A CHI FORZA ITALIA? A LUI
BERLUSCONI SI RIPRENDE IL PARTITO… LE “COLOMBE” SONO PRONTE PER LA SCISSIONE
Tra i due, politicamente, il nano è Alfano, non solo per la rima.
Forza Italia risorge di venerdì e il Cavaliere Condannato umilia le colombe di governo, costrette a disertare l’ufficio di presidenza che liquida il Pdl, il partito nato sul predellino.
Il dizionario della giornata è ricco di suggestioni, etichette e ostacoli: i lealisti, i governisti, la scissione, la legge di Stabilità , le poltrone della nuova formazione.
Ma tutto ruota attorno ai guai giudiziari del Leader tornato padrone assoluto.
La sostanza si riassume nell’interrogativo che per la prima volta B. ammette pubblicamente, dopo tanti sfoghi riportati dai suoi fedelissimi.
Si presenta in conferenza stampa, da solo, per far capire meglio chi comanda, e proclama: “Se decado sarà difficile continuare a collaborare con il Pd”.
È la variante appena più morbida della domanda ripetuta ossessivamente nelle settimane scorse: “Posso stare con i miei carnefici?”.
Qui è Rodi e qui bisogna saltare o scindere. Il resto è teatrino, sceneggiata, caos.
Un lealista presente alla riunione di ieri sintetizza così la mossa berlusconiana: “Ha azzerato, si è ripreso il partito, se loro si adeguano li ricandida, sennò buon viaggio”. Loro, sono i governisti, quelli che non hanno dormito per tutta la notte tra giovedì e venerdì, attaccati al telefono per capire cosa fare.
A partire da Alfano. Il vicepremier, ormai ex segretario del Pdl, ha tentato in tutti di modi di far rinviare l’ufficio di presidenza convocato nella casa romana di B., palazzo Grazioli.
Ha cercato anche la prova di forza. Un documento con tanto di firme per “sconvocare” la riunione. Non c’è riuscito.
La mattinata se n’è andata così fino a quando, poi, i cinque ministri del Pdl (oltre ad Alfano: Quagliariello, Lupi, Lorenzin e De Girolamo) sono andati a pranzo a palazzo Grazioli. Berlusconi è stato per quattro ore con loro.
Subito dopo, la versione delle colombe è stata quella di accreditare un pareggio: “Tutto rinviato all’8 dicembre nel consiglio nazionale. Il pranzo è andato molto bene. Berlusconi ha detto che il governo va avanti. Con l’ufficio politico restituisce ad Angelino lo schiaffo della fiducia, ma l’8 dicembre è pronto a riconfermarlo”. L’ultima frase contiene una trappola.
L’umiliazione massima e definitiva per l’ex delfino senza quid: rinunciare alla scissione, almeno lui, e ritornare come il figliol prodigo.
Ma senza il vitello grasso da ammazzare. Senza, cioè, un incarico operativo da numero uno.
Una medaglia di latta da vicepresidente e basta. La finzione, meglio la sceneggiata, è che forse non si arriverà mai al consiglio nazionale dell’8 dicembre, chiamato a ratificare la morte del Pdl e la rinascita di Forza Italia.
La scissione, infatti, dovrebbe consumarsi prima. Sul voto per la decadenza di B. da senatore, nel mese di novembre.
Se poi, in un modo o nell’altro, si dovesse arrivare al consiglio nazionale, il piano delle colombe prevede di tenersi il simbolo del Pdl.
Nel senso che lo statuto stabilisce una maggioranza dei due terzi per una decisione del genere. Nè falchi, nè colombe ce l’hanno e a quel punto i governisti diranno al Cavaliere: “Sei tu che fai lo strappo e te ne vai”.
Convocato per le cinque del pomeriggio, l’ufficio di presidenza è iniziato con 25 minuti di ritardo. B. è stato il mattatore assoluto, piegando a suo uso e consumo le assenze polemiche degli innovatori (Alfano, Formigoni, Sacconi, Giovanardi, Schifani): “I 5 membri che non hanno partecipato hanno tutti convenuto con noi sul fatto che volevamo una deliberazione unanime e che dunque fosse meglio, avendo ancora cose da chiarire fra di noi, non partecipare e l’hanno fatto con il mio consenso”.
È il concetto particolare di democrazia nella destra berlusconiana.
A palazzo Grazioli si sono visti in meno di venti. In ordine sparso: Rotondi, Carfagna, Gelmini, Scajola (sì anche lui), Verdini, Fitto.
Tutti attori non protagonisti nel giorno che in cui il Condannato si riprende tutto. A parole il sostegno al governo non manca. Ma nel documento finale della riunione un punto è chiarissimo: “I ministri dovranno rispondere a Forza Italia”.
Che tradotto vuol dire: “Caro Letta, l’interlocutore sono io non Alfano e il mio ventennio non è chiuso”.
Altro discorso in caso di scissione. A quel punto, si aprirà la crisi e Berlusconi dovrà decidere cosa fare, se partecipare o no al nuovo esecutivo.
Lo strappo di ieri è propedeutico, nella testa dei falchi, alle elezioni anticipate.
Che poi le ottengano, questo è da vedere. Il treno della guerriglia è comunque partito. Come dimostra lo show berlusconiano in conferenza stampa.
Dopo aver parlato solo lui nell’ufficio di presidenza, ha concesso ai giornalisti un altro monologo. Comprensivo di grazia per la condanna Mediaset: “Spetta al capo dello Stato”. Alfano? “Gode della mia stima, della mia fiducia e della mia amicizia”. Intanto lo ha messo spalle al muro.
Ritorna anche sulla ferita del 2 ottobre: “I ministri e alcuni parlamentari timorosi di non essere rieletti mi hanno costretto alla marcia indietro”.
Adesso è arrivata la vendetta. In Forza Italia ci saranno tante “facce nuove”. Ma la sostanza è tutta in quella domanda: “Se il Pd mi fa decadere come faccio a stare con loro?”.
Da ieri, è cambiato molto nelle larghe intese.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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