SALVINI NON PUO’ PERDERE A MILANO E TORINO (E SPERA CHE GUALTIERI VINCA A ROMA)
IL TASSELLO CHIAVE E’ LA CAPITALE: GUALTIERI AL CAMPIDOGLIO FAREBBE CONTENTI TUTTI (SALVO LA MELONI)
L’agitazione politica è colpa delle elezioni. Tra due mesi si vota in oltre mille Comuni, come dire centomila aspiranti sindaci, consiglieri, assessori con tutti gli annessi e connessi del sottopotere locale. Un ben pezzo d’Italia che con questo caldo si dimena, suda e spera. Potrebbero i leader restare sordi a tante grida di aiuto? Chiaramente no.
Di qui a fine settembre (se, come pare, andremo alle urne domenica 26 per tornarci due settimane dopo nei ballottaggi) dovranno visitare almeno una volta i ventuno capoluoghi al voto. Sfileranno in processione su e giù per la Calabria, dove si tengono le Regionali.
Come se non bastasse, Enrico Letta dovrà battere palmo a palmo l’intero senese, perché là c’è in palio il suo scranno da deputato e guai se lo azzoppassero, la sua avventura da segretario Pd finirebbe ancor prima di cominciare. Insomma: sarà tutto un affannarsi frenetico.
E più si moltiplicheranno i bagni di folla, i discorsi, le bicchierate, maggiore risulterà il tasso di confusione politica. In ogni borgo diranno che “qui si gioca il destino dell’Umanità”, figurarsi quello del governo. Decisivi risulteranno Noicattaro e Canicattì, fondamentale diventerà vincere a Pioltello e a Bovolone.
In realtà, purgato della propaganda, l’unico voto che davvero conta sarà quello delle metropoli. Nemmeno di tutte.
A Bologna, per esempio, già sappiamo come andrà a finire: senza troppa fatica vincerà Matteo Lepore, candidato di Pd e Cinque stelle. Potrebbe farcela già al primo turno, non c’è partita e sarebbe strano il contrario.
Idem a Napoli, dove Gaetano Manfredi (ex ministro nel governo Conte) farà un figurone per l’inconsistenza degli avversari.
Due tonfi per la destra, due trionfi per la sinistra, però scontatissimi e dunque riflessi nazionali zero.
Più interessante sarà Milano perché lì, secondo i sondaggi, Beppe Sala sopravanza di poco il neonatologo Luca Bernardo; che di amministrazione risulta a digiuno, lui stesso lo riconosce, eppure l’ignoranza aiuta nelle grandi imprese dunque chissà. Combattutissima sarà Torino, dove l’imprenditore Paolo Damilano (vicino a Giancarlo Giorgetti) sfiderà il “dem” Stefano Lo Russo: se la battono entrambi per un pugno di voti, e da quei voti dipenderà il futuro di Salvini.
Restasse a mani vuote sulla direttrice Mi-To, tutti direbbero che l’uomo è bollito; che come un Re Mida alla rovescia ormai non ne azzecca più una; che non riesce a vincere nemmeno quando gioca in casa. Perfino dentro la Lega scatterebbero le contestazioni. Ma al Capitano potrebbe perfino andare peggio. Per esempio, Enrico Michetti potrebbe vincere a Roma.
Il “Tribuno della Plebe” è sostenuto dall’intera destra, Lega compresa. Se lui vincesse, Salvini dovrebbe mostrarsi felice. Ma Michetti l’ha imposto Meloni come candidato “civico”, forzando la mano agli stessi alleati; perciò virtualmente è un “fratello d’Italia”; se fosse eletto al Campidoglio, verrebbe esibito da Giorgia come un trofeo, anzi la prova vivente che stare all’opposizione paga, mentre sostenere il governo fa perdere voti.
Nell’ottica della Lega non ci sarebbe nulla di più atroce che una disfatta nelle capitali del Nord, accompagnata dai festeggiamenti a Roma della “Ducetta”.
Roba da spararsi. Ne scaturirebbe una riflessione amara, e forse il governo ci andrebbe di mezzo perché nessuno sa in che modo la prenderebbe Matteo, volubile com’è. Potrebbe insistere nel mostrarsi serio e responsabile, o anche no: vai a indovinare, dipende. Ai fini dell’equilibrio politico, sicuramente sarebbe il risultato peggiore.
Draghi ostenta superiorità rispetto a queste quisquilie; ma nei suoi panni sarebbe preferibile che nella Capitale vincesse chiunque tranne appunto Michetti. Virginia Raggi? Fantastico. Carlo Calenda? Meraviglioso. Roberto Gualtieri? “Er mejo der mejo”, perché l’ex ministro dell’Economia non guarirebbe i mali di Roma, ma sistemerebbe in un colpo solo tutti i tasselli della maggioranza governativa.
Primo: rimetterebbe la Meloni al suo posto, con grande inconfessabile giubilo di Salvini. Secondo: Enrico Letta metterebbe in bacheca il suo primo trofeo da segretario. Terzo: i Cinque stelle non si potrebbero lamentare.
Perché è vero, si ritroverebbero senza Virginia. Ma in cambio del sostegno grillino a Siena, il Pd spalancherebbe a Giuseppe Conte il collegio lasciato libero da Gualtieri a Roma, una volta che venisse eletto sindaco.
Così pure l’Avvocato del Popolo approderebbe finalmente in Senato. E, come nelle favole con l’“happy end”, vivrebbero tutti felici e contenti.
(da Huffingtonpost)
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