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A UN ANNO DAL TERREMOTO IL FALLIMENTO DELLA RICOSTRUZIONE: CONSEGNATE SOLO IL 15% DELLE CASETTE, IL 90% DELLE MACERIE MAI RIMOSSE

LA BUROCRAZIA HA PADRI E MADRI: LA SELVA DI ORDINANZE E IL DEDALO DELLE RESPONSABILITA’

“Casette entro sette mesi”. Il 3 settembre 2016, una decina di giorni dopo il sisma del 24 agosto, il commissario straordinario per la ricostruzione, Vasco Errani, dava il via alla girandola di annunci.
E poco dopo ecco l’allora premier Matteo Renzi: “Tutto tornerà  come prima, bisogna fare in fretta e bene”.
L’11 dicembre Paolo Gentiloni diventa presidente del Consiglio e il 14 agosto, otto mesi dopo la sua nomina, in visita ad Arquata del Tronto ammette: “Si può migliorare e se si può fare di più lo si deve fare”.
La macchina del post sisma, messa in moto con tanta forza e con annunci carichi di enfasi sull’onda dell’emozione, si è inceppata nei meandri della burocrazia e in una divisione poco chiara delle competenze.
I soldi sono stati stanziati, l’impegno economico c’è, ma ciò che è mancato è l’attuazione pratica di tutti i propositi, quindi la traduzione effettiva degli impegni presi.
A riprova che il sistema Italia si blocca sempre al momento delle realizzazioni. Resta impigliato in una rete di poteri che si bloccano a vicenda, di competenze che si confondono le une con le altre, di litigi tra istituzioni e amministrazioni e le norme lievitano su se stesse fino ad annullarsi o a scatenare diatribe procedurali che sembrano infinite. È l’Italia del barocco.
Il risultato di tutto ciò sono le macerie ancora in strada a urlare il dolore delle persone, la maggior parte delle quali, circa l’85%, priva della casetta provvisoria che gli era stata promessa
Senza un tetto. Troppi gli annunci disattesi alla luce di un disastro che è stato immane. Quattro le regioni colpite (Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria), 131 comuni coinvolti: è il cratere più vasto nella storia del nostro Paese.
Un anno dopo il terremoto con epicentro ad Amatrice, che ha causato la morte di 299 persone, e dieci mesi dopo il sisma che ha colpito Norcia, la ricostruzione promessa dal governo Renzi prima (in carica fino al 5 dicembre) e da quello Gentiloni dopo, non è iniziata, il 90% delle macerie è ancora in strada e le case provvisorie assegnate (Sae — Soluzioni abitative in emergenza) sono meno del 15% di quelle necessarie.
Nel rapporto che la Protezione Civile ha inviato alla Commissione Ue, la stima dei danni causati dal terremoto nel Centro Italia è pari a 23,5 miliardi di euro.
Errani lascia, futuro incerto.
Questo è lo stato dell’arte, mentre sta cambiando l’assetto della struttura che avrebbe dovuto guidare la macchina. Alla vigilia del primo anniversario del terremoto di Amatrice e poche ore prima del sisma di Ischia, Errani annuncia di lasciare l’incarico smentendo la rottura con il governo: “Non è vero che abbandono il lavoro a metà , è scaduto il mandato”.
Ci sarebbero dossier e una decina di progetti pronti, viene spiegato. Si parla di progetti, di concreto ben poco.
Le competenze di Errani dovrebbero passare a Palazzo Chigi, che a questo punto ha deciso di seguire in modo diretto la vicenda che è ancora un’emergenza. In questa fase di transizione, sindaci e governatori litigano, rinfacciandosi colpe e responsabilità , con i primi che vogliono togliere le competenze alle Regioni dopo un anno di lentezza.
Ancora nella fase uno.
È infatti siamo ancora nella fase uno, cioè quella dell’emergenza gestita dalla Protezione Civile e dai governatori delle regioni.
Il perimetro dentro cui si muove è il primo decreto terremoto (legge 189) approvato il 17 ottobre dal Consiglio dei ministri guidato da Matteo Renzi. Da allora è stato modificato tre volte: dal governo Gentiloni, dalla legge di bilancio, che ha stanziato 4,5 miliardi per la ricostruzione, e dalla cosiddetta “manovrina”, che ha aggiunto fondi per un miliardo ogni anno per i prossimi tre.
