A CONTE SERVE UN RITOCCO SULLA GIUSTIZIA DA PORTARE IN DOTE AI CINQUESTELLE
NERVI TESI, L’EX PREMIER MEDIA… LO SPETTRO DI 5-6 VOTI DI FIDUCIA ALLA CAMERA
Ultimo faticoso miglio per la riforma sulla giustizia, che venerdì 30 luglio andrà in aula a Montecitorio e su cui Draghi ha annunciato con ampio anticipo che il Governo metterà la fiducia. Palazzo Chigi e Via Arenula cercano in queste ore la mediazione con Giuseppe Conte e i 5 stelle, che non si accontentano della proposta dem che differisce di tre anni l’entrata in vigore della riforma, ma vorrebbero escludere tout court dall’improcedibilità i reati di mafia e contro la Pubblica Amministrazione.
Si racconta di un clima più disteso, con le “colombe” in volo. Ma le richieste restano inaccettabili per centrodestra, renziani, e per lo stesso premier Draghi, come per il pur ben disposto Nazareno.
Letta professa ottimismo: “Fiducioso che il voto troverà la maggioranza unita, l’importante è approvare la riforma prima della pausa estiva”.
Si cerca la quadra, tra nervi che saltano (il dietrofront della ministra Fabiana Dadone) e interventi a gamba tesa, come il virgolettato attribuito dal “Fatto” all’ex premier – “O si cambia o non votiamo la fiducia” – smentito dal portavoce Rocco Casalino. Mentre il Quirinale ha già fatto sapere di non vedere “problemi” nella versione finale del testo Cartabia, chiedendo al Csm di estendere il suo parere (critico) sul punto della prescrizione all’impianto complessivo della legge.
Tra martedì e mercoledì Conte vedrà tutti i suoi parlamentari e separatamente quelli in commissione Giustizia, dove intanto procede l’esame istruttorio del testo.
Lunedì mattina si riunisce l’ufficio di presidenza, pronto a confermare l’inammissibilità della richiesta forzista di allargare il perimetro della riforma all’abuso d’ufficio (discussione che allungherebbe i tempi, già strettissimi) e a chiedere a ogni gruppo di individuare 10-12 priorità su cui concentrare i lavori.
Un modo per scremare gli oltre 1600 emendamenti che costituiscono di per sé un muro invalicabile. E aggirare l’ostruzionismo.
Nella consapevolezza che il vero nodo – la prescrizione – si scioglierà comunque in incontri che si svolgono altrove. L’intesa, tuttavia, è necessaria anche per motivi squisitamente tecnici. Il regolamento della Camera non prevede un maxi-emendamento governativo, bensì la fiducia su ogni articolo, vale a dire 5-6 voti separati.
Lo certifica il capogruppo Pd in commissione Giustizia Bazoli: “La fiducia da sola non basta a scardinare le complicazioni dell’iter”. Deadline per un accordo mercoledì sera, se si vuole rispettare il timing dell’aula.
Il “punto fermo” l’ha voluto mettere Draghi due giorni fa.
“C’è un testo approvato all’unanimità in consiglio dei ministri – ha ricordato – ma c’è tutta la buona volontà ad accogliere emendamenti tecnici che non stravolgano l’impianto e siano condivisi”. È la linea su cui premier e Guardasigilli, assistiti dai rispettivi uffici tecnici, cercano la mediazione con Conte.
L’ex premier guida un gruppo grillino in ebollizione, con un’ala barricadera che non si accontenta della piattaforma dem – una norma transitoria che lascerebbe fino al 2024 a tre anni la durata dell’Appello e 18 mesi i processi in Cassazione, in modo da ridurre i problemi di organico e lasciar entrare a regime il nuovo Ufficio del Processo.
Parte dei M5S, da Bonafede alla relatrice Sarti, sono sulla linea di Gratteri e Cafiero De Raho, temono il colpo di spugna sui maxi-processi, vogliono una lista molto più ampia di esenzioni dall’improcedibilità o una griglia di criteri oppure che la scelta sia lasciata al magistrato.
Prospettive che alzano la tensione nel Pd e incontrano le barricate nel centrodestra, da Forza Italia a FdI. E non solo. “Va bene la norma transitoria ma non voteremo stravolgimenti del testo – avvisa l’ex forzista ora calendiano Enrico Costa – Non possono esserci reati improcedibili”.
Italia Viva alza l’asticella, mettendo l’accento sulla “condivisione” delle modifiche: “La riforma deve andare bene a tutti, non solo a M5S – chiarisce Ettore Rosato – Per noi quello uscito dal consiglio dei ministri, e votato anche da loro, è il miglior testo possibile”.
Lo slittamento dell’entrata in vigore, invece, non va giù. E i 59 emendamenti che avete presentato? “O li ritirano tutti o discutiamo anche i nostri. Non si apre un’altra partita con M5S, se Conte ha un problema non ci riguarda…”. Renzi è sarcastico: “Preoccupato? Quando mai Di Maio schioda, sono come l’Attak…Il Pd scelga tra Conte e Draghi”.
Nel pressing i renziani non si sentono soli: si vocifera che anche la Lega intenda far pagare a Draghi lo “sgarbo” inflitto a Salvini sul green pass.
Anche Forza Italia si fa sentire: “Il testo Cartabia è un buon compromesso – sottolinea il capogruppo alla Camera Occhiuto – M5S non riversi qui le sue contraddizioni interne, Conte faccia il leader e non l’arruffapopolo”.
La partita è tra il premier e il suo predecessore. E per Conte la prova di leadership non si annuncia facile. Tocca al sottosegretario all’Interno Sibilia arginare chi lo tira per la giacca: “Fidiamoci, sta lavorando a una mediazione. No a bandierine e tifoserie, serve un punto di equilibrio. No sacche di impunità ma tempi certi. Evitiamo di basarci sul titolo di qualche giornale per giudicare”.
Ogni riferimento alla “linea Travaglio” è tutt’altro che casuale.
(da Huffingtonpost)
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