“L’INTERESSE NAZIONALE” ERA SOLO UNA SCUSA PER ESTROMETTERE UNICREDIT: IL GOVERNO SOVRANISTA, CHE SU BANCO BPM HA ERETTO UN MURO CON IL GOLDEN POWER ALLA BANCA ITALIANA GUIDATA DA ORCEL, ORA “REGALA” L’ISTITUTO MILANESE AI FRANCESI DI CREDIT AGRICOLE
“DOMANI”: “NIENTE DI MALE. TUTTO RIENTRA NELLE REGOLE DEL MERCATO. SE NON FOSSE CHE QUELLE REGOLE SONO STATE IGNORATE DAL GOVERNO DI ROMA NEL CASO DELL’OPS DI UNICREDIT, LO STESSO GOVERNO SEDICENTE SOVRANISTA CHE INVECE ORA GIOCA DI SPONDA CON LA BANCA DI PARIGI”
La fine era già scritta. E da un pezzo. Almeno da metà aprile, quando il governo, piegando a proprio uso e consumo le regole del golden power, ha eretto un muro a difesa del Banco Bpm. Sin da allora si era capito che le condizioni imposte dall’esecutivo erano state studiate apposta per sbarrare la strada all’ops di Unicredit.
Così Andrea Orcel non ha potuto fare altro che rassegnarsi al dietro front, annunciato martedì sera. Una mossa obbligata, anche se dalla Commissione europea era già arrivata una prima censura sull’uso distorto da parte di Roma dei propri poteri speciali nel caso della scalata annunciata nel novembre scorso. E anche se il Tar del Lazio aveva parzialmente accolto il ricorso di Unicredit contro il golden power in salsa sovranista.
Due successi parziali e comunque ininfluenti per gli aspiranti scalatori, perché i tempi lunghi della giustizia sono incompatibili con quelli della finanza, scanditi dal ritmo frenetico imposto dai mercati.
«Unicredit ormai di italiano ha poco o niente: è una banca straniera», attaccò Matteo Salvini a novembre dell’anno scorso per giustificare la sua opposizione all’ops appena annunciata.
Affermazione risibile se si pensa che l’uscita di scena di Unicredit ha di fatto consegnato il destino del Banco Bpm nelle mani dei francesi del Crédit Agricole, che nei giorni scorsi hanno chiesto a Bce l’autorizzazione a superare la soglia del 20 per cento nel capitale dell’istituto milanese, quota messa insieme tra
l’estate e l’autunno del 2024. Non per niente l’ops di Orcel è stata interpretata con una mossa preventiva in vista di un imminente attacco del gruppo transalpino.
Fatto sta che ora resta in campo il solo Crédit Agricole, che ha fatto di tutto per presentarsi come un socio senza ambizioni di comando, anzi, disponibile a collaborare con il governo. Roma fin qui è stata al gioco, a costo di ribaltare una narrativa costruita a suon di roboanti dichiarazioni a difesa dell’italianità del sistema finanziario.
Difficile dimenticare, giusto per fare l’esempio più recente, i siluri sparati contro l’amministratore delegato di Generali, il francese Philippe Donnet, sospettato di voler svendere ai poteri forti di Parigi il risparmio degli italiani gestito dal gruppo assicurativo. Strumento della presunta svendita sarebbe l’alleanza con Natixis, colosso finanziario d’Oltralpe.
L’operazione caldeggiata da Donnet sembra finita in un cassetto, ma nei mesi scorsi il fuoco di sbarramento governativo ha coinciso con la prima fase di una partita articolata e ancora in corso.
Una partita che prevede il ribaltone in Generali, per effetto della scalata ai danni del primo azionista della compagnia, cioè Mediobanca, a sua volta conquistata da Mps, dove comandano la coppia di soci forti Caltagirone-Del Vecchio con l’appoggio del ministero dell’Economia di Giancarlo Giorgetti.
Ci sono francesi e francesi, dunque. Quelli buoni (o da tenersi buoni) portano le insegne del Crédit Agricole, che se arriveranno a controllare una quota vicina al 30 per cento di Banco Bpm, magari alleandosi ad altri azionisti minori, potranno di fatto imporre le loro scelte strategiche alla banca italiana forti della cosiddetta minoranza di blocco nell’assemblea straordinaria.
Nell’arco degli ultimi due decenni il Crédit Agricole è cresciuto molto nel nostro paese, rilevando, tra gli altri, istituti come Cariparma e più di recente il Credito Valtellinese. Se a queste attività adesso si aggiunge il controllo di fatto, se non di diritto, del Banco Bpm, il gruppo francese diventerebbe un attore di prima grandezza sul mercato italiano del credito, alle spalle dei colossi Intesa e Unicredit.
Niente di male. Tutto rientra nelle regole del mercato. Se non fosse che quelle regole sono state ignorate dal governo di Roma nel caso dell’ops di Unicredit, lo stesso governo sedicente sovranista che invece ora gioca di sponda con la banca di Parigi. Ma non finisce, qui, forse.
Negli ambienti finanziari c’è chi ritiene possibile che presto ripartano le manovre per creare il terzo polo creditizio nazionale, con la fusione tra Banco Bpm e Mps reduce dall’ops vincente su Mediobanca. Per uscire di scena lasciando spazio ad azionisti italiani, Crédit Agricole potrebbe chiedere una contropartita in denaro e in filiali.
Al termine dell’operazione appena descritta tutti potrebbero cantare vittoria. I francesi manterrebbero comunque una
presenza forte nella Penisola. Mentre il governo potrebbe vantare la creazione di una nuova grande banca tricolore. Nei prossimi mesi capiremo se questo è l’ultimo atto di un disegno studiato a tavolino tempo fa, oppure qualcosa di simile a un sogno di mezza estate. Sogno sovranista, s’intende.
(da agenzie)
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