L’altra cornice è l’ordinanza n.394 firmata dall’ex capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, per la realizzazione delle strutture abitative d’emergenza, cioè le casette.
In questa ordinanza le quattro Regioni vengono indicate come soggetti attuatori. Infine c’è il capitolo ricostruzione: Errani ha emesso 35 ordinanze, molte delle quali sono servite però a modificare le precedenti. E così si è ancora nella fase preliminare, i ritardi si sono accumulati mese dopo mese con la complicità  dell’intera filiera decisionale e amministrativa.
Soluzioni abitative in emergenza.
Il 3 settembre scorso Vasco Errani diceva: “Casette entro 7 mesi, sono la priorità “. Tre mesi dopo, a dicembre, il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti garantiva che “riusciremo a rispettare i tempi di consegna delle strutture abitative, nel frattempo va avanti il percorso di avvio della ricostruzione”.
Ma oggi le case che ad aprile, stando agli annunci, avrebbero dovuto ripopolare gli Appennini sono pochissime. Il 7 luglio scorso il premier Gentiloni in visita ad Accumoli per inaugurare due dei 71 alloggi destinati alle famiglie diceva: “Siamo qui insieme per verificare l’avanzamento dei lavori. Si sta lavorando molto qui, come sempre e più in fretta possibile”.
Ma i dati parlano chiaro. La Protezione civile, attraverso comunicati stampa, rende noto lo stato dell’arte. L’ultimo bollettino è del 4 agosto e si legge: “Proseguono i lavori per la realizzazione delle Sae. A oggi, secondo i dati forniti dalle regioni, sono complessivamente 3.827 le abitazioni d’emergenza ordinate per i 51 comuni che ne hanno fatto richiesta. Sono stati completati i lavori in 30 aree, e sono state consegnate ai sindaci 534 casette, di cui 101 a Norcia, 302 ad Amatrice, 104 ad Accumoli, 26 ad Arquata ed una a Calcara di Torricella (TE). Altre 151 aree ritenute idonee sono state consegnate ai consorzi incaricati della progettazione delle opere di urbanizzazione per la successiva installazione delle Sae, e in 92 di queste sono in corso i lavori”.
Il labirinto per le casette.
Facendo un rapido calcolo, nel complesso, sono state consegnate meno del 15% delle casette richieste. Ad Amatrice la percentuale sale a 50 ma il sindaco Sergio Pirozzi immaginava che dodici mesi dopo il sisma sarebbe stato tutto diverso: “Credevo che oggi tutte le case sarebbero state consegnate e che almeno il 50% delle macerie non c’era più”.
La colpa? “In tempo di pace un ritardo di due mesi ci può stare ma in tempo di guerra è un problema”.
Secondo molti primi cittadini dei comuni colpiti dal terremoto il governo ha sbagliato dall’inizio. Ad Arquata del Tronto a giugno, dopo molte proteste, sono arrivate 26 casette su 200 richieste.
Il sindaco Aleandro Petrucci: “Se a settembre non ci saranno le abitazioni rischio di trovarmi in una situazione paradossale, avere una scuola donata dai privati ma nessuno che potrà  tornare. In quel caso farò molto di più che dimettermi o andare a protestare con una tenda”.
Sempre Petrucci spiega che “molto dipende dalla burocrazia”. Anche secondo Renzi è colpa della burocrazia: “Le norme sono state fatte, i soldi ci sono e il governo Gentiloni ha fatto ancora di più di quanto fatto da noi. Ma la burocrazia diventa spesso un problema”.
Per tutti la responsabilità  è di questa cosa chiamata appunto “burocrazia”. Ma chi ha messo per iscritto l’iter da seguire?
L’ordinanza n.394 del settembre 2016, firmata dal capo del Dipartimento della Protezione civile Fabrizio Curcio, che si è dimesso l’8 agosto scorso, traccia le linee guida. Le Regioni vengono nominate soggetti attuatori che insieme ai Comuni devono individuare le aree e fare una ricognizione dei fabbisogni del proprio territorio.
Ci sono ben dieci passaggi da eseguire prima di aprire il cantiere, ci sono diversi enti coinvolti e tempi lunghissimi perchè oltre alle casette servono le opere di urbanizzazione: allacci di fogne, luce e gas e tutto quanto necessario per accogliere le abitazioni.
