“A STOCCOLMA I BAMBINI SONO LIBERI DI FARE I BAMBINI, L’ITALIA NON E’ UN PAESE PER GIOVANI E PER DONNE, NON TORNEREI, LE MIE FIGLIE MERITANO UN PAESE MIGLIORE” “: IL RACCONTO DI UNA MADRE ITALIANA DA 25 ANNI IN SVEZIA
LE AGEVOLAZIONI CHE LO STATO CONCEDE ALLE FAMIGLIE, CONSIDERANDOLE UNA RISORSA E NON UN PESO… ALTRO CHE LE CHIACCHIERE SOVRANISTE
La Svezia, secondo la classifica stilata da Unicef, è il quarto Paese al mondo in cui i bimbi sono più felici.
Marta Paterlini, neurobiologa e mamma single che vive con le sue due figlie a Stoccolma da diversi anni, ci ha confermato che i bambini in Svezia sono liberi di fare ciò che a volte in Italia, tra gli sguardi giudicanti di altri adulti non è concesso loro fare: comportarsi semplicemente come dei bambini.
Tra parchi naturali, città su misura per i più piccoli, agevolazioni economiche per permettere ai ragazzi di continuare gli studi e un congedo parentale che permette ai genitori di non rinunciare alla carriera per i figli, il Paese sembra meritare la sua posizione molto alta nella classifica della felicità dei suoi piccoli abitanti.
Non fosse per la scuola, che ci dice Marta essere ancora un po’ arretrata, ma che spera possa prendere esempio dalla vicina Finlandia e rinnovarsi.
In ogni caso, nonostante senta la mancanza di casa Marta non tornerebbe in Italia, proprio per il benessere delle sue figlie: «L’Italia non è un Paese per donne, purtroppo, a partire dallo squilibrio tra congedo di maternità e paternità. In Svezia il congedo che viene dato ai genitori quando nasce un bambino è gender free dagli anni ’70, e i papà che decidono di non stare a casa i 90 giorni che lo Stato garantisce loro vengono etichettati come “bad fathers”»
Io mi sono trasferita all’estero, prima in Inghilterra per il dottorato, sarei dovuta rimanere lontana dall’Italia appena 6 mesi e invece non sono più tornata. Da Cambridge io e il padre delle mie figlie ci siamo trasferiti a New York, dove abbiamo fatto il post-doc, e saremmo anche rimasti se il clima non si fosse fatto molto teso a livello politico e se le nostre attività lavorative non ci avessero riportato in Europa. Così nel 2005 con una figlia di 8 mesi, ci siamo poi trasferiti in Svezia, in particolare a Stoccolma.
E come è stato vivere la maternità a Stoccolma?
All’inizio io non avevo un lavoro in Svezia perché dovevo concludere le mie collaborazioni negli USA e finire di scrivere un libro, ma ho potuto comunque godere per 2 anni e mezzo di un periodo di congedo retribuito. Sembra assurdo, ma in Svezia per godere dei sussidi dello Stato alla genitorialità, serve solo avere un personal number, molto simile al codice fiscale italiano. Per ottenere questo codice basta che una persona nella coppia lavori e quindi io l’ho ottenuto grazie al fatto che il mio ex compagno era stato assunto da un istituto Svedese. Dunque io senza aver mai lavorato in Svezia ho goduto fin da subito del congedo parentale, ovviamente ho ricevuto solo un minimo statale ogni mese, perché la retribuzione viene calcolata sullo stipendio.
Quanto dura il congedo parentale in Svezia?
Il congedo parentale in Svezia dura circa 480 giorni totali, 240 per ciascun genitore che si possono utilizzare fino al dodicesimo anno di vita del bambino.
Di questi 240 giorni che spettano a ciascuno, 90 giorni sono quasi obbligatori, nel senso che nessuno costringe il genitore a prenderli ma se decide di non usufruirne non verrà pagato in quel lasso di tempo, pervenendo dunque dei soldi. I restanti 150 giorni, invece, possono essere ceduti dall’uno all’altro membro della coppia. Nel primo anno di vita del bambino, poi, entrambi i genitori possono stare a casa contemporaneamente per un mese continuativo.
E i papà utilizzano questi giorni?
Sì, ma è stato un lungo lavoro che il governo ha iniziato negli anni ’70, quando ha deciso che il congedo non si sarebbe più chiamato “di maternità” ma sarebbe diventato “congedo parentale”, in modo da incentivare anche i papà a prendere dei giorni di astensione dal lavoro per occuparsi dei figli e della famiglia. Inizialmente ne usufruiva solo lo 0.5% dei padri, adesso il 30% dei papà prende almeno 90 giorni di congedo, il trend è in crescita e ad oggi addirittura i padri che decidono di non usufruirne vengono stigmatizzati a livello sociale come se non fossero dei bravi padri.
E come avete fatto a gestire vita lavorativa e figli, con i nonni distanti?
Non è stato molto difficile perché non è proprio parte della cultura svedese appoggiarsi ai nonni per crescere i propri figli. I nonni qui tendenzialmente lavorano come i genitori, quindi al massimo possono andare a prendere i bambini una volta a settimana a scuola. Poi innanzitutto tutti i hanno diritto ad un posto al baker, che sarebbe una sorta di asilo, da quando hanno un anno fino ai 5 anni. Il congedo parentale è molto flessibile, quindi alcuni genitori decidono di prendere i giorni in modo che possano stare a casa insieme ai loro figli anche 2 settimane ogni anno per le vacanze estive. Per esempio io non ho preso subito i 480 giorni di congedo, ma li ho distribuiti in modo di aggiungere alle mie ferie sempre due settimane per poter coprire le vacanze scolastiche delle mie figlie. Un’altra cosa che avrei potuto fare, sempre grazie alla flessibilità del congedo
parentale, sarebbe stata quella di lavorare part time alcuni giorni.
Ci sono degli aiuti che lo Stato da per pagare le spese legate alla scuola?
Sì, lo stato garantisce un sussidio-bambino, che si ottiene per ogni figlio, dalla sua nascita fino alla fine della scuola dell’obbligo, quindi al compimento dei suoi 15 anni. Lo Stato da alle famiglie 1250 corone al mese, che sono circa 120 euro, gestibili a seconda delle esigenze della famiglia. Quando i ragazzi iniziano il liceo il bonus non arriva più a uno dei genitori ma direttamente a loro. Il pagamento però non viene erogato nei mesi estivi, periodo durante il quale infatti i ragazzi iniziano a lavorare. Se i ragazzi decidono poi di fare l’università, ricevono 300€ al mese e dei prestiti se decidono di andare a vivere da soli per studiare. Lo Stato cerca di fare questo per incentivare i ragazzi a studiare.
C’è secondo te un diverso approccio alla famiglia della società svedese, rispetto a quella italiana?
Io mi sono accorta venendo in Svezia che qui la famiglia è vista dalla società come qualcosa di arricchente, non come un peso. Ma la famiglia nell’accezione più ampia del termine, il parental leave è anche per le famiglie omogenitoriali e per i genitori single. Questa agevolazione, poi, vuole veramente aiutare ogni membro della famiglia a trovare un equilibrio tra genitorialità e lavoro con una visione a lungo termine, che permette alle famiglie di andare avanti senza l’aiuto di baby-sitter e nonni. In Italia invece sembra che la famiglia si fondi sui nonni, perché i genitori devono lavorare e non possono conciliare con il lavoro le attenzioni che devono dare ai figli. In Svezia è raro che a un genitore fissino una call alle 8 di mattina o alle 18.00, perché c’è proprio l’idea che ad una certa ora ci si debba dedicare alla famiglia.
E le città sono su misura di bambino?
Io penso che la Svezia, come tutti i Paesi nordici, siano proprio un luogo in cui i bambini sono liberi di fare i bambini. Qui i piccoli possono gettarsi nelle pozzanghere, sudare, correre, senza che nessuno si infastidisca. Poi si cerca molto di crescere i bambini a stretto contatto con la natura, quindi ci sono parchi su misura per loro. Un’altra agevolazione che viene concessa ai genitori, ma che dimostra la considerazione positiva delle famiglie a livello sociale, è che se si stanno spostando per la città con un passeggino, non pagano i mezzi pubblici.
E invece la scuola offre dei metodi educativi innovativi?
Parlando della scuola la Svezia è abbastanza indietro, i rapporti annuali dimostrano che gli studenti sono poco preparati, hanno grosse lacune in molte materie, tra cui la comprensione del testo e la matematica, è assurdo pensando che è vicinissima la Finlandia che invece è sempre ai primi posti. I motivi secondo me sono diversi, il primo è che i bambini non ricevono dei voti fino al sesto anno, per evitare che siano soggetti a forte stress, ma quando poi arrivano al settimo anno ricevono dei voti, necessari per entrare al liceo quindi la dose di ansia per loro, che non erano abituati, diventa altissima. Un altro motivo è che la figura dell’insegnante non viene valorizzata, i docenti qui sono sottopagati e non si investe sulla loro formazione, il tutto si ripercuote poi sulla preparazione dei ragazzi.
Torneresti in Italia?
È una domanda difficile, perché il mio cuore è sempre rimasto in Italia, ci sono persone che mi mancano da quando sono partita 25 anni fa, ma non tornerei per un semplice motivo, sono convinta del fatto che l’Italia non sia un Paese per giovani e per donne, e le mie figlie meritano di vivere in un Paese che dia loro tutte le possibilità per diventare chi desiderano. Mi spiace che le mie figlie abbiano vissuto lontano dalla famiglia d’origine ma le aspetta un futuro migliore.
(da Fanpage)
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