MELONI TEME IL REFERENDUM SULLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA, CHE POTREBBE ESSERE INDETTO NELLA PRIMAVERA 2026, E HA GIÀ COMMISSIONATO ALCUNI SONDAGGI PER CAPIRE COME FINIRA’
LA DUCETTA TEME DI FARE LA FINE DI RENZI, CHE NEL 2016 FU COSTRETTO A DIMETTERSI DOPO CHE GLI ITALIANI BOCCIARONO ALLE URNE LA SUA RIFORMA COSTITUZIONALE
I sondaggi sono già stati commissionati. Incassato l’ok alla riforma della giustizia in seconda lettura, a Palazzo Chigi è partito il conto alla rovescia in vista del referendum che, annunciato dal Guardasigilli per la prossima primavera, dovrà confermare o bocciare la separazione delle carriere.
In Parlamento il ddl Nordio non ha infatti raggiunto il quorum dei due terzi previsto dall’iter di revisione costituzionale che avrebbe evitato il ricorso alla consultazione popolare.
Un appuntamento a cui Giorgia Meloni inizia a guardare con una certa apprensione. Per questo ha deciso di affidarsi agli istituti demoscopici: vuol capire cosa ne pensano gli italiani, provare a pronosticare l’esito di una battaglia che le opposizioni minacciano durissima, si vince o si perde per un solo voto, a prescindere dall’affluenza.
Preoccupata di fare la fine di Matteo Renzi, che nel 2016 fu costretto a dimettersi dopo aver visto naufragare, proprio nelle urne, la sua proposta per superare il bicameralismo perfetto.
Non è un caso che abbia già messo le mani avanti. Dichiarando che se il risultato dovesse essere negativo, lei non se ne andrà e neppure l’esecutivo subirà conseguenze. Ma il Pd non la pensa così. «Questa non è una riforma della giustizia, è il tentativo di delegittimare e assoggettare la magistratura al governo per indebolire la nostra democrazia», ha tuonato ieri la segretaria Elly Schlein.
Con il referendum, appunto. Mobilitando gli elettori per far prevalere il no. Grazie anche ai tanti comitati e associazioni che si stanno già attivando. Uno scontro che si preannuncia cruento. La maggioranza non ha difatti alcuna intenzione di mollare.
Meno che mai a un passo dal veder coronato il sogno di Silvio Berlusconi. «Siamo tranquilli, il referendum è uno straordinario strumento di democrazia diretta», sparge ottimismo Francesco Paolo Sisto, viceministro alla Giustizia.
La riforma della giustizia – in realtà della separazione delle carriere dei magistrati – sarà la sola varata in questa legislatura. All’inizio erano tre, una per ogni partito della maggioranza: ma Meloni s’è disamorata del premierato, ha capito che può raggiungere lo stesso obiettivo con una nuova legge elettorale, più facile da approvare, che contenga l’indicazione del nome della candidato o candidata premier sulla scheda, cosa tra l’altro che metterebbe in difficoltà il centrosinistra, non pronto a questa scelta.
Quanto all’autonomia differenziata, la bandiera della Lega, è stata talmente sforacchiata dalla Corte costituzionale, da ridursi a un relitto.
Dopo l’approvazione finale della riforma nel prossimo autunno inverno, nella primavera 2026 ci sarà il referendum confermativo.
E qui l’incognita che si prepara è abbastanza grossa, perché è vivo il ricordo di quello del dicembre 2016, sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi, in cui l’allora premier venne sconfitto 40 a 60, uscì da Palazzo Chigi e si giocò la carriera.
Si disse che l’errore di Renzi era stato quello di aver trasformato il voto in un referendum su se stesso; e di aver contemporaneamente sottovalutato il fronte dei Professori, guidati dall’ex-presidente della Consulta Gustavo Zagrebelski
Da questo punto di vista la prova a cui va incontro Meloni è senz’altro meno pericolosa per lei, perché la riforma della separazione delle carriere dei giudici – a differenza di quella, centrale, di Renzi che cancellava sostanzialmente il Senato e accoppiata con la riforma elettorale rafforzava molto il premier – è parziale, riguardando solo la magistratura, che non gode di grandi consensi nell’opinione pubblica.
Meloni poi starà attenta a non mescolarla con la riforma elettorale che ha in mente, non diversa nella filosofia da quella di Renzi, per non dare un argomento in più ai suoi avversari. Ma non potrà evitare che alla fine il referendum sia su di lei e sfoci, o nella sua prima sconfitta, o in una nuova vittoria, decisiva per le politiche del 2027.
(da agenzie)
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