L’esempio Marche.
Nelle Marche, per esempio, funziona così. Prima i Comuni indicano le aree. Poi la Regione, in base alla segnalazione ricevuta, fa le sue verifiche. La Dicomac (Direzione comando e controllo), con i suoi tecnici, le valuta e dà  il parere di idoneità , inidoneità  o idoneità  con prescrizioni.
Se tutto va bene, i tecnici tornano sulle aree indicate con le ditte che forniranno le casette e che devono anche fare il progetto di massima sull’urbanizzazione, chiamato layout, entro 5 giorni.
Intanto, il sindaco procede con l’occupazione d’urgenza, per poi passare all’esproprio delle aree individuate; l’ordinanza sull’esproprio poi sarà  formalizzata dalla Regione. Il progetto arriva quindi al sindaco che, se tutto è a norma, lo approva e lo firma con il dirigente regionale.
A questo punto entro venti giorni la ditta privata farà  anche il progetto esecutivo per i lavori, che deve essere validato: ci vogliono ulteriori sopralluoghi, e il tempo concesso è un mese.
Sempre se tutto è a posto, viene mandato il progetto alla Regione, che fa un decreto e a sua volta lo spedisce manda all’Erap (Ente regionale abitazione pubblica): qui infatti ci sarà  la gara per appaltare i lavori di urbanizzazione (con tempi vari, ma solo per l’apertura delle buste con le offerte delle ditte sono previste due settimane). Fatta l’aggiudicazione provvisoria, progetto e documenti tornano all’Erap, dove viene fatta l’aggiudicazione definitiva dell’appalto. A questo punto, l’impresa edile deve elaborare il piano di sicurezza, completato il quale finalmente possono iniziare i lavori.
Clamoroso ritardo.
Con una procedura del genere non stupisce che i lavori siano clamorosamente indietro, anche perchè non sempre tutto è filato liscio e soprattutto nella fase iniziale non c’erano i tecnici, cioè non c’era il personale che potesse occuparsi di tutto questo. E infatti, nel novembre scorso, una modifica al decreto terremoto ha previsto l’assunzione di 350 persone a tempo determinato per smaltire la mole di lavoro. Intanto però sulle casette tutte le promesse sono state disattese.
“Entro Natale daremo le prime venti ad Amatrice”, dichiarò il 23 settembre l’allora premier Renzi. Le famiglie amatriciane le hanno avute a marzo.
Mentre nelle Marche si è ancora più indietro. “Per le abitazioni siamo in braccio a Cristo — dice Pirozzi – il percorso è ancora lungo e servirebbero procedure da guerra in tempo di guerra” invece ci sono “più soggetti che si occupano delle abitazioni mentre dovrebbe essercene solo uno”.
Stalle e bestiame.
Stanchi di aspettare, un allevatore terremotato su tre ha deciso di ricostruirsi da solo la stalla per salvare mucche e pecore lasciate all’aperto a causa dei ritardi nell’arrivo delle strutture provvisorie annunciate.
Sono i dati che emergono da un’analisi della Coldiretti nelle Marche diffusa in occasione dell’inaugurazione della prima stalla “fai da te” nell’azienda di Vincenzo Massi, allevatore terremotato di Offida.
La struttura è stata realizzata in venti giorni grazie all’ordinanza “azzera burocrazia” fortemente voluta dalla Coldiretti dopo i ritardi accumulati nelle consegne dei moduli stalla provvisori che spesso hanno evidenziato problemi.
Nell’area dell’intero cratere l’inverno — dice la Coldiretti – è finito con solo 33 stalle in grado di ospitare gli animali sulle 1400 necessarie e si è dovuto cercare una strada alternativa per salvare gli allevamenti dopo una strage di diecimila animali nelle quattro regioni con 3mila aziende agricole e stalle colpite.
Gli annunci sulla ricostruzione.
Un mese dopo il terremoto è stato l’allora premier Matteo Renzi a stabilire la prima agenda del post sisma.
“Il nostro obiettivo — diceva il 23 settembre in conferenza stampa – per le prime e le seconde case e per gli esercizi commerciali, è riportare tutto a prima del terremoto. La ricostruzione non sarà  un fatto strettamente amministrativo. Valorizzeremo le comunità “.
