E ANGELINO SOGNA LA SEPARAZIONE CONSENSUALE
DUE PARTITI DISTINTI, MAGARI FEDERATI…ED ESCE FUORI L’ACCORDO E IL FILO DIRETTO CON GRILLO
Scoglie il partito, ma in assenza del segretario, dei ministri e dei dissidenti.
Riecco Forza Italia, un solo leader al comando: lui.
Azzerati tutti gli incarichi, ad Alfano «stima confermata», ma «come ministro ».
Il delfino di un tempo diserta l’ufficio di presidenza decisivo assieme ai suoi fedelissimi, Schifani compreso.
Eccolo il Dday di Silvio Berlusconi per riprendere in mano la sua “creatura”, nel momento di maggiore debolezza politica.
Il partito si spacca e il leader minimizza con un paradosso: «I cinque membri che hanno deciso di non partecipare hanno convenuto che fosse meglio avere una deliberazione unanime e con il mio consenso non hanno perciò partecipato»
Il vicepremier incassa il colpo, dopo aver lavorato tutto il giorno per scongiurare l’azzeramento che sa di vendetta post fiducia del 2 ottobre. A poco sono valse le tre ore di pranzo assieme ai quattro ministri a Palazzo Grazioli. Alla fine è lo stesso Alfano a parlare al capo di «separazione consensuale» possibile, forse imminente se l’unità sarà impossibile.
Due partiti distinti, magari federati. Partita rinviata all’8 dicembre, quando in concomitanza con le primarie Pd si terrà il Consiglio nazionale che coi suoi 800 membri dovrà confermare quanto ormai deciso da Berlusconi.
Ma tutto si giocherà molto prima, già nei prossimi giorni, a cavallo del voto di decadenza al Senato
Anche perchè il leader garantisce sulla carta sostegno al governo, come sta scritto nel documento approvato all’unanimità dall’ufficio di presidenza. Salvo poi uscire da Palazzo Grazioli e preannunciare di fatto la crisi davanti a telecamere e microfoni: «Come possiamo collaborare con chi viola la legge votando la mia decadenza?»
È il segnale del rompete le righe.
I falchi alla Verdini e Santanchè, i lealisti alla Fitto, Gelmini, Carfagna, esultano.
Ma alla riunione dell’organismo che sancisce la morte per eutanasia del Popolo della libertà si presentano i soli 18 berlusconiani sui 24 aventi diritto.
C’è Scajola, per dire, non ne fanno parte i ministri in carica, non si presentano per marcare ormai le distanze Renato Schifani, Roberto Formigoni, Maurizio Sacconi e Carlo Giovanardi, oltre allo stesso Alfano.
È il gesto estremo di sfida. Prelude a una scissione ancora assai dibattuta tra i governativi, tra vertici e controvertici che a Palazzo Chigi sono iniziati al mattino e terminati la sera. Il vicepremier è ancora assai contrariato, per nulla convinto. Ma già prima dell’ora di pranzo Formigoni, Giovanardi e Sacconi avevano preannunciato la diserzione loro e quella dell’ormai ex segretario
È la linea dura decisa coi ministri Quagliariello e Lupi. Loro il pressing su Alfano. Sanno ormai di non avere alternative di fronte alla prospettiva di una nuova crisi.
Il Cavaliere è ancora sul piede di guerra: «Se facciamo cadere il governo, non sarà votata la mia decadenza » dice loro durante il pranzo organizzato a sorpresa, complice la mediazione dell’unica berlusconiana della compagine governativa, Nunzia De Girolamo.
«E poi – insiste il capo davanti ai loro sguardi perplessi – ho avuto garanzie da Beppe Grillo che se apriamo la crisi lui si schiera con noi per le elezioni anticipate, scendendo pure in piazza, a costo di prendere a calci nel sedere i suoi parlamentari ». L’8 dicembre, nei suoi piani, segna l’apertura della campagna elettorale.
Per Alfano il giro di boa è già avvenuto. E a poco è valso l’invito in extremis del padrone di casa ai ministri a partecipare all’ufficio di presidenza dal quale erano stati esclusi e che si sarebbe riunito da lì a un paio d’ore.
«Non verrò e non verremo per non esprimere la nostra posizione in dissenso, mineremmo l’unità del partito – dice a nome dei suoi – Consideralo un atto di buona volontà . Se l’unità non sarà più possibile, si può anche pensare a una separazione consensuale» affonda. «Il futuro per noi è il centrodestra, ma non possiamo andare avanti con questo bombardamento quotidiano contro il governo, non possiamo subire gli attacchi dalla Santanchè e dagli altri».
Berlusconi lo stoppa. Garantisce che non aprirà ora la crisi. E che nel nuovo partito sarà in serbo per lui un ruolo chiave, la vicepresidenza.
«E poi sai Angelino che penso a te per il futuro del partito, ma in questo momento ho l’esigenza di riprendere le redini di Forza Italia». Quasi una beffa.
La tensione sembra sciogliersi, quel che dovevano dirsi se lo sono detto. Finisce con pacche sulle spalle e saluti cordiali con Quagliariello e Lupi.
Ma i ministri si chiudono a Palazzo Chigi a decidere se procedere subito alla rottura con creazione del gruppo autonomo o attendere il prossimo attacco serio al governo. Passa la seconda linea.
Stavolta dalla loro parte c’è anche Renato Schifani, capogruppo al Senato, col sottosegretario Simona Vicari. Non più Renato Brunetta, capogruppo alla Camera protagonista dell’ennesima giravolta e tornato all’ombra del capo
Il Cavaliere dà inizio poco dopo le 17 all’ufficio di presidenza che approva un documento già scritto con cui si «delibera la sospensione delle attività del Popolo della Libertà , per convergere verso il rilancio di Forza Italia».
Viene assegnato a Giancarlo Galan il compito di fare scouting, scegliere le nuove leve del partito, come agli albori, nel ’94, stavolta non tra i manager Publitalia.
Poi Berlusconi convoca alle 20 una conferenza stampa a sorpresa. «Alfano gode del mio affetto, della mia amicizia e della mia stima. L’ho proposto io come segretario due anni fa e penso che possa mantenere il suo ruolo» spiega.
Salvo aggiungere che tutti i ruoli sono azzerati e sarà lui in futuro a delegare funzioni e responsabilità . Ai ministri conferma «la fiducia», ma «se si mantengono nelle decisioni prese a maggioranza nel partito».
Se stanno dentro il perimetro di Forza Italia, insomma.
I contrasti? «Per incomprensioni personali».
La grazia? «Spetta decidere al capo dello Stato». Il governo però ha le ore contate: se il Pd voterà la decadenza sarà «molto difficile continuare a collaborare».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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