io ho voluto esprimere il mio orgoglio di lombardo».
A prescindere dalle presenze alla Prima, però, l’idea che questo governo stia snobbando un po’ Milano è sempre più condivisa.
«Ma non dipende da questo governo: è Roma che da sempre vive con pregiudizio e fastidio la realtà lombarda, perché noi rappresentiamo ciò che dovrebbe accadere ovunque ma comunque succede soltanto qui. E questa cosa evidentemente fa girare un po’ le scatole e noi siamo vissuti come antipatici».
Come il compagno di classe secchione che non fa copiare?
«Più o meno. Però noi siamo secchioni simpatici, e faremmo anche copiare volentieri. Lo facevo già a scuola».
Però nel governo ci sono anche ministri della Lega.
«Il problema è che l’amatriciana è buona per tutti».
Cioè?
«Cioè esiste un modo di pensare, che definiamo romano, che è diametralmente opposto al nostro e che ha una sua brillante pervasività».
Aveva ragione Umberto Bossi quando voleva tenere tutti i parlamentari leghisti in un residence perché temeva che Roma li corrompesse?
«A distanza di tempo mi viene da dire che, come in tutti gli altri casi, Bossi aveva visto giusto».
In ogni caso, adesso, anche all’interno della Lega sta tornando attuale il tema del Nord e delle politiche del Nord. Anche lei ha detto nei giorni scorsi che sarebbe favorevole a un eventuale ruolo dell’ex presidente del Veneto, Luca Zaia, come punto di riferimento per questo.
«Al di là dei nomi e dei ruoli ipotetici, la questione, a mio giudizio, va letta in questi termini: in questa fase di grande vitalità e trasformazioni è importante affrontare il tema del Nord. Ma è un argomento da impostare adesso e non dopo. Ed è un’operazione nell’interesse di tutti, perché il Nord che produce di più e sostiene economicamente l’intero Paese, non può e non deve rischiare di perdere o di vedere frenate le proprie potenzialità».
E su questo non sono tutti d’accordo, anche a Roma?
«A Roma certe cose non le capiscono. Ricordo ancora nitidamente quando, tanti anni fa, da giovane sindaco di Induno Olona, in provincia di Varese, andai al ministero per portare alcune questioni relative ai lavoratori transfrontalieri: sembrava che stessi parlando dei marziani. Ma è proprio questo il valore della territorialità della politica, rendere condivisibili temi che altrimenti non avrebbero attenzione».
Ma anche nella Lega ci sono anime e visioni diverse?
«Non direi, esistono semmai diverse sensibilità territoriali, ma sono convinto che attorno all’idea di un Nord politicamente centrale ci si compatta sempre e comunque».
Quindi adesso cosa succederà
«Per quanto mi riguarda, succederà che la Lombardia continuerà
a crescere e a essere competitiva con il resto del mondo».
E a lei? Cosa farà dopo la fine di questo suo secondo mandato alla presidenza della Lombardia?
«Farò fino in fondo il mio dovere e poi mi metterò a disposizione, se e dove potrò essere utile. Ma con spirito di servizio, consapevole di non essere imprescindibile. Ringrazierò sempre il mio partito per avermi dato la possibilità di essere sindaco, presidente del consiglio regionale e presidente della Regione».
(da Corriere della Sera)
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