Nei fatti si è ancora nella fase burocratica della ricostruzione. Il 7 aprile scorso il commissario straordinario per la ricostruzione, Vasco Errani, ha emesso un’ordinanza per regolamentare l’accesso ai fondi destinati al “miglioramento sismico o alla ricostruzione degli edifici ad uso prevalentemente abitativo gravemente danneggiati o distrutti”.
Stando a quanto si legge alla fine del 2019 o al massimo a metà  2020 tutte le abitazioni e gli esercizi commerciali dovrebbero essere ricostruiti lì dove si trovavano. Ma fino a quando le macerie saranno in strada non è possibile fare alcuna verifica e quindi avviare l’iter.
“Non vedo problemi di ritardi. Bisogna contestualizzare e allora pur in presenza di fattori critici come 4 terremoti in momenti diversi — diceva Errani nel giugno scorso – bisogna riconoscere che è stato fatto un lavoro molto importante anche nell’emergenza”. Nella pratica funziona così: entro venti giorni dal ricevimento della domanda l’Ufficio speciale deve fare le dovute verifiche. Quindi, nel caso in cui la pratica sia regolare, l’Ufficio speciale, nei successivi sessanta giorni, verifica la conformità  dell’intervento alla normativa urbanistica, richiede l’effettuazione dell’eventuale controllo a campione sul progetto strutturale, acquisisce il parere della conferenza regionale […], propone al Comune il rilascio del titolo edilizio, verifica l’ammissibilità  al finanziamento dell’intervento, indica il contributo ammissibile e provvede a richiedere contestualmente il Codice Unico di Progetto (CUP) e il codice CIG dandone comunicazione al Vice Commissario mediante procedura informatica.
Il Vice Commissario, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, emette il provvedimento di concessione del contributo o di rigetto della domanda. I lavori di ripristino con miglioramento sismico o di ricostruzione devono essere ultimati entro 24 mesi dalla data di concessione del contributo.
A richiesta dei proprietari interessati, gli Uffici speciali possono autorizzare, per giustificati motivi e sentito il Comune competente, la proroga del termine per non più di sei mesi.
Per l’erogazione dei contributi, sono previsti 4 step, in base allo stato di avanzamento dei lavori, i primi due del 20% e gli altri due del 30%.
Emerge dunque che la procedura richiede tempo, sono necessarie tutte le verifiche del caso e il bollino dell’Autorità  anticorruzione.
Ma una volta chiusa la procedura, tutto si ferma a causa dell’enorme problema rappresentato dalle macerie non ancora rimosse. Di conseguenza non è possibile procedere alla perimetrazione. Ragione per cui la macchina del dopo terremoto è in forte ritardo.
Macerie in strada.
A togliere le macerie è dovuto arrivare l’esercito. Gli abitanti delle zone terremotate hanno anche bloccato la via Salaria portando macigni in segno di protesta.
“Ho fatto la guerra all’assessore Buschini della regione Lazio, si vede che lui non è mai entrato nella zona rossa del dolore”, dice il sindaco Pirozzi. Adesso si attende l’aggiudicazione di una gara d’appalto da 10 milioni di euro.
Dopo uno stallo durato ben oltre le previsioni, solo nel luglio scorso questo bando ha ottenuto il parere favorevole dell’Anac. Il 7 luglio è stata invece aggiudicata una gara per 400mila euro: e i nuovi lavori sono partiti da metà  mese.
“Ma si tratta ancora di misure tampone, che non bastano certo a segnare un cambio di marcia”, criticava Petrucci. Così un emendamento inserito nel decreto legge per il Mezzogiorno ha stanziato altri 100 milioni.
“È la dimostrazione, quantomeno, che anche a Roma hanno forse capito che è il caso di darsi una mossa”, ha commentato Pirozzi.
A passo di lumaca nell’ultimo mese si è arrivata alla rimozione del 10% del totale.
Si è ancora molto distanti dai 2,3 milioni di tonnellate di macerie da portare via. Per citare solo qualche dato, ad Amatrice c’è un milione e centro mila tonnellate di macerie, ad Accumuli 400mila e ad Arquata 500mila.
“Ma noi amministratori locali — va ripetendo il sindaco Stefano Petrucci — possiamo fare ben poco sulla questione delle macerie. Che è di stretta competenza della Regione”.
A complicare la situazione, poi, ci si è messo anche l’accumulo di leggi. “All’inizio — spiega il sindaco di Accumoli Petrucci — alle amministrazioni competeva solo la rimozione delle macerie sulle strade e nelle piazze. Le nuove norme hanno stabilito invece che anche i privati potessero, tramite una apposita procedura, delegare al pubblico lo sgombero di detriti e calcinacci dalle proprie abitazioni. E questo ha creato confusione: ci ha costretti a rallentare tutto e fare nuove stime, nuovi piani”. Visti i ritardi e la lentezza a rimuovere e trasportare le macerie sono arrivate le Forze Armate. Il 10 agosto è stata infatti costituita un’apposita Task Group del genio dell’Esercito, in concorso con il Dipartimento della Protezione Civile.
Attività  commerciali.
Nel primo decreto terremoto sono stati stanziati 35 milioni di euro per il sostegno alle imprese. Per il ripristino ed il riavvio delle attività  economiche sono stati concessi a micro, piccole e medie imprese finanziamenti agevolati a tasso zero a copertura del cento per cento degli investimenti fino a 30.000 euro.
Le attività  commerciali rimaste in ginocchio, dopo il terremoto del 24 agosto scorso, secondo una stima della Confcommercio, sono 120.
Ad Amatrice il 5 agosto scorso è stato riaperto il supermercato Simply, simbolo del sisma e ora della ripartenza. Si trova nell’Area Food della zona Commerciale “Triangolo”, dove ci sono altre 27 attività  commerciali, i cui lavori stanno per essere ultimati.
È in fase di allestimento anche un’altra zona chiamata Cotral che ospita 43 esercizi. La Regione Lazio ha finora assicurato, per quanto riguarda Amatrice, complessivamente fondi per circa 11 milioni di euro, dei quali poco oltre 4,3 milioni di euro per l’Area “Triangolo” (circa 3 milioni per la realizzazione della struttura e 1,3 in contributi per la ripartenza delle attività ). Anche qui però si sono sommati ritardi su ritardi.
Il riavvio delle attività  commerciali era fissato ad aprile, doveva essere “la Pasqua della rinascita”, secondo gli annunci e le speranze del sindaco Pirozzi.
Tasse.
La promessa di zero tasse e zero contributi per due anni per i terremotati si è risolta in “una presa in giro?”, chiedeva prima di ferragosto il sindaco Pirozzi pronto alle barricate.
E poi il primo cittadino di Arquata Aleandro Petrucci: “Prima le macerie, che non si è mosso un sasso per mesi. Poi le casette, che non arrivavano mai. Adesso la no-tax area, che se la rimangiano. Ma che pensano che stiamo a gioca’? Qui la gente non ce la fa più”.
Il premier Gentiloni in visita ad Arquata del Tronto ha assicurato di no. “Sarei pazzo se dicessi che non ci sono difficoltà . Ma abbiamo un buon impianto sulle zone franche urbane, c’è un sistema finanziario che non è mai stato così importante dal punto di vista finanziario”.
Nessuna mancata promessa, garantisce: “Siamo sempre stati aperti alle obiezioni e a valutare osservazioni, non abbiamo mai fatto nulla di diverso da quanto contenuto nella legge. Se si può fare di più noi siamo disposti a parlare con il sindaco di Amatrice. L’impegno del governo è spingere il più possibile. Se ci sono cose da aggiustare le aggiusteremo”.
Un vertice tra il commissario Errani e i tecnici del Mise ha modificato il provvedimento che invece spalmava lo sgravio fiscale su tre anni, accogliendo così le richieste dei sindaci che in fondo erano contenute nel primo decreto terremoto.
I passi in avanti e indietro, il balletto di cifre, le norme scritte, poi modificate e dopo cambiate di nuovo hanno caratterizzato questo anno del post terremoto, la cui macchina della ricostruzione non è mai partita inceppata da ritardi, burocrazia e da chi avrebbe dovuto fare e non ha fatto.

(da “Huffingtonpost”)

This entry was posted on mercoledì, Agosto 23rd, 2017 at 21:50 and is filed under terremoto